Caratteristica fondamentale dei corpi elettrizzati, indicata anche con il nome di quantità di elettricità. Un corpo si dice elettrizzato se esso possiede una carica elettrica, distribuita in punti particolari di esso. La circostanza sperimentale che due corpi elettrizzati o si attraggono o si respingono (v. .) porta a supporre l’esistenza di due diverse specie di carica, nel passato indicate rispettivamente con le qualifiche di vetrosa e resinosa (in quanto, la prima caratteristica del vetro, la seconda caratteristica dell’ambra, elettrizzati) e oggi con quelle di positiva e negativa. Due corpi elettrizzati si respingono oppure si attirano a seconda che posseggano cariche della stessa specie oppure di specie diversa; l’entità di tali azioni, nel caso che i corpi abbiano dimensioni piccole rispetto alla mutua distanza (cariche puntiformi) è precisata dalla legge di Coulomb.
Nel Sistema Internazionale (SI) la carica elettrica è una grandezza derivata, e la sua unità di misura è il coulomb (simbolo C), la cui definizione (ampere • secondo) fa capo a quella dell’ampere. In condizioni normali (corpo non elettrizzato) il numero degli elettroni atomici (che hanno carica negativa) presenti in un corpo e la loro distribuzione spaziale sono tali da neutralizzare completamente l’effetto delle cariche positive dei nuclei atomici e viceversa. Il manifestarsi di una carica elettrica in un corpo è dovuto all’aumento o alla diminuzione del numero di elettroni presenti nel corpo stesso (fenomeni di effettiva elettrizzazione) o a una loro non omogenea distribuzione (fenomeni di polarizzazione nei dielettrici e di induzione nei conduttori). Indipendentemente dal particolare fenomeno in virtù del quale un corpo acquista una carica elettrica, questa, in grandezza, si presenta per sua natura come una grandezza quantizzata, suscettibile cioè soltanto di variazioni discontinue, secondo multipli interi di e=−1,6021892∙10−19 C (carica elementare).
Un’altra caratteristica fondamentale della carica elettrica è la sua conservazione: la carica elettrica complessiva posseduta inizialmente da un sistema isolato di corpi partecipanti a un processo fisico qualsiasi è uguale a quella posseduta complessivamente dai corpi al termine del processo. L’azione che una carica elettrica esercita su altre cariche si esprime dicendo che una carica elettrica genera nello spazio circostante un campo di forza che ha il nome di campo elettrico, il quale interagisce con le altre cariche attraverso forze. Il vettore del campo dipende dall’entità della carica e dal modo in cui essa è distribuita nel corpo elettrizzato che la porta: a seconda della distribuzione, si parla di carica concentrate (o localizzate) in punti o distribuite.
Si definisce densità volumica di carica elettrica in un certo punto P il limite ρ cui tende la densità spaziale di carica in un volumetto dV comprendente P al tendere di tale volumetto a zero: ρ(P)=(dQ/dV)P. La densità ρ delle cariche che generano un campo elettrico è pari, punto per punto, alla divergenza del vettore spostamento elettrico: div D=ρ. Nel caso che avvengano fenomeni di polarizzazione dielettrica, nel computo di ρ non entrano le cariche di polarizzazione, da cui l’uso di chiamare cariche libere le cariche che non siano di polarizzazione.
Nel 1909, la prima misurazione diretta della carica elettrica dell'elettrone, cioè la carica elettrica elementare, è stata eseguita da R.A. Millikan che si è servito di un dispositivo costituito da un contenitore connesso a una pompa da vuoto e contenente aria a bassa pressione. All'interno del contenitore usato da Millikan si trovavano due lamine metalliche piane e parallele: la lamina inferiore era connessa elettricamente al recipiente, posto a terra, mentre quella superiore poteva essere portata a un potenziale V regolabile ed era provvista di un foro. In corrispondenza dell'apertura uno spruzzatore d emetteva un getto di goccioline d'olio. Se V è nullo, le goccioline cadono sotto l'azione della forza peso; applicato un certo potenziale V, tra le lamine si stabilisce un campo elettrico uniforme: poiché le goccioline sono elettrizzate negativamente, su di esse, a oltre alla forza, agisce anche la forza del campo elettrico. Prendendo in esame una singola gocciolina, è possibile, variando opportunamente il segno e il valore di V, rallentare a piacere, sino all'arresto, il moto di caduta, e anche invertire tale moto. La velocità delle goccioline si può determinare con l'osservazione al microscopio e, dalle equazioni del moto, si misura la loro carica elettrica. Millikan rilevò che tale carica è sempre un multiplo intero della quantità e che costituisce quindi la carica elettrica elementare.
In teoria dei campi a ogni simmetria della lagrangiana corrisponde una grandezza conservata (➔ conservazione), il cui valore cioè rimane costante nel tempo. Si possono avere simmetrie spazio-temporali oppure simmetrie interne, a seconda che siano connesse a trasformazioni di coordinate (traslazioni, rotazioni ecc.) oppure a trasformazioni che operano su altre variabili (spin isotopico, colore ecc.). A ogni simmetria interna continua della lagrangiana, che descrive le interazioni delle particelle elementari, è associata una carica generalizzata che è appunto il corrispondente numero quantico conservato. Le cariche sono invarianti relativistici, cioè hanno lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimento.
L’esempio più noto è la carica elettrica, la cui conservazione è dovuta all’invarianza per trasformazioni di gauge delle interazioni tra particelle elettricamente cariche. Una seconda proprietà fondamentale della carica elettrica è che tutte le particelle osservabili hanno cariche multiple intere della carica dell’elettrone, mentre le cariche dei quark sono 2/3 oppure −1/3 di questa unità fondamentale. Per es., dalla apparente neutralità della materia segue che le cariche del protone e dell’elettrone sono uguali in valore assoluto almeno entro una parte su 1020. L’origine teorica di questa proprietà di quantizzazione non è stata compresa. Sviluppi successivi della teoria suggeriscono però una relazione diretta tra il fattore 1/3 per le cariche dei quark e l’esistenza di tre colori per ogni specie (sapore) di quark. Dalla spiegazione del rapporto tra le cariche dei quark e dei leptoni segue poi in generale la quantizzazione della carica in quanto gli adroni sono composti di quark.
Le sole cariche la cui conservazione esatta è compatibile con tutti i dati attualmente disponibili sono, oltre alla carica elettrica, le 8 cariche di colore, il numero barionico, il numero leptonico totale e anche separatamente per le tre famiglie di leptoni finora note: (νe, e–), (νμ, μ−), (ντ, τ−). Il numero barionico è una carica additiva, opposta per particelle e antiparticelle, che vale 1/3 per i quark e 1 per i barioni (adroni di spin semintero) come il protone, il neutrone, gli iperoni. Il numero leptonico elettronico è anch’esso additivo e vale +1 per νe ed e−, −1 per ν̄e ed e+ e analogamente per le altre famiglie. Mentre la conservazione del colore è un’ottima ipotesi di lavoro, ma ancora assai indirettamente fondata sui dati sperimentali, la conservazione dei numeri barionico e leptonico è valida entro limiti assai stringenti. Per es., la vita media del protone, che essendo il barione più leggero non può decadere se il numero barionico è conservato, risulta essere maggiore di circa 1032 anni. Tuttavia le vedute teoriche più moderne tendono a considerare la conservazione assoluta dei numeri barionico e leptonico come assai meno fondata della conservazione della carica elettrica. Infatti mentre quest’ultima è suffragata dall’esistenza di una particella a massa nulla (fotone), tipica di una simmetria di gauge esatta, questo non è il caso per le altre cariche sopra menzionate. Ricordiamo che da misure dirette sulle eventuali deviazioni dall’andamento come 1/r del potenziale coulombiano segue che la massa del fotone è di certo inferiore a 10−21me dove me è la massa dell’elettrone.
L’insieme delle cariche elettriche libere e di polarizzazione presenti in un dielettrico.
La carica elettrica che si manifesta sulla superficie di un conduttore esposto all’azione di un campo elettrico (➔ induzione).
La carica elettrica distribuita in un dielettrico che, sotto l’azione di un campo elettrico, si polarizzi; la densità δ′ di tale risulta legata all’intensità di polarizzazione, P, dalla relazione div P=−ρ′ (➔ dielettrico).
Qualifica che si dà alle cariche elettriche possedute intrinsecamente da un corpo per distinguerle da quelle che nel corpo possono eventualmente destarsi per influenza di altri corpi elettrizzati.
La carica portata da un corpo le cui dimensioni lineari siano molto piccole rispetto a ogni altra lunghezza che compare nel problema in esame.
Genericamente, carica elettrica distribuita, uniformemente o no, in un volume. Con significato specifico: a) nei fenomeni di conduzione elettrica negli aeriformi, quella che si ha in una regione dove si accumulino portatori di carica positiva o negativa; b) nei tubi elettronici, carica negativa costituita da un accumulo di elettroni (termo- o fotoelettroni) in vicinanza del catodo.
Per una particella dotata di carica elettrica, rapporto tra la carica elettrica e la massa (in quiete). Particolare importanza ha la carica specifica dell’elettrone, che risulta pari a 1,760∙1011 coulomb/kg.
Carica elettrica distribuita, uniformemente o no, su una superficie.
Qualifica che si dà alle cariche elettriche che non siano cariche di polarizzazione.
Dispositivi ad accoppiamento di carica Strutture a semiconduttori, dette anche CCD (Charge Coupled Device), in cui cariche minoritarie, eccedenti la concentrazione all’equilibrio termico e generate da un segnale esterno, vengono trasportate all’interno di una buca di potenziale mobile; buca che costituisce il mezzo di trasporto del segnale utile attraverso il semiconduttore. Il trasporto della carica avviene lungo una zona delimitata da un opportuno drogaggio e mediante una trama di elettrodi il cui potenziale elettrico varia nel tempo in modo da generare, nella suddetta zona, la configurazione di potenziale a buche mobili. In definitiva, i dispositivi in questione effettuano la manipolazione del segnale in forma di pacchetti di carica elettrica. I CCD si avvalgono di tecniche di fabbricazione molto semplici, che consentono la realizzazione di un elevato numero di dispositivi per unità di superficie. Risultano, inoltre, molto affidabili, a basso consumo e consentono elaborazioni, a basso rumore, di segnali analogici. Vengono impiegati per realizzare sensori d’immagini con definizione, prestazioni dinamiche e lineari particolarmente elevate: in essi la generazione di pacchetti di carica avviene per effetto fotoelettrico. Consentono inoltre di realizzare amplificatori (in congiunzione a strutture MOS) a basso rumore, linee di ritardo, filtri analogici, registri di scorrimento analogici.
È definita carica sia la quantità di esplosivo, ben determinata, che viene introdotta (generalmente contenuta in un bossolo) in un’arma da fuoco e la cui esplosione serve a imprimere al proietto la voluta velocità (carica di lancio), sia l’esplosivo posto nell’interno del proietto e che lo fa scoppiare al momento voluto (carica di scoppio). La carica di lancio è prevalentemente composta da polveri a doppia base (nitroglicerina e nitrocellulosa). Nelle carica di scoppio gli esplosivi (per es., tritolo) possono essere fusi e colati direttamente dentro il proietto, oppure fusi preventivamente in apposite forme che si adattano alla cavità interna del proietto. Una carica speciale, di elevata capacità perforante, è la carica cava, realizzata ricavando una cavità nella massa di esplosivo. La cavità è generalmente a profilo conico: allo scoppio dell’esplosivo, provocato dall’innesco, la concentrazione dell’onda esplosiva nella cavità genera lungo l’asse del cono un getto di gas ad altissime pressione e temperatura, tale da perforare anche corazzature molto spesse. Tale effetto, noto come effetto Munroe, viene utilizzato nei proiettili anticarro, in particolare in quelli a razzo.
Per carica s’intende anche l’insieme degli elementi che compongono un colpo d’arma da fuoco (capsula, bossolo, esplosivo, proietto).
Si intende per carica anche il movimento impetuoso compiuto da truppe a cavallo, quale supremo sforzo per sopraffare il nemico; anche l’ultima fase dell’assalto, alla baionetta, di truppe a piedi. La carica a cavallo si è fatta sempre più rara con la graduale scomparsa della cavalleria stessa; anche la carica a piedi tende a scomparire per l'adozione di armi automatiche a ritmo di fuoco molto elevato, che la rendono di esecuzione sempre più difficile.