L’insieme degli effetti calorifico e luminoso della combustione, che si manifestano nella fiamma. Il termine ha un uso figurato in fisica e in matematica.
Il possesso del f. è una delle più antiche conquiste dell’uomo, gli ha permesso di colonizzare la terra fornendogli calore per riscaldarsi dal freddo e per la cottura degli alimenti, luce, energia per la lavorazione dei materiali. Lo studio delle società umane da parte degli antropologi ha consentito di documentare varie tecniche di produzione del fuoco: confricazione, percussione, compressione dell’aria. Le prime testimonianze certe di un uso controllato del f. (spessi strati di cenere, carboni, ossa combuste) risalgono al Paleolitico inferiore; esse sono presenti in molti siti eurasiatici, il più antico dei quali è la caverna di Zhoukoudian in Cina abitata da Homo erectus circa 400.000 anni fa. Nel Paleolitico superiore compaiono veri e propri focolari con dispositivi di controllo (aerazione e dissipazione del calore) per la cottura dell’argilla e la manifattura di statuette, delle quali le più celebri sono quelle rinvenute nella Repubblica ceca datate a circa 26.000 anni fa.
Il f. è un naturale componente di alcuni ecosistemi, in cui ha un effetto di regolazione delle popolazioni e del riciclo dei nutrienti. Esso, infatti, separa rapidamente i costituenti dei composti vegetali, restituendo i nutrienti che formano la biomassa vegetale e svolgendo dunque lo stesso ruolo degli organismi decompositori, ma con tempi molto ridotti e in aree in cui l’acqua è un fattore limitante.
La combustione e l’infiammabilità dei composti vegetali dipendono da vari fattori, tra cui le dimensioni del materiale che brucia, la composizione chimica e il tenore di umidità. La capacità di infiammarsi è, infatti, superiore per le foglie rispetto ai rami o ai tronchi, che hanno maggiore dimensione; la presenza di cere, terpeni o grassi, che hanno un notevole potere calorifico, facilita la combustione, mentre la presenza di sali minerali, come la silice, limita la combustione; il tenore di umidità riduce anche in modo molto considerevole l’infiammabilità dei materiali vegetali. È possibile distinguere: un f. di superficie, che consuma la lettiera e la vegetazione erbacea senza alterare il suolo, come nella gariga; un f. di cima, che si propaga da una cima all’altra, tipico delle foreste di conifere, spesso sostenuto anche da un f. di superficie; un f. di suolo, che brucia la materia organica accumulata e che ha effetti drammatici perché distrugge i sistemi sotterranei di rigenerazione dell’ecosistema. Di enorme importanza nella dinamica degli incendi è anche la disposizione spaziale del popolamento vegetale nel suo complesso, che può più o meno favorire la diffusione del fuoco.
Gli ecosistemi soggetti al f. mostrano elevata capacità di ripresa, cioè di resilienza, che permette il ripristino della comunità presente prima della perturbazione: ciascuna popolazione risponde in maniera differente nell’accrescimento e nella riproduzione durante il periodo che segue l’incendio (fig. 1).
Vengono chiamate pirofite le specie vegetali in cui il f. agisce come fattore di stimolo per la moltiplicazione o la riproduzione e antrofite quelle che colonizzano le aree incendiate. Le pirofite passive sono quelle dotate di sistemi di resistenza al f., come modifiche della corteccia (presenza di sughero), elevata concentrazione di minerali nel legno o presenza di organi ipogei come bulbi e rizomi; le pirofite attive sono quelle che rispondono al f. con la produzione di polloni radicali o con un incremento della germinazione, stimolata dal fuoco stesso.
Gli ecosistemi in cui il f. gioca un ruolo importante sono: la macchia mediterranea, il chaparral californiano, il matorral cileno, il fynbos sudafricano e il kwongan australiano; tutte formazioni vegetazionali in cui prevalgono arbusti o erbe, presenti in aree caratterizzate da condizioni climatiche estreme (scarsa piovosità, forti escursioni termiche) e suoli spesso sabbiosi e poveri.
Sulla linea speculativa della scuola ionica, ricercante l’unico principio materiale delle cose, il pitagorico Ippaso di Metaponto (5° sec. a.C.) pose il f. come primo principio di tutte le cose, mentre Eraclito di Efeso lo assunse come simbolo materiale dell’universale contrasto di tutte le cose, della discorde armonia che è la legge suprema della realtà. Un altro pitagorico, Filolao di Crotone, propose un ardito sistema cosmico, ponendo al centro dell’universo non la Terra ma il f. centrale, la divinità Hestia, focolare o altare del mondo, trono di Zeus che plasma e ordina la materia e ne fa il mondo. Mentre i predetti pitagorici avevano posto il f. come unico principio del cosmo, Empedocle di Agrigento l’assunse come una delle quattro ‘radici’ di tutto (terra, acqua, aria, f.), che rimasero per molti secoli i tipici elementi delle cose; e Democrito di Abdera, fra gli infiniti elementi originari delle cose, da lui detti atomi, ammise quelli di f., piccoli e di forma sferica, che, per il loro moto rapidissimo, darebbero luogo al calore. A quest’ultima teoria si richiamò poi Galileo, quando diede ai corpuscoli responsabili dei fenomeni termici il nome di ‘ignicoli’. Gli stoici, riprendendo taluni aspetti della tradizione eraclitea, videro l’eterna legge del divenire tipicamente espressa dall’elemento che per eccellenza trasforma e si trasforma, il f., e identificarono con esso la divina religione cosmica: tutte le cose derivano dal f. e nel f. ritornano quando, compiuto il ciclo del loro sviluppo al termine di ogni anno cosmico, la ‘conflagrazione’ (ἐκπύρωσις) universale riassorbe nel f. originario tutto ciò che da esso si è generato e che da esso dovrà nuovamente generarsi (legge dell’eterno ritorno).
In ottica, f. di una lente è quel punto F (fig. 2) dell’asse ottico a in cui vanno a convergere i raggi o i prolungamenti dei raggi che incidono sulla lente parallelamente all’asse ottico: nel primo caso (fig. 2A) il f. è reale e si trova al di là della lente; nel secondo caso (fig. 2B) il f. è virtuale e si trova dalla stessa parte da cui provengono i raggi. La definizione si estende a qualunque sistema ottico centrato (➔ sistema).
In aerodinamica, è detto f. di un profilo alare il punto del piano cui appartiene il profilo, rispetto al quale risulta costante, al variare dell’incidenza, il momento delle azioni aerodinamiche. La sua posizione, molto prossima alla corda, varia lungo essa al variare del regime delle velocità, cadendo a circa 1/4 della corda stessa a partire dal bordo d’attacco nel caso di velocità subsoniche e a circa metà nel caso di velocità supersoniche (➔ ala).
F. di una conica Punto fisso F del piano della conica stessa tale che per ogni punto P di questa sia costante il rapporto tra la distanza di P da F e da una retta fissa del piano (direttrice relativa al detto f.). I f. di una conica godono di notevoli proprietà, per le quali ➔ conica. Si ricorda qui solo la proprietà da cui deriva il nome di f., dovuto a Keplero: se raggi luminosi, termici, sonori ecc. vengono emessi da un f. di un’ellisse, essi vengono riflessi dall’ellisse in raggi passanti per l’altro f.; nel caso di un’iperbole i prolungamenti dei raggi riflessi passano per l’altro fuoco; nel caso di una parabola i raggi riflessi formano un fascio di raggi paralleli.
L’importanza che il f. ha per la vita umana e in particolare quella che ha avuto nelle civiltà arcaiche e antiche spiega anche il posto che esso occupa in quasi tutte le religioni del mondo, sia nella mitologia sia nel culto. Tra gli innumerevoli miti dell’origine del f., spicca quello del furto, il cui esempio classico è il mito di Prometeo, che si ritrova in varie forme presso popoli primitivi di tutti i continenti. I temi del furto, della ricerca o dell’invenzione sempre più o meno fortunosa del f. accennano a una sostanziale problematica del padroneggiamento di esso da parte dell’uomo e a una perenne enigmaticità del suo prodursi e manifestarsi, che ne provocano l’immediata collocazione nella sfera del sacro. La presenza del f. quale realtà divina si articola in una vastissima gamma di funzioni: il f. sacrificale trasmette alle divinità le offerte degli uomini; ma ha una parte importante anche nei riti di purificazione, nei riti funerari (cremazione), e in riti cosiddetti di passaggio, in cui, per instaurare un rinnovamento delle condizioni (per es., nelle feste di capodanno o dopo un caso di morte), si spengono i f. e se ne accendono di nuovi; in questi casi, come pure in altri complessi rituali, l’accensione del f. avviene mediante i procedimenti arcaici della frizione o percussione.
In alcune religioni esistono divinità particolarmente connesse con il fuoco. In Agni, nella religione vedica, prevale l’aspetto del f. sacrificale; Efesto, nella religione greca, impersona vari aspetti del f. tra cui anche il suo uso nel lavoro dei fabbri e vasai. Anche al focolare della casa o della comunità si connettono preoccupazioni religiose (per es., culto di Vesta). Adoratori del f. erano ritenuti nell’antichità i Persiani per la singolare importanza che il f. aveva nei loro culti
Nella Bibbia, oltre che termine di paragone (della collera umana e divina, delle sofferenze ecc.), il f. è preso come simbolo, soprattutto della maestà o presenza di Dio (il roveto ardente, Esodo 3, 1-5; la colonna di f. nel deserto, Esodo 13, 21-22; nel Nuovo Testamento, le lingue di f. della Pentecoste, Atti 2, 3) o della compiacenza e accettazione del sacrificio. Il f. bruciava continuamente sul grande ‘altare del f.’ nel cortile esteriore del tempio di Gerusalemme. D’altra parte il f. è purificatore e distruttore, perciò esso monda (purgatorio) e punisce (inferno).
L’esplosione di polveri ottenuta per mezzo della miccia o con altro congegno in mine e in ordigni guerreschi e anche lo sparo e il lancio di proiettili mediante armi dette appunto da fuoco.
Carta per la manovra del f. Carta topografica o piano quadrettato, su cui sono riportati gli elementi topografici relativi alle posizioni delle forze amiche, alle possibilità di osservazione e di tiro necessari per attuare la manovra del f. delle artiglierie.
F. greco Specie di esplosivo inventato nel 7° sec. da Callinico (sembra che componente principale fosse il salnitro); con un tubo veniva lanciato da una certa distanza contro le navi nemiche e ne provocava l’incendio. È anche il nome di una miscela costituita da realgar (bisolfuro d’arsenico) con zolfo e nitro (nei rapporti in peso, 1 : 3,5 : 12) capace di bruciare con fiamma bianca vivissima. F. fenico o feniano, soluzione di fosforo in solfuri di carbonio usata talvolta come mezzo incendiario.