(lat. Venus)
Antica divinità italica, assimilata alla dea greca Afrodite e venerata come dea della bellezza, dell’amore, della fecondità e della natura primaverile.
L’introduzione di V. nel pantheon romano non sembra antichissima, perché il nome non figura nel più antico calendario. La sua identificazione ellenistica con l’Afrodite greca rende assai difficile comprendere la sua figura originaria; alcuni studiosi la concepirono come divinità della natura feconda, ravvisando come il carattere di divinità della natura, protettrice di orti e giardini, non scomparve mai del tutto, neppure dopo la trasformazione avvenuta con l’identificazione di V. con Afrodite; altri supposero in V. una dea affine, sin dalle origini, ad Afrodite, altri hanno cercato di stabilire le sue funzioni fondamentali in base a presunti rapporti etimologici del nome (con venia, venenum ecc.).
I suoi più antichi e famosi santuari laziali sorgevano presso Ardea. I due primi templi eretti in Roma furono l’uno presso il bosco sacro di Libitina (presto identificata con V.) e l’altro presso il Circo Massimo (quest’ultimo iniziato nel 295 a.C.). L’anniversario della dedicazione ricorreva per entrambi il giorno dei Vinalia rustica (19 agosto).
La più antica figurazione di V., designata con il suo nome, si trova su uno specchio al Louvre, trovato a Orbetello, di fabbrica prenestina, forse della seconda metà del 4° sec. a.C., in cui la dea appare assimilata alla greca Afrodite. Numerosi altri specchi, con iscrizioni etrusche, sono decorati con la leggenda di Adone, dove l’etrusca Turan sostituisce Afrodite; l’equivalenza V.-Turan è certamente anteriore al 4° secolo. La latina V. potrebbe dunque avere mutuato i suoi caratteri dalla greca Afrodite, attraverso un intermediario etrusco. D’altro canto merita attenzione, per il problema delle influenze, il fatto che nel 3° sec. a.C. venisse introdotto a Roma il culto della V. Ericina (lat. Erycina), che deriva il suo nome da quello del Monte Erice, in Sicilia, dove sorgeva un santuario dedicato ad Afrodite, che potrebbe aver fatto sentire il suo influsso nella concezione di V. già in epoca più antica. Le testimonianze più remote del culto di questa V. risalgono però all’età della seconda guerra punica: nel lettisternio comandato dai libri sibillini nel 217 a.C., V. è accoppiata con Marte; unione che poi divenne canonica. In quell’anno fu votato da Q. Fabio Massimo un tempio a V. sul Campidoglio (dedicato nel 215); anche più importante fu il tempio eretto verso il 181 dinanzi alla Porta Collina. Nel 114 a.C. fu dedicato un terzo tempio a V. Verticordia (equivalente ad Afrodite ᾿Αποστροϕία). Nell’ultimo secolo della Repubblica il culto ufficiale di V. acquistò sempre maggiore importanza; Silla e poi Pompeo la scelsero a propria divinità protettrice (Venus Felix di Silla, che diceva se stesso Felix; Venus Victrix di Pompeo); Giulio Cesare, appartenente alla casa Giulia, che faceva risalire attraverso le leggende di Enea la propria origine a V., fondò il culto di V. Genitrice, alla quale fece erigere un tempio nel suo Foro. V., progenitrice della famiglia Giulia, e Marte, progenitore di Romolo, costituirono una nuova coppia divina nella religione ufficiale dell’Impero. Il tempio di V. Genitrice fu consacrato nel 46 a.C., e la cerimonia fu celebrata con giochi, ripetuti poi sotto Augusto ogni anno (20-30 luglio: ludi Victoriae Caesaris). Il culto fiorì con la dinastia Giulio-Claudia; Traiano nel 113 volle associati, nel nuovo templum urbis da lui edificato, il culto di V. con quello di Roma. A Pompei, caratteristico il culto della V. Fisica, accompagnata da Priapo e perciò protettrice dei giardini e promotrice della fecondità. Per l’iconografia di V. ➔ anche Afrodite.
Secondo pianeta del Sistema solare, in ordine di distanza dal Sole. Dopo il Sole e la Luna, è l’oggetto più luminoso del cielo, raggiungendo una magnitudine (apparente) massima −4,4: ciò sia per la sua relativa vicinanza alla Terra, sia per la riflettività molto elevata (~75%) del mantello nuvoloso che l’avvolge. Per dimensioni, V. si colloca al sesto posto fra i pianeti: il suo diametro medio (12.104 km) è solo di poco inferiore a quello della Terra (12.756 km). La massa è 4,87∙1024 kg e la densità media 5,25 g/cm3, valori, anche questi, non molto dissimili dai corrispondenti terrestri (rispettivamente 5,98∙1024 kg e 5,52 g/c m3). Lo schiacciamento polare è trascurabile (in accordo con la lentissima rotazione del pianeta). L’accelerazione di gravità alla superficie è 8,6 m/s2; la velocità di fuga 10,4 km/s.
V. descrive intorno al Sole un’orbita di rivoluzione leggermente ellittica, avente un semiasse maggiore di 108.200.000 km (0,72 UA) e un’eccentricità ε =0,007 (la più piccola fra tutti i pianeti). La sua distanza dal Sole varia da un minimo di 107.400.000 km (al perielio) a un massimo di 109.000.000 km (all’afelio). L’inclinazione dell’orbita rispetto al piano dell’eclittica è 3°23′. Il periodo di rivoluzione (anno sidereo) è 224,7 giorni. Il periodo di rivoluzione sinodico, vale a dire il tempo che il pianeta, visto dalla Terra, impiega a riprendere la stessa posizione rispetto al Sole, è di circa 584 giorni. La distanza di V. dalla Terra varia da un minimo di circa 38.000.000 km (alla congiunzione inferiore) a un massimo di 261.000.000 km (alla congiunzione superiore). Corrispondentemente, il diametro angolare di V., visto dalla Terra, varia da circa 65″, alla minima distanza, a circa 9,5″, alla massima distanza. I periodi più favorevoli per l’osservazione del pianeta sono quelli in cui l’elongazione dal Sole (cioè la differenza fra la sua longitudine e quella del Sole) raggiunge i valori massimi di 47° E o di 47° O: nel primo caso, V. appare subito dopo il tramonto, nel secondo subito prima dell’alba.
V., essendo un pianeta ‘inferiore’ (cioè più vicino al Sole della Terra), presenta fasi analoghe a quelle lunari. La fig. 1 descrive il fenomeno e illustra il pianeta ‘ripreso’ in momenti diversi dell’anno. Il disco del pianeta appare più piccolo quando è completamente illuminato dal Sole (fase piena), perché ciò si verifica nella posizione di congiunzione superiore, in cui V. si trova alla massima distanza dalla Terra. Il pianeta diventa, invece, invisibile (fase minima) nella posizione di congiunzione inferiore, cioè quando si trova alla distanza minima dalla Terra, perché in tale situazione l’emisfero illuminato dal Sole è quello opposto alla Terra. Le fasi di V. furono scoperte da Galileo nel 1611, con il telescopio da poco inventato.
V. ruota, con un periodo di 243,08 giorni, in senso retrogrado (cioè opposto a quello della Terra). V. è dunque l’unico pianeta il cui periodo di rotazione è più lungo di quello di rivoluzione. L’equatore è inclinato di soli 2° rispetto al piano dell’orbita, sicché sul pianeta manca il ciclo delle stagioni.
Pur essendo il pianeta più vicino alla Terra, V. è rimasta del tutto sconosciuta fino agli anni 1950. La ragione è che essa è avvolta da una atmosfera nuvolosa impenetrabile alla radiazione visibile. Osservato al telescopio, il mantello delle nubi venusiane appare di un colore giallo uniforme, praticamente privo di strutture che possano aiutare a comprendere i fenomeni che vi hanno luogo. I primi progressi furono compiuti alla fine degli anni 1950, quando si cominciò a osservare il pianeta nel campo delle onde radio, alle quali le nubi sono trasparenti. Lo studio dell’emissione termica alle lunghezze d’onda centimetriche rivelò che la temperatura superficiale del pianeta è elevatissima, dell’ordine di parecchie centinaia di gradi Celsius: cominciò così a farsi strada l’idea, di lì a poco confermata dalle osservazioni spaziali, che V. fosse, in realtà, profondamente diversa dalla Terra.
L’esplorazione diretta di V. ebbe inizio nel 1962, quando V., prima fra tutti i pianeti, fu sorvolata dalla sonda spaziale statunitense Mariner II. Negli anni successivi, altre due sonde della stessa serie realizzarono brevi incontri con V.: Mariner V (1967) e Mariner X (1974). Un vasto programma di esplorazione veniva, intanto, intrapreso dall’URSS con le sonde Venera, ciascuna delle quali comprendeva una capsula orbitale e una capsula planetaria, che si distaccava dalla prima, scendendo sulla superficie del pianeta. Il programma di esplorazione sovietico si è poi concluso con le due sonde Vega I e II, lanciate nel dicembre 1984: nel loro viaggio verso la cometa di Halley, esse hanno incontrato V. nel 1985, sganciandovi ciascuna una capsula planetaria e un pallone destinato a studi atmosferici. Nuovi importanti contributi alla conoscenza di V. sono venuti da due missioni statunitensi: Pioneer-Venus (1978), rivolta soprattutto allo studio dell’atmosfera del pianeta, e Magellano che, lanciata nel 1989 e rimasta nell’orbita di V. dal 1990 al 1994, ha effettuato con la tecnica radar una mappatura assai dettagliata della sua superficie e uno studio del campo gravitazionale di V., diretto a migliorare la conoscenza della sua struttura interna. Nel 2005 è stata lanciata la sonda dell’Ente spaziale europeo Venus Express, la cui missione prevista fino al 2007 è stata prolungata fino al 2012 con il compito di eseguire la mappatura della superficie di V. e studiare il sistema meteorologico, le variazioni di temperatura, la formazione delle nuvole, la velocità dei venti e la composizione del gas che circonda il pianeta.
Tra i pianeti interni, V. ha l’atmosfera più massiccia: essa comprende circa un decimillesimo della massa del pianeta, mentre le atmosfere della Terra e di Marte ne contengono frazioni pari a 10-6 e 10-7, rispettivamente. La pressione al suolo è circa 95 bar. La fig. 2 confronta, molto schematicamente, gli andamenti della temperatura con l’altezza nell’atmosfera di V. e in quella della Terra: si vede che la prima è assai più calda dell’altra al livello del suolo, mentre ad alta quota diventa più fredda. Nella fig. è indicata anche l’altezza dei sistemi nuvolosi presenti. L’atmosfera di V. è costituita essenzialmente da anidride carbonica (96,5%, in numero di molecole) e azoto (3,5%). Altri gas vi sono presenti in tracce; fra questi, l’anidride solforosa (180 ppm), l’argo (70 ppm), l’ossido di carbonio (30 ppm) e l’ossigeno (20 ppm). Le profonde differenze di composizione rispetto all’atmosfera terrestre si interpretano come segue: a) l’atmosfera venusiana contiene circa 30.000 volte più anidride carbonica di quella terrestre. In realtà, la Terra possiede una quantità totale paragonabile di questo gas, che però è per la massima parte disciolto nelle acque degli oceani o combinato a formare le rocce carbonatiche della crosta. Su V. ciò non avviene perché non ci sono oceani e l’elevata temperatura superficiale impedisce all’anidride carbonica di fissarsi nelle rocce; b) le atmosfere di V. e della Terra contengono quantitativi non molto diversi di azoto, anche se, percentualmente, tale gas è un costituente secondario dell’atmosfera venusiana, mentre è quello principale dell’atmosfera terrestre; c) l’ossigeno, sulla Terra, è prodotto dai processi biologici, sicché ci si aspetta che esso sia quasi assente su V., che è priva di vita; d) per quanto riguarda gli altri gas, vi sono differenze significative di abbondanze anche fra i costituenti minori delle due atmosfere. Per es., l’atmosfera di V. è più ricca di anidride solforosa, un gas che le piogge rimuovono efficacemente dall’atmosfera terrestre. Anche il neon e alcuni isotopi dell’argo (36Ar e 38Ar) sono più abbondanti su V. che sulla Terra; poiché questi gas rappresentano un residuo dell’atmosfera primordiale dei pianeti, ciò significa che V. deve avere conservato una percentuale maggiore della sua atmosfera originaria.
L’aspetto forse più sorprendente dell’atmosfera di V. è il fatto che essa sia estremamente secca. Su V. non esiste acqua allo stato liquido, dato che la temperatura, fino a quote di circa 30 km, supera il punto di ebollizione di questa sostanza. D’altra parte, il vapore acqueo presente nell’atmosfera è molto scarso: se esso precipitasse, formerebbe uno strato di appena un paio di centimetri sulla superficie del pianeta. Si calcola che V. possegga un centimillesimo dell’acqua che si trova sulla Terra. L’ipotesi più accreditata è che, in origine, i due pianeti possedessero quantitativi pressappoco uguali di acqua. V. si sarebbe ‘disidratata’ a causa della sua temperatura così elevata. Infatti, mentre sulla Terra l’acqua rimane, per la massima parte, allo stato liquido in superficie, su V. essa si trova tutta sotto forma di vapore. Un po’ di questo vapore sale fino agli strati più alti dell’atmosfera, dove la radiazione ultravioletta solare lo dissocia in idrogeno e ossigeno: gli atomi di ossigeno rimangono nell’atmosfera (e poi si ricombinano con quelli di altri elementi), ma quelli di idrogeno, più leggeri, possono sfuggire all’attrazione del pianeta, disperdendosi nello spazio.
V., essendo un po’ più vicina al Sole della Terra, riceve da questo un maggiore quantitativo di energia. In seguito a ciò, e se non intervenissero altri fenomeni, la temperatura superficiale del pianeta dovrebbe aggirarsi sui 50 °C, un valore solo di poco maggiore di quello terrestre. Invece, come si è detto, la temperatura al suolo è circa 735 K (oltre 460 °C). La cosa è ancor più sorprendente se si tiene conto del fatto che V., essendo circondata da un mantello nuvoloso di riflettività assai elevata (circa il 75%), assorbe una quantità di energia solare addirittura inferiore a quella assorbita dalla Terra. Le temperature così elevate, che caratterizzano gli strati più bassi dell’atmosfera venusiana, dipendono dall’effetto serra. Questo fenomeno è prodotto da alcuni aeriformi, come il vapor acqueo o l’anidride carbonica, che sono trasparenti alla radiazione visibile, ma non a quella infrarossa. La fig. 3 illustra come opera l’effetto serra su V., secondo un modello sviluppato negli anni 1960 da C. Sagan. La luce solare, che non è riflessa dalle nubi, attraversa l’atmosfera ed è assorbita dal suolo. Questo emette raggi infrarossi, che vengono assorbiti dall’anidride carbonica e, quindi, riemessi, contribuendo così a riscaldare la superficie. Si stabilisce allora un circolo vizioso: infatti, l’anidride carbonica instaura l’effetto serra e il conseguente aumento di temperatura impedisce a questo gas di fissarsi nelle rocce. Si pensa che questo processo si sia innescato su V., e non sulla Terra, perché il primo pianeta riceve un po’ più di energia dal Sole.
L’atmosfera di V. è, come si è detto, assai povera di vapore acqueo: l’umidità relativa rimane sempre al di sotto dello 0,1% sicché la formazione di nuvole di acqua è impossibile. Si è stabilito che le nubi di V. consistono di acido solforico concentrato (H2SO4). Goccioline minutissime di questa sostanza si formano, a 60-70 km di quota, a partire dall’anidride solforosa (SO2) e dal vapore acqueo (H2O), attraverso processi fotochimici, cioè un ciclo di reazioni chimiche reso possibile dall’energia della radiazione ultravioletta solare. Quando si ingrossano, raggiungendo diametri di 1-10 μm, le goccioline scendono a quote più basse, formando le nubi. Al di sopra e al di sotto della coltre di nubi, che si estende fra ~48 km e ~58 km, vi sono strati di nebbia formati da goccioline più piccole, con diametri inferiori a ~1 μm. La nebbia scompare bruscamente a una quota di 31 km, perché lì la temperatura diventa così alta da far vaporizzare completamente le goccioline. Per la stessa ragione, le nubi su V. non danno luogo a piogge. Osservato dalla Terra, il mantello di nubi di V. appare praticamente uniforme, con una macchia oscura a forma di Y appena distinguibile intorno all’equatore. Le immagini nell’ultravioletto, riprese dalle sonde spaziali, hanno rivelato una struttura più complessa. Sequenze di immagini di V., riprese da Pioneer-Venus nel febbraio 1979, a un giorno di distanza l’una dall’altra, mostrano all’inizio la struttura a Y chiaramente visibile, poi tale struttura spostata verso il bordo O del pianeta, successivamente la struttura assente (poiché posta nell’emisfero nascosto) e infine la struttura riaffacciarsi sul bordo E. Le osservazioni indicano una rotazione del mantello nuvoloso da E a O (cioè nello stesso senso della rotazione retrograda del pianeta), con un periodo di circa 4 giorni. Questa super-rotazione dell’alta atmosfera, con velocità dell’ordine di 100 m/s (360 km/h), si estende a tutte le latitudini e fino alla base delle nubi. A quote inferiori, le velocità dei venti diminuiscono e, in prossimità della superficie, sono dell’ordine di 1-2 m/s. I processi chimici, responsabili della formazione delle nubi oscure della macchia a Y, non sono chiari: probabilmente, il loro accentuato assorbimento nell’ultravioletto dipende da una più elevata concentrazione di qualche composto dello zolfo, che, tuttavia, non è stato identificato.
Dalle immagini del suolo di V. riprese dalle dalle sonde spaziali si è riusciti a dedurre notevoli informazioni sull’ambiente venusiano. Per es., la buona luminosità delle immagini e la presenza di ombre abbastanza nette dimostrano che la luce solare riesce a filtrare attraverso la coltre di nubi, illuminando la superficie del pianeta pressappoco come avviene sulla Terra in una giornata di cielo molto coperto. Nella maggioranza dei siti visitati, la composizione delle rocce è simile a quella dei basalti, che, sulla Terra, formano la crosta oceanica. Alcuni campioni presentano però delle abbondanze più elevate di certi elementi (potassio, zolfo) rispetto ai basalti ordinari. In un caso, poi, sono state individuate rocce apparentemente simili ai graniti terrestri.
Dal punto di vista della topografia del pianeta, nella mappa generale della superficie di V., ottenuta dalle osservazioni radar della sonda Magellano, si distinguono alcune vaste zone montagnose, fra le quali spiccano la Terra di Afrodite (che si estende lungo l’equatore fra 60° e 240° di long.) e la Terra di Ishtar (una regione, vasta pressappoco come l’Australia, che si trova, nell’emisfero nord, fra 60° e 70° di lat.). Nella Terra di Ishtar sorgono le montagne più alte, i Monti di Maxwell, che raggiungono una quota di ~11 km (rispetto al livello corrispondente al raggio medio del pianeta). Una caratteristica delle regioni più elevate di V. è quella di apparire più brillanti al radar.
Due tipi di strutture, che costituiscono una caratteristica unica di V., sono le tesserae e le coronae. Le tesserae sono altopiani, estesi per migliaia di kilometri, che presentano un alternarsi di creste e di solchi, un po’ come un tetto coperto da tegole (tuttavia, creste e solchi non hanno andamenti regolari, ma si intrecciano in modo spesso caotico). Un esempio di questo tipo di territorio è la Alpha regio (così chiamata perché fu la prima area del pianeta che si riuscì a esplorare, da Terra, con il radar). Le coronae sono regioni circolari, aventi un diametro di 150-600 km, che consistono di una zona centrale, con una topografia complessa, circondata da anelli concentrici di rilievi e di valli. La sonda Magellano ha individuato su V. circa 900 crateri da impatto, prodotti da meteoriti. I loro diametri sono sempre maggiori di qualche kilometro, diversamente da ciò che accade sulla Terra (dove le dimensioni minime dei crateri sono dell’ordine di 100 m) o sulla Luna (dove abbondano ‘minicrateri’, con dimensioni anche inferiori al cm). La differenza dipende dal fatto che le meteoriti meno massicce, che scaverebbero i crateri più piccoli, si dissolvono completamente nella densa atmosfera venusiana prima di raggiungere il suolo.
È ipotizzabile che il pianeta, avendo una massa e una densità comparabili a quelle della Terra, abbia anche una struttura simile a questa. Nell’interno di V. si dovrebbero pertanto distinguere tre strati principali (fig. 4): un nucleo metallico centrale, un mantello di silicati e una crosta basaltica. Il nucleo potrebbe essere, almeno in parte, liquido, benché il pianeta sia privo di un campo magnetico apprezzabile: infatti, secondo le teorie dinamo (➔), per generare un campo magnetico occorrerebbe non soltanto un nucleo liquido, ma anche un moto di rotazione ben più veloce di quello di cui V. è dotata. Il mantello sarebbe formato da rocce ‘plastiche’, rimescolate da lentissime correnti convettive, come avviene nella Terra. La crosta, d’altra parte, data l’elevata temperatura superficiale, potrebbe essere meno rigida di quella terrestre, spiegando così l’assenza di una tettonica a zolle sul pianeta.
Quasi l’intera superficie venusiana è costellata di vulcani: alcuni hanno la forma di duomi, a pareti ripide; altri quella a scudo, appiattita. I primi devono essere stati originati da lave molto viscose; i secondi da lave più fluide, come avviene sulla Terra. Su V. vi sono, tuttavia, anche strutture di origine vulcanica che non hanno analogie con quelle terrestri. Una delle più singolari è rappresentata dai canali, il cui andamento sinuoso richiama quello dei fiumi terrestri: essi, però, non sono stati scavati dall’acqua, ma da qualche tipo di lava (forse a base di zolfo) molto più fluida di quella dei vulcani terrestri. Incerta è poi la natura delle vaste colate che si riscontrano intorno a certi crateri da impatto: potrebbe trattarsi di eruzioni vulcaniche innescate dall’evento meteoritico oppure di materiali superficiali fusi nell’impatto. La crosta di V. è anche solcata da profondi canyon di origine tettonica. Fra i più interessanti vi sono il Diana chasma e il Dali chasma, nella Terra di Afrodite, i cui profili altimetrici sono simili a quelli che si riscontrano nelle regioni della Terra dove si verifica la collisione fra due zolle di litosfera, e i monti di Freyia, attraversati da profonde fratture che si intersecano e sovrappongono, originate probabilmente da moti opposti della crosta di V. concorrenti nella stessa zona. Notevole è ancora la Beta regio, un sistema di canyon e grandi vulcani, la cui topografia presenta una impressionante analogia con quella della Rift Valley africana. Queste strutture rivelano che su V. i blocchi di crosta hanno avuto, e forse hanno tuttora, una certa mobilità. Ciò nonostante, si esclude che questo pianeta sia stato sede di una vera e propria tettonica a zolle, come quella che ha modellato la superficie terrestre. Le ragioni per cui ciò non si è verificato non sono del tutto chiare. È stato proposto che il pianeta si sia raffreddato internamente in modo più rapido della Terra. Sembra però più probabile che il fenomeno sia da imputare a una crosta meno rigida di quella terrestre, che farebbe scaricare le tensioni tettoniche su vaste aree, impedendo che esse si concentrino ai bordi delle zolle, come avviene sulla Terra. Un ruolo importante potrebbe giocare anche l’assenza di acqua che sulla Terra lubrifica le zolle, rendendo possibile la subduzione di blocchi di crosta.
In mineralogia, capelli di V., gli aghetti di rutilo inclusi nel quarzo ialino, detto perciò quarzo capelvenere.
Solco cutaneo che si osserva, nella donna, alla base del collo per aumento di volume della tiroide.
In dermatologia, collana (o collare) di V. (o leucoderma sifilitico), discromia di natura luetica, localizzata alla base del collo; corona di V., papule disposte a corona sulla fronte dovute alla sifilide secondaria.
Salienza della regione del pube femminile.
Denominazione già in uso per indicare complessivamente le malattie infettive e contagiose che si contraggono prevalentemente attraverso i contatti sessuali (➔ trasmissione).