Il nome A. ricorda quello del navigatore fiorentino Amerigo Vespucci, che esplorò le coste dell’A. Meridionale; proposto dal cosmografo M. Waldseemüller, apparve per la prima volta nel 1507 in un opuscolo (Cosmographiae introductio) e nella carta che l’accompagna, riferito all’odierna A. Meridionale, già denominata Mundus Novus per distinguerla dal continente asiatico, mentre si supponeva che le Antille fossero parte dell’Asia. La separazione dalle terre antartiche fu accertata nel 1520 dalla spedizione di F. Magellano, mentre solo verso il 1560 si ammise la separazione, a NO, dall’Asia. Il nome di A. fu esteso verso il 1570 all’intero continente, ma si conservò anche quello di Indie Occidentali per l’area centrale.
Si è soliti distinguere l’A. in due parti: A. Meridionale, a sud dell’istmo di Darién, e A. Settentrionale e Centrale, a nord; due parti che, per la nettezza del loro contorno e per il fatto di essere collegate solo dal sottilissimo peduncolo dell’istmo di Panama (tagliato agli albori del 20° sec. per la costruzione dell’omonimo canale), è preferibile considerare due continenti separati, indicati anche, rispettivamente, come Sudamerica e Nordamerica. Per il Nordamerica sussiste qualche problema di delimitazione e di denominazione, perché spesso si tende a distinguere un’America Centrale, formata dalla regione istmica e dalla regione insulare caribica (Antille). In realtà, le differenze tra A. Settentrionale e A. Centrale sono essenzialmente d’ordine politico e culturale e non infirmano l’unità continentale del Nordamerica. Piuttosto, è da tener presente che tutti i territori americani dal Messico all’estremo Sud costituiscono una vasta e bene individuata area geografico-culturale, universalmente nota come A. Latina per la presenza pressoché ubiquitaria di lingue neolatine importate e diffuse dalla colonizzazione spagnola e portoghese. In questa sede si tratterà dapprima dei caratteri unitari dell’A., quindi distintamente dei due continenti.
L’A. è allungata in latitudine da 72° N a 54° S, avvicinandosi più di ogni altro continente alle zone polari. L’Oceano Atlantico, a E, si spinge molto addentro nelle regioni centrali e le riduce a una stretta successione di istmi e di penisole, accompagnata più a E da un compatto arco insulare: l’insieme delimita un mare interno, il Mediterraneo Americano, la cui presenza concorre alla distinzione dei due continenti. La costa occidentale, bagnata dal Pacifico, è invece più continua. Le analogie generali nella struttura del Nordamerica e del Sudamerica sono il grande fascio di catene montuose recenti lungo le coste occidentali; le vaste pianure nel centro, percorse da imponenti fiumi; i rilievi addolciti e gli altopiani antichi a oriente. A N come a S, il grande asse montuoso influenza la ripartizione dei climi, e i grandi bacini fluviali hanno favorito la penetrazione dall’Oceano Atlantico. Ma le pianure hanno diverso aspetto a N e a S, e il grande scudo canadese non ha riscontro nell’A. Meridionale. Marcate sono le differenze climatiche fra le due masse: il Nordamerica è incluso in gran parte nella zona temperata, mentre il Sudamerica rientra per due terzi nella fascia intertropicale: di qui diversità nella vegetazione e nella fauna, cui corrispondono profonde differenze dei generi di vita e della struttura economica.
Poco prima del 1000, i Normanni scoprirono la Groenlandia (Grøn Land «Terra Verde»: Erik il Rosso, 985 o 986 d.C.), sulla cui costa meridionale stabilirono colonie sopravvissute fino al 15° sec.; Leif, figlio di Erik, mise piede sul continente americano (999, Vinland); altri paesi più a N furono scoperti in seguito. Ma la notizia di queste scoperte non giunse in Europa: è perciò corretto considerare scoperta quella di C. Colombo, che nel 1492 sbarcò su alcune delle isole Bahama e costeggiò Cuba e Haiti (Hispaniola), nel 1494 altre isole vicine (Guadalupa, Portorico), sbarcandovi un nucleo di coloni, nel 1498 la terraferma meridionale presso l’Orinoco. Nel medesimo anno G. Caboto costeggiò, per incarico degli Inglesi, la Nuova Scozia. Nel 1499 la spedizione di A. de Ojeda, con A. Vespucci, raggiunse la Guyana; di qui, Vespucci si diresse a S fino all’estuario del Rio delle Amazzoni e al Capo San Rocco. Nell’anno 1500 P.A. Niño, V.Y. Pinzón e D. de Lepe navigarono lungo le coste fra il Venezuela e Pernambuco e il portoghese P.Á. Cabral, in viaggio verso le Indie, toccò casualmente la costa del Brasile. Fra 1501 e 1502 Vespucci, a capo di una spedizione portoghese, giunse alla baia di San Giuliano in Patagonia, scoprendo l’estuario del Río de La Plata. Colombo (1502-03) e altri invano percorsero la costa della regione istmica per trovare un passaggio a O. Il Pacifico fu raggiunto per via di terra da V. Núñez de Balboa (1513). Il passaggio marittimo per il Pacifico fu trovato da Magellano nel 1520. Nell’emisfero settentrionale, dopo le scoperte dei portoghesi G. e M. de Corte-Real (1500-01) a Terranova e nel Labrador, nel 1508 S. Caboto con navi inglesi scese dal Labrador fin verso l’odierno sito di New York. Nel 1513 J. Ponce de León scoprì la Florida e nel 1519 A. Álvarez de Pineda le foci del Mississippi; nel 1524 G. da Verrazzano, con una nave francese, si spinse fin verso la Nuova Scozia; con tre spedizioni (1534, 1535, 1541), J. Cartier scoprì il golfo e il fiume San Lorenzo. In una trentina d’anni, l’unità della costa atlantica si mostrò dunque chiara da Nord a Sud e apparve evidente che si trattava di terra distinta dall’Asia.
Alla conoscenza della costa pacifica contribuì la penetrazione nell’interno, iniziata nella regione istmica e proseguita con la conquista del Messico a opera di H. Cortés (1519-22) e con la spedizione di F. Pizarro e D. de Almagro nell’area peruviana, che portò alla perlustrazione della costa almeno fino a Tumbes. Negli anni 1539-40 si navigò la costa fra lo stretto di Magellano e il Perù, la penisola di California e la costa nordamericana fino alla baia di San Francisco e poi più a nord grazie alle esplorazioni di J. de Fuca (1592), dopo le quali gli Spagnoli, avendo trovato queste sponde meno attraenti, si arrestarono. S. Dežnev giunse per primo, nel 1648, dalla costa siberiana allo stretto poi rilevato da V. Bering (1728); il capitano A. Čirikov esplorò nel 1741 le coste meridionali dell’Alaska, nell’anno medesimo in cui Bering visitava la costa alaskana e le Aleutine. J. Cook (terza spedizione, 1778), costeggiò il margine continentale fra la Columbia Britannica e l’Alaska, penetrando nel Mar Glaciale Artico. A. Malaspina esplorò la costa alaskana presso la catena del monte Sant’Elia (1791), poco prima che G. Vancouver (1791-1794) seguisse la sponda canadese del Pacifico.
Il riconoscimento della costa americana settentrionale fu impresa di esploratori polari e continuò per quasi tre secoli: i tre viaggi di M. Frobisher (1576-78) portarono alle rive dell’isola di Baffin; i tre di J. Davis (1585-87) ancora più a Nord; la grande spedizione di H. Hudson (1610-11) rivelò lo stretto e la baia che da lui presero nome; seguì una lunga serie di esplorazioni, in gran parte inglesi, per trovare quel passaggio di nord-ovest fra Atlantico e Pacifico che sarà individuato da R. MacClure tra il 1840 e il 1854, e percorso per la prima volta da R. Amundsen solo nel 1903-06.
Le regioni interne visitate per prime furono quelle ove la presenza di più evolute civiltà e il miraggio di ricchezze attiravano i conquistatori: il Messico con Cortés e il Perù con Pizarro (che nel 1535 fondò Lima). Spedizioni notevoli svolsero i luogotenenti di Pizarro (D. de Almagro e P. de Valdivia), dal Cile all’Amazzonia. Nel 1541-42 F. de Orellana, dal versante orientale della cordigliera ecuadoriana, discese fino alla foce del Rio delle Amazzoni. Nella regione platense, dopo una spedizione (1527-28) di S. Caboto, nel 1535 P. de Mendoza fondò Buenos Aires. I Portoghesi si limitarono a lungo alla costa loro attribuita dal trattato di Tordesillas (1494). Numerosi viaggi si ebbero in Colombia (fondazione di Santa Fe de Bogotá, 1537-38) e Venezuela, alla ricerca del mitico Eldorado. Dalla metà del 16° alla fine del 18° sec. la conoscenza dell’A. Meridionale fece scarsi progressi: Spagnoli e Portoghesi non organizzavano spedizioni e impedivano agli stranieri l’accesso. Vi furono però una spedizione francese (P. Bouguer e Ch.-M. de La Condamine) in Ecuador per la misura d’un arco di meridiano, le determinazioni per fissare i confini tra possedimenti spagnoli e portoghesi (F. de Azara: 1781-1801), e il celebre viaggio di A. von Humboldt e di A. Bonpland (1799-1804), nella regione andina settentrionale e centrale. Nel 19° sec. numerose furono le esplorazioni in Sudamerica; tra gli Italiani coinvolti ricordiamo A. Codazzi (Venezuela, Colombia e Panama), N. Descalzi (bacini del Río Bermejo e del Río Negro), G. Osculati (Ecuador e Amazzonia), A. Raimondi (Perù), G. Boggiani (Chaco), E. Stradelli (Venezuela). L’esplorazione delle più remote regioni dell’Amazzonia e dei più elevati rilievi delle Ande è ancora in corso.
Anche nell’A. Settentrionale i primi a penetrare furono gli Spagnoli (nel 1540-42 F. Vásquez Coronado, fino all’Arizona e al fiume Arkansas; H. de Soto, 1539-41, fino al fiume Tennessee); ma, assente l’oro nelle regioni esplorate, le trascurarono, lasciando spazio alla penetrazione inglese e francese: nel 1607 venne stabilito nella Virginia, da W. Raleigh, il primo insediamento britannico, mentre S. de Champlain si addentrò fino al sito di Montréal (1603), fondò la colonia di Québec (1608) e poi (1615) scoprì i laghi Huron e Ontario, e J. Nicollet il lago Michigan (1634). I Francesi discesero il Mississippi fino alla sua foce, circondando l’area atlantica che gli Inglesi stavano colonizzando; si spinsero anche a Ovest, individuando il lago Winnipeg, il fiume Missouri (P. G. de La Vérendrye: 1731-40) e le Montagne Rocciose (i figli di La Vérendrye: 1741). Più a Nord comparivano come esploratori i trafficanti di pellicce – la Compagnie du Nord e la Hudson’s Bay Co., tra loro in concorrenza. Nel 1680 gli Inglesi erano a Fort Churchill e si spingevano al Mare Artico, e poi al lago Athabaska e al Grande Lago degli Schiavi; A. Mackenzie seguì fino alla foce l’emissario di questi laghi (1789) e attraverso le Montagne Rocciose scese alla costa pacifica (1793). Costituitisi gli Stati Uniti d’A., la storia della scoperta coincide con l’avanzata dei pionieri, le spedizioni militari, le costruzioni dei servizi telegrafici e delle grandi ferrovie; l’esplorazione diventa decisamente scientifica con le imprese di studiosi e dei servizi geologici e cartografici degli Stati Uniti e del Canada. Progressi sensibili sono stati compiuti nella conoscenza della Terra di Baffin e dell’interno del Labrador, come anche in Groenlandia.
Vasta oltre 17,8 milioni di km2, lunga, con le isole, 7600 km da N a S, larga circa 5150 km, l’A. Meridionale presenta un contorno triangolare scarso di articolazioni e circondato da poche isole (che con le penisole coprono poco più dell’1% della superficie). Il carattere massiccio, per cui le parti più interne distano 1600 km dal mare, incide sull’idrografia, ma meno sul clima, dato che quasi tutta l’A. Meridionale è compresa nella fascia tropicale ed è attraversata dall’equatore fra Quito e la foce del Rio delle Amazzoni; solo la cuspide meridionale appartiene alla regione temperata: il capo Horn resta a circa 10° dal circolo polare. Rispetto all’A. Settentrionale e Centrale, l’A. Meridionale ha posizione alquanto più orientale; la parte più occidentale è alla stessa longitudine della Florida e Lima è sul medesimo meridiano di Washington. Sul 12% delle terre emerse, l’A. Meridionale ospita meno del 6% della popolazione mondiale.
- Il rilievo consta, a O, per 5000 km, della cordigliera delle Ande e a E degli altopiani della Guyana e del Brasile e dei ripiani ondulati della Patagonia; nel mezzo si estendono i bassopiani dell’Orinoco, dell’Amazzonia e del Paraná-Paraguay.
L’A. Meridionale è costituita da diverse unità morfogenetiche, tra le quali domina per estensione la Brasilia (➔), residuo di un più esteso massiccio primordiale, formato da terreni arcaici intensamente piegati che formano le catene lungo il litorale atlantico (Serra do Mar, Serra da Mantiqueira ecc.). Sedimenti continentali si trovano nelle due vaste depressioni dei bacini del San Francisco e del Paraná. Un’altra unità morfologica, l’Arciguyana-Orinochia, pure di antica costituzione, è rappresentata dall’altopiano della Guyana e delimitata a S dalla depressione amazzonica. A SO della Brasilia, oltre le estese depressioni del Gran Chaco e delle Pampas, si elevano catene montuose costituite da rocce arcaiche (Sierra del Tandil, di Córdoba, di San Luís) che formano il sistema orografico pampeano. A S delle Pampas, la Patagonia si compone di due parti orograficamente e geologicamente distinte: a occidente, nella regione andina, la precordigliera di San Juan e di Mendoza, e le catene montuose della Cordigliera Patagonica; a oriente, ripiani ondulati di depositi ciottolosi digradano verso il golfo patagonico meridionale e verso l’Atlantico. Altra grande unità morfologica è quella delle Ande (➔), sede esclusiva di vulcanismo attivo e ricche di vette elevatissime (Aconcagua, 6960 m; Ojos del Salado, 6885 m; Huascarán, 6768 m ecc). Le catene delle Ande sono separate le une dalle altre da lunghe valli longitudinali o da alti bacini e, in alcuni casi, da elevati altopiani spesso chiusi e occupati da laghi, come per es. quello che accoglie il lago Titicaca. Gli altopiani della Guyana (Roraima, 2810 m) e del Brasile sono privi di vere e proprie catene; oltre ai cigli degli altopiani (serras), le zone elevate hanno forme dolci e quasi tabulari (mesas e chapadas), nelle quali i fiumi hanno inciso valli profonde (con cascate e rapide). I grandi bassopiani centrali, che separano le Ande dagli altopiani orientali, constano di terreni alluvionali, in parte depositi marini terziari, nei quali i fiumi hanno scavato il loro letto, in parte estese coltri alluvionali che ricoprono antichi penepiani cristallini.
Climatologia. - Tra i fattori climatici che caratterizzano l’A. Meridionale, particolare rilievo assumono la latitudine (vaste regioni sono a cavaliere dell’equatore) e l’orografia. La corrente fredda del Perù (o di Humboldt), che scorre lungo il Cile e il Perù da S verso N, fa sì che le coste del Pacifico risultino meno calde di quelle dell’Atlantico, dove invece scorre verso S la corrente calda del Brasile. L’escursione annua risulta modesta nella zona intertropicale (10 °C), mentre nelle zone interne dell’Argentina si arriva a quasi 20 °C. Le precipitazioni sono distribuite in modo ineguale, trovandosi nell’A. Meridionale alcune zone tra le più piovose e altre tra le più aride del globo. Le regioni siccitose (con meno di 250 mm annui) sono poste una lungo il Pacifico, dal golfo di Guayaquil alla latitudine di Valparaíso, e l’altra sull’Atlantico, a sud del fiume Colorado fino a Santa Cruz; la regione più arida è il deserto di Atacama. Anche gli altopiani delle Ande centrali sono molto aridi. Invece vaste zone dell’Amazzonia e della Guyana ricevono oltre 2000 mm; sul versante del Pacifico, in alcune località della regione colombiana del Chocó, si versano 7000 mm e molto piovosa è pure la Patagonia cilena.
Si possono distinguere i seguenti tipi climatici: equatoriale nel bassopiano amazzonico e nelle zone costiere della Guyana e della Colombia, costantemente umido e piovoso, con temperature non troppo elevate ed escursione limitata; subequatoriale nell’altopiano della Guyana, nella Colombia orientale, nella parte settentrionale dell’altopiano del Brasile, nel Chaco boliviano, simile al precedente, ma caratterizzato da temperature più alte e da una stagione secca; tropicale nella parte interna dell’altopiano del Brasile e del bacino dell’Orinoco, con stagione secca più lunga e contrasti più forti nell’escursione annua e diurna; subtropicale nel Brasile meridionale e in Uruguay, Paraguay meridionale, Argentina nord-orientale, con piogge estive simili a quelle delle regioni monsoniche; caldo di montagna negli altopiani più elevati e nella regione andina settentrionale e centrale al di sopra dei 2000 m, con precipitazioni e temperature modeste, escursione annua minima, mentre quella giornaliera è sensibile; temperato continentale nell’Argentina centro-settentrionale (inverni rigidi e scarse precipitazioni); temperato oceanico nel Cile centro-meridionale (inverni più miti e precipitazioni più abbondanti; per talune aree costiere del Cile centrale si può parlare di clima mediterraneo); desertico, con temperature elevate nella fascia costiera centrale del Pacifico (dall’equatore a circa 25° lat S, con piogge esigue e alta umidità atmosferica) e nell’Argentina di NO, mentre analoghe caratteristiche desertiche, ma con temperature basse, presenta il clima della Patagonia argentina (piogge scarse e irregolari, con venti impetuosi); freddo oceanico nella Terra del Fuoco e nelle aree più elevate delle Ande meridionali, con temperature medie basse e precipitazioni abbastanza abbondanti.
Idrografia. - L’A. Meridionale possiede alcuni tra i sistemi fluviali più grandi del mondo. Tuttavia aree relativamente ampie sono prive di circolazione acquea superficiale o di sbocco al mare (rispettivamente 8 e 14% della superficie continentale) e il rilievo asimmetrico determina uno sviluppo ineguale della rete idrografica: è infatti tributario dell’Atlantico il 72% del territorio, laddove al Pacifico spetta solo il 6%. Inoltre nell’Atlantico si versano fiumi poderosi per lunghezza e portata, come il Rio delle Amazzoni (7100 km e 7,5 milioni di km2 di bacino), il Paraná-Paraguay (4700 km e 3,1 milioni di km2), il São Francisco (2900 km e 652.000 km2), l’Orinoco (2370 km e 950.000 km2); nel Pacifico invece sboccano fiumi di corso breve e a carattere torrentizio. Anche nel Mar Caribico si gettano fiumi di dimensioni modeste (salvo il Magdalena: 1476 km e 250.000 km2). Tutti i dati inerenti all’idrografia dell’A. Meridionale possono differire a seconda che si tenga conto o meno degli affluenti.
Il Sudamerica è un continente povero di laghi, salvo nelle Ande di Patagonia, dove esistono numerosi laghi d’origine glaciale (Buenos Aires, 2100 km2; Argentino, 1420). Nel versante E delle Ande cileno-argentine i fiumi, spesso con acque salate (detti Salado, Saladillo), si perdono nella steppa, dove si trovano numerosi laghi salsi. Vasti laghi, di origine tettonica, sono pure negli altopiani boliviani (principali: Titicaca, 8330 km2 e Poopó, 2530). Le aree senza deflusso fluviale sono nel Perù costiero, nel Cile settentrionale, nel Chaco e nella Patagonia. Aspetti particolari presenta la laguna di Maracaibo (➔).
La regione neotropicale, per il lungo isolamento terminato in epoca relativamente recente con la formazione dell’istmo di Panama, comprende molti gruppi endemici e alcuni elementi gondwaniani (➔ Gondwana).
La fascia intertropicale è coperta da un’imponente foresta pluviale, con formazioni a mangrovia lungo le coste dell’Atlantico. La foresta a ovest si spinge in quota sulle Ande, il cui versante occidentale è invece arido, con essenze xerofile e Cactacee, Conifere come l’Araucaria e l’aulerce (Fitzroja cupressoides), e boschi di queñoa (Polylepis tarapacana). Verso il Pacifico si succedono, da Nord, il deserto costiero di Atacama, la macchia di tipo mediterraneo a sclerofille, la steppa. Verso Sud, la foresta pluviale lascia il posto alla pampa, un ambiente più aperto e arido, dominato da erbe e radi arbusti, e poi alla fredda steppa patagonica. È presente il faggio australe (Notophagus).
Cervidi e Bovidi sono sostituiti dai Camelidi (genere Lama) e dal tapiro (Tapirus terrestris, Tapirus pinchaque). Endemici sono gli Xenartri (bradipi e formichieri) e le Platirrine (cebi, uistitì, scimmie ragno); gli armadilli hanno invece colonizzato anche l’A. Settentrionale. Elementi neartici sono l’orso dagli occhiali (Tremarctos ornatus) e il puma. Il giaguaro (Panthera onca) è il più grande tra i Carnivori. I Didelfidi (opossum) rappresentano l’unica famiglia non australiana di Marsupiali. Nei fiumi amazzonici vive l’inia, o delfino di fiume (Inia geoffrensis). Tra gli Uccelli è interessante la presenza del nandù (Rhea americana), elemento gondwaniano affine allo struzzo, e di diverse specie di pinguini. Numerosi anche pappagalli, colibrì e tucani. Tra i Passeriformi vanno ricordate le oltre 300 specie di Tirannidi. I Rettili comprendono alligatori e caimani, tartarughe acquatiche come la mata mata (Chelus fimbriatus), gli Iguanidi e l’anaconda (Eunectes murinus), il più grande tra i serpenti. Tra gli Anfibi sono numerosissimi gli Anuri e mancano gli Urodeli; tra i Pesci, l’arapaima (Arapaima gigas) può raggiungere i 5 m di lunghezza.
Nell’A. Meridionale (diversamente da quella Settentrionale) resta una forte percentuale di Amerindi (e loro discendenti di sangue misto), specialmente nella regione amazzonica e sulle Ande. Per quanto si tratti di dati approssimati, si può ritenere che circa il 53% della popolazione sia costituito da Bianchi, il 30% da Meticci, l’8% da Amerindi e il 9% da Neri (più o meno meticciati). La miscela etnica è considerevole: l’Argentina e l’Uruguay sono popolati in larghissima maggioranza da Bianchi; nel Paraguay gli Amerindi costituiscono la maggioranza della popolazione; in Brasile i Bianchi formano circa il 53% della popolazione.
In linea generale le regioni che esercitarono inizialmente maggiore attrazione sui conquistadores furono gli altopiani andini, coi loro giacimenti di metalli preziosi. Alle originarie miniere se ne aggiunsero in seguito di nuove, attraendo manodopera. Oltre alle città sorte sopra o accanto alle antiche, o presso le miniere, per lo più lontane dal mare e in posizione appartata e elevata, gli Spagnoli ne fondarono altre più vicine al mare e in più facili rapporti con la madrepatria. Anche le colture tropicali attrassero ben presto la colonizzazione europea. Le regioni popolate per prime furono il Brasile di Nord-est, la Guyana, le parti più basse della Colombia, dell’Ecuador e del Venezuela. Questi centri di colonizzazione agricola comunicavano con le città situate sugli altopiani andini mediante vie che verso N univano Quito e Lima a Popayán e al Magdalena; il Perù comunicava con la costa atlantica attraverso i passi andini, le piane del Chaco, il Paraná e il Paraguay. Sulle strade più frequentate sorsero nuovi centri dipendenti dal traffico, quali Córdoba, Tucumán, Salta, Santa Fe. Fin dai tempi della conquista cominciò anche una colonizzazione pastorale, che trovò condizioni favorevoli nelle regioni steppiche e specialmente nel Mato Grosso e nelle pampas. Si andò così stabilendo una corrente ininterrotta d’immigrati spagnoli e portoghesi che in parte, soprattutto nell’interno, si mescolarono con la popolazione indigena. Dall’Africa, con la tratta degli schiavi, giunsero migliaia di Neri, specie nei bassipiani dove la manodopera indigena faceva difetto, e dove ebbero sviluppo le colture tropicali (Brasile di Nord-est). L’unione tra Neri e Amerindi ha dato luogo agli Zambos. La gerarchia sociale a base razziale quale si venne delineando durante la guerra di conquista si andò attenuando specialmente a partire dalle guerre d’indipendenza, quando la rilevante percentuale degli Amerindi e dei Neri di fronte ai Bianchi impose a questi ultimi di aprire agli altri l’accesso alla vita politica e sociale. Le differenze socioeconomiche restano tuttavia ben sensibili in molti Stati.
Quando buona parte dei paesi dell’A. Meridionale ebbe conseguito l’indipendenza, iniziarono forti correnti immigratorie provenienti non più solo da Spagna e Portogallo, ma dall’Italia (Brasile meridionale, Argentina, Uruguay, Venezuela) e dalla Germania (Brasile meridionale) e più tardi dai paesi dell’Europa orientale. In epoca più recente furono anche Cinesi (in Perù, per il lavoro in miniera), Indiani e Giavanesi (in Guyana, per le piantagioni); notevole è stata anche, in Perù e Brasile, l’immigrazione giapponese; va peraltro segnalato un flusso migratorio di ritorno (Italiani) e nell’insieme, dall’ultimo ventennio del Novecento, un’emigrazione non irrilevante verso l’Europa. Dal 1801 a oggi, a ogni modo, l’A. Meridionale ha accolto circa 15 milioni di immigrati. A questo si aggiunga un tasso di natalità che in vari Stati supera l’1,5% annuo (Paraguay e Bolivia sono i più dinamici), per cui la popolazione ha raggiunto i 365 milioni di abitanti (erano 25 milioni nel 1850); in particolare il Brasile ha visto salire la sua popolazione, fra il 1870 e il 2004, da 10 a quasi 182 milioni di unità.
In complesso la popolazione dell’A. Meridionale costituisce comunque una cifra modesta, ben lontana dalle capacità di popolamento di questa parte del mondo (che potrebbe forse ospitare 1800-2000 milioni di abitanti o anche più). La popolazione, con una densità media di circa 20 ab./km2, è distribuita in modo molto ineguale, con prevalenza delle regioni costiere rispetto a quelle interne (salvo che nei paesi andini, ove la popolazione si addensa sugli altopiani interni più temperati: talora anche 100-120 ab./km2; mentre le zone costiere sono quasi spopolate). Vaste aree contano meno di 1 ab./km2, altre hanno densità superiori a 100 (intorno a Rio de Janeiro e a Buenos Aires, tra Valparaíso, Santiago e Concepción, intorno ad Asunción e a Montevideo, sugli altopiani andini, nella fascia costiera del Venezuela, nell’Argentina settentrionale). Gran parte della popolazione è accentrata nelle città: quasi un terzo della popolazione dell’Argentina vive nell’area metropolitana di Buenos Aires, poco meno della metà di quella dell’Uruguay a Montevideo; ben più della metà della popolazione del Cile a Santiago; il Brasile, con circa l’83% di popolazione urbana, oltre Rio di Janeiro e San Paolo, ha molte città che superano il milione di abitanti.
In complesso il processo di urbanizzazione nell’A. Meridionale si è accentuato, specie sulla costa atlantica, malgrado i tentativi di trattenere la popolazione all’interno e anzi spingerla verso aree di nuova colonizzazione, e potrà difficilmente rallentare, dato il richiamo che esercita lo sviluppo delle attività industriali e commerciali sulle coste.
- Sviluppata per le esigenze alimentari dei colonizzatori, l’agricoltura si orientò all’inizio verso forme di sussistenza (ancora praticate in zone abitate prevalentemente da Amerindi), poi, con le piantagioni, verso lo sfruttamento di particolari condizioni climatiche, infine, traendo vantaggio dall’inversione delle stagioni e quindi dalla disponibilità dei raccolti durante la ‘fase di saldatura’ nell’emisfero settentrionale, verso la coltura dei cereali. Quasi il 50% del territorio è occupato da boschi e foreste (intensamente e irrazionalmente sfruttati), e meno del 10% è posto a coltura. Già nei tempi precolombiani alcune piante coltivate, come mais, patata, manioca, cacao, cotone, coca, tabacco, avevano larga diffusione. Gli Europei importarono i cereali, la canna da zucchero, il caffè (all’inizio del 18° sec., dall’Africa). Per molto tempo l’agricoltura ha avuto importanza minore rispetto all’attività estrattiva (negli altopiani) e all’allevamento (pampas e Mato Grosso), ma si è andata poi estendendo e perfezionando, pur conservando carattere estensivo, inevitabile per la struttura fondiaria latifondistica.
Tipiche, per alcune colture, le piantagioni. Il prodotto più importante è il caffè (circa il 45% della produzione mondiale, alla quale il solo Brasile contribuisce con oltre il 30%). La produzione del cacao (12% della produzione mondiale) si è invece molto ridotta. In crescita la coltura della canna da zucchero (Brasile, Argentina nord-occidentale, Perù, Guyana, Venezuela), del mais, del grano. Alle variazioni nella produzione (che corrispondono a vere e proprie fasi della storia economica locale: quella del cotone, quella del caffè e via dicendo) contribuiscono la crescita della popolazione, che sposta la produzione verso le colture alimentari, le vicende politiche di alcuni paesi, specie in relazione ai tentativi di industrializzazione dell’economia e di redistribuzione della terra, e soprattutto il corso mondiale delle materie prime, governato non dai paesi produttori, ma dalle aziende transnazionali che curano la commercializzazione. L’A. Meridionale produce poi notevoli quantità di tabacco (Brasile, Argentina, Colombia, Paraguay), uve da vino (Argentina, Cile), banane (Colombia, Brasile), soia ecc. Le foreste della zona tropicale forniscono gomma, resine, droghe, legni pregiati.
L’allevamento del bestiame, soprattutto bovino, è una delle risorse principali delle regioni temperate (Argentina e Uruguay) e vi ha enorme sviluppo, dando luogo a una forte esportazione (animali vivi, pelli, carni congelate e refrigerate, grassi, lana, estratti di carne).
- Riccamente dotata di minerali metalliferi, l’A. Meridionale scarseggia alquanto di carbon fossile, ma possiede vasti giacimenti di petrolio, specie lungo la costa del Mar Caribico (Venezuela, Trinidad e Tobago), in Brasile e in Argentina; la produzione, dopo gli incrementi realizzati dal 1940 alla metà degli anni 1960, si è stabilizzata sui 250 milioni di t l’anno, cioè circa il 6% della produzione mondiale. La produzione dei minerali di ferro proviene principalmente da Brasile, Venezuela, Cile e Perù; ingente è anche la produzione di bauxite, che si estrae in grande quantità nel Brasile e nelle Guiane, di stagno in Perù e Bolivia, di piombo nel Perù. Ricchi giacimenti di rame sono sfruttati in Cile e Perù. Per l’argento conservano importanza le miniere del Perù e della Bolivia. La Colombia ha buone produzioni di platino e dà pure ragguardevoli quantità d’oro, insieme al Cile e al Perù. Per i diamanti va ricordato il Brasile, per gli smeraldi la Colombia. Dalla zona desertica del Cile settentrionale proviene quasi tutta la produzione mondiale di nitrati minerali, dalle isole Chincha e Lobos (Perù), il guano.
- Il capitale statunitense ha largamente condizionato lo sviluppo del settore secondario nell’A. Meridionale. Tra le industrie assumono quindi rilevanza soprattutto quelle che procedono a una prima lavorazione dei prodotti minerari richiesti dalle industrie nordamericane, in particolare la raffinazione del petrolio e l’arricchimento di alcuni minerali (rame, ferro). Sviluppate le industrie dipendenti dall’agricoltura e dall’allevamento (zuccherifici, industrie molitorie, delle carni, del cuoio) e quella tessile. Le altre industrie sono generalmente limitate alle esigenze di consumo dei centri urbani e delle aree metropolitane, nelle cui periferie si localizzano.
Notevole e recente è lo sviluppo delle industrie siderurgiche e meccaniche soprattutto in Brasile e anche in Argentina e Cile, come pure di comparti di avanguardia, come quelli delle telecomunicazioni e aerospaziale (Brasile). Rilevanti sono le ricchezze idroelettriche, ma poco sfruttate. L’area di libero scambio del Mercosur (➔) provoca una crescente specializzazione e integrazione tra gli aderenti. Nell’insieme, e con la parziale eccezione di Bolivia, Ecuador e Paraguay, per livello medio di benessere i paesi dell’A. Meridionale si collocano ben al di sopra dell’area di povertà.
Il quadro delle comunicazioni dell’A. Meridionale, pur non molto sviluppato, risponde alle esigenze della circolazione di paesi che non hanno ancora raggiunto un grado notevole di sviluppo economico, salvo qualche eccezione. Riguardo ai mezzi utilizzati, l’automobile ha una certa diffusione in Argentina, Venezuela, Brasile e Cile, e ha quindi rilevanza per i traffici interni; le ferrovie (la prima linea è stata aperta nel 1858) mal si prestano ai movimenti di passeggeri che, date le lunghe distanze, tendono sempre più a utilizzare l’aereo; esse, del resto, si svolgono lungo linee di penetrazione verso l’interno o per assi costieri, presentando scarsa connettività e spesso difformità nello scartamento. Solo l’Argentina possiede una rete ferroviaria abbastanza efficiente, benché chiaramente ispirata (si dirama a raggiera da Buenos Aires) dalla necessità di avviare all’esportazione i prodotti dell’interno, e non di collegare le varie parti del paese.
Grande importanza, soprattutto nel passato, hanno avuto le linee transandine: tra queste, una fu inaugurata nel 1948 e supera le Ande al colle di Socompa (m 3858) per mettere in collegamento Antofagasta con Salta. Linee di penetrazione dall’Argentina e dai porti del Pacifico raggiungono la Bolivia e il Perù interno, alzandosi a notevolissima altezza. La linea più importante è la Buenos Aires-La Paz (2700 km), che ricalca la via seguita nel periodo coloniale dai convogli di buoi, muli e lama dal Río de la Plata al Perù. Tradizionalmente limitate ai più evoluti Stati del Sud-est, le ferrovie brasiliane tendono a infittirsi: in molti casi, lo sfruttamento economico procede di pari passo con l’avanzata delle ferrovie. Il Cile è servito da una linea longitudinale, che percorre gran parte del paese (salvo le regioni meridionali).
Per congiungere l’A. Settentrionale alla Meridionale fu progettata dapprima una ferrovia panamericana, ma poi si optò per una strada panamericana (Panamerican Highway) a spese dei singoli Stati. Enorme importanza hanno le linee aeree: i principali aeroporti internazionali sono quelli brasiliani di San Paolo (due), Rio de Janeiro e Porto Alegre , poi quelli di Buenos Aires, Santiago, Lima, Caracas. I corsi d’acqua navigabili formano una rete di circa 70.000 km (di cui 60.000 in Brasile). L’utilizzazione è però modesta, benché collegare Orinoco, Rio delle Amazzoni e Paraná realizzerebbe una delle maggiori reti fluviali del mondo. Il Rio delle Amazzoni e vari suoi affluenti possono essere risaliti da grandi navi fino a Manaus; minori imbarcazioni raggiungono Tabatinga, al confine peruviano, e anche oltre. Nel Venezuela, l’Orinoco è navigabile per 800 km, fino a Ciudad Bolívar. Paraná e Uruguay formano nel loro corso inferiore il Río de la Plata, che si può risalire per 450 km; il Paraguay può essere percorso da grossi natanti fino ad Asunción. I porti principali, attraverso i quali ha luogo buona parte del commercio estero, sono anch’essi brasiliani (Formosa, Itaqui, Santos); Buenos Aires e Maracaibo per il versante atlantico; sul Pacifico, Valparaíso e Callao.
L’A. Meridionale comprende 13 Stati indipendenti e alcune dipendenze della Francia (Dipartimento d’Oltremare della Guyana Francese), del Regno Unito (Isole Falkland, o Malvine), dei Paesi Bassi (Aruba; parte delle Antille Olandesi).
Compresa nell’emisfero settentrionale, vasta oltre 24 milioni di km2 (inclusa la Groenlandia), l’A. Settentrionale e Centrale rientra per la maggior parte nella zona dei climi temperati, il che ha facilitato la penetrazione europea e l’acclimatazione di piante e animali di origine europea: così che, nella parte più settentrionale, la cultura europea ha completamente soppiantato quelle originarie, creando poche e vaste unità politiche; più a Sud le stirpi indigene hanno resistito e dato luogo a mescolanze etniche, cui è seguita la formazione di molti organismi statali. L’A. Settentrionale gode di una relativa vicinanza all’Europa (meno di 1500 km nella sezione Norvegia-Groenlandia; molto meno nella sezione Islanda-Groenlandia); e ancora più all’Asia (lo stretto di Bering è largo appena 92 km). La superficie dell’A. Settentrionale e Centrale corrisponde al 16,3% delle terre emerse e ospita circa l’8% della popolazione del globo.
- L’A. Settentrionale e Centrale è costituita da due sistemi di montagne marginali che delimitano un’ampia zona pianeggiante: il sistema più imponente corre lungo l’Oceano Pacifico, si salda a mezzogiorno, percorrendo tutto l’istmo, alla Cordigliera Andina e a NO si prolunga nel coevo fascio di montagne dell’Asia. A oriente, la serie di rilievi che guarda l’Oceano Atlantico corrisponde a una zona più antica. La zona mediana pianeggiante fu assoggettata al modellamento della grande glaciazione pleistocenica fino verso 40° lat. N. La regione a N dei Grandi Laghi (scudo canadese) è avanzo di una massa continentale quasi spianata in età arcaica, segnata da innumerevoli laghi e morene; il suo margine oceanico è intagliato da fiordi; coperta da ghiacci nell’Arcipelago Artico Americano e in Groenlandia, per il resto è costituita da pianure deserte che solo a S lasciano il posto alla foresta di conifere. Poco più giovani (Paleozoico) i rilievi orientali, cioè il sistema degli Appalachi (➔): modeste alture isolate a NE (monadnocks), un’ampia fascia di terrazze a O, e a SE una compatta serie di catene parallele. Un’ondulata zona pedemontana segna il raccordo con la pianura alluvionale costiera (coastal plain), che prosegue oltre la linea di spiaggia in un’ampia piattaforma sottomarina (continental shelf). La fascia costiera si allarga verso S e, attraverso la zona alluvionale del basso Mississippi, si unisce con l’immensa pianura centrale a praterie. Più a O il terreno si innalza in una serie di vasti ripiani (Great plains), incisi da lunghi fiumi (Missouri, Platte, Kansas, Arkansas, Canadian River), che vi hanno scavato miriadi di solchi (bad lands). La regione si fa più arida verso occidente, dove si passa dalla prateria a una tipica savana e in alcuni punti al deserto (llano estacado).
La zona dei rilievi occidentali, che si svolge per una lunghezza di 8000 km circa dalle coste dello stretto di Bering fino all’istmo di Tehuantepec, e si allarga nella sezione mediana a quasi 1750 km, è costituita da una serie di altopiani, orlati sui margini da dorsali montuose. Tutto il sistema fu interessato dalla fuoruscita di ampie masse di lava, cui fanno riscontro manifestazioni endogene attuali o recenti: oltre le Aleutine e il Messico, fra le regioni più attive del globo, la sezione esterna delle cordigliere alaskane e la Catena delle Cascate ospitano numerosi apparati eruttivi quiescenti. Varie cime si elevano oltre i 5000 m, sia nell’Alaska a N (McKinley, 6196 m; Sant’Elia, 5489 m), sia a S, in Messico (Popocatepetl, 5452 m; Citlaltépetl, 5700 m). Delle catene marginali, quella interna (Montagne Rocciose) consta di più fasci paralleli, che includono bacini più o meno ampi e che superano, verso la pianura centrale, i 4000 m (monti Massive, 4396 m; Elbert, 4401 m). Una serie di catene dall’Alaska si snoda verso S a poca distanza dalla costa e forma la Catena Costiera e la Catena delle Cascate (Rainier, 4391 m), e più a S la Sierra Nevada (Whitney, 4418 m). In questi rilievi il fianco occidentale, colpito dagli umidi venti dell’Oceano Pacifico, è di norma ammantato di nevi e rivestito di foreste, mentre il versante orientale è arido.
Lungo il Pacifico si aprono valli longitudinali, in parte invase dal mare (come lo stretto di San Giorgio), in parte ricoperte da depositi alluvionali (come quella californiana). Dove gli allineamenti (occidentale e orientale) di catene divergono di più, si stendono amplissimi bacini intermontani, come l’altopiano della Columbia (circa 500.000 km2); il Gran Bacino, elevato in media 1300-1500 m, dove le acque si perdono nelle sabbie o formano laghi chiusi (Gran Lago Salato); l’altopiano del Colorado, inciso in ampie porzioni (mesas) da gole profonde (cañones, Grand Canyon del Colorado).
Anche il Messico può essere considerato come un vasto altopiano orlato a E e O da rilievi (Sierra Madre Orientale, 5.700 m; Sierra Madre Occidentale, 4335 m) che si accostano fino a saldarsi a S in un’unica catena. Questa poi si deprime rapidamente nell’istmo di Tehuantepec, proseguendo nella regione istmica, segnata da una grande fossa occupata dai laghi di Managua e di Nicaragua e da una serie di vulcani, sia attivi sia spenti, che va dal confine del Messico a quello della Colombia (Cosigüina, 1158 m; El Viejo, 1780 m; Irazú, 3433 m). Eruzioni e terremoti (molti disastrosi) sono frequenti.
L’arco insulare, che limita a N il Mar Caribico, è quanto mai variato: basse, di costituzione calcarea, le isole Bahama; Cuba presenta a SE una cospicua catena (Sierra Maestra, 1971 m) che si continua nella Cordigliera Centrale (Loma Tina, 3175 m) dell’Hispaniola. Composta di un antico massiccio vulcanico (Blue Mountains, 2257 m) è la Giamaica. Più a SE, nelle Piccole Antille, invece, distinguiamo una serie interna (Saba, Guadalupa occidentale, Dominica, Martinica, Saint Lucia, Saint Vincent, Grenada) dove si trovano i rilievi vulcanici più recenti (la Grande Soufrière, 1484 m; Pelée, 1350 m) e una serie esterna (Anguilla, Saint Barthélemy, Saint Martin, Antigua, Guadalupa orientale), a cui può ricongiungersi pure Puerto Rico, dove residui di massicci vulcanici mesozoici sono sormontati da pile di calcari. Non mancano le formazioni coralline.
- Lo scudo canadese consta di terreni arcaici corrugati dall’orogenesi huroniana (Precambriano). I sedimenti depositati durante il Paleozoico, sollevati dal corrugamento caledoniano e da quello ercinico, originarono il sistema appalachiano. Fra l’Eocene e il Neogene, si formarono le Montagne Rocciose mentre la fascia pedemontana delle Great Plains è costituita da sedimenti cretacici e terziari. Verso N e verso S, il fascio delle Cordigliere presenta prevalentemente formazioni del Cenozoico e del Mesozoico, con grandiose manifestazioni di vulcanismo recente. Invece in California (Sierra Nevada) e nella Columbia Britannica predominano rocce granitiche. L’A. Settentrionale fa parte della zolla americana (➔ tettonica) ed è separata da quella eurasiatica dalla dorsale medioatlantica, in espansione. I rapporti con la zolla pacifica sono più complessi, e la dorsale circumpacifica in espansione si immerge sotto l’area continentale nordamericana in corrispondenza della California, causando un’intensa attività sismica nei settori tra Los Angeles e San Francisco (faglia di San Andreas).
- A causa dell’orientamento N-S dei rilievi, è rilevante l’influenza dei venti settentrionali e meridionali, mentre quella dei due oceani si esaurisce in zone relativamente esigue: l’interno presenta quasi ovunque clima continentale e i benefici del mare sono sentiti appieno solo nella zona tropicale. La parte maggiore delle piogge proviene dall’Oceano Atlantico, riducendosi verso occidente. Mentre la costa occidentale risente l’influsso di correnti calde, una corrente fredda lambisce da N fino a 40° lat. quella orientale, che quindi presenta anch’essa un clima continentale. Tipico clima polare hanno le regioni poste a N dei 60° lat. e la metà settentrionale del Labrador. Meno rigide le condizioni dell’Alaska occidentale, ove predomina un clima freddo continentale che, a oriente, tende a S, abbracciando le coste meridionali della Baia di Hudson, la regione dei laghi laurenziani e l’estuario del San Lorenzo. Le praterie e i rilievi appalachiani rientrano nel clima temperato continentale, che varia fra condizioni estreme piuttosto diverse, soprattutto tra E e O. Il meridiano di 100° long. O segna approssimativamente i limiti fra la regione, a E, in cui le piogge sono sufficienti all’agricoltura (fino a 1500 mm annui sulla costa, oltre 750 m lungo il Mississippi), e quella a O (in media 350 mm a Denver) in cui bisogna far ricorso all’irrigazione artificiale o all’aridocoltura (dry farming). Ambedue le regioni hanno inverni sempre rigidi e forti calori estivi (New York: media del mese più freddo 0 °C, del più caldo 24,5 °C; Chicago −3,5 °C e 24 °C). Più a O il clima è di tipo desertico, specie nella regione degli altopiani (Gran Bacino).
Nelle praterie del Canada i venti occidentali (che nel superare le Montagne Rocciose si fanno caldi e asciutti) spingono a NO il limite delle coltivazioni. Lungo la costa pacifica, il clima è freddo oceanico a N e temperato oceanico più a S: abbondante è la piovosità (più di 2000 mm fra 40° e 60° lat. N), gli inverni sono miti e le estati non molto calde (San Francisco, gennaio 10 °C e agosto 25,5 °C). A S del 50° lat. N, si può parlare di un clima mediterraneo. Lungo il Golfo del Messico si sentono decisamente le influenze tropicali: abbondanti piogge (New Orleans, 1600 mm) in quasi tutto l’anno ed estati molto calde. I venti spirano da nord in inverno e da sud in estate. Verso S il clima diventa, lungo la costa, sempre più umido e caldo (Veracruz oltre 1500 mm di pioggia e 24,7 °C di temperatura media annua) e tipicamente tropicale. Nell’altopiano messicano invece il clima è subtropicale, trapassando in forme temperate nelle zone più elevate (oltre 2000 m) con piogge moderate (quasi 600 mm) e temperature modeste (a Città di Messico, 16-18 °C di media annua). Nella regione istmica, il clima delle zone basse (sotto 600 m: tierras calientes) è di tipo equatoriale; tra 600 e 1800 m si estendono le tierras templadas, con medie annue tra 17 e 23 °C ed escursioni annue pronunciate, mentre più in alto si hanno le tierras frías, con meno di 17 °C. Le più alte quantità di pioggia corrispondono alle zone battute dagli alisei di NE (coste dell’Atlantico, più calde di quelle del Pacifico).
- Lo spartiacque principale (continental divide) corre lungo le Montagne Rocciose e perciò poco discosto dall’Oceano Pacifico; dove se ne allontana, si stendono aree senza sbocco al mare. Alla relativa brevità dei fiumi che sfociano nell’Oceano Pacifico, il cui bacino rappresenta meno di 1/5 del continente, si contrappone perciò l’imponenza di quelli che si versano nell’Oceano Atlantico: non nell’Atlantico aperto (solo 13%), data la presenza del rilievo appalachiano, ma nel Mar Glaciale Artico (34,6%) e nel Golfo del Messico (24,8%). In quest’ultimo ha foce il Mississippi (5970 km), ricco d’acqua per gran parte dell’anno, a volte causa di piene rovinose, per lunghissimo tratto navigabile. Il suo principale affluente, il Missouri, è carico di detriti e poco adatto alla navigazione, mentre l’Ohio (1550 km), coi suoi affluenti (come il Tennessee) e coi canali che lo uniscono ai Grandi Laghi forma un’ampia rete di vie navigabili. Corso breve hanno i fiumi che scendono dai rilievi appalachiani (Savannah, Potomac, Delaware). L’Hudson, unito per canali ai laghi Ontario ed Erie, forma una delle più animate vie d’acqua del mondo, come il San Lorenzo (3060 km), collegato coi Grandi Laghi, che alla foce è gelato per cinque mesi all’anno. Gelano anche i fiumi che sfociano nella baia di Hudson, dei quali il più notevole è il Mackenzie (4240 km), comunicante coi maggiori laghi delle regioni nord-occidentali. Nel Mare di Bering si versa lo Yukon, che traversa l’Alaska (2900 km), navigabile in estate. Tra i fiumi che tributano all’Oceano Pacifico, a regime irregolare e spesso interrotti da cascate, i maggiori sono Fraser (1360 km) e Columbia (1950 km). Vero fiume di steppa è il Colorado (2330 km), che traversa regioni aride. A S di questo non si hanno fiumi di importanza a eccezione del Río Bravo o Río Grande del Norte (3030 km), essendo i fiumi messicani generalmente brevi e a carattere torrentizio. Nella sezione istmica il corso d’acqua più lungo è il Río Coco o Segovia (750 km), tributario del Mar Caribico.
L’A. Settentrionale è ricca di laghi, quasi tutti di origine glaciale. I cinque maggiori, tra Canada orientale e Stati Uniti nord-orientali, coprono da soli una superficie quasi doppia di quella del Mare Adriatico (245.240 km2). Più a occidente è il Lago Superiore (84.131 km2; pelo a 183 m s.l.m.), il bacino chiuso più vasto del mondo dopo il Mar Caspio. Verso oriente, quasi a uguale quota di livello sul mare (177 m), i laghi Michigan (58.016 km2) e Huron (61.797 km2); poi, poco più in basso (175 m s.l.m.), il lago Erie (25.612 km2); infine, molto più in basso (75 m s.l.m.), il lago Ontario (18.941 km2). Vasti e numerosi i laghi glaciali del Canada nord-occidentale, come il Gran Lago degli Orsi (31.792 km2), il Gran Lago degli Schiavi (28.438 km2), il lago Winnipeg (24.514 km2), il lago Athabaska (8080 km2). Negli altopiani occidentali si trovano laghi chiusi e salati come il Gran Lago Salato (10% di salinità, 4690 km2, ma con notevoli oscillazioni di estensione). Lagune e stagni costieri sono numerosissimi sulle coste sud-orientali, e specialmente nella Florida, la cui porzione meridionale (Everglades) è un vasto acquitrino (18.000 km2). Numerosissimi sono poi i bacini artificiali. Anche nella sezione istmica esistono alcuni laghi ragguardevoli, come quello di Nicaragua (8430 km2).
L’A. Settentrionale è compresa nella regione neartica, e presenta elementi comuni a quella paleartica (con la quale è riunita nella regione olartica), e specie neotropicali, passate a Nord dopo la formazione dell’istmo di Panama. L’A. Centrale rappresenta invece una zona di transizione con la regione neotropicale.
La zonazione vegetazionale in senso N-S è simile a quella eurasiatica. La tundra lascia il posto alla taiga, e poi alla foresta temperata nel versante del Pacifico; più a est, dove le precipitazioni sono più scarse, si alternano praterie, subdeserti, steppe, foreste montane. La fascia più orientale ospita soprattutto foreste miste e di latifoglie. Lungo le coste del Golfo del Messico si estendono formazioni a mangrovia.
La fauna dei grandi Mammiferi ricalca quella eurasiatica, con alce, caribù (sottospecie della renna), cervo (wapiti), e bisonte (Bison bison). Endemica è invece l’antilocapra (Antilocapra americana), dai caratteri intermedi tra i cervi e le antilopi. Tra i Carnivori sono presenti il lupo, l’orso bruno con varie sottospecie, l’orso bianco e il baribal (Ursus americanus), tra i Felidi le linci (Lynx) e il puma (Felis concolor), tra i Mustelidi la lontra marina (Ehydra lutris) delle coste del Pacifico, vari Procionidi. Nelle acque costiere del Golfo del Messico vive il manato (Trichecus manatus, ordine Sirenii). Tra i Roditori troviamo gli Aplodontidi, endemici, e l’istrice arborea (Erethizon dorsatum). I Primati sono presenti solo nella zona di transizione, a sud del Messico. Elementi neotropicali sono l’opossum (Didelphis virginiana) e gli armadilli. Tra gli Uccelli i colibrì sono presenti con diverse specie dal Messico al Canada. Esclusivo delle foreste dell’A. centrale è il quetzal (Pharomachrus mocinno), uccello sacro delle civiltà precolombiane. I Rettili annoverano alligatori e caimani e la famiglia endemica degli Anniellidi. Tra gli Anfibi, notevoli sono i Sirenidi, salamandre neoteniche affini a specie asiatiche.
Le popolazioni indigene dell’A. Settentrionale sono oggi minoranze etniche che hanno assimilato spesso i modi di vita dei colonizzatori. Difficile è, anche per questo motivo, la valutazione numerica degli Amerindi attuali, specie là dove è presente un forte meticciato: secondo stime ufficiali, si tratta di meno dell’1% della popolazione degli Stati Uniti, residenti per lo più in riserve, e di circa il 2% in Canada. Nel Messico gli Amerindi costituiscono il 18% circa della popolazione, e circa due terzi dei messicani sono meticci; proporzioni analoghe interessano gli altri Stati della regione istmica e delle Antille, con qualche eccezione dovuta alla particolare incidenza di Creoli e Bianchi (Costa Rica, Cuba), di Neri (Haiti, Giamaica), di Amerindi (Guatemala). Consistente è il numero di Asiatici provenienti da Giappone, Cina e India. L’immigrazione europea, regolare e vistosa nei primi tre secoli di colonizzazione, massiccia dalla fine del 18° sec. (solo negli Stati Uniti sono immigrati, dal 1820, circa 46 milioni di persone) è molto modesta, mentre acquistano maggior peso i flussi asiatici e soprattutto le migrazioni intracontinentali, dal Messico, dall’A. Centrale e dal Canada verso gli Stati Uniti.
L’incremento demografico è stato rilevante soprattutto negli Stati Uniti, dove il tasso medio annuo dal 1790 al 1870 ha superato il 3%, per poi scendere fino all’1% circa; meno rapido e vistoso, ma consistente, nel Canada e nel Messico. Molto difforme è la densità media, che varia dai 3 ab./km2 nel Canada, ai 31 negli Stati Uniti e ai 56 nel Messico. Gran parte della popolazione si addensa nelle aree metropolitane (a cominciare da quelle di New York e Città di Messico, con oltre 18.000.000 di ab. ciascuna), e nelle fasce urbanizzate delle aree costiere statunitensi; qui le densità sono comparabili a quelle europee – mentre calano bruscamente nell’interno degli USA e soprattutto del Canada – e così anche in gran parte dell’altopiano messicano e della regione istmica, e soprattutto nelle principali isole antillane.
- Benché la colonizzazione dei nuovi territori si sia fondata sull’attività agricola sin dal 19° sec., la superficie coltivata (arativo e colture arborescenti) occupa una scarsa quota del totale; la quota di addetti è molto bassa nei due paesi anglosassoni, elevatissima nella maggior parte degli altri. Lo sfruttamento agricolo è intenso, soprattutto negli Stati Uniti e nel Canada, con massiccio impiego di capitali, forte meccanizzazione e largo uso di fertilizzanti. Considerevole è ancora l’estensione del manto boschivo (il 33% del territorio in Canada, vaste superfici nella regione istmica), ma anche quella dei pascoli e dei terreni improduttivi (steppe, deserti), che coprono circa il 40% dell’intero continente. L’A. Settentrionale e Centrale ha fatto conoscere agli Europei, fra l’altro, il mais, il tabacco e il pomodoro, ma ha ricevuto buona parte delle piante coltivate in Europa, di cui produce grandissime quantità (frumento, avena, orzo); le regioni intorno al Golfo del Messico danno una forte produzione di cotone, di tabacco e di zucchero di canna (specie a Cuba; quello di barbabietola è prodotto negli altopiani occidentali degli Stati Uniti e nel Canada). Grande impulso ha avuto la frutticoltura nella regione dei Grandi Laghi, in California, Texas ecc. (mele, agrumi, vite, frutti tropicali nell’area caribica e istmica, caffè e cacao). Nelle grandi pianure centrali, tra i Monti Appalachi e le Montagne Rocciose, si è avuto lo sviluppo di caratteristiche fasce colturali omogenee: da sud a nord, a quella del cotone segue quella del tabacco, poi quella del mais e quindi quella del grano, che si spinge fino alle province centrali del Canada. L’A. Settentrionale riveste un’importanza notevole per il bilancio alimentare mondiale per i forti surplus che spesso realizza nelle derrate agricole fondamentali, tra cui spicca il frumento.
Il diboscamento è stato forte specie sui margini della regione appalachiana, in quella laurenziana e nel medio bacino del Mississippi. Solo nelle regioni canadesi a N del 55° e le cordigliere occidentali restano grosse riserve forestali. La produzione del legname e dei derivati resta considerevole, benché rallentata e razionalizzata, e nella regione dei laghi laurenziani alimenta una floridissima industria della carta.
- Anche l’allevamento è rilevante (bovini, suini): condotto agli inizi in forma brada, specie negli USA, si avvale ormai di una vasta e accurata organizzazione industriale. La pesca si è sviluppata notevolmente sia sulla costa atlantica (merluzzi e sardine sui banchi di Terranova, ostriche sul San Lorenzo), sia su quella pacifica (salmoni) e anche nelle acque interne. Il mercato specializzato delle pellicce, alimentato dalla caccia (specie intorno alla baia di Hudson) o dagli allevamenti (nelle province sudorientali del Canada) di castori, lontre, martore, visoni e volpi argentate, è molto fiorente nel Canada.
Risorse minerarie. - Di notevole consistenza e varietà è il patrimonio di ricchezze minerarie dell’A. Settentrionale, i cui giacimenti sono spesso in favorevoli condizioni geomorfologiche, che agevolano l’attività di sfruttamento, in molti casi a cielo aperto. L’industria mineraria nel suo insieme ha perso il primato mondiale che precedentemente aveva per quasi tutte le materie prime di base, ora conteso per singole produzioni da altre aree del mondo; è poi mutato soprattutto l’atteggiamento degli Stati Uniti, che preferiscono attingere alle risorse estere, peraltro più a buon mercato, per non impoverire ulteriormente le riserve interne, a volte già seriamente intaccate. L’attività di ricerca si è estesa nei territori occidentali del Canada, in Alaska e nelle acque più profonde del Golfo del Messico. Nel suo insieme l’A. Settentrionale e Centrale produce circa un quarto del petrolio del mondo, grazie all’aumento delle produzioni del Canada e del Messico oltre a quella, in calo, degli Stati Uniti; minerali di ferro, da tempo insufficienti al fabbisogno interno; carbone, di cui gli USA hanno perduto il primato mondiale, ma producono ancora da soli quasi 1 miliardo di t; rame, negli USA e in Canada; piombo e zinco; nichel, di cui oltre il 90% nel Canada; circa un quarto dell’argento mondiale, di cui il Messico ha il primato rispetto agli USA e al Canada; oltre il 10% dell’oro (USA e Canada); circa un terzo dell’alluminio di fonderia, mentre la sola Giamaica produce più del 10% della bauxite; fosfati e sali potassici; di grande rilievo sono produzione e riserve di minerali radioattivi degli USA e soprattutto del Canada, con circa un terzo dell’uranio prodotto nel mondo.
I maggiori giacimenti di petrolio e di gas naturale si trovano a ovest del Mississippi: tra il Kansas e il Texas, sulle coste orientali del Messico, nel sottosuolo del Golfo del Messico, nella California meridionale, tra il Colorado e lo Wyoming e infine nel Canada (Alberta) e in Alaska. Una buona metà del carbone nordamericano proviene dai giacimenti appalachiani, estesi per circa 150.000 km2, ma ragguardevoli bacini sono tra i fiumi Ohio e Mississippi, nei bassi bacini dei fiumi Missouri e Arkansas, in Colorado, nell’Alberta occidentale. I giacimenti più produttivi sono prossimi ai maggiori giacimenti di minerali di ferro, che si estraggono prevalentemente nella regione dei laghi laurenziani (Wisconsin, Michigan, prov. di Ontario, e specialmente Minnesota) e poi nella regione appalachiana e nell’altopiano di Ozark. Il rame si concentra nei depositi dell’Arizona e dell’Utah; il piombo in quelli dell’Utah, dell’Idaho e del Missouri; il nichel sulle coste canadesi del Lago Superiore e a Cuba; lo zinco nella zona appalachiana, nel Colorado, nel Missouri, nelle province canadesi di Québec e Columbia Britannica e in Messico; la bauxite nell’Arkansas e in Giamaica; lo zolfo nel Texas e nella Louisiana; i fosfati naturali nella Florida; il sale nella Virginia e nel Nevada. La produzione d’argento del Messico (Sierra Madre Occidentale) è ora affiancata dai centri di Atlin e Cobalt nel Canada, oltre che da quella statunitense (Alaska, Idaho e Arizona). Per la produzione dell’oro sono ormai le province canadesi della Columbia Britannica e della regione dei laghi laurenziani ad avere il primato, sebbene ancora rilevante sia quella statunitense, proveniente dalla California, dal Colorado e dall’Alaska. Nella sezione istmica e in quella insulare modesta è l’attività mineraria, ma l’esplorazione di vaste regioni deve essere ancora compiuta.
- Iniziato con notevole ritardo rispetto ai principali paesi europei, lo sviluppo del settore secondario nell’A. Settentrionale ha portato alla formazione di regioni industriali (per es., quella di Chicago-Gary) che presentano concentrazioni di unità produttive fra le maggiori al mondo. In particolare gli Stati Uniti, ancora appaiati al Regno Unito e alla Germania per alcune produzioni di base all’inizio del 20° sec., hanno poi preso il sopravvento e, malgrado l’avvento di altre potenze industriali dopo il Secondo conflitto mondiale e un rallentamento del ritmo di crescita, conservano un’indiscussa posizione di dominanza, non tanto per i valori quantitativi delle singole produzioni, quanto per la loro complessità e il grado di reciproca integrazione. Ancora più recente appare lo sviluppo industriale del Canada e del Messico, che in molti casi è complementare a quello degli Stati Uniti, come nel caso della prima trasformazione dei minerali metallici, o per iniziative e capitali statunitensi, specie dall’entrata in vigore del NAFTA (North American Free Trade Agreement) fra i tre paesi (1994).
Il decollo industriale degli USA iniziò con la nascita dei primi distretti siderurgici nella regione appalachiana. La scoperta di ingenti risorse minerarie nella regione dei Grandi Laghi espanse l’industrializzazione prima sulle sponde statunitensi, poi su quelle canadesi. Di dimensioni modeste appare in confronto l’industria messicana, che ha nell’industria tessile ancora il settore più sviluppato. Tradizionalmente localizzata a est del Mississippi, l’industria nordamericana si è grandemente sviluppata anche sulla costa occidentale con le lavorazioni della cellulosa, le attività cantieristiche, aeronautiche, chimiche ed elettroniche. Ampie parti del territorio canadese (per gli evidenti limiti posti dalle condizioni climatiche) e di quello statunitense (dove l’industria si è localizzata prima sulle materie prime, poi sui centri di consumo), sono prive di industrie, mentre in Messico le industrie sono presenti in tutto il paese a eccezione dello Yucatán, ma con una più forte presenza lungo il confine con gli USA.
Nella regione caribica e istmica, a parte le industrie di beni di consumo (sapone, calzature, conserve alimentari, cotonifici ecc.), diffuse un po’ dappertutto, le più importanti sono ancora quelle dello zucchero e derivati (rhum) e del tabacco (Cuba, Nicaragua, Puerto Rico, Giamaica); gli sviluppi più interessanti si devono all’industria tessile e all’elettronica, ma soprattutto alla raffinazione dei prodotti petroliferi (Puerto Rico, Panama, Costa Rica, Antille Olandesi).
A prescindere dal Messico e dall’area istmico-caribica, il sistema di comunicazioni dell’A. Settentrionale costituisce un apparato fortemente integrato, in cui i settori marittimo, terrestre e delle acque interne appaiono complementari. Il trasporto aereo di passeggeri e merci è in aumento anche nelle tratte intracontinentali; gli aeroporti principali sono per lo più statunitensi (traffico interno e internazionale, passeggeri e merci): Atlanta, Chicago, Los Angeles, Dallas, Denver; poi Houston, Toronto, Miami, New York, Montreal, Città di Messico, San Francisco, Vancouver.
Per il traffico marittimo, i porti orientali (sia quelli aperti sull’Atlantico e sul Golfo del Messico, sia quelli nelle acque interne) sono fra i più importanti al mondo; lungo l’Oceano Pacifico spiccano quelli della baia di San Francisco e del canale Juan de Fuca (Vancouver, Seattle); nella regione istmico-caribica i porti di Panama, Colón, L’Avana. La navigazione interna è importante sul San Lorenzo, sui Grandi Laghi e sul Mississippi, oltreché sui suoi affluenti.
Il traffico terrestre, che si svolgeva prevalentemente sulle linee ferroviarie, tende a essere sostituito dalle auto private e dagli autobus di linea: la lunghezza della ferrovia diminuisce, malgrado le otto linee trans;continentali, mentre la rete stradale è in aumento: circa 6,3 milioni di km negli USA (asfaltati per meno di metà), 1,4 milioni di km in Canada e 340.000 km in Messico. Grande importanza mantengono le ferrovie che collegano l’Atlantico al Pacifico nella regione istmica: la guatemalteca, la costaricense e la panamense, che affianca il canale transoceanico, sempre frequentatissimo.
Molto estesa la rete di oleodotti e gasdotti tra gli Stati Uniti centro-meridionali e la costa atlantica, sulla quale s’innesta quella canadese; la rete messicana, discretamente sviluppata, cura la distribuzione su tutto il territorio delle produzioni provenienti dal Golfo del Messico.
Il Nordamerica comprende 22 Stati indipendenti, 3 nell’America Settentrionale, 7 nell’America Centrale istmica e 12 nell’America Centrale insulare (caribica); nonché la Groenlandia (contea autonoma della Danimarca), alcune dipendenze della Francia (dipartimenti d’oltremare della Guadalupa e della Martinica, collettività territoriale di Saint-Pierre-et-Miquelon), alcune delle Antille Olandesi e diversi territori esterni al Regno Unito e agli Stati Uniti.
I primi scopritori europei, convinti di essere giunti in Asia, chiamarono le terre Indie Occidentali, e designarono gli abitanti come Indi o Indiani. Questo nome rimase tradizionale e anche oggi si parla di Indios e di Indians; ma, riconosciuta poi l’autonomia geografica dell’America dall’Asia, e quindi quella delle popolazioni, essi furono distinti col nome di ➔ Indiani d’America o Americani. Con il crescere della popolazione europea e con il formarsi di Stati indipendenti, questo secondo nome fu riservato sempre più ai Bianchi, specie ai cittadini degli Stati Uniti. Oggi il termine ‘Indiani’, benché ancora utilizzato, viene spesso sostituito da Amerindiani, Amerindi o Nativi americani.
La conquista e la colonizzazione europea stroncarono lo sviluppo delle maggiori civiltà indigene dell’A. e rapidamente diffusero taluni elementi (ferro, armi da fuoco, cavallo) che produssero la decadenza e il disuso di molte arti indigene, come per es. l’industria litica. Ma in molte parti dell’A. le culture indigene sono sopravvissute alla colonizzazione e perdurate, con una parte dei loro elementi, fino a epoca a noi prossima o fino ai giorni nostri. Gli abitanti di due ampie zone, a nord e a sud, ignoravano l’agricoltura, essendo i mezzi di sussistenza forniti dalla raccolta, dalla caccia e dalla pesca: nell’A. Settentrionale l’impronta economica era data dalla caccia ai mammiferi marini nell’estremo Nord (Eschimesi, Aleuti), al caribù nelle foreste e tundre settentrionali (Athabaska, Algonchini settentrinali), al bisonte nelle praterie centrali (Sioux ecc.). La fascia costiera del Nord-ovest praticava essenzialmente la pesca (salmone), mentre nella California meridionale aveva il sopravvento la raccolta. Parimenti, nel Sud vi erano popoli principalmente pescatori sulla costa del Pacifico, cacciatori di guanaco nelle steppe australi, cacciatori e raccoglitori nelle alte terre del Brasile orientale.
Fra queste zone periferiche si estendevano le regioni dell’agricoltura. L’agricoltura americana ignorava l’aratro e l’allevamento animale, i soli animali domestici essendo il cane, il tacchino, l’anatra muschiata, il porcellino d’India, e, sugli altipiani andini il lama e l’alpaca, che fornivano la lana: il cane era anche animale da tiro, il lama, da soma. Ma l’agricoltura indigena, che aveva carattere elementare e sommario nell’Amazzonia e a oriente del Mississippi, era sugli altipiani messico-andini una coltura orticola assai progredita che si avvaleva di terrazzamenti, concimazione e irrigazione artificiale. Delle specie ivi coltivate, molte sono entrate nell’economia mondiale: mais, tabacco, patata, cacao, coca, gomma, pomodoro, manioca ecc.
Nella maggior parte dell’A., all’arrivo degli Europei, si conosceva la lavorazione di alcuni metalli. Il rame nativo era martellato a freddo nel Nord-ovest e intorno ai Grandi Laghi. Nel territorio messico-andino si estraevano, si fondevano e si lavoravano rame, oro e argento, in Perù si fabbricava un bronzo povero di stagno. Anche la ceramica era nota, eccetto nelle aree più periferiche. La tessitura a telaio utilizzava come materie prime fibre animali e una varietà indigena di cotone. Nella regione messico-andina erano in uso vesti tessute, mentre un’ampia area settentrionale conosceva quelle tagliate e cucite di pelliccia o di pelli. Fra le deformazioni volontarie del corpo erano specialmente diffuse quelle del cranio e i bottoni, dischi o bastoncini labiali.
Per l’abitazione, i tipi più diffusi di capanne erano a pianta circolare e di forma conica, o ellittica o a cupola; ma in varie regioni del Nord e sugli altipiani si aveva la capanna a pianta quadrangolare, con tetto a spioventi o tetto piatto (pueblo). Speciali oggetti complementari dell’abitazione erano l’amaca e la culla verticale. I pescatori del Nord-ovest e gli agricoltori del Nord-est, dell’area circumcaribica e dell’Amazzonia avevano villaggi semifissi, spesso fortificati, e la regione messico-andina città di pietra o di adobe (argilla seccata al sole). Quasi dovunque era attivo il commercio, con uso di particolari monete. Attiva era anche la navigazione marittima lungo la costa del Nord-ovest, del Perù ed Ecuador e dell’area circumcaribica, oltre a quella fluviale dell’area amazzonica.
Fra le armi, le più diffuse erano quelle da colpo – lance, clave, asce – e l’arco, in uso dall’Artico alla Terra del Fuoco. La cerbottana era la caratteristica arma da caccia di vaste zone dell’Amazzonia, ma si trovava sporadicamente anche in altre parti del continente, mentre il propulsore veniva impiegato nell’estremo Nord e nella regione messico-andina. Qui e, in parte, nell’Amazzonia si usava anche lo scudo, mentre le corazze erano caratteristiche del Nord-ovest e del Nord-est.
L’arte indigena aveva raggiunto livelli notevoli nella scultura e nell’architettura, specie nella regione messico-andina. Grandi progressi avevano compiuto nell’area mesoamericana la scrittura pittografica, la numerazione, il computo del tempo.
La conquista e la colonizzazione europea hanno in parte distrutto, in parte spostato di luogo, quasi sempre profondamente trasformato il mondo indigeno. Questo ha subito le perdite maggiori nelle porzioni temperate del Nord, dove quasi tutti i resti delle vecchie nazioni indiane sono confinati nelle riserve, e del Sud, ove è andato pressoché distrutto; ma anche in certe regioni tropicali, come nelle Antille. La popolazione indigena ha resistito meglio dove era più densa (Messico, Perù) o dove è stata protetta da un ambiente più difficilmente accessibile al colono bianco, come nelle foreste amazzoniche o sul margine polare artico. Solo in tempi recenti alcuni governi americani hanno mostrato intendimenti atti a salvaguardare l’esistenza dei superstiti gruppi indigeni.
Sotto tale denominazione rientrano, nel linguaggio antropologico, tutte quelle aree delle Americhe in cui è storicamente avvenuta la massiccia deportazione di Africani destinati a lavorare come schiavi nelle piantagioni (➔ Afroamericani). I discendenti di questi individui compongono una parte rilevante della popolazione attuale di molti Stati americani. Gli schiavi importati in A. provenivano dalle più diverse regioni africane ma non si possono facilmente classificare poiché il reclutamento e il concentramento avvenivano in modo irregolare: ogni carico poteva quindi comprendere Neri di diversa origine. Inoltre, nel corso dei secoli, la tratta fu alimentata da schiavi provenienti da nuove regioni, sicché, oltre alla dispersione delle varie etnie africane nel territorio americano, si hanno delle sovrapposizioni di culture le cui sopravvivenze vengono studiate col metodo comparativo in base alle loro origini. I documenti relativi all’ingresso dei Neri nelle Americhe sono incompleti o sono addirittura scomparsi (per es. in Brasile furono distrutti al momento dell’abolizione della schiavitù, 1888, per cancellare la ‘macchia nera’); le fonti africane hanno confermato (attraverso religioni, folclore, lingue, organizzazione sociale, usi) che la maggior parte degli schiavi importati proveniva dal Golfo di Guinea e che le culture predominanti furono quelle dei popoli della Costa degli Schiavi (Nigeria e Benin), della Costa d’Oro (Ghana) e, in minore proporzione, le culture del Congo.
I complessi processi di sradicamento e di riaggregazione delle molteplici e tra loro diversissime popolazioni africane, se da un lato indussero una evidente e traumatica interruzione di ciascuna specifica tradizione culturale, dall’altro crearono nuovi contesti di interazione. Quelle che per comodità di analisi si è soliti chiamare culture afroamericane sorsero dal contatto, più o meno forzato, e dai rapporti più o meno controllati tra popolazioni deportate, gruppi bianchi egemonici e popolazioni americane indigene; si svilupparono così nuove forme culturali e sociali, dando vita a modelli socioculturali sincretici, nei quali valori, credenze e pratiche antiche ritornavano, sempre riplasmati e riformulati, consentendo l’ancoramento culturale delle popolazioni nere nel Nuovo Mondo e l’elaborazione di complesse modalità di resistenza agli spesso brutali processi di inglobamento nel sistema schiavistico e coloniale.
Nell’America del Nord, all’evangelizzazione degli schiavi da parte dei proprietari terrieri bianchi risalgono le prime forme di espressione autonome, quali il sermone e lo spiritual (➔), un canto corale di derivazione biblica che segna l’origine di una ricchissima tradizione musicale tuttora assai viva. Canti a sfondo religioso e altre forme d’impronta secolare come i worksongs (canti di lavoro) o i folktales (racconti incentrati per lo più su personaggi e vicende del mondo animale) si fondano in gran parte su un uso del linguaggio che, sostituendo all’inglese standard forme sintatticamente e foneticamente autonome, viola la letteralità egemone e istituisce un modello a essa alternativo. Su questa scia, agli inizi del 20° sec. nacque un nuovo genere come il blues e, intorno agli anni 1920, un fenomeno musicale dalle ripercussioni inesauribili come il jazz.
Per quanto concerne l’A. Centrale e Meridionale, le maggiori forme di continuità sembrano potersi cogliere sul piano religioso e folclorico; per es., nonostante i Neri d’A. fossero battezzati e indotti a seguire la religione cattolica, i riti africani profondamente radicati spiegano in parte il persistere di religioni africane, anche se queste si presentano alquanto diverse da quelle d’origine. La religione yoruba è quella che meglio ha conservato i modelli africani: la si trova in Brasile dove è nota col nome di candomblé nagô. A Cuba la stessa religione si chiama santería e nell’isola di Trinidad changô. I rituali variano secondo la cerimonia e mimano, mediante danze ritmate da tamburi e canti, le avventure degli dei con l’invocazione delle divinità (orixá), estasi, iniziazioni, sacrifici di animali. Simile al candomblé è la macumba (praticata nella zona di Rio de Janeiro ma diffusa anche altrove) che a sua volta si confonde con lo spiritismo dell’umbanda, in cui appaiono insieme divinità africane, indigene e santi cattolici, esempio tipico di sincretismo. Il culto vodù di Haiti è il più importante retaggio della cultura del Dahomey (od. Benin) e costituisce una vera religione nazionale basata sulla credenza in esseri soprannaturali che guidano le azioni degli uomini.
Il folclore nero sopravvisse grazie all’uso invalso tra i padroni di concedere libertà agli schiavi nei giorni festivi affinché si dedicassero alle loro rievocazioni, ai loro balli, ai loro canti. Così il folclore afroamericano è vario e spettacolare e si riscontra in tutta l’A. Latina. Se le religioni africane sono state perseguitate e vietate perché giudicate pericolose, le feste sono state dapprima tollerate, indi incoraggiate e ammirate. Da rilevare che se l’influenza yoruba si è manifestata soprattutto nei riti religiosi, il folclore afroamericano è di origine bantu. La danza e in modo particolare la musica, con i suoi ritmi e i suoi strumenti caratteristici, danno luogo a manifestazioni tipiche rievocanti cerimonie africane. A Rio de Janeiro, per carnevale, si assiste a una specie di sintesi di innesti africani e rielaborazioni locali. Anche a Cuba la musica e il ballo con chiare influenze africane si sono diffusi in tutti gli strati sociali.
La grande varietà di strumenti a percussione afrocubani proviene dall’Africa; nel Venezuela sussistono danze con evidenti influssi bantu. Nel Perù, fin dal 19° sec., la danza africana, fondendosi col flamenco spagnolo, ha dato vita alla grande danza tipica sudamericana zamba, o cueca, o zamacueca. Le danze degli Afroamericani, fatte proprie dalla cultura dei Bianchi, sono state modificate attraverso l’uso di melodie tipicamente occidentali, ed è in questa forma edulcorata che, trasformatesi in balli, si sono diffuse in tutto il mondo: così per il tango argentino, la rumba cubana, il samba brasiliano.
Le influenze africane si ritrovano anche in forme meno appariscenti: nelle alterazioni linguistiche della parlata popolare, nei termini africani assorbiti dalle lingue locali, nelle favole, leggende, nei proverbi, indovinelli che hanno arricchito le tradizioni culturali delle nazioni latino-americane.
Si calcola che, alla fine del 15° sec., nel continente americano dovevano essere parlate almeno 2000 lingue, con una distribuzione relativamente uniforme. In un periodo relativamente breve qual è quello che ci separa dal momento del primo contatto, la situazione è profondamente cambiata: moltissime lingue sono ormai estinte e, soprattutto, nella quasi totalità dell’area sono state sostituite nell’uso primario da una lingua di provenienza europea. Una descrizione linguistica del continente americano deve dunque considerare anche la situazione storica, indispensabile per capire movimenti e vicende dell’epoca immediatamente precedente e successiva alla colonizzazione. Il numero degli abitanti d’A. a nord del Messico al tempo della conquista si valuta fino a 60 milioni, con 550 lingue; oggi i nativi sono da 1 a 8 milioni e il numero delle lingue si è dimezzato e anche molte di quelle sopravvissute sono in via di estinzione.
Sullo stato presente delle lingue americane siamo relativamente poco informati. Per gli Stati Uniti è stata effettuata una stima particolareggiata nel 1962, da allora si è registrato un forte aumento di orgoglio linguistico legato ai movimenti di rivendicazione indiani e di conseguenza è ripreso con molteplici iniziative lo studio delle lingue abbandonate. Per la Mesoamerica, esistono indicazioni relativamente precise ma non capillari per il Messico, mentre assai meno si sa degli altri paesi. Per l’A. Meridionale grandi aree rimangono poco conosciute. Sono relativamente stabili lingue andine come il quechua o l’aymara, che rimangono lingue native di un’alta percentuale della popolazione: in Perù il 33% è di lingua materna quechua, in Bolivia il 35% (e il 25% è di lingua aymará). Per gli Indios amazzonici, invece, i vari Stati interessati hanno adottato politiche indigeniste diverse. Il Brasile, per es., ha avuto dal 1910 delle istituzioni create con lo scopo di integrare gli Indios nella vita nazionale in modo non traumatico, senza conculcare le loro lingue. A dispetto delle intenzioni programmatiche, però, il regresso delle lingue amazzoniche è inarrestabile.
Il contatto tra le lingue americane e le lingue europee ha avuto scarsi effetti su queste ultime. Un certo numero di parole è entrato in Europa in epoche diverse, per lo più attraverso lo spagnolo, per designare nuove realtà: così dalle lingue caribiche, soprattutto insulari, vengono, per es., amaca, ananas, batata, canoa, curaro, mais, tabacco ecc.; dal nahuatl cacao, coppale, cioccolato, il nome del pomodoro (sp. tomate) ecc.; dal quechua caucciù, cincillà (aymará), coca, puma e altre; dal tupí cavia. Le lingue dei colonizzatori hanno assorbito forme locali che contribuiscono a caratterizzarle rispetto alla lingua di origine. Il brasiliano ha adottato numerose parole dalla língua geral, la «lingua generale», a base tupí, usata come lingua franca nell’Amazzonia centrale e orientale fin dagli inizi della colonizzazione. Lo spagnolo messicano possiede molte centinaia di parole azteche, d’uso assai frequente, relative a tutte le sfere della vita quotidiana. L’inglese, e in misura minore il francese, hanno adottato parole soprattutto dalle lingue algonchine, tutte di contenuto molto specifico, qualcuna delle quali è diventata familiare anche in Europa, come kayak o mocassino; è naturalmente di origine indiana buona parte della toponomastica dell’A. Settentrionale.
La documentazione delle lingue americane è molto diseguale; delle lingue maya (yucateco, quiché, cakchiquel) e soprattutto del nahuatl, a parte i testi epigrafici di epoca precolombiana, sono attestate le varietà scritte dell’epoca della conquista, in opere soprattutto cronachistiche redatte in alfabeto latino per impulso di cultori europei come Bernardino de Sahagún; anche per quechua, tupí, guaraní ci sono fonti letterarie per un’epoca relativamente antica (17° sec.). Per le altre lingue, il primo lavoro di raccolta cominciò con l’opera di missionari come per es. J. Eliot, che studiò le lingue algonchine. L’interesse si intensificò dai primi decenni dell’Ottocento e accanto ai missionari troviamo studiosi di linguistica ed etnografia di provenienza laica, come A. Gallatin. Ma una raccolta sistematica oltrepassava le forze dei pochi cultori; nel frattempo l’etnocidio dei nativi, l’acculturazione forzata e rapidissima, la riduzione nelle riserve resero difficilissimo realizzare studi su lingue e culture in estinzione. Nella raccolta documentaria di lingue minacciate si distinse soprattutto l’etnologo e linguista F. Boas, che dal 1889 svolse un’appassionata opera anche con iniziative collettive: per molte lingue ormai estinte dobbiamo a lui le ultime testimonianze. Boas realizzò la collezione che da lui prende il nome, conservata presso l’American Philosophical Society, ricca di oltre 600 opere manoscritte tra dizionari, raccolte di testi ecc., su oltre 120 lingue.
Il problema della classificazione delle lingue americane ha appassionato generazioni di studiosi. Tra i primi a proporre raggruppamenti furono P.S. Duponceau (1760-1844), J. Pickering (1777-1846), A. Gallatin. Ma i vari tentativi erano inficiati dalla scarsità dei dati, che non permettevano generalizzazioni attendibili. La prima classificazione fondata è quella di J.W. Powell, che nel 1891 pubblicò il fondamentale Indian linguistic families of America North of Mexico, in cui distinse 58 famiglie linguistiche. Nel 1929 E. Sapir pubblicò una classificazione in cui raggruppò tutte le famiglie di Powell in sei macrofamiglie e che costituisce tuttora un punto di riferimento. Naturalmente, al suo interno ogni famiglia è articolata in diversi livelli di affinità. Per l’A. Meridionale la classificazione è più complessa; il tentativo più autorevole, di C. Loukotka (1968), distingue 117 famiglie (con 1500 lingue circa), suddivise in tre grandi gruppi.
A parte l’ovvio interesse d’ordine linguistico generale, le lingue americane hanno ispirato una quantità di studi dedicati al problema specifico dei rapporti tra lingua e pensiero e tra lingua e cultura. Dal loro studio partì negli anni 1930 B.L. Whorf, cui si deve la formulazione più esplicita dell’ipotesi del relativismo linguistico (la lingua che parliamo influenza la nostra visione del mondo); la sua ipotesi, anche se discussa, ha comunque avuto il merito di stimolare indagini non più solo descrittive di strutture grammaticali, ma attente alle categorie conoscitive dei parlanti e ai rapporti tra queste e le categorie formali della lingua. Accanto a questo indirizzo e a quello più tradizionale, grammaticale e classificatorio, altre indagini in notevole sviluppo sono quella tipologica, che studia le caratteristiche formali comuni su base areale e non genetica, e quella sociolinguistica, con notevoli implicazioni sociopolitiche.
Il popolamento dell’A. avrebbe avuto inizio, secondo le conoscenze paleoantropologiche e archeologiche, in un periodo compreso tra 30.000 e 20.000 fa anni dalla regione nord-orientale dell’Asia. Ma la questione è controversa per la grande difficoltà di identificare e datare resti scheletrici e manufatti litici. Infatti i primi reperti scheletrici umani a essere datati con certezza risalgono a 13.500 anni fa: rinvenuti nello Stato di Washington nel 1996, essi appartengono al cosiddetto ‘uomo di Kennewick’; i resti ossei umani frammentari e discutibili rinvenuti in A. Settentrionale e Meridionale risulterebbero di datazione posteriore. Anche il più antico complesso culturale ben definito, il Paleoindiano, è datato a 12.000-11.000 anni; ed è caratterizzato dalla punta di freccia a foglia chiamata punta Clovis; la presenza di tale manufatto associata con resti di grossa selvaggina (in particolare caribù e mammut) è diffusa in tutta l’A. Settentrionale ma è testimoniata anche in A. Meridionale. Il popolo della punta Clovis avrebbe costituito il substrato del popolamento dell’America. Tuttavia, testimonianze archeologiche suggerirebbero che l’uomo arrivò in territorio americano molto prima: in alcuni siti sono stati rinvenuti manufatti litici pre-Clovis antecedenti il complesso paleoindiano di almeno 1000 anni (Pedra Furada) o anche di qualche migliaio prima (Meadowcroft, Monte Verde), ma si discute se i resti ivi rinvenuti non siano piuttosto il risultato di processi naturali.
L’analisi genetica (variabilità del DNA mitocondriale) su attuali popolazioni amerindiane e asiatiche suggerirebbe anch’essa l’origine unica del popolamento americano in tempi antecedenti il popolo di Clovis (fine del Pleistocene), a partire da un’unica ondata di popoli cacciatori dall’Asia; al contrario di quanto sostenuto dal linguista J.H. Greenberg, secondo il quale al popolo di Clovis, identificato dalle lingue paleoamerindiane, avrebbero fatto seguito due ondate migratorie dall’Asia, la prima diffusasi prima nell’A. nord-occidentale e da qui nell’A. sud-occidentale e la seconda, più recente, dei popoli eschimo-aleutini, diffusi in Alaska e Canada settentrionale (arrivando di qui fino in Groenlandia).
La transizione dalla punta Clovis a quella Folsom, più leggera e con la scalanatura estesa per l’intera lunghezza, ebbe luogo nel Nordamerica intorno al 9000 a.C. Tale evoluzione sembra coincidere con l’estinzione di parecchi equidi e camelidi, dei mammut, e di altri rappresentanti della megafauna pleistocenica. Il bisonte divenne la preda ideale dei cacciatori Folsom, e degli autori delle più tarde punte Plainview, Eden, Scottsbluff, finemente lavorate a pressione. Nell’area dell’Altopiano e delle coste nord-occidentali si era andata sviluppando la Tradizione delle Cordigliere (Old Cordilleran Tradition), cultura caratterizzata da uno strumentario più variato utilizzato da gruppi relativamente poco specializzati di cacciatori-pescatori-raccoglitori.
Le variazioni climatiche degli inizi dell’Olocene non furono la sola causa dell’estinzione della grande fauna; certamente vi contribuirono anche i metodi di caccia usati. La fine del periodo paleoindiano coincide così con la fine della grande caccia: solo nelle praterie questa tradizione poté perdurare ancora per alcuni millenni. Nelle altre regioni dell’A. Settentrionale e Centrale, il periodo mesoindiano è caratterizzato dall’instaurarsi di nuove e più complesse forme di economia, con un accentuarsi dello sfruttamento delle risorse vegetali: le cosiddette ‘culture del deserto’ si affermarono nella regione del Grande Bacino e nel Sud-ovest, dove il clima arido obbligava alla caccia alla piccola selvaggina con frecce e trappole, e alla raccolta di radici e erbe selvatiche, pratiche che implicavano grande mobilità e nomadismo stagionale; nelle foreste dell’Est si diffuse la Tradizione arcaica, con economia più ricca e varia, ovvero caccia unita alla pesca e alla raccolta di cibi vegetali, con un moltiplicarsi di strumenti quali macine e pestelli. Nell’A. Meridionale, la tradizione della grande caccia perdurò più a lungo, come è attestato dalla tipologia degli strumenti litici e ossei, datati al 4000 a.C. circa, rinvenuti in vari siti. Contestualmente, nel Canada e nell’Alaska si incontrano industrie microlitiche finemente scheggiate di probabile derivazione siberiana (Denbighiano), legate alla caccia di foche e balene e alla pesca; le culture che ne derivarono (Dorsetiano, Thuleano) sono già da considerare paleoeschimesi.
Il passaggio dallo stadio della raccolta intensiva a quello della coltivazione incipiente si verificò in modo indipendente, con un ritardo di due o tre millenni rispetto all’Asia sud-occidentale; le ragioni sono forse da ricercare nel minore rendimento delle colture americane (mais, zucca, fagiolo, e, più a sud, patata e manioca) e nel fatto che, a eccezione del lama e dell’alpaca nelle Ande, non esistevano animali domesticabili che potessero svolgere un ruolo importante nel ciclo agricolo. La più antica coltivazione si sviluppò fra il 7000 e il 5000 a.C. nel Messico (valli di Tehuacán e Oaxaca, Tamaulipas) e in Perù (valle di Ayacucho); nei periodi successivi si andò lentamente perfezionando, e fra il 3000 e il 2000 a.C. si realizzò l’ibridazione del mais. Nelle due regioni si crearono villaggi stabili, preludio alle maggiori civiltà precolombiane del Neoindiano. Già nel Mesoindiano, elementi delle culture agricole si diffusero in varie direzioni: nel Sudovest degli Stati Uniti le tecniche della coltivazione del mais si inserirono in una variante della Tradizione del deserto, detta ‘cultura di Cochise’ (caratterizzata da associazione di caccia e raccolta e minore mobilità territoriale), ponendo le basi per il futuro sviluppo di tre grandi tradizioni culturali neoindiane: Hohokam, Mogollon, Anasazi. Nelle foreste dell’Est la nuova economia agricola si affermò solo a partire dal 1000 a.C. con le culture di Adena e di Hopewell (o periodi delle tombe a tumulo I e II, per i tumuli funerari di dimensioni grandiose che caratterizzano queste culture).
Dal Perù, le tecniche della coltivazione si diffusero, nel 4°-3° millennio, in Colombia, Ecuador, Venezuela; contemporaneamente compaiono, in queste aree, le più antiche ceramiche del continente americano, che presentano notevoli affinità con ceramiche asiatiche: a partire da quest’epoca, i contatti con il continente asiatico attraverso il Pacifico sembrano assai probabili.
Sono qui prese in considerazione eminentemente le relazioni intracontinentali. Per la storia degli Stati, si rimanda alle singole voci.
1000 a.C. circa-300 d.C. La fascia più densamente popolata e sviluppata del continente, quella tra Messico e Perù, conosce la prima fioritura delle grandi civiltà precolombiane. È il periodo preclassico: Olmechi e Teotihuacán in Messico; Chavín in Perù.
4°-10° sec. Periodo classico precolombiano: Teotihuacán in Messico, Maya nello Yucatán, Moche e Nazca in Perù.
10°-16° sec. Periodo postclassico precolombiano: Toltechi e Aztechi in Messico; Tiahuanaco e Inca nelle Ande. Aztechi e Inca danno vita a grandi imperi centralizzati.
10° sec. I Normanni scoprono la Groenlandia. Gli altri popoli d’Europa sono ignari di tali scoperte.
15° sec. A detta di alcuni studiosi, sbarco della flotta imperiale cinese sulle coste americane nel 1421. L’attraversamento del Pacifico non produce conseguenze di rilievo sulla storia del continente americano.
1492: C. Colombo giunge alle coste americane nel tentativo di scoprire una nuova via delle Indie. Imbattendosi nella terraferma presso la foce del fiume Orinoco ne intuisce il carattere continentale.
1493: arbitrato di papa Alessandro VI che ripartisce tra Spagna e Portogallo le terre da scoprire e quelle scoperte. L’evangelizzazione è tra le giustificazioni fondamentali della conquista. L’anno dopo il Trattato di Tordesillas fissa definitivamente la sfera territoriale spagnola e quella portoghese.
1497: per conto degli Inglesi G. Caboto individua Terranova. Inizia l’esplorazione dell’A. Settentrionale.
1499: A. Vespucci scopre l’estuario del Rio delle Amazzoni e il capo San Rocco.
16° sec. Nel 1500 il portoghese P.Á. Cabral perviene alla costa orientale del Brasile.
1513: J. Ponce de León scopre la Florida.
1519: A.Á. de Pineda costeggia il golfo del Messico e scopre le foci del Mississippi.
1519-22: conquista del Messico; H. Cortés abbatte il regno degli Aztechi. Seguirà l’assoggettamento delle città maya (1523-27) e delle popolazioni dello Yucatán (1527-46). In questa prima fase i conquistadores, attratti dalle ricchezze del nuovo continente, agiscono spesso per iniziativa personale e non per un piano organico della corona spagnola.
1523-24: P. de Alvarado si appropria del Guatemala e di San Salvador.
1524: G. da Verrazzano riconosce le spiagge della Carolina odierna e perlustra la foce dell’Hudson: l’esistenza di una grande massa continentale appare evidente, così come il fatto che essa non ha niente a che vedere con l’Estremo Oriente. Delineatisi i contorni del continente, la penetrazione all’interno è determinata in buona parte dagli interessi dei paesi che hanno armato le prime spedizioni. Le regioni visitate per prime sono quelle ove il miraggio di ricchezze (tra queste il mitico Eldorado) attira i conquistatori europei.
1526: il Brasile diventa un possedimento del Portogallo. La colonizzazione portoghese presenterà fasi e fenomeni simili a quella spagnola.
1529: la Spagna avvia nei territori conquistati un’organizzazione politica fondata sul vicereame della Nuova Spagna (domini di terraferma a nord di Panama, regione caribica e costa venezuelana, cui seguirà quello del Perù, dal 1542; col 18° sec. i vicereami saranno quattro, per l’aggiunta di quelli di Nueva Granada e di Río de la Plata) e, nella metropoli, sul Consejo de Indias (dal 1524). Il dominio spagnolo si ispira a un rigido monopolio in campo economico e allo sfruttamento intensivo dei nativi. La scarsità di donne tra i dominatori, favorendo su larga scala il concubinaggio, è all’origine del meticciato.
1531-33: in Perù, F. Pizarro conquista il regno degli Incas e saccheggia Cuzco, che nel 1536-37 è teatro di una sollevazione da parte degli nativi (Indios).
1535: fondazione di Lima. P. de Mendoza fonda il Puerto de Nuestra Señora Santa María del Buen Aire (od. Buenos Aires).
1536-41: conquista spagnola del Cile.
1537: G. Jiménez de Quesada fonda Santa Fe de Bogotá.
Gli Spagnoli sono i primi Europei a esplorare l’interno dell’A. Settentrionale con F. Vásquez Coronado, H. de Soto e L. de Cárdenas, ma, non trovando l’oro nelle regioni esplorate, almeno per due secoli le trascurano. Allo stesso modo non danno importanza alla regione istmica, se non per le comunicazioni tra i due oceani; di conseguenza la penetrazione nell’A. Settentrionale è opera inglese e francese.
1545-46: scoperta dei giacimenti d’argento di Potosí (Ande) e di Zacatecas (Messico).
1552: la Brevísima relación de la destruyción de las Indias di Bartolomé de Las Casas è un drammatico atto di accusa contro le violenze dei conquistatori spagnoli. La condizione degli Indios, costretti a vivere nelle reducciones o nelle encomiendas (queste ultime, soppresse nel 1542, risorgono come repartimientos), costituisce il lato più tragico della conquista spagnola. Le condizioni di vita, insieme alle malattie introdotte dall’Europa provocano una catastrofe demografica tra la popolazione indigena (che passerà da oltre 50 milioni di individui a meno di 10 milioni nel 1570).
1580-1640: riunione del dominio coloniale portoghese sotto la corona spagnola.
17° sec. In A. Settentrionale, dove sono iniziate occupazioni stanziali svedesi, olandesi, inglesi, la spinta decisiva all’espansione anglosassone viene dalla costituzione in Inghilterra di due compagnie commerciali rivali, quella di Londra e quella di Plymouth, munite di patenti regie per la colonizzazione del territorio (1606).
1607: è stabilito nella Virginia, a opera di W. Raleigh, il primo insediamento britannico nel Nuovo Mondo.
1608: il francese S. de Champlain fonda la colonia di Québec. La penetrazione francese riceve un impulso decisivo e nei decenni successivi si rafforza come contraltare a quella britannica.
1610-11: la spedizione di H. Hudson rivela lo stretto e gran parte della baia che da lui prendono nome.
1619: inizia la tratta degli schiavi africani in direzione delle colonie inglesi meridionali.
1620: i ‘padri pellegrini’ fondano Plymouth. Le regioni di Nord-est (Nuova Inghilterra) sono colonizzate dai perseguitati religiosi inglesi ivi espatriati.
1623-61: temporaneo insediamento dell’Olanda in Brasile. Guerra economica di Inghilterra, Olanda e Francia contro il sistema monopolistico iberico, di cui è espressione particolare il fenomeno dei filibustieri.
1650: nell’A. spagnola sono presenti almeno 700.000 schiavi neri. La tratta dall’Africa si sviluppa dal secolo precedente. Anche in Brasile l’immigrazione forzata dall’Africa ha uno sviluppo impetuoso.
1682: R. Cavelier de la Salle occupa la regione alle foci del Mississippi, che chiama Louisiana.
Dai grandi laghi canadesi al golfo del Messico si sviluppa la colonizzazione francese, promossa da compagnie commerciali e coloniali che hanno il monopolio del traffico delle pelli. Si tratta, tuttavia, di una penetrazione fittizia, giacché al controllo del territorio non si accompagna il popolamento del paese.
1688: le colonie inglesi d’A., avendo incorporato gli stabilimenti svedesi e i Nuovi Paesi Bassi creati dai coloni olandesi, sono salite a 12, con circa 200.000 abitanti (dal 1733 saranno 13, con l’istituzione della colonia della Georgia).
1693: scoperta dei giacimenti auriferi del Minas Gerais.
1697: gli Spagnoli stabiliscono nella Bassa California missioni religiose. Si insedieranno nell’Alta California solo nel 1769.
18° sec. Il capitano russo A. Čirikov esplora le coste meridionali dell’Alaska, i cui lineamenti sono precisati dal danese V. Bering (1741).
1763: pace di Parigi. Dopo una serie di conflitti coloniali connessi con la guerra dei Sette Anni in Europa, i Francesi capitolano di fronte agli Inglesi cui cedono il Canada; la Luisiana passa alla Spagna.
1773-83: fine del dominio inglese sulle colonie; al contrasto con la madrepatria per lo sfruttamento delle nuove terre canadesi si aggiunge la rivendicazione da parte dei coloni del diritto di approvare le tasse, che porta al boicottaggio di Boston (1773); primi scontri armati: G. Washington è a capo dell’esercito coloniale (1775); proclamazione dell’indipendenza (1776); capitolazione inglese a Yorktown (1781); pace di Parigi (1783) e fondazione degli Stati Uniti d’A.
1779-81: rivolta separatista antispagnola in Paraguay e in Colombia.
1780-82: in Perù rivolta antispagnola di Tupac-Amaru, repressa nel sangue. È l’ultima grande ribellione degli Indios dell’A. Latina.
1791: a Santo Domingo, insurrezione generale degli schiavi capeggiati da P.-D. Toussaint Louverture. La rivolta innesca nell’isola i rivolgimenti politici che porteranno alla nascita della repubblica indipendente di Haiti (1804).
Nonostante alcune riforme attenuino la rigidità della dominazione spagnola in A. Meridionale tra 1784 e 1791, la causa indipendentista si rafforza. La popolazione mista costituitasi (creoli, meticci, mulatti), priva di legami con l’Europa, agita il mito indigeno (in particolare i creoli) e appare sempre più avversa alle limitazioni cui è sottoposta.
19° sec. In A. Meridionale il processo di distacco dalla Spagna ha un’accelerazione in seguito anche alle vicende europee (blocco continentale e invasione napoleonica della Spagna; diffusione degli ideali della Rivoluzione francese).
In Messico è soffocata la rivolta indipendentista di marca meticcia e popolare (1816): l’indipendenza messicana sarà realizzata su base conservatrice nel 1821.
I moti indipendentisti giungono a compimento nel giro di tre lustri, e hanno due grandi figure ispiratrici in J. de San Martín e S. Bolívar: indipendenza del Paraguay (1813), dell’Argentina (1816), del Cile (1818), della Colombia (1819), del Perù e del Venezuela (1821), della Bolivia (1825), dell’Uruguay (1828).
1822: impero costituzionale in Brasile; il paese giunge all’indipendenza in modo pacifico.
Tra i nuovi paesi indipendenti sorgono contrasti, mentre al loro interno si determina una tensione irrisolta fra la tendenza a un particolarismo non esente da pretese egemoniche e quella volta a creare unioni federali, che falliscono tutte.
1823: enunciazione della dottrina Monroe («L’A;merica agli americani»), in sostegno all’indipendenza dei paesi dell’A. Latina.
Guerre tra Brasile e Argentina (1825-28) e tra Bolivia e Argentina (1828-36).
1829-52: in Argentina, dittatura di J.M. Rosas. Sorgono i fenomeni del caudillismo e del golpe come sistema di governo, che saranno tipici dell’A. Latina.
1845-48: gli Stati Uniti annettono il Texas (1845); nella susseguente guerra con il Messico, vittoria e acquisizioni territoriali (Nuovo Messico e California).
1850: i 13 Stati fondatori degli Stati Uniti d’A. sono divenuti 31. Con l’intensa opera di colonizzazione dei pionieri verso i territori dell’Ovest e l’afflusso di nuove genti dall’Europa, accompagnato da un’alta natalità, il grande territorio è popolato e valorizzato in un solo secolo, con un processo di colonizzazione interna senza precedenti nella storia.
In A. Latina una massiccia penetrazione finanziaria inglese sortisce l’effetto di inserire maggiormente il continente nell’economia mondiale.
1861-65: guerra di Secessione negli Stati Uniti tra gli Stati del Sud agricoli, latifondistici, schiavisti e quelli del Nord industriali, commerciali, abolizionisti. Si conclude con la vittoria dei nordisti.
1864-67: intervento francese in Messico e avventura di Massimiliano d’Asburgo.
1867: costituzione del Dominion del Canada.
1870: sconfitta delle truppe paraguaiane nella guerra contro Brasile, Uruguay e Argentina. Il quinquennale conflitto ha dimensioni catastrofiche per il Paraguay, la cui popolazione ne esce dimezzata.
1878: negli Stati Uniti ritiro delle truppe federali di occupazione dal Sud; si apre un periodo d’intensa e concorde attività che permette l’assurgere degli Stati Uniti a potenza mondiale.
In Argentina l’esercito marcia verso Sud e sottomette gli Indios (sterminio degli Araucani in Patagonia, 1879).
1879-84: guerra del Pacifico che coinvolge Cile, Bolivia e Perù. Il Cile ottiene guadagni territoriali a Nord e la regione boliviana sul Pacifico.
1880: intervento statunitense con pressioni sulla Colombia per l’apertura del canale di Panama.
1889: in Brasile la proclamazione della repubblica segue di un anno l’abolizione della schiavitù.
1889-90: I Conferenza panamericana di Washington. I nove articoli redatti da J.G. Blaine rappresentano un’affermazione ideologica del panamericanismo egemonico statunitense. La penetrazione statunitense verso Sud, prima solo economica, evolve rapidamente in senso politico e anche militare.
1898: guerra ispano-americana; la Spagna, sconfitta, rinuncia a Cuba e si afferma il predominio statunitense nei Caribi.
1900-1909 1901: II Conferenza panamericana a Città di Messico; costituzione di un Ufficio permanente per gli scambi commerciali.
Il presidente Th. Roosevelt avvia la politica del big stick ai fini di un’affermazione del predominio statunitense nei Caribi e in America centrale.
Gli Stati Uniti ottengono dal governo colombiano (che comprende anche l’odierno Panama) l’autorizzazione a costruire e gestire il Canale.
Il governo statunitense fa inserire nella costituzione della Repubblica di Cuba il cosiddetto emendamento Platt, che stabilisce una sorta di protettorato sull’isola e due anni dopo istituisce la base navale di Guantánamo, assumendo il pieno controllo dell’omonima baia.
1903: Washington sobilla e appoggia con l’invio di truppe la rivolta panamense contro la Colombia che non vuole ratificare l’accordo per il Canale; Panama diviene una repubblica indipendente sotto la tutela degli Stati Uniti, che ottengono l’affitto perpetuo del Canale.
1910-1919 La Conferenza panamericana di Buenos Aires (1910) delinea la staffetta tra vecchia egemonia britannica e nuova egemonia statunitense in A. Meridionale. Questo passaggio, che sarà completato dagli effetti della Prima guerra mondiale, vede gli Stati Uniti favorire una accentuata specializzazione monocolturale nei paesi latino-americani.
Moti contadini (dal 1910) e sviluppi rivoluzionari in Messico: nel 1914, intervento statunitense con bombardamento e occupazione di Vera Cruz.
Intervento degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale (1917). Seguono: dichiarazioni di guerra di Cuba e Panama; rottura delle relazioni tra Brasile e Germania; proclamazione della neutralità messicana. Il contributo determinante degli Stati Uniti alla vittoria alleata non segna la definitiva ascesa del paese al rango di potenza guida mondiale: gli Stati Uniti ripiegano su una politica di egemonia continentale.
1919-1939 Il ventennio tra le due guerre mondiali è caratterizzato, nell’A. Latina, dal sorgere di nuove ideologie e movimenti, che, attraverso un richiamo alla hispanidad o la critica al capitalismo anglosassone, vogliono colpire il panamericanismo d’ispirazione statunitense; aggravano il dissenso fattori economici (1926-28: rottura dei rapporti diplomatici fra Stati Uniti e Messico per il petrolio ecc.).
La depressione mondiale iniziata nel 1929 mostra gli effetti negativi del regime economico neocoloniale nei paesi latino-americani: il crollo dei prezzi delle grandi monocolture è disastroso.
L’avvento alla Casa Bianca di F.D. Roosevelt (1932) conferma il ripudio della politica del big stick; pure è di questo periodo il dichiarato porsi dell’Argentina come la grande antagonista degli Stati Uniti nel continente americano. L’urto delle due tendenze si ha all’VIII Conferenza pan;americana (1938), ove l’Argentina smussa ogni ipotesi di pronunciamento contro i paesi totalitari e garantisce la piena libertà e autonomia decisionale per ogni Stato americano; deve però accettare il principio della solidarietà americana e il suo manifestarsi attraverso un organo speciale, la Conferenza dei ministri degli Esteri delle 21 repubbliche.
Guerre, rivolte, tensioni sociali e colpi di Stato scuotono la parte centro-meridionale del continente: in Nicaragua la guerriglia contadina guidata da A. Sandino (1926-34) provoca l’intervento statunitense; in Cile al tentativo di repubblica socialista (1932) seguono una controrivoluzione e l’intervento anglo-americano.
Guerra del Chaco fra Bolivia e Paraguay (1932-35): 140.000 morti, gravissima crisi in entrambi i paesi.
1938: in Messico L. Cardenas nazionalizza le imprese petrolifere straniere.
Il Canada diventa indipendente nell’ambito del Commonwealth (1931).
1939-1945 La Seconda guerra mondiale isola l’A. Latina dall’Europa, contribuendo a rafforzare la solidarietà con gli Stati Uniti. L’entrata nel conflitto di questi ultimi (1941) è seguita dalla dichiarazione di guerra alle potenze dell’Asse da parte di Cuba, Repubblica Dominicana, Panama, Colombia, Guatemala, Nicaragua, Costa Rica, Haiti. In guerra a fianco degli Alleati entrano anche Messico e Brasile nel 1942, Colombia e Cile nel 1943; l’Argentina si dichiara neutrale resistendo fino a marzo 1945 alle pressioni statunitensi per l’entrata in guerra.
1945-1950 Le nazioni latino-americane vedono, in pochi anni, sfumare le ingenti riserve auree accumulate nel periodo bellico, che avevano dato loro la sensazione di essersi assicurata l’indipendenza politico-economica: gli Stati Uniti, impegnati in quasi tutti gli scacchieri del mondo, non sono più in grado di mantenere con gli alleati dell’emisfero australe gli eccezionali rapporti economici sviluppatisi nel corso del conflitto. I contraccolpi dell’industrializzazione forzata, la perdita dei mercati tradizionali assorbiti da nuovi concorrenti, l’incapacità di trasformare le monocolture in prodotti più vari e redditizi, sono i principali fattori che, insieme alle rivendicazioni e inquietudini sociali, segnano l’inizio, in tutta l’area, di una crisi allarmante economica e sociale.
Con la Carta di Bogotá (1948), le repubbliche americane istituiscono l’Organizzazione degli Stati Americani (OAS), in vigore dal 1951.
In A. Latina l’aspirazione a soluzioni federative si manifesta in vari tentativi: molte sono le dichiarazioni di solidarietà ma pochi i risultati conseguiti.
1950-1959 Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua firmano la Carta di San Salvador (1951), che dà vita all’Organizzazione degli Stati centro-americani (ODECA).
Con la caduta di J.D. Perón (1955) in Argentina si conclude il ‘periodo aureo’ del populismo sudamericano.
La guerra fredda dispiega i suoi effetti nel continente. La politica di Washington verso l’A. Latina ha come primo e massimo obiettivo quello di impedire la diffusione del comunismo (dichiarazioni di Washington, 1951, e Caracas e Panama, 1956, con cui gli Stati americani s’impegnano ad aiutarsi reciprocamente a combattere ogni forma di penetrazione comunista). Tale atteggiamento si manifesta in concomitanza con l’evolvere in A. Latina di movimenti progressisti o autenticamente democratici, scaturiti dalle istanze sociali e dal crescente deterioramento delle condizioni economiche; essi, comunque qualificati comunisti, sono duramente combattuti dalle forze conservatrici spesso difese dalle dittature, che trovano negli Stati Uniti un potente alleato.
L’amministrazione Eisenhower raccoglie nell’A. Latina una difficile eredità (nel 1953 vi sono 13 dittature militari nel continente) e si rende conto della necessità di incrementare gli aiuti economici e gli investimenti di capitali nell’area; ma tutto si esaurisce in dichiarazioni di intenti.
L’Unione Sovietica si affaccia in A. Latina con allettanti offerte, intensificando i rapporti economici con accordi commerciali e concessione di crediti a vari paesi sudamericani per l’acquisto di beni strumentali. L’interscambio ha tuttavia portata limitata.
Nel 1958 il viaggio del vicepresidente degli Stati Uniti R. Nixon in Sudamerica si svolge fra tumulti e violenze che causano profonda impressione nell’opinione pubblica statunitense ignara, in maggioranza, dei sentimenti dei vicini del Sud. Un tentativo per arrestare il peggioramento dei rapporti è rappresentato dall’Operazione panamericana promossa dal presidente brasiliano J. Kubitschek mediante un messaggio indirizzato a Eisenhower in cui si fa drammaticamente appello al senso di responsabilità degli Stati Uniti per salvare dal disastro il panamericanismo.
Nel 1959 hanno luogo a Washington e a Buenos Aires conferenze per studiare un vasto piano di aiuti all’A. Latina. Vi partecipa, accolto con entusiasmo, l’uomo che ha abbattuto la dittatura a Cuba e che presto sarà, nel continente, il più fiero antagonista degli Stati Uniti: F. Castro.
1960-1969 Nel 1961, alle misure rivoluzionarie instaurate a Cuba da Castro la presidenza Kennedy reagisce imponendo l’embargo sullo zucchero, prodotto base dell’economia cubana. Castro accetta crediti e aiuti dal blocco orientale e proclama la prima repubblica socialista d’A.; fallisce alla Baia dei Porci il tentativo anticastrista appoggiato dagli Stati Uniti.
L’amministrazione Kennedy vara l’Alleanza per il progresso (agosto 1961: Carta di Punta del Este), imponente piano decennale per potenziare lo sviluppo economico e sociale dell’A. Latina; l’unico paese escluso dagli aiuti è Cuba. La Carta di Punta del Este segna una data importante nella storia dei rapporti interamericani e rappresenta lo sforzo massimo compiuto da Washington per tentare di risolvere i problemi latino-americani.
L’A. Meridionale avvia un processo d’integrazione economica con l’Associazione latino-americana di libero scambio (ALALC, dal 1980 ALADI): vi aderiscono Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Messico, Paraguay, Perù, Uruguay e Venezuela.
1962: dall’alleanza tra L’Avana e Mosca scaturisce la crisi dei missili schierati a Cuba contro gli Stati Uniti; il continente e il mondo sono sull’orlo di una guerra atomica. Poco dopo un progetto latino-americano di denuclearizzazione del subcontinente è approvato da una risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU (1963).
Una forza politica nuova, la democrazia cristiana, si diffonde nell’A. Latina. La sua più importante affermazione è nel Cile con l’elezione alla presidenza della Repubblica di E. Frei (1964).
1965: intervento degli Stati Uniti a Santo Domingo. L’unilateralismo di Washington spinge i latino-americani a cercare nuove vie di partecipazione autonoma alla politica internazionale. Ne scaturisce, tra l’altro, la proposta brasiliana di un trattato multilaterale di non aggressione al di fuori della NATO e del Patto di Varsavia, l’invio di delegati alle conferenze dei paesi non allineati a Belgrado e dei paesi in via di sviluppo al Cairo.
Il castrismo cerca di diffondersi nell’A. Latina. Sono organizzate all’Avana una Conferenza tricontinentale (1966) e (1967) una Conferenza dell’OLAS (Organizzazione latino-americana di solidarietà). Quest’ultima mira ad allargare il fronte della rivolta contro gli Stati Uniti facendogli assumere una portata emisferica. Washington contrasta la minaccia in parte con la forza militare e i servizi segreti, in parte con la leva economica.
La vita politica dei paesi latino-americani continua a essere segnata dalla presenza dei militari e dal susseguirsi di colpi di Stato. Nel 1966, la riunione tenuta a Bogotá da cinque presidenti eletti democraticamente (Cile, Colombia, Venezuela, Perù, Ecuador) ha l’evidente significato di condannare la diffusione di regimi militari nel resto dell’A. Meridionale.
1968: Conferenza episcopale di Medellín, in cui la Chiesa latino-americana abbraccia posizioni sociali più avanzate.
1970-1979 Le speranze di sviluppo dei paesi latino-americani devono misurarsi con la realtà delle crisi economiche internazionali e del crescente indebitamento, che sarà presto insostenibile. Ne derivano tensioni interne risolte col metodo tradizionale della dittatura militare: si conclude tragicamente l’esperienza della via cilena al socialismo tentata da S. Allende, il cui governo è rovesciato dai militari (1973); con la svolta autoritaria in Argentina (1976), tutta la parte meridionale del continente è sotto la guida di giunte militari.
1980-1989 L’A. Latina si conferma una delle zone del globo più agitate dalle tensioni sociali, e ciò contribuisce ad alimentarne l’instabilità politica. I tassi di sviluppo del reddito si mantengono troppo bassi, soprattutto rispetto agli elevati incrementi demografici registrati. Sul piano politico, il decennio vede un progressivo ritorno a forme di governo costituzionale (Ecuador 1980, Bolivia 1982, Argentina e Uruguay 1984, Brasile e Perù 1985).
Dopo la vittoria dei sandinisti in Nicaragua (1979), la crescita delle preoccupazioni di Washington per tutta l’area centroamericana porta a una politica di rinnovato intervento degli Stati Uniti nella regione, che si traduce nell’invasione di Grenada (1983) e di Panama (1989), nel sostegno ai governi di Salvador e Guatemala contro le rispettive guerriglie e nella pressione economica e militare esercitata nei confronti del Nicaragua, che durerà fino alla caduta del governo sandinista (1990).
1990-1999 La vittoria occidentale nella guerra fredda conduce a una ridefinizione dei rapporti tra la potenza statunitense e il resto del continente americano (dove diviene residuale la prospettiva marxista e, al tempo stesso, si giustificano assai meno le vie autoritarie per frenare le agitazioni sociali). In diversi paesi si afferma un nuovo corso economico liberista (l’Argentina di C. Menem, con un bilancio fallimentare; il Cile sia durante la dittatura di U.A. Pinochet sia dopo il ritorno alla democrazia).
1994: nasce il NAFTA (North American free trade agreement), accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Canada, Messico, condizionato tuttavia dalla forte dipendenza canadese e messicana dal mercato statunitense.
Gli Stati Uniti tendono a trasferire parte delle loro produzioni a Sud, dove è più basso il costo del lavoro e dove i governi cercano con vari incentivi di attirare gli investimenti stranieri.
Anche i paesi dell’A. Meridionale cercano di promuovere i processi di integrazione economica e la nascita di un mercato unitario subcontinentale: viene costituito il MERCOSUR (Mercado común del Sur), frutto di un accordo tra Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, operante dal 1995, anno in cui i paesi firmatari stipulano un’intesa associativa con la Bolivia e un patto di cooperazione con l’Unione Europea (il Venezuela vi aderirà nel 2006).
Un analogo processo di integrazione vede protagonisti i paesi della Comunità andina (Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù e Venezuela), nata già nel 1969 come Gruppo andino e rifondata alla Conferenza di Caracas del 1991.
In Venezuela nel 1998 sale al potere con il vasto consenso degli strati popolari H.R. Chávez Frías; la sua politica petrolifera, l’amicizia con Cuba, la guerra tra l’ALADI e l’ALBA (Alternativa Bolivariana per l’America Latina e i Caribi) creano frizioni con gli Stati Uniti.
2000 Permane la netta differenza tra la parte anglosassone del continente – ricca, stabilmente democratica e saldamente inserita nel Nord del mondo – e la parte latina dove un indubbio sviluppo democratico convive con perduranti tensioni istituzionali, sociali, economiche. Significativo in tal senso il caso del Messico, dove importanti riforme economiche e politiche convivono con la rivolta dei contadini del Chiapas (dal 2001 attenuazione della crisi).
In Argentina una grave crisi economica è fronteggiata senza arretramenti sul piano democratico, contrariamente a quanto avvenuto in passato (2001-02).
Paesi come il Brasile e il Cile accompagnano gli ottimi risultati economici con il consolidamento degli assetti democratici (significative in Brasile l’elezione a presidente nel 2002 del leader operaio I. Lula da Silva; in Cile l’elezione a presidente nel 2000 del socialista R. Lagos e di M. Bachelet nel 2006, prima donna capo di Stato in quel paese).
Si costituisce nel 2004 la Comunità delle nazioni del Sudamerica (CSN), comunità politica ed economica finalizzata a stabilire una zona di libero scambio fra 12 paesi (oltre a quelli aderenti alla Comunità andina e al MERCOSUR, Cile, Guyana e Suriname).
Il corso democratico incontra invece gravi difficoltà in Perù, in Colombia, paese in cui la guerriglia e il narcotraffico regnano laddove non arriva il governo centrale, in Venezuela, dove il populismo ‘bolivariano’ del presidente Chávez si regge sull’appoggio dell’esercito e delle schiere di poveri che rappresentano oltre il 30% della popolazione.