Corpo celeste gravitante intorno al Sole secondo le leggi di Keplero, come i pianeti, dai quali però differisce sia per le caratteristiche fisiche sia per quelle orbitali. Nella forma tipica, la c. appare composta di un nucleo, più o meno brillante, circondato da una sorta di nebulosità luminosa detta chioma; nucleo e chioma (talora indistinguibili uno dall’altra) formano la testa, dalla quale parte, allorché la c. si avvicina al Sole, lo strascico luminoso, a volte lunghissimo, che forma la coda. Nella cosmologia aristotelica, le c. erano ritenute esalazioni emanate dalla Terra e infiammatesi nell’alta atmosfera per azione degli astri e in particolare del Sole. La prova della loro natura celeste si deve a T. Brahe, il quale rilevò che la c. apparsa nel 1577 doveva essere abbastanza lontana, posto che non presentava un apprezzabile effetto di parallasse se osservata da due località distanti. E. Halley con i risultati dedotti dallo studio di 24 c. osservate fra il 1337 e il 1698, stabilì che il moto delle c., come quello dei pianeti, è governato dalla gravitazione solare e rappresentò matematicamente l’orbita della grande c. apparsa nel 1682, la famosa c. periodica che da lui prese nome.
Le c. vengono chiamate con il nome degli scopritori, preceduto da una P se il loro periodo è inferiore a 200 anni. Tra le c. più notevoli va ricordata P-Halley, che è la c. meglio studiata: essa è una c. periodica (periodo approssimato 77 anni), di cui sono stati individuati ben 30 ritorni a partire dal 280 a.C.; il suo nucleo è stato fotografato nel 1986 dalla sonda Giotto. Tempel è stata la prima c. osservata spettroscopicamente (da G.B. Donati nel 1864); nel 2005 è stata raggiunta dalla sonda Deep Impact. P-Encke, la cui orbita fu calcolata da J.F. Encke nel 1821, è la c. caratterizzata dal periodo più breve: 3 anni e 106 giorni. Nel 1995 è stata scoperta da A. Hale e T. Bopp una c. a lungo periodo eccezionalmente attiva, Hale-Bopp, che ha raggiunto il perielio, a una distanza dal Sole di 0,91 u.a. (unità astronomica), nell’aprile 1997. P-Shoemaker-Levy, scoperta nel 1993 da E. e C.S. Shoemaker e da D. Levy, è stata la prima c. a essere osservata durante la sua caduta su un pianeta: catturata dal campo gravitazionale di Giove, si divise in 21 frammenti che caddero sulla superficie del pianeta tra il 16 e il 22 luglio 1994. Nel 2001 la sonda Deep space 1 è passata attraverso P-Borrelly, vicino all’orbita di Marte, trasmettendo immagini in bianco e nero e all’infrarosso della superficie e del nucleo dell’astro. Nel 2004 la missione Stardust ha attraversato la coda di P-Wild-2 nelle vicinanze di Giove, fotografandone il nucleo e riportando sulla Terra un campione di polveri prelevato dalla coda.
Le c. si muovono essenzialmente sotto l’effetto della gravitazione solare, per cui le loro traiettorie sono, come quelle planetarie, delle coniche; tuttavia, le orbite cometarie sono fortemente perturbate dall’attrazione dei pianeti e, in misura minore, da forze non gravitazionali. In base ai valori della eccentricità ε delle orbite, queste vengono distinte in: ellittiche, ε 〈 1; paraboliche, ε = 1; iperboliche, ε > 1. Nonostante la presenza di orbite aperte, si pensa che tutte le c. appartengano al sistema solare: sembra infatti accertato che le orbite iperboliche (che, peraltro, hanno sempre un’eccentricità di poco superiore a 1) siano dovute alle perturbazioni prodotte dai pianeti giganti. In generale, le orbite delle c., a differenza di quelle dei pianeti, hanno inclinazioni qualsiasi rispetto al piano dell’eclittica e vengono percorse indifferentemente in senso diretto (antiorario) o retrogrado (orario).
Il nucleo rappresenta la parte permanente della c., mentre la chioma e la coda si sviluppano soltanto a distanze relativamente piccole dal Sole (dell’ordine di alcune unità astronomiche).
Il nucleo è invisibile da Terra: esso è infatti troppo piccolo e poco luminoso per essere osservabile a grandi distanze, mentre viene nascosto dalla chioma, quando la c. penetra nelle regioni più interne del sistema solare. Il nucleo cometario di Halley ha una massa di circa 1013 kg (poco più di un millesimo di miliardesimo della massa della Terra) e dimensioni di 16×8×8 km. La sua densità è pertanto circa 0,2 g/cm3 (1/5 di quella dell’acqua). Secondo il modello di Whipple, detto palla di neve sporca, il nucleo consiste di una massa ghiacciata (in prevalenza ghiaccio d’acqua; fig. 1) in cui sono immerse particelle di varia natura (silicatica, metallica, carboniosa). Le osservazioni dirette della c. Halley hanno confermato sostanzialmente questo modello, rivelando anche che questo è rivestito da una crosta assai scura: la sua albedo (cioè la percentuale della radiazione solare incidente che viene riflessa) è appena il 4%. Valori ancora più bassi ha rivelato la c. Borrelly. Per quanto riguarda la composizione chimica, si è accertato che nel nucleo vi è un’elevata abbondanza di elementi volatili.
La chioma appare come una nuvoletta evanescente quando la c. si trova a una distanza di alcune unità astronomiche dal Sole. Man mano che la c. penetra nelle regioni più interne del sistema solare, la chioma aumenta di splendore e di dimensioni, raggiungendo il suo massimo sviluppo attorno a 1,5-2 u.a. Talvolta perde la sua forma sferica per assumere quella di un involucro parabolico, con la convessità rivolta verso il Sole. La chioma è generata dai ghiacci superficiali del nucleo che, riscaldati dalla radiazione solare, sublimano trascinando con sé grani di polvere. La luminosità della chioma è dovuta sia alla luce solare diffusa dalla polvere sia all’emissione del gas per fluorescenza (le particelle del gas, cioè, assorbono i raggi ultravioletti solari ed emettono, a loro volta, radiazione elettromagnetica nella banda visibile). Il gas della chioma di Halley è costituito soprattutto da vapor acqueo (80%) e ossido di carbonio (10%), con percentuali minori di numerose altre sostanze (anidride carbonica, metano, ammoniaca, acido cianidrico ecc.). Nelle zone più esterne della chioma le molecole di questi gas si dissociano per effetto della radiazione solare dando luogo a radicali (come OH e NH) e ad atomi liberi (neutri e ionizzati). Intorno alla chioma vera e propria si estende così un alone avente un diametro di oltre 10 milioni di km, costituito soprattutto da idrogeno. Quando si ionizzano, i gas dell’alone vengono trascinati via dal vento solare che è permeato dal campo magnetico interplanetario.
La struttura più estesa e più spettacolare di una c. è la coda. Si distinguono due tipi di code, spesso, ma non sempre, presenti simultaneamente in una stessa c. (fig. 2): le code di tipo I o code ioniche e le code di tipo II o code di polvere. Entrambe le code si sviluppano in direzione opposta al Sole: tuttavia le code ioniche hanno andamento quasi rettilineo, mentre le altre hanno la caratteristica forma ricurva. Le code ioniche sono meno luminose, ma più lunghe delle code di polvere (possono estendersi per oltre 100 milioni di km). Sono formate da molecole e atomi ionizzati che il vento solare trascina via dalla chioma. Le code di polvere traggono anch’esse origine dalla chioma, più precisamente sono costituite dai grani di polvere più piccoli (di diametri inferiori a qualche μm), che vengono ‘soffiati’ via dalla pressione esercitata dalla radiazione elettromagnetica solare; i grani più grossi, per i quali l’attrazione gravitazionale del Sole prevale sulla pressione di radiazione, costituiscono, invece, gli sciami meteorici. Nella coda di Wild-2 la missione Stardust ha rilevato tracce di ammine e lunghe catene carboniose.
Le teorie moderne delle c. hanno come punto di partenza il lavoro di J.H. Oort che, intorno al 1950, studiando le orbite di una cinquantina di c., scoprì che i loro afeli erano tutti concentrati a distanze dell’ordine di 10.000 miliardi di km dal Sole. Concluse quindi che doveva esistere una specie di riserva di c., che alimentava i nuovi arrivi di questi corpi nelle regioni interne del sistema solare. Ricerche successive hanno confermato l’ipotesi di Oort. Si pensa che circa 1000 miliardi di c. (aventi una massa complessiva forse pari a quella del nostro pianeta) si addensino in una specie di guscio sferico (detto Nube di Oort), situato agli estremi confini del sistema solare, a una distanza eliocentrica di circa 50.000 u.a. Queste c. sono legate gravitazionalmente al Sole in modo molto debole. Il campo gravitazionale di una delle stelle più vicine al Sole perturba di tanto in tanto il moto di una di esse, strappandola alla nube e facendola perdere nello spazio interstellare, oppure spingendola verso le regioni interne del sistema solare. La scoperta della Fascia di Kuiper (asteroidi al di là dell’orbita di Nettuno) ha gettato una nuova luce sull’origine della c. di periodo più breve, le cui orbite mal si conciliano con una provenienza dalla Nube di Oort. Si ipotizza dunque che le c. abbiano due origini diverse: quelle di periodo medio o lungo proverrebbero dalla Nube di Oort, quelle di breve periodo dalla Fascia di Kuiper (fig. 3).
Le c., insieme con i pianetini, sono ritenute una delle due principali sorgenti dei meteoroidi e della polvere interplanetaria. I grani di polvere, con dimensioni inferiori a qualche μm, che costituiscono le code di tipo II delle c., vengono dispersi nello spazio dalla pressione di radiazione solare e vanno così ad alimentare la nube di polvere zodiacale (➔ polvere). I grani più grandi restano invece lungo l’orbita della c., trattenuti dall’attrazione gravitazionale del Sole, formando una specie di anello di particelle (sciame meteorico). La Terra, nella sua rivoluzione intorno al Sole, interseca periodicamente le traiettorie percorse dalle c., sicché le particelle solide ivi presenti penetrano nell’atmosfera, dando luogo alle meteore. L’associazione fra sciami periodici di meteore e c. è stata scoperta da G.V. Schiaparelli, che individuò nella c. Swift-Tuttle del 1862 l’origine dello sciame delle Perseidi (che dà luogo, nelle notti di metà agosto, alla pioggia di ‘stelle cadenti’). Quando poi una c. ‘muore’ o in seguito all’esaurimento dei materiali volatili che possedeva o disintegrandosi in un passaggio molto ravvicinato al Sole, il suo nucleo si trasforma in uno o più meteoroidi, che continuano a vagare nello spazio finché qualche pianeta o il Sole non li cattura.