Corpo celeste che ruota intorno a un pianeta. Tutti i pianeti del Sistema solare (eccettuati Mercurio e Venere) sono dotati di uno o più satelliti. L’unico s. visibile a occhio nudo, e quindi noto fin dall’antichità, è la Luna. Fra gli altri s., i primi a essere scoperti furono i quattro principali di Giove: Io, Europa, Ganimede e Callisto, individuati al telescopio da Galileo nel 1610 e da lui chiamati pianeti medicei (oggi detti s. galileiani). Alla fine del 17° sec. si conoscevano in tutto 10 s., sommando alla Luna e ai 4 s. galileiani 5 s. di Saturno: Teti, Dione, Rea, Titano e Giapeto. Alla fine del 19° sec. il numero dei s. noti era salito a 22. Attualmente si conoscono più di 160 s. orbitanti attorno a 6 degli 8 pianeti e 3 s. orbitanti attorno al pianeta nano Plutone: la tab. fornisce i dati fondamentali dei più importanti. Oltre ai s. veri e propri, intorno ai 4 grandi pianeti esterni orbita una miriade di piccoli corpi, che formano i cosiddetti anelli (➔ pianeta).
Nel moto dei s. si riscontrano alcune significative regolarità: a) le orbite sono, in generale, quasi circolari e giacciono pressappoco nel piano equatoriale del pianeta di appartenenza. Soltanto 13 s. hanno orbite inclinate di oltre 5° rispetto a tale piano: gli 8 s. più esterni di Giove (Leda, Himalia, Lisitea, Elara, Ananke, Carme, Pasifae e Sinope), i 2 più esterni di Saturno (Giapeto e Phoebe), i 2 più esterni di Nettuno (Tritone e Nereide) e uno di Plutone (Caronte); b) in grande maggioranza, i s. percorrono le loro orbite in senso diretto (cioè antiorario). Fanno eccezione 7 dei s. già menzionati (Ananke, Carme, Pasifae, Sinope, Phoebe, Tritone e Caronte), che si muovono nel senso retrogrado (orario); c) tutti i s. dei quali sia stato possibile misurare la velocità di rotazione hanno rotazione sincrona, cioè il loro periodo di rotazione è uguale al periodo di rivoluzione intorno al pianeta: essi pertanto ruotano, come la Luna intorno alla Terra, rivolgendo al pianeta sempre lo stesso emisfero. Le caratteristiche a e b rendono il moto dei s. simile a quello dei pianeti intorno al Sole: anche questi, infatti, hanno orbite quasi circolari, poco inclinate rispetto al piano equatoriale del Sole e si muovono nel senso diretto. La caratteristica c è prodotta dalle forze di marea esercitate dal pianeta, che rallentano la rotazione di un s. fino a portarlo nello stato di rotazione sincrona. Queste forze hanno l’ulteriore effetto di allontanare progressivamente il s. dal pianeta, se il suo moto è diretto. Il fenomeno è illustrato in fig. 1, nel caso della Terra e della Luna. Poiché la Terra ruota su sé stessa con una velocità angolare maggiore di quella con cui la Luna descrive la sua orbita, il rigonfiamento di marea A tende a precedere la Luna, sicché, con la sua attrazione gravitazionale, ne accelera il moto; il rigonfiamento B produce un effetto opposto, ma di entità minore perché, essendo più lontano, esercita sulla Luna una forza più debole. Il risultato è che la Luna aumenta la sua velocità orbitale e di conseguenza si porta su un’orbita più lontana dalla Terra. Per ragioni analoghe, un s. in moto nel senso retrogrado tende, invece, ad avvicinarsi al pianeta.
Si può dire che i sistemi di s. che circondano i pianeti maggiori costituiscono dei veri e propri sistemi solari in miniatura, non soltanto per le analogie dinamiche fra i s. e i pianeti rilevate sopra, ma anche perché la distribuzione spaziale dei s. ricorda, sotto vari aspetti, quella dei pianeti intorno al Sole. La fig. 2 confronta, per es., la struttura del Sistema solare con quelle dei sistemi di Giove e di Saturno. In fig. 2A, i pianeti, rappresentati da cerchi di raggio proporzionale alle rispettive dimensioni, sono riportati in funzione della loro distanza dal Sole (in unità astronomiche, UA). In fig. 2B e C, sono mostrati grafici analoghi per i sistemi rispettivamente di Giove e di Saturno, avendo scelto convenzionalmente la distanza unitaria (pressocché pari alla distanza di un s. interno). Si nota che, in tutti e tre i sistemi, in vicinanza del centro si trovano oggetti di piccole dimensioni, seguiti, a distanze intermedie, da quelli più grandi e, a distanze ancora maggiori, da altri minori. Nel caso di Giove vi è poi un’altra analogia, ancor più significativa, con il Sistema solare: i 4 s. maggiori (Io, Europa, Ganimede e Callisto) presentano densità decrescenti all’aumentare della distanza dal pianeta (v. tab.), proprio come accade per i pianeti all’aumentare della loro distanza dal Sole. Le proprietà precedenti inducono a pensare che i sistemi di s. abbiano avuto un’origine simile a quella del Sistema planetario. Intorno ai nuclei di condensazione dei pianeti esterni, dovettero formarsi delle ‘mininebulose’, analoghe alla nebulosa solare, dalle quali, per accrescimento collisionale, derivarono i vari satelliti. Nella mininebulosa di Giove, in particolare, il riscaldamento provocato dal collasso gravitazionale fu così forte da ostacolare, nella regione più interna, la condensazione del vapore acqueo: ciò spiega perché i s. che si formarono lì (Io ed Europa) consistono prevalentemente di silicati e hanno una densità maggiore di Ganimede e Callisto, condensatisi nella regione esterna più fredda.
La teoria delineata lascia aperti numerosi problemi; essa, per es., non è in grado di spiegare l’origine dei s. in moto retrogrado e, più in generale, di quelli le cui orbite sono fortemente inclinate rispetto al piano equatoriale di un pianeta. Si pensa che questi s. siano planetesimi che, avvicinatisi al pianeta, rimasero catturati dal suo campo gravitazionale. Per superare le difficoltà dinamiche di tale processo, si ipotizzano altri fenomeni: per es., le perturbazioni prodotte sull’orbita del planetesimo dal campo gravitazionale di altri s. o l’attrito con un’atmosfera planetaria assai più estesa e densa di quella attuale. Un processo di cattura viene proposto anche per spiegare l’origine dei due piccoli s. di Marte.
DNA s. Corte sequenze di DNA, ripetute e disposte in lunghe successioni in tandem, situate in una determinata regione cromosomica. Ha la caratteristica di riassociarsi più rapidamente, dopo denaturazione, rispetto al resto del DNA genomico. Inoltre, se si centrifuga il DNA estratto dalle cellule eucariotiche in un gradiente di concentrazione di cloruro di cesio (➔ ultracentrifugazione), il DNA s. si dispone in una banda distinta rispetto al resto del DNA genomico (banda s.). Ciò è determinato dal fatto che la sua densità di galleggiamento differisce da quella della maggior parte del DNA cellulare. Dato che non tutto il DNA ripetuto si separa dal DNA della banda principale per formare bande s., esso viene più comunemente chiamato DNA a sequenza semplice. Il termine DNA s. ha assunto pertanto un significato più restrittivo e sta a indicare solo la lunga serie di ripetizioni in tandem presenti nei centromeri e nei telomeri dei cromosomi. Queste zone dei cromosomi sono eterocromatiche, si colorano cioè molto intensamente con il colorante Giemsa, sono molto condensate e non vengono trascritte né tradotte in proteine. Dato che il DNA dei centromeri e dei telomeri non è codificante, molti sono gli interrogativi che riguardano la sua origine e la sua funzione. Da un punto di vista evolutivo, è da notare che, mentre le sequenze del DNA s. sono caratteristiche per singole specie o per un gruppo di specie strettamente correlate, in altre zone del genoma le sequenze di DNA hanno un elevato grado di omologia fra le diverse specie. La quantità di DNA s. inoltre varia non solo da specie a specie, ma anche da genere a genere all’interno della stessa specie. Tutto ciò suggerisce o che l’origine delle diverse sequenze ripetute debba essere relativamente recente o che esse siano soggette a cambiamenti evolutivi più frequenti rispetto ad altre zone del genoma. Le ripetizioni possono essere generate o eliminate dai processi che coinvolgono normalmente il DNA, quali la duplicazione e la ricombinazione. Dato che, nella maggior parte dei casi, la presenza o l’assenza di queste regioni non interferisce con tratti di DNA con funzioni codificanti (geni) o regolative, esse possono scomparire o ricomparire senza risentire della pressione della selezione naturale. Anche se non ci sono conferme sperimentali adeguate, l’ubiquità del DNA s., la sua grande quantità e le posizioni chiave che occupa sui cromosomi (centromeri e telomeri), sembrano voler indicare che queste sequenze siano comunque associate a importanti funzioni.
Nell’uomo, parte del DNA a sequenza semplice è costituita da 20-50 ripetizioni di poche coppie di basi in alcune regioni del cromosoma, chiamate minisatelliti. I minisatelliti si distinguono dai s. più comuni, che comprendono 105-106 coppie di basi. È possibile, mediante sonde molecolari, rilevare lievi differenze nel numero delle ripetizioni fra i diversi individui e osservare così impronte di DNA diverse in ogni individuo.
In istologia, sono dette cellule s., per la loro posizione rispetto alle cellule neuronali, le cellule di oligodendroglia. La satellitosi è l’aumento numerico di queste cellule, che si osserva nel tessuto nervoso in condizioni patologiche.
In meccanica, termine usato per indicare, in un rotismo epicicloidale, quegli ingranaggi cilindrici o conici i cui assi, anziché essere fissi come nei rotismi ordinari, ruotano intorno a un altro asse che può essere parallelo (rotismi epicicloidali cilindrici) o normale a essi (rotismi epicicloidali conici)
In spettroscopia, riga che s’accompagna a un’altra, in genere di maggiore intensità, in virtù del fenomeno fisico che dà origine all’emissione oppure a causa di ragioni tecniche, per es. imperfezioni nella costruzione del reticolo dello spettroscopio.
Nervo s. Tronco nervoso che decorre accanto a un’arteria; analogamente si parla di vene s. quando accanto all’arteria decorrono due tronchi venosi di piccolo calibro anziché una sola vena più grande.
In patologia, linfoghiandole s. sono dette quelle che raccolgono la linfa proveniente da regioni sede di infezioni diverse (da comuni piogeni, sifilitiche primarie ecc.) e che sono pertanto coinvolte nel processo flogistico.
Stato, nazione, paese s. Viene così comunemente definito lo Stato che, nell’ambito di un sistema politico, gravita intorno a una potenza maggiore e, in posizione subordinata, ne segue le direttive fondamentali in fatto di politica estera, economica ecc., spesso anche in sede ideologica. Così, nel corso della Seconda guerra mondiale si dissero s. della Germania l’Ungheria, la Romania, la Slovacchia e la Bulgaria; dal 1945 fino alla caduta del regime sovietico si dissero s. dell’URSS tutti i paesi comunisti dell’Europa orientale (Polonia, Cecoslovacchia, Repubblica Democratica Tedesca, Ungheria, Romania, Bulgaria).
S. artificiale Genericamente, ogni massa materiale lanciata dall’uomo su un’orbita intorno alla Terra per scopi definiti. Nel caso di veicolo destinato all’esplorazione di corpi celesti, in particolare dei pianeti del Sistema solare, si parla di sonda spaziale (➔ sonda).
L’uso di s. artificiali della Terra quali mezzi per effettuare rilievi scientifici nell’alta atmosfera terrestre fu preconizzato nella formulazione (1954) dei piani per l’Anno geofisico internazionale 1957-58, e un preciso progetto, denominato Vanguard, fu presentato dagli USA. Il primo s. artificiale terrestre fu però messo in orbita dall’URSS, il 4 ottobre 1957: si trattava di un veicolo di forma sferica, denominato Sputnik I, di massa pari a 83 kg, con vari strumenti scientifici a bordo, che descriveva un’orbita ellittica circumterrestre (apogeo iniziale 946 km; perigeo iniziale 229 km; inclinazione sul piano dell’equatore terrestre 65°; periodo di rivoluzione iniziale 96,17 minuti); seguirono circa un mese dopo un altro s. sovietico (Sputnik II, più grande del precedente, con vari strumenti e una cagnetta a bordo) e il 31 gennaio 1958 il primo s. statunitense, l’Explorer I, con carico strumentale (massa 8,2 kg; apogeo iniziale 2530 km; perigeo iniziale 361 km; inclinazione 33,34°; periodo iniziale 114,8 min). Da allora sono stati immessi in orbite circumterrestri centinaia di veicoli spaziali senza equipaggio.
I s. per telecomunicazioni, preconizzati da A.C. Clarke nel 1945, basano il loro principio operativo sulla ricezione, a bordo di un veicolo spaziale orbitante attorno alla Terra, di segnali radioelettrici emessi da stazioni terrestri, e sulla loro ritrasmissione a quelle corrispondenti, generalmente separate dalle prime da distanze molto maggiori dell’orizzonte, spesso dell’ordine delle migliaia di kilometri. Si possono in tal modo effettuare servizi di radiocomunicazione a grande distanza di vario tipo: tra coppie di punti fissi, per trasmissione, di norma bidirezionale a larga banda, di segnali della più generica natura analogica o numerica (telefonia multiplata, televisione, dati ad alto ritmo binario ecc.); da un punto fisso a una pluralità di punti fissi, per distribuzione monodirezionale di segnali video e anche per disseminazione di dati; tra un punto fisso e terminali mobili, per scambio di segnali di voce o di dati a basso e medio ritmo binario; da un punto fisso a terminali riceventi di utente, per la diffusione di segnali televisivi o audio.
Quasi generalmente, il s. è collocato in orbita geostazionaria (orbita sincrona, con periodo di 24 ore, circolare e sul piano equatoriale), così da apparire fermo all’osservatore sulla Terra, a distanza di circa 36.000 km dalla superficie del globo; la rice-emissione è inoltre compiuta mediante antenne fortemente direttive, sempre puntate verso Terra, e solitamente per mezzo di una pluralità di traspositori trasparenti, costituiti da blocchi in cascata che compiono le funzioni di amplificazione e di conversione di frequenza delle portanti modulate, senza aggiunta di elaborazioni di segnale ovvero senza demodulazione, rigenerazione e modulazione.
Il maggior vantaggio dei s. artificiali per telecomunicazione geostazionari è quello della vastità dell’area geografica servibile, senza lacune: con soli tre di essi, a intervallo di 120° di longitudine, si può ottenere una copertura quasi intera del globo (eccetto le calotte polari); il vantaggio diviene particolarmente rilevante nel caso si desideri un servizio di distribuzione, da un punto a numerosi altri, o di diffusione capillare come nelle applicazioni televisive. Sono inoltre interessanti la possibilità di attuare intere grandi reti con tempi d’instaurazione più brevi di quelli necessari con il ricorso ad altri mezzi di telecomunicazione, nonché la flessibilità d’impiego delle risorse di bordo, nella versione classica con traspositori trasparenti.
Sempre nel caso dei s. geostazionari, i maggiori svantaggi sono legati al lungo tempo di ritardo nella trasmissione, attorno a 300 ms, dovuto al lunghissimo doppio percorso del segnale elettromagnetico tra Terra e spazio. Il ritardo implica qualche disagio nelle conversazioni telefoniche, la necessità di un rigoroso controllo del fenomeno dell’eco nel circuito, che impone l’uso di appropriati dispositivi per la sua ‘cancellazione’, e infine un’attenta scelta dei protocolli di correzione di errore nel caso della trasmissione di dati. Per canali di comunicazione con elevati volumi tra punti definiti, i s. artificiali sono stati superati da cavi in fibre ottiche, che permettono capacità di trasmissione assai più elevate.
I s. di navigazione hanno lo scopo di far conoscere a un oggetto in movimento sulla Terra (per es., una nave o un aereo) la sua posizione esatta rispetto a un sistema di riferimento terrestre. Il sistema Navstar, di posizionamento globale (➔ GPS), sviluppato dal Dipartimento della difesa statunitense e completato nel 1995, è basato su un sistema di 24 s. in sei orbite circolari a un’altezza di 20.200 km e con un periodo di 12 ore. Da 5 a 8 s. sono simultaneamente visibili in ogni punto della superficie terrestre, in una configurazione che si ripete approssimativamente ogni 24 ore. Il sistema consente rilevazioni della posizione con la precisione di alcune decine di metri, e della velocità con la precisione di 0,1 m/s (➔ navigazione). Precisioni maggiori sono ottenute da parte di utenti autorizzati all’uso di codici protetti oppure in misure di distanze e velocità relative tra punti vicini. Quest’ultima applicazione ha notevole importanza in geofisica e sismologia per lo studio dei movimenti della crosta terrestre.
I s. scientifici vengono impiegati per l’acquisizione di dati, diretti o da elaborare. Una menzione particolare meritano i s. astronomici (detti anche osservatori astronomici orbitanti), che si pongono come una classe indipendente rispetto alle sonde spaziali che effettuano missioni interplanetarie.
I s. meteorologici (fig. 3) hanno costituito una delle prime applicazioni dei s. artificiali. Sono ormai diffusamente impiegati nella trasmissione continua di immagini di ogni area geografica. Tali immagini vengono elaborate sotto forma di animazioni televisive significative sia della dinamica delle nubi, sia per la ricostruzione della struttura verticale delle nubi stesse. Attraverso scale di osservazione maggiori si riesce a seguire l’evoluzione dei grandi uragani, altrimenti quasi inaccessibili e comunque rilevabili con notevole imprecisione con i sistemi terrestri. Per coprire con continuità l’intera superficie terrestre sono necessari più s. sia su orbite polari o quasi-polari, sia su orbite equatoriali geosincrone. Con l’evoluzione delle tecniche di rilevamento della radiazione emessa dalla Terra è ora possibile ricostruire con una certa precisione la struttura verticale della termodinamica atmosferica.
I s. di telerilevamento sono in grado di effettuare riprese fotografiche che possano fornire informazioni sullo stato della superficie terrestre sottostante, in particolare sulle colture, la vegetazione, il suo rilievo orografico e idrografico.
I satelliti militari vengono impiegati per scopi di ricognizione militare (in questo caso vengono comunemente detti s. spia), per telecomunicazioni, per l’ausilio alla navigazione e per la guerra elettronica. In quest’ultimo utilizzo, gli strumenti a bordo di tali s. permettono, per es., di intercettare le emissioni radar di guida di missili o le comunicazioni fra terra, navi e aerei per scoprirne la dislocazione e le frequenze, per captarne le comunicazioni e per disturbarle.
Il satellitare è un apparato radioelettrico di varie dimensioni (anche portatile), in grado di utilizzare per vari scopi (radiolocalizzazioni, telecomunicazioni, osservazioni meteorologiche ecc.) una determinata costellazione di s. artificiali ricetrasmittenti (posizionati su orbite geostazionarie) asservita a un centro di controllo terrestre. Il satellitare di radiolocalizzazione fornisce su un display di informazioni per la propria radiolocalizzazione (coordinate geografiche e altitudine del posto ove è situato l’apparato). Il satellitare di comunicazione consente da bordo di un veicolo (auto, nave, aereo) di effettuare comunicazioni in telefonia e in telescrivente per tutto il globo.
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