In fisica, termine usato per indicare la quantità indivisibile, il valore più piccolo fisicamente possibile di una data grandezza variabile con discontinuità, come pure la particella elementare associata a un dato campo di forze nelle teorie quantistiche (per il q. gravitazionale, ➔ gravitone).
L’idea della quantizzazione nacque (1900) in M. Planck dall’esigenza di porre in accordo con i risultati sperimentali la teoria dell’emissione elettromagnetica del corpo nero. Questo fu assimilato da Planck a un gran numero di oscillatori armonici elettricamente carichi, cioè di elementi, su scala microscopica, capaci di assorbire e di emettere ciascuno radiazioni di una determinata frequenza (coincidente con la frequenza propria dell’oscillatore); in contrasto con i principi classici, Planck ammise che l’energia meccanica totale di ciascun oscillatore può assumere soltanto valori che siano multipli interi di una quantità piccola ma finita (e non infinitesima), di un quantum, uguale al prodotto della frequenza ν caratteristica dell’oscillatore e di una costante h uguale per tutti gli oscillatori, che, con il nome di costante di Planck, interviene in tutte le teorie quantistiche e vale 6,6∙10–34 J∙s.
L’ipotesi della struttura ‘granulare’ dell’energia meccanica trovò piena e definitiva conferma nella teoria del calore specifico dei solidi formulata da A. Einstein (1907), nella quale gli atomi di un solido sono assimilati a oscillatori armonici quantizzati.
Einstein, studiando l’entropia della radiazione elettromagnetica in equilibrio termico di alta frequenza, la cui distribuzione spettrale è descritta dalla formula di Wien, rilevò (1905) che questa radiazione si comporta da un punto di vista termodinamico come un insieme discreto di enti indipendenti localizzati nello spazio (detti q. di luce o, più tardi, fotoni), a ciascuno dei quali compete un’energia hν (con ν frequenza della radiazione). Sulla base di questo risultato, che evidenziava un comportamento corpuscolare della radiazione elettromagnetica, Einstein formulò le leggi dell’effetto fotoelettrico che avrebbero trovato piena conferma sperimentale solo 10 anni dopo a opera di R.A. Millikan. Einstein inoltre, sulla base della formula spettrale di Planck, mostrò (1909) che le fluttuazioni di energia della radiazione in equilibrio termico si compongono di due contributi, uno riconducibile al comportamento ondulatorio della radiazione, l’altro al comportamento corpuscolare (dualismo onda-corpuscolo). Sempre Einstein dimostrò (1917) che la radiazione elettromagnetica raggiunge l’equilibrio termico solo se i q. di luce sono dotati oltre che dell’energia hν anche di una quantità di moto hν/c.
Una crisi dei principi della fisica classica era andata maturando all’inizio del 20° sec. nel campo della meccanica atomica. Secondo i principi della meccanica e dell’elettromagnetismo classici, si sarebbe stati condotti ad ammettere che l’atomo stesso doveva essere instabile, poiché gli elettroni avrebbero dovuto irraggiare gradatamente tutta la loro energia finendo col cadere sul nucleo. Di qui la proposta (1913) di N. Bohr di abbandonare almeno parzialmente le ipotesi classiche ammettendo che: a) l’elettrone può muoversi soltanto su alcune fra tutte le circonferenze possibili a norma delle leggi della meccanica, cioè sulle cosiddette orbite stabili o quantiche costituenti una successione discreta, caratterizzate dalla condizione quantica T=nhf/2 (con T energia cinetica e f frequenza di rivoluzione dell’elettrone) che si traduce nella quantizzazione del momento della quantità di moto, secondo la quale per ciascuna di queste orbite il modulo del momento l della quantità di moto è un multiplo intero n della quantità h/2πl=nh/2π; b) l’elettrone non irradia quando si muove su un’orbita quantica; c) l’elettrone può passare bruscamente da un’orbita quantica a un’altra e durante questi passaggi avviene l’emissione o l’assorbimento di radiazioni elettromagnetiche, la cui frequenza ν è determinata dalla condizione che l’energia emessa o assorbita (cioè la differenza tra l’energia delle due orbite) sia uguale a hν. Queste ipotesi, ammesse da Bohr per l’atomo d’idrogeno, furono poi (1916) estese da A. Sommerfeld a sistemi più complessi per i quali le ipotesi b) e c) restavano invariate, mentre la a) era sostituita, per un sistema a f gradi di libertà, dalle seguenti condizioni (trovate indipendentemente e quasi contemporaneamente da W. Wilson, J. Ishiwara e A. Sommerfeld): ∮ pi dqi=nih, con i=1, 2, ..., f, dove qi è la generica coordinata lagrangiana del sistema e pi il corrispondente momento cinetico. Poiché l’integrale ha le dimensioni di un’azione, la formula precedente si può considerare come esprimente una quantizzazione dell’azione, e la costante h fu perciò chiamata anche q. d’azione. Applicando la formula medesima a un oscillatore armonico, si trova che l’energia dev’essere multipla di h: così l’ipotesi di Planck rientra come caso particolare in quelle di Sommerfeld. L’esistenza per qualunque atomo di diversi stati con valori discreti dell’energia (stati quantici) fu direttamente confermata dalle esperienze di J. Franck e G. Hertz (1914), le quali provarono pure l’esattezza dell’ipotesi c) sulla frequenza emessa. La teoria di Bohr-Sommerfeld, accettando in parte le conseguenze delle leggi classiche della meccanica e dell’elettromagnetismo e in parte respingendole, assumeva il carattere di una provvisoria teoria di compromesso, ciò che non le impedì di dare in vari campi, specialmente in spettroscopia, notevolissimi risultati.
Questa situazione critica fu superata, a partire dal 1925, per opera di W. Heinseberg, L. de Broglie, E. Schrödinger e di altri, nell’ambito della nuova meccanica quantistica. Questa teoria sostituì ai postulati provvisori, e parzialmente contraddittori, che erano a base delle precedenti teorie, un sistema di principi logicamente coerenti, fornendo nuovi e potenti algoritmi e risolvendo con una profonda critica dei principi il contrasto fra teoria ondulatoria e teoria corpuscolare della radiazione elettromagnetica.
Denominazione, introdotta da M. Planck nel 1900, della carica elettrica dell’elettrone, detta anche carica elementare, della quale tutte le cariche libere presenti in natura sono, a parte il segno, multipli interi. Si precisa cariche libere, perché confinati all’interno degli adroni si osservano costituenti con valori assoluti della carica elettrica che sono frazioni (1/3, 2/3) del valore assoluto della carica dell’elettrone (➔ quark).