L’insieme dei corpi che rientrano nella zona di influenza gravitazionale del Sole. È formato dal Sole, dagli 8 pianeti principali (in ordine di distanza dal Sole: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno) e dai loro satelliti, da Plutone (dal 2006 classificato dalla Unione Astronomica Internazionale pianeta nano), dagli asteroidi (o pianetini), dalle comete, da una miriade di corpi piccoli e piccolissimi (meteoroidi, polvere) e da materia gassosa diffusa (vento solare.). Il Sistema s. non termina all’orbita del pianeta più lontano: infatti, il vento s. permea una cavità (l’eliosfera), che si estende fino a distanze di 100-1000 UA (unità astronomiche) dal Sole, mentre le comete si addensano nella nube di Oort, un guscio sferico, con centro nel Sole e raggio di ≃50.000 UA. Le dimensioni del Sistema s. sono dunque dell’ordine di 1/20 della distanza che separa il Sole dalla stella più vicina (Proxima Centauri).
Il sistema geocentrico. Le prime cosmologie di cui si ha testimonianza, e tra queste la babilonese, la egizia e la indiana, pur dominate da motivi mistici e mitologici, si limitarono a modellare l’Universo secondo l’ambiente terrestre in cui viveva l’uomo, che seguiva i fatti astronomici più direttamente accessibili alla sua percezione: l’avvicendarsi del giorno e della notte, il ripresentarsi delle stagioni ecc. La civiltà, più razionale e nello stesso tempo più speculativa, dei Greci cominciò a rappresentare l’Universo, almeno fin dalla metà del 6° sec. a.C., secondo schemi più armoniosi e geometrici, ma il punto di vista rimase sempre antropocentrico e, salvo rare eccezioni, tutti i modelli cosmologici elaborati furono strettamente geocentrici. A motivo delle numerose argomentazioni raccolte, che portarono a riconoscere la sfericità della Terra, ma anche per una tendenza, culminata con Platone, a ricercare nella natura un ordine matematico, tutto l’Universo fu strutturato secondo strati sferici concentrici, in moto di rotazione intorno alla Terra, immobile, situata al centro. Sulla sfera più esterna erano collocate le stelle fisse, mentre i pianeti, secondo il loro periodo orbitale decrescente, erano collocati su sfere via via più interne. Per la successione Sole, Mercurio e Venere, che hanno pressoché uguale periodo orbitale relativamente alla Terra, ci fu spesso un’indeterminazione nell’ordinamento da adottare. Lo schema più comune, che si ritrova anche nell’Almagesto di Tolomeo, fu: Sole, Venere e Mercurio.
Le irregolarità apparenti osservate nei moti dei pianeti, mal si inquadravano però in un modello geometrico così semplice, cosicché fu necessario ricorrere a un più complesso sistema di sfere, che trovò una sistemazione organica con la teoria delle sfere omocentriche di Eudosso (prima metà del 4° sec. a.C.), il quale considerava il sistema delle sfere omocentriche più come un modello geometrico che come una realtà fisica. Un cambiamento di prospettiva si ebbe con Aristotele, che a questo sistema attribuì un significato fisico. Materializzando le sfere, Aristotele fu condotto a supporre che i vari gruppi non fossero fra loro indipendenti, ma che i poli di ciascuna sfera fossero fissati sulla superficie di quella immediatamente più esterna. I movimenti delle sfere più esterne si trasmettevano quindi a tutte le sfere sottostanti e non soltanto a quelle dello stesso gruppo. Ciò introdusse un’ulteriore complicazione nella teoria, tanto che Aristotele, per descrivere correttamente il moto dei pianeti, ebbe alla fine bisogno di 56 sfere.
Il sistema eliocentrico di Aristarco. La macchinosità della teoria delle sfere omocentriche spinse alcuni filosofi a sviluppare sistemi che si collocavano al di fuori della corrente culturale dominante. In particolare Aristarco (3° sec. a.C.) propose che tutti i pianeti, e la Terra stessa, ruotassero intorno al Sole, posto al centro dell’Universo (sistema eliocentrico). Intorno alla Terra avrebbe orbitato soltanto un satellite, la Luna. Aristarco si rese anche conto che la Terra doveva essere dotata di due tipi di movimento: il moto di rivoluzione intorno al Sole e una rotazione (con un periodo di 24 ore) intorno a un asse inclinato rispetto al piano della rivoluzione annuale. Con la sua teoria, Aristarco non soltanto descriveva in modo assai semplice il moto dei pianeti, ma spiegava perché il loro splendore, come si era osservato, non fosse costante: infatti, il sistema eliocentrico, diversamente da quello delle sfere omocentriche, faceva prevedere che, nel corso dell’anno, variasse la distanza dei pianeti dalla Terra e, di conseguenza, la loro luminosità apparente.
Nonostante la sua indubbia superiorità, il sistema eliocentrico di Aristarco incontrò forti opposizioni nel mondo scientifico greco e finì con l’essere abbandonato.
Il sistema tolemaico. D’altra parte, il sistema geocentrico trovò, a opera di Ipparco (2° sec. a.C.) e Tolomeo (2° sec. d.C.), una migliore formulazione, che riusciva anche a spiegare le apparenti variazioni di luminosità dei pianeti. La nuova teoria, detta sistema tolemaico, abbandonava il dogma aristotelico, secondo cui la Terra doveva trovarsi esattamente al centro delle orbite di tutti i corpi celesti. Si supponeva che ogni pianeta (fig. 1) descrivesse in un anno un’orbita circolare E (epiciclo), il cui centro C si spostava, a sua volta, su un’altra circonferenza D (deferente), leggermente eccentrica rispetto alla Terra.
Dopo Tolomeo, per molti secoli non fu compiuto alcun progresso: anzi, con il decadere della civiltà greca e la distruzione della biblioteca di Alessandria, la concezione tolemaica cadde nell’oblio e fu soltanto tra il 12° e il 13° sec. che essa fu riportata alla luce, attraverso traduzioni arabe.
Il sistema copernicano. Gli studi astronomici rifiorirono nel Rinascimento. Nel 1543, N. Copernico pubblicò il De revolutionibus orbium coelestium, nel quale, probabilmente traendo ispirazione dall’antica idea di Aristarco, propose il suo nuovo sistema eliocentrico (fig. 2). Il sistema copernicano offriva, dunque, un duplice vantaggio: da una parte, sostituiva gli epicicli di tutti i pianeti con una sola orbita, quella della Terra; dall’altra, permetteva di stimare le dimensioni relative delle orbite, che rimanevano indeterminate nel sistema tolemaico.
Le osservazioni sistematiche e assai accurate dei moti planetari, compiute da T. Brahe, permisero a Keplero di stabilire che le orbite dei pianeti erano ellittiche e non circolari, come pensava Copernico, e di formulare le famose tre leggi che portano il suo nome (➔ Kepler, Johannes). Intanto, importanti prove a sostegno del sistema eliocentrico venivano raccolte da G. Galilei con il telescopio: fra le principali, la scoperta delle fasi di Venere e quella dei quattro satelliti maggiori di Giove (che contraddiceva la teoria tolemaica secondo cui qualsiasi corpo celeste avrebbe dovuto orbitare intorno alla Terra). La conferma definitiva del sistema copernicano venne il 7 novembre 1631, quando P. Gassendi osservò il transito di Mercurio sul disco solare, in perfetto accordo con le previsioni fatte alcuni anni prima da Keplero. Verso la fine del 17° sec., I. Newton, con la scoperta della legge di gravitazione universale, poté spiegare le leggi di Keplero e aprì la via alla meccanica celeste.
Il Sistema s. presenta un certo numero di caratteristiche, delle quali deve tener conto qualsiasi teoria che voglia fornire una spiegazione plausibile della sua origine: a) il Sole ha una massa quasi 1000 volte maggiore di quella complessiva di tutti gli altri corpi che costituiscono il sistema. La massa residua è per la massima parte concentrata nei 4 grandi pianeti esterni (Giove, Saturno, Urano e Nettuno); i pianeti interni (Mercurio, Venere, Terra e Marte) hanno una massa circa 100 volte più piccola; b) i pianeti interni e i pianeti esterni hanno composizioni chimiche assai diverse: i primi sono formati soprattutto da silicati e metalli, i secondi da ghiaccio e dagli elementi più leggeri (idrogeno ed elio); c) le orbite di tutti i pianeti giacciono approssimativamente in uno stesso piano, che può essere identificato con l’eclittica. Le deviazioni più notevoli si verificano per Plutone e per Mercurio, le cui orbite sono inclinate rispettivamente di ≃17° e ≃7° rispetto a tale piano; d) le orbite dei pianeti si discostano poco dalla forma circolare: le più ellittiche sono quelle di Plutone e di Mercurio, le cui eccentricità sono rispettivamente ε=0,248 e ε=0,206; e) tutti i pianeti percorrono le loro orbite in un medesimo senso: quello antiorario (chiamato diretto), se si guarda il Sistema s. dal polo nord eclittico. Anche i satelliti, salvo poche eccezioni, si muovono intorno ai pianeti in senso diretto; f) gli assi di rotazione dei pianeti e del Sole sono all’incirca perpendicolari all’eclittica: l’unica eccezione è Urano, il cui asse forma con il piano dell’orbita un angolo di ≃8°; g) il senso di rotazione dei pianeti e del Sole è diretto: fanno eccezione soltanto Urano e Venere, che ruotano in senso orario (retrogrado); h) il Sole ha un momento angolare che è poco più dell’1% di quello complessivamente posseduto dai pianeti. Il suo moto di rotazione è, dunque, relativamente lento: se tutto il momento angolare del Sistema s. fosse concentrato nel Sole, esso ruoterebbe con un periodo di ∼12 ore (invece che di circa 25 giorni).
Le attuali teorie dell’origine del Sistema s. riprendono, sia pure in una forma assai diversa, l’ipotesi formulata verso la fine del 18° sec. da P.S. Laplace di un’origine derivante da una nube rotante di gas e polvere che, raffreddandosi progressivamente, si contrae per effetto della forza di gravità (fig. 3).
Fin dagli anni 1960, gli astrofisici teorici hanno suggerito che le stelle traessero origine da nubi di gas e polvere. La prima conferma di questa aspettativa venne nel 1966, quando l’astronomo messicano E.E. Mendoza individuò una nebulosa (R Monoceros) che verosimilmente inviluppava una stella in formazione. La stella, racchiusa nella nebulosa, non era direttamente visibile, perché la sua luce era assorbita dalle polveri circostanti: tuttavia, la sua presenza era rivelata dalla radiazione infrarossa emessa dalla polvere da essa riscaldata. Le ricerche successive hanno condotto a scoprire parecchi altri oggetti simili (➔ stella).
La nube che diede origine al Sistema s. ruotava lentamente su sé stessa e consisteva, come il Sole attuale, soprattutto di idrogeno ed elio, con una piccola frazione (∼2%) di elementi più pesanti. A un certo punto (∼4,6 miliardi di anni fa) la nube cominciò a contrarsi sotto l’azione della forza attrattiva gravitazionale. Non è chiaro se questo fenomeno (collasso gravitazionale) si sviluppò nella nube per effetto di una instabilità creatasi nel suo interno (una aggregazione casuale di materia che cominciò ad attirare altre particelle, ingrossandosi sempre più), o se invece esso sia stato innescato da un evento esterno. Alcuni astrofisici invocano l’onda d’urto generata in una esplosione di supernova, che avrebbe provocato una compressione della nube, favorendone il collasso gravitazionale.
Quando la nube divenne più piccola, si verificarono tre fenomeni: la sua velocità di rotazione aumentò; essa cominciò ad appiattirsi, assumendo la forma di un disco; la sua temperatura subì un forte aumento, soprattutto nella regione centrale. Il primo effetto fu una conseguenza della legge di conservazione del momento angolare in un sistema isolato. Il secondo conseguì dall’aumento della velocità di rotazione. Il riscaldamento fu prodotto dalla conversione di energia gravitazionale in energia termica e risultò più marcato al centro della nube che, essendo schermato dalla polvere circostante, irradiava energia nello spazio meno efficientemente. Dalla condensazione del nucleo centrale della nube si sviluppò il Sole. Il materiale residuo formò la nebulosa solare, che diede origine ai pianeti e ai corpi minori del Sistema solare.
Il fatto che nel Sole sia concentrata quasi l’intera massa del Sistema s. dipenderebbe dal fatto che gran parte del materiale che in origine costituiva la nebulosa solare (stimato ad almeno 1/5 della massa del Sole), venne disperso nello spazio da un violento ‘vento’ di gas ionizzato emanato dal Sole nelle prime fasi della sua vita. A questo vento, che era permeato dal campo magnetico solare, si attribuisce anche il frenamento della rotazione del Sole, e quindi il suo attuale piccolo momento angolare. La distribuzione delle masse fra pianeti interni ed esterni e la loro diversa composizione chimica dipenderebbero dalla temperatura della nebulosa, che era più elevata nelle vicinanze del Sole che non in periferia. Le caratteristiche dinamiche dei pianeti (senso coerente dei loro moti di rivoluzione e di rotazione, orbite quasi circolari e poco inclinate rispetto al piano equatoriale del Sole) sarebbero spiegate dalla rotazione originaria della nebulosa e dal suo progressivo appiattimento causato dall’aumento della velocità di rotazione e dalle collisioni fra le particelle.