Universo In astronomia, l’insieme dei corpi celesti (pianeti, stelle, galassie, polveri e gas diffusi) che circonda la Terra. Lo studio astronomico dell’U. fisico si propone di fornire un quadro descrittivo e interpretativo della sua struttura spaziale e della sua evoluzione temporale. La branca della scienza che si occupa di tale studio, la cosmologia (➔), si avvale sia delle osservazioni astronomiche, quali, per es., le posizioni e le intensità di irraggiamento luminoso delle galassie, sia dei principi fisici desunti da esperimenti di laboratorio e da induzioni matematiche.
Il termine U. ha avuto nella storia dell’umanità diversi significati nelle diverse epoche. Fino a Galileo, l’U. coincideva con il Sistema solare: i cinque pianeti allora noti, la Luna, il Sole, e le stelle fisse sulla volta celeste, a distanza ignota. La prima indicazione dell’esistenza di un sistema stellare complesso si ebbe nel 1610, quando Galileo, puntando il suo cannocchiale verso la Via Lattea, notò che quella debole luminosità lattescente era in realtà composta da una miriade di stelle. Già verso la fine del 18° sec., T. Wright e il filosofo tedesco I. Kant descrissero la nostra galassia come un disco di stelle, nel quale il Sole avrebbe occupato una posizione centrale. Sulla base di pure speculazioni filosofiche, Kant inoltre profetizzò che le nebulose visibili nel cielo notturno fossero altrettante universi-isole simili alla nostra galassia.
Nel 1838 F.A. Bessel determinò la distanza della stella 61 Cigni (➔ distanza), facendo compiere alle dimensioni dell’U. conosciuto un balzo di molti ordini di grandezza. Negli anni seguenti, l’astronomo William Herschel e suo figlio John identificarono correttamente e definitivamente la Via Lattea come un sistema stellare appiattito e delimitato. Fino ai primi anni del 20° sec., le dimensioni della Via Lattea e la stessa posizione del Sole erano però grossolanamente errate, poiché gli astronomi non tenevano alcun conto dell’estinzione della luce stellare causata dalla polvere galattica. Fu solo con i lavori di H.D. Curtis, H. Shapley, B. Lindblad e soprattutto E.P. Hubble, sul finire degli anni 1920, che le dimensioni della Via Lattea e la natura extragalattica di molte nebulose vennero finalmente chiarite.
La data di nascita della moderna cosmologia si può forse far risalire al 1936, anno di pubblicazione del fondamentale lavoro di Hubble, The realm of Nebulae, con il quale veniva finalmente stabilito, grazie al nuovo e potente telescopio di 2,5 m di Mount Wilson, il moto recessivo delle galassie e veniva formulata una prima stima delle loro distanze. Sul piano teorico, nel frattempo, i lavori di K. Schwarzschild, A. Eddington, A. Friedmann, G. Lemaître, W. de Sitter, H.P. Robertson, A.G. Walker, R.C. Tolman, e altri, oltre allo stesso A. Einstein, introducevano la relatività generale in cosmologia e astronomia, predicendo tra l’altro l’esistenza dei buchi neri e di un moto globale di espansione della materia cosmica. Veniva inoltre enunciato il fondamentale principio cosmologico di omogeneità e isotropia, secondo cui l’U., a ogni dato istante, appare in media lo stesso a ogni osservatore (E.A. Milne, 1935).
Nel 1946, G. Gamow, dopo i pionieristici lavori di Tolman, formulava l’ipotesi del big-bang (➔), secondo la quale l’U. ebbe inizio da uno stato ad altissima temperatura e densità, nel quale tutti gli atomi, nuclei o altre strutture legate erano scomposti negli elementi costituenti. Nel 1948 Gamow, insieme a R.A. Alpher e H.A. Bethe (dai cui nomi la sigla αβγ attribuita alla teoria), ipotizzava poi correttamente che i nuclei atomici si fossero formati nell’U. caldo primordiale quando la temperatura fosse scesa abbastanza da aver permesso a protoni e neutroni di combinarsi negli elementi stabili. Inoltre, Alpher e R. Herman (1948) predicevano che la radiazione primordiale, raffreddata dall’espansione cosmica, dovesse avere al momento attuale una temperatura intorno a T≃5 K (−268 °C) e la distribuzione spettrale detta di corpo nero. Nel 1964, A. Penzias e R. Wilson, calibrando l’antenna radio di Holmdel, New Jersey, destinata a scopi commerciali, rilevarono un flusso di radiazione a una lunghezza d’onda di 3,2 cm, di provenienza assolutamente isotropa. Il fisico americano R. Dicke prontamente identificò la radiazione rivelata da Penzias e Wilson con il residuo della radiazione primordiale del big-bang. Risultò presto che questa radiazione ha una distribuzione spettrale di corpo nero a T≃3 K. Da allora, la radiazione di fondo cosmico costituisce una delle prove principali della validità dello scenario del big-bang. Il più autorevole rivale, il modello dello stato stazionario di H. Bondi, T. Gold e F. Hoyle, secondo cui l’U. è sempre esistito nella forma in cui lo vediamo oggi, e quindi non ha mai avuto una fase calda, veniva quasi universalmente abbandonato.
Dal 1965 la conoscenza dell’U. fisico ha vissuto una fase di grandi acquisizioni. Sul piano teorico, il modello del big-bang caldo si è confermato come modello standard cosmologico. Nel 1981 A.H. Guth (riprendendo e completando contributi importanti di A. Starobinsky, A. Linde, K. Sato) ha avanzato l’ipotesi dell’inflazione cosmica (➔), una fase di espansione accelerata primordiale capace di moltiplicare le dimensioni dell’U. di almeno 1030 volte in una frazione infinitesima di secondo. Alla fine dell’inflazione, l’energia dell’ipotetico campo che avrebbe guidato l’espansione si sarebbe convertita in altre forme di particelle e radiazione, riscaldando l’U. e innescando le stesse condizioni termodinamiche del big-bang. La teoria dell’inflazione risolve alcuni problemi del modello standard, del quale costituisce un complemento, ed è attualmente lo scenario più accettato tra i cosmologi. Essa, inoltre, spiega soddisfacentemente la generazione delle perturbazioni primordiali. Nel campo osservativo, la realizzazione dei grandi telescopi e radiotelescopi internazionali e l’avvento dell’astronomia da satellite hanno portato alla scoperta e allo studio di nuove classi di oggetti celesti di importanza cosmologica, quali i quasar, le pulsar, le radiogalassie, le sorgenti gamma e X, le lenti gravitazionali.
Le stelle osservabili a occhio nudo appaiono uniformemente distribuite nel cielo. Questa impressione, però, è dovuta unicamente al fatto che a occhio nudo o con piccoli binocoli si possono distinguere solo stelle molto vicine alla Terra, non più lontane di alcune migliaia di anni-luce. In realtà le stelle sono distribuite in un disco di spessore di circa 200 pc (1 pc = 3,26 anni-luce = 3,09∙1013 km), per un diametro di circa 40 kpc, con un rigonfiamento centrale e un nucleo molto denso. Questo insieme, di circa 1011 stelle disposte principalmente su bracci a spirale, e nel quale il Sole occupa una posizione a circa 8,5 kpc dal centro, costituisce la nostra Galassia, la Via Lattea. La forza centrifuga generata dalla rotazione (che raggiunge i 250 km/s nelle zone più esterne) bilancia la forza gravitazionale che attira le stelle verso il nucleo e rende stabile il sistema.
Al di fuori della nostra Galassia si trova a breve distanza una distribuzione approssimativamente sferica di ammassi globulari, sorta di satelliti galattici composti da circa 106 stelle, che delineano il cosiddetto alone galattico. Oltre l’alone, inizia lo sconfinato regno delle galassie. Da alcune centinaia di kiloparsec fino alla massima profondità osservabile con gli attuali strumenti, si trovano infatti miliardi di galassie, separate una dall’altra, in media da pochi megaparsec, di forme, colori, dimensioni e composizione estremamente varie. Molte di esse possiedono geometria simile alla nostra, le galassie spirali (il 60% del totale ca.), a loro volta suddivise in varie sottoclassi; altre sono di forma ellissoidale, senza un disco pronunciato, le galassie ellittiche (15%); altre di forma intermedia, le galassie lenticolari (20%); altre infine mostrano una forma irregolare (5%). Le galassie non sono distribuite in maniera uniforme. La loro disposizione nello spazio è anzi così complessa che tra i compiti centrali della cosmologia c’è proprio quello di delineare la struttura a grande scala dell’Universo. Le galassie appaiono raccolte preferenzialmente in gruppi e ammassi, di forma approssimativamente sferica e di raggio fino a qualche megaparsec, composti da poche unità ad alcune migliaia di galassie. Spesso gli ammassi stessi sono raggruppati in superammassi, strutture irregolari ed estesissime (fino a decine di megaparsec), di forma a volte filamentosa o planare (➔ superammasso). È necessario a questo punto osservare che l’immagine che noi riceviamo oggi di un oggetto lontano risale al momento in cui la luce è stata emessa: l’immagine di una galassia a distanza d (espressa in anni-luce) risale a d anni fa. Noi quindi osserviamo galassie a distanza di, per es., 500 Mpc così come erano circa 1,6 miliardi di anni fa, quando le condizioni di densità, di composizione chimica ecc. erano certamente diverse da oggi.
Non tutta la materia dell’U. è contenuta in stelle. Nella nostra stessa Galassia, e in genere nelle galassie spirali, una frazione non trascurabile di materia è in forma di gas e polvere (mezzo interstellare; ➔ gas). Questa vera e propria atmosfera galattica è il mezzo dal quale si formano nuove stelle, e nel quale le supernove e i venti solari immettono nuovo materiale. Tra i gas principali sono da notare una componente costituita da dense nubi molecolari fredde (idrogeno, monossido di carbonio, e altre molecole); queste, collassando sotto la loro stessa gravità, formano i siti preferenziali di formazione stellare. La componente di idrogeno atomico è ugualmente di notevole importanza dal punto di vista osservativo, poiché emette radiazione a 21 cm, facilmente osservabile dalle antenne radio, e non schermata dalla polvere interstellare.
L’attuale densità dell’U. è estremamente bassa: attorno a 10−30 g/cm3. Le stime della densità media dell’U., e anche della massa, forniscono valori molto maggiori di quelli ottenuti negli anni 1980 sulla base degli oggetti celesti osservati. Diverse evidenze sperimentali, ponendo il problema della massa mancante, fanno ritenere infatti che, all’interno delle galassie e nello spazio intergalattico, sia presente materia oscura, non osservabile in quanto non interagente elettromagneticamente o interagente troppo debolmente (➔ materia). Il problema della massa mancante è cruciale per prevedere quale sarà l’evoluzione dell’Universo. Il modello relativistico dell’U. configura infatti tre scenari (fig. 1). Nel primo l’U. si sviluppa da una singolarità iniziale, espandendosi indefinitamente: è finito nel tempo passato e infinito nel tempo futuro, la curvatura dello spazio è negativa e si ha un U. aperto. Nel secondo tipo, a una prima fase di espansione ne segue una seconda di contrazione che porta l’U. a una situazione analoga a quella di partenza; la curvatura dello spazio è positiva e si ha un U. chiuso, che è finito temporalmente in entrambe le direzioni. Il terzo tipo di U., intermedio tra questi due, è a curvatura nulla (U. piatto) e l’espansione rallenta sempre più al tendere del tempo all’infinito. Ciò che determina il comportamento dell’U. è il valore della densità media della massa (o più precisamente della massa-energia) in esso contenuta: è così possibile definire un valore della densità critica che caratterizza il tipo di U. intermedio. Se la densità è maggiore di quella critica, la gravità è tale da fermare completamente l’espansione e si ha un U. chiuso, mentre se la densità è inferiore si ha un U. aperto. I modelli relativistici dicono che comunque l’U. non è mai uguale a sé stesso: esso è in continuo divenire, espandendosi ed eventualmente contraendosi. Attualmente, sulla base dell’osservazione della radiazione cosmica di fondo nella gamma delle microonde effettuata dal satellite WMAP (Wilkinson microwave anisotropy probe) della NASA, si stima che l’età dell’U. sia 13,73±0,12 miliardi di anni.
I dati osservativi sull’U. provengono quasi interamente dalle onde elettromagnetiche emesse dai corpi celesti che raggiungono la Terra. A seconda della lunghezza d’onda λ nella quale si effettuano le osservazioni, si parla di un’astronomia gamma (λ<10−8 cm), X (10−8 cm<λ<10−6 cm), ultravioletta (10−6 cm<λ<4∙10−5 cm), ottica (4∙10−5 cm<λ<7∙10−5cm), infrarossa (7∙10−5 cm<λ<10−1 cm) o radio (λ>10−1 cm). In generale, un corpo celeste emette a tutte le lunghezze d’onda; nella maggior parte dei casi, però, si ha una emissione preferenziale in una particolare banda, a seconda dei processi fisici che originano l’emissione stessa. Altre informazioni di interesse cosmologico sono state ottenute, spesso soltanto in anni recenti, nelle altre bande elettromagnetiche. Notiamo, in particolare, che le bande gamma, X e ultravioletta (UV) sono osservabili solo fuori dall’atmosfera (e quindi da satelliti, palloni sonda o missili), a causa della relativa opacità dei gas atmosferici a quelle lunghezze d’onda.
La radiazione elettromagnetica non è l’unica forma di energia che proviene dallo spazio cosmico. In anni recenti sono state compiute osservazioni mediante rivelatori di onde gravitazionali, neutrini ecc. Le onde gravitazionali, secondo la teoria della relatività generale, sono prodotte da ogni corpo non sferico (o sistema non sferico di corpi) soggetto a una qualsiasi accelerazione (per es., per collasso, rotazione, interazione con altre masse).
Il successo della teoria del big-bang è dovuto al fatto che essa rappresenta un tentativo in parte riuscito di descrivere l’evoluzione dell’U. dagli istanti iniziali fino a oggi. Nella storia dell’U. esiste una barriera, situata a 10−43 s dal big-bang (tempo di Planck), quando la temperatura era di 1032 K, oltre la quale non siamo in grado di dare una descrizione di ciò che è avvenuto, in quanto non conosciamo la fisica che governa l’U. in queste condizioni estreme. È l’epoca in cui le quattro interazioni fondamentali (forte, debole, elettromagnetica e gravitazionale) devono essere unificate e gli sforzi più avanzati della fisica teorica sono indirizzati proprio a questo problema. L’incompletezza della conoscenza in questa primissima fase impedisce una precisa definizione dell’origine fisica dell’Universo. Per il momento dire che l’U. è iniziato a un tempo t=0 ha solo significato matematico. La storia dell’U. successiva al tempo di Planck viene descritta dividendola in vari periodi, ognuno caratterizzato da condizioni fisiche diverse causate dal fatto che la temperatura e la densità sono in continua diminuzione a causa dell’espansione dell’Universo. La prima fase dell’U., che possiamo osservare direttamente studiando la radiazione cosmica di fondo, è quella in cui ha termine la prevalenza della radiazione sulla materia (nel senso che l’energia della radiazione cessa di prevalere su quella della materia a riposo) per dare origine all’epoca della prevalenza della materia sulla radiazione. È all’inizio di questa epoca, che dura fino al presente, che l’U. da ionizzato diventa neutro, consentendo così la propagazione dei fotoni del fondo cosmico e l’inizio della formazione delle grandi strutture dell’U. e in seno a esse, successivamente, delle galassie.
Fino a circa 300.000 anni dopo il big-bang, l’U. è rimasto a una temperatura così elevata che tutta la materia esistente era ionizzata. L’U. era una palla di fuoco con elettroni, barioni, altre particelle e fotoni in equilibrio termodinamico, opaca alla radiazione elettromagnetica. Ma subito dopo la temperatura si è abbassata sotto i 3000 K, abbastanza da permettere la formazione di idrogeno neutro (ricombinazione), che interagisce con i fotoni molto meno del plasma: i fotoni da allora hanno potuto propagarsi liberamente per circa 13 miliardi di anni, arrivando fino a noi. Questi fotoni costituiscono la radiazione di fondo cosmico che attualmente, a causa dell’espansione dell’U., ha una distribuzione spettrale tipica della radiazione in equilibrio termico alla temperatura di soli 2,73 K. Nello studio della fisica della radiazione di fondo cosmico, alla ricombinazione sono state dedicate numerosissime ricerche. Nel plasma della palla di fuoco primordiale si sono instaurate oscillazioni di densità (analoghe a onde acustiche stazionarie) dovute alla presenza di due azioni contrastanti: quella della gravità tendente ad addensare, e quindi a riscaldare la materia, e quella della pressione di radiazione che, a causa del riscaldamento, aumenta e si oppone a un ulteriore addensamento. Tali oscillazioni hanno avuto luogo nel plasma fintanto che questo non è divenuto neutro alla ricombinazione. Sotto queste condizioni le regioni più dense hanno costituito i ‘germi’ su cui la materia circostante si è andata sempre più addensando, dando luogo alle strutture che hanno successivamente formato galassie e ammassi di galassie. Le regioni più rarefatte, invece, hanno dato origine ai grandi vuoti presenti tra gli ammassi di galassie. Poiché le regioni più dense e calde hanno emesso un maggior numero di fotoni rispetto alle regioni rarefatte e fredde, l’attuale radiazione di fondo cosmico fornisce un quadro dell’U. alla ricombinazione 300.000 anni dopo il big-bang. Da allora in poi, infatti, i fotoni hanno viaggiato indisturbati, conservando l’immagine delle delicate trame delle oscillazioni di densità (oscillazioni acustiche) dell’U. primordiale.
La teoria dell’inflazione, che era stata formulata per superare alcune difficoltà della teoria del big-bang, tende a proporsi come una visione del mondo di ben più larghe proporzioni, dove il big-bang dell’U. è da considerarsi un fenomeno molto limitato. Secondo il fisico russo A. Linde, l’U. inflazionario è un U. che si riproduce, dando luogo a infiniti miniuniversi, a infiniti mini big-bang di cui quello che ha dato origine all’U. è uno dei tanti. Si ritorna in questo modo a un modello di tipo stazionario di durata eterna, entro il quale nascono, si sviluppano e muoiono infiniti Universi. Questa teoria non è priva di fascino; deve tuttavia anche indicare quali sono le basi osservative che costituiscono il fondamento di ogni modello cosmologico. L’idea che possano esistere molti o addirittura infiniti U. allarga enormemente la prospettiva cosmica, e se un giorno quella che è attualmente solo una pura speculazione teorica troverà qualche riscontro nella realtà, saremo di fronte a un ampliamento di orizzonti paragonabile, sul piano filosofico, al passaggio dalla concezione aristotelica dell’U. finito racchiuso entro la sfera delle stelle fisse a quella di un U. infinito, propugnata da G. Bruno. L’insieme di questi U. viene indicato con il termine Multiverso (fig. 2), usato in contrapposizione a U. che indicherebbe una particolare sottocomponente, come è, per es., quella in cui viviamo.