(o asteroidi) Piccoli corpi solidi, orbitanti intorno al Sole, per la maggior parte in una regione detta fascia degli asteroidi compresa fra le orbite di Marte e di Giove. I p. catalogati sono circa 4000, ma certamente essi sono assai più numerosi. Nessun p. è visibile a occhio nudo: i più brillanti, Vesta e Cerere, hanno magnitudini (quando si trovano in opposizione) rispettivamente 6,5 e 7,4.
Intorno al 1800, J. Schröter e altri 5 astronomi tedeschi iniziarono una campagna di osservazioni per individuare il cosiddetto pianeta mancante che, secondo la legge empirica di Titius e Bode, avrebbe dovuto trovarsi fra Marte e Giove, a una distanza dal Sole di 2,8 UA. Tuttavia, il gruppo di Schröter fu preceduto da G. Piazzi, che il 1° gennaio 1801 scoprì casualmente Cerere, proprio alla distanza prevista da Titius e Bode. Le piccole dimensioni di Cerere incoraggiarono gli astronomi tedeschi a proseguire nella loro ricerca che, nel giro di alcuni anni, condusse all’identificazione di altri tre asteroidi: Pallade (H.W. Olbers, 1802), Giunone (K.L. Harding, 1804) e Vesta (H.W. Olbers, 1807). Il quinto asteroide venne individuato solo nel 1845 (Astrea, a opera di K.L. Hencke). Nel 1890 si conoscevano già 30 pianetini. In seguito, con l’introduzione della fotografia astronomica, le nuove scoperte si susseguirono a un ritmo assai più rapido; nel 1923 venne individuato il millesimo p., al quale, in onore di Piazzi, fu dato il nome di Piazzia.
Appena scoperto, un nuovo asteroide si indica con una sigla del tipo 2009 AD (dove 2009 è l’anno della prima osservazione). Soltanto quando la sua orbita è stata determinata con precisione, esso viene catalogato ufficialmente e gli si assegna la denominazione definitiva, che consiste di un numero d’ordine seguito da un nome: per es., 1 Cerere, 1000 Piazzia, 2410 Morrison. Va notato che sono stati osservati assai più p. di quanti ne siano stati catalogati: nel 1983, per es., il satellite astronomico IRAS ne ha rivelati migliaia dalla loro emissione infrarossa, senza, però, poterne determinare l’orbita.
Le determinazioni più accurate delle dimensioni di un asteroide si ottengono sfruttando il passaggio di una stella dietro il suo disco (➔ occultazione): dalla durata delle eclissi, osservate da luoghi diversi della Terra e, quindi, da angoli di vista differenti, si ricavano i diametri di varie sezioni del corpo, che permettono poi di ricostruirne la forma. Le occultazioni, però, sono eventi piuttosto rari, sicché con questo procedimento si è riusciti a studiare soltanto una decina di oggetti. Informazioni importanti, per molti asteroidi, sono state ottenute misurando la loro luminosità sia nel visibile che nell’infrarosso: la prima rappresenta la frazione della luce solare riflessa dal corpo; la seconda, la sua emissione termica. Nella fig. 1 sono considerati due p., situati alla medesima distanza dal Sole: uno grande, ma avente una superficie scura, l’altro piccolo, ma con una superficie brillante. Entrambi riflettono complessivamente una stessa quantità di luce solare, sicché nel visibile appaiono ugualmente luminosi. Tuttavia, il p. più grande, a causa della maggiore estensione della sua superficie e della temperatura più elevata (dovuta a un assorbimento più efficiente della radiazione solare), ha un’emissione termica più intensa, sicché nell’infrarosso appare più luminoso. Si comprende, allora, come il confronto fra l’intensità della radiazione riflessa e quella della radiazione emessa permetta di stimare sia le dimensioni del corpo sia la riflettività media (albedo) della sua superficie. Alla conoscenza dei p. hanno dato un contributo assai rilevante le missioni spaziali; il primo asteroide a essere fotografato in maniera ravvicinata fu 951 Gaspra grazie alla sonda Galileo che, nel suo viaggio verso Giove, passò a una distanza di soli 1600 km dal pianetino.
La fig. 2 mostra la distribuzione delle distanze medie dal Sole dei pianetini. Si nota che quasi tutti hanno orbite comprese fra quelle di Marte e di Giove. La massima concentrazione si ha fra 2,2 e 3,3 UA dal Sole, nella fascia degli asteroidi. Entro questa fascia, le orbite dei p. non sono distribuite uniformemente: nella figura si distinguono dei ‘vuoti’ che, dal nome del loro scopritore, prendono il nome di lacune di Kirkwood. Tali lacune corrispondono, secondo la III legge di Keplero, a periodi orbitali che stanno in determinati rapporti (per es., 4/1, 3/1, 5/2) con quello di Giove. Si pensa che la mancanza di p. su queste orbite sia dovuta agli effetti perturbativi del campo gravitazionale di Giove. Infatti, se l’asteroide si trova in uno stato di risonanza col moto di Giove (per es., percorre tre orbite mentre Giove ne percorre una), esso viene a trovarsi, a intervalli regolari di tempo, in un’identica posizione rispetto al pianeta: ne consegue che le perturbazioni prodotte dall’attrazione gravitazionale di questo si sommano l’una all’altra, allontanando progressivamente il p. dalla sua orbita originaria. D’altra parte, in certe situazioni, una risonanza con Giove può produrre effetti opposti: nella figura si nota, per es., che il gruppo di asteroidi Hilda si addensa intorno all’orbita il cui periodo è il rapporto 3/2 con quello di Giove. Le ragioni per cui in alcuni casi le risonanze tendano a vuotare le orbite e in altri a riempirle sono tuttora oggetto di studio. Un’altra caratteristica dinamica interessante degli asteroidi è che molti di essi (quasi la metà) possono essere raggruppati in famiglie, che presentano elementi orbitali molto simili fra loro. Si conoscono almeno una quarantina di questi gruppi, detti famiglie di Hirayama, dal nome dell’astronomo giapponese che negli anni 1920 individuò le prime di esse. Le tre famiglie più numerose, che da sole comprendono il 10% di tutti i p. noti, sono quelle di Coronos, Eos e Themis (così chiamate dal nome del loro membro principale). Si pensa che i p. appartenenti a una stessa famiglia abbiano anche una medesima origine. Nella fig. 2 si distinguono tre gruppi di asteroidi all’interno dell’orbita di Marte: gli Aten, gli Apollo e gli Amor. Gli Aten si trovano di solito entro l’orbita della Terra (anche se occasionalmente possono attraversarla); gli Apollo, le cui orbite sono proprio a cavallo di quella terrestre, sono i corpi celesti che, dopo la Luna, si avvicinano di più al nostro pianeta (essi vengono perciò anche detti Earth approaching asteroids, asteroidi che si avvicinano alla Terra); gli Amor si trovano, invece, all’esterno dell’orbita della Terra e frequentemente attraversano quella di Marte. Il moto dei p. Apollo e Aten è fortemente perturbato dai campi gravitazionali di Marte, della Terra e di Venere: si è calcolato che essi possano sopravvivere, in media, soltanto per ∼100 milioni di anni, prima di essere catturati da un pianeta o venire da questo espulsi verso regioni più lontane dal Sole. Dal momento che il Sistema solare esiste da 4,6 miliardi di anni, bisogna pensare che vi sia qualche meccanismo che immetta sempre nuovi p. sulle orbite più interne, che altrimenti rapidamente si svuoterebbero. All’esterno della fascia principale degli asteroidi, si trovano le famiglie di Hilda, di Thule e dei Troiani. In generale, le orbite dei p. non si discostano molto dal piano dell’eclittica: la loro inclinazione media è ∼10°. Le eccentricità delle orbite, per la gran maggioranza dei p., sono inferiori a ε=0,3.
L’asteroide più grande è Cerere, con un diametro di 914 km; altri due (Pallade e Vesta) hanno diametri maggiori di 500 km. Al diminuire delle dimensioni, aumenta rapidamente il numero dei p.: vi sono, per esempio, 13 p. con diametro maggiore o uguale a 250 km (elencati nella tab. 1), 25 con diametro maggiore di 200 km, qualche centinaio con diametro maggiore di 100 km. Più incerto è il numero dei p. più piccoli, molti dei quali fino a oggi sono sfuggiti alle osservazioni. La distribuzione delle dimensioni dei p. viene interpretata come il risultato della progressiva frammentazione di questi corpi a causa delle collisioni. Gli urti fra i p. sono oggi piuttosto rari (si calcola che ne avvenga uno ogni ∼100.000 anni), ma dovevano essere assai più frequenti nel passato, quando la fascia asteroidale era più densamente popolata.
Misure dirette della forma dei p. sono state possibili in pochi casi. Fra questi, 433 Eros (un p. del gruppo Apollo che si è avvicinato molto alla Terra) e 951 Gaspra (esplorato recentemente dalla sonda Galileo): è risultato che il primo ha dimensioni 7×19×30 km e il secondo 9×11×17 km. Per molti altri p., la forma è stata ricostruita attraverso l’analisi delle curve di luce. È risultato che, in generale, i p. hanno forme allungate ed irregolari. Soltanto Cerere è, come i pianeti maggiori, praticamente sferico. Ciò è dovuto al fatto che in un corpo roccioso, avente un diametro maggiore di 600 km, la pressione nella zona centrale è così elevata da deformare i materiali finché la superficie esterna assume (in assenza di rotazione) la forma sferica (➔ pianeta). In accordo con questa proprietà dei corpi planetari, gli asteroidi più piccoli sono quelli che tendono a presentare le deviazioni più forti dalla sfericità. I periodi di rotazione degli asteroidi variano fra poco più di 2 ore a qualche giorno. I due p. che ruotano più rapidamente sono 1556 Icaro (2h 16′) e 321 Florentina (2h 52′). Nessun p. ha un periodo di rotazione minore di 2 ore: un oggetto in rotazione più rapida non riuscirebbe a trattenere, a causa della forza centrifuga, i detriti che si trovassero sulla sua superficie.
I p. vengono distinti in varie classi, a seconda della loro albedo e delle caratteristiche spettrali della luce solare riflessa. Usualmente si definiscono 7 classi, denominate con le lettere E, V, S, M, C, P e D (tab. 2). Le due classi di p. più numerose sono la C e la S, che raggruppano rispettivamente ∼70% e ∼15% dell’intera popolazione asteroidale. I p. di classe C sono molto oscuri (albedo fra 2% e 7%) e hanno spettri simili a quelli delle condriti carbonacee (la C proviene da carbonaceo). I p. di classe S hanno riflettività più elevate (fra 7% e 23%) e spettri che rivelano la presenza di silicati (da cui la S). È dubbia la loro associazione con qualche tipo di meteoriti primitive (condriti). La distribuzione spaziale dei p. delle varie classi ha un andamento caratteristico (fig. 3): sul bordo interno della fascia asteroidale si concentrano i p. E; poco oltre gli S; al centro della fascia, gli M; i C sono dominanti sia nella zona intermedia che in quella esterna; sul bordo esterno e al di fuori della fascia principale si trovano, infine, i p. P e D. In breve, si può dire che i p. con albedo più elevata si trovino prevalentemente nella regione interna, quelli più oscuri nella regione esterna.