In astronomia, acronimo di pulsating radiosources, indicante radiosorgenti che hanno la caratteristica di emettere periodicamente brevi impulsi di radioonde. La prima p. fu scoperta nel 1967 da due radioastronomi dell’Università di Cambridge, in Inghilterra: A. Hewish (insignito nel 1974 del premio Nobel) e la sua allieva J. Bell. Oggi si conoscono circa 500 p., tutte (eccetto una situata nella Piccola Nube di Magellano) appartenenti alla Via Lattea. Probabilmente, però, le p. sono assai più numerose: si stima che, nella nostra galassia, ve ne siano intorno a 100.000. Le p. si indicano con la sigla PSR seguita da due numeri che ne descrivono la posizione nel cielo: per es., PSR 0531+21 rappresenta la p. che ha una ascensione retta di 5 ore e 31 minuti e una declinazione di 21° nord.
Sembra ormai certo che le p. debbano essere identificate con le stelle di neutroni, la cui esistenza era stata ipotizzata fin dagli anni 1930 (➔ stella). Si tratta di oggetti aventi masse confrontabili con quella del Sole e raggi dell’ordine di 10 km, nei quali la materia si trova in uno stato di enorme compressione. La loro radioemissione viene attribuita alla presenza di intensi campi magnetici, combinata con una rapida rotazione. Le onde sarebbero emesse da una p. soltanto intorno al suo asse magnetico: questo, d’altra parte, è inclinato rispetto all’asse di rotazione, sicché il fascio di radioonde, come quello di luce emesso da un faro, spazza il cielo a ogni giro (fig. 1). Un osservatore lontano, situato sulla Terra, intercetta il fascio a intervalli di tempo regolari e vede quindi un’emissione ‘pulsata’, con un periodo di ricorrenza del segnale uguale al periodo di rotazione della stella.
Nel 2003 è stata scoperta la prima p. doppia, cioè un sistema formato da p. in orbita l’una attorno all’altra.
Periodo. I periodi delle p. presentano due caratteristiche fondamentali: valori relativamente piccoli (da poco più di 1 ms a ca. 4 s) e un’estrema regolarità. La distribuzione statistica dei periodi mostra una concentrazione fra 0,5 e 1 s. Soltanto una ventina di p., dette p. superveloci (in ingl. millisecond pulsar), hanno periodi minori di 0,01 s. I periodi delle p. sono assai stabili: tenendo conto delle variazioni per effetto Doppler derivanti dal moto della Terra intorno al Sole, si trova che, in generale, essi sono costanti entro una parte su 1015. Ciò nonostante, si è potuto stabilire che tutte le p. tendono, con il passare del tempo, a rallentare lievemente la loro rotazione.
Spettro di emissione. Le p. sono osservabili in un ampio spettro di radiofrequenze, che può estendersi da poche decine di MHz a oltre 10 GHz. L’emissione più intensa cade, in generale, nella banda fra 100 e 1000 MHz.
Caratteristiche degli impulsi. Gli impulsi di radioonde provenienti dalle p. hanno in genere una durata assai breve, inferiore al 10% del periodo. Spesso, però, oltre all’impulso principale, si distingue un impulso secondario, spaziato dal primo di circa mezzo periodo. Di solito, gli impulsi hanno una struttura complessa, nella quale si distinguono vari sottoimpulsi. In certe p. questa struttura si ripete quasi uguale in cicli successivi; in altre, ed è il caso più comune, cambia fortemente nel tempo. Per studiare le caratteristiche dell’emissione di una p., spesso si considera il profilo medio dei suoi impulsi, ottenuto mediando i segnali ricevuti in numerosi cicli successivi. La forma di questi profili cambia marcatamente da una p. all’altra. Si distinguono profili con un singolo picco e profili con picchi multipli (2, 3 o 5, ma mai 4 o più di 5). La radiazione delle p. è assai spesso polarizzata, linearmente o circolarmente. La polarizzazione lineare è la più frequente: il grado di polarizzazione varia, da p. a p., da poco più dello 0% a quasi il 100%, con valori tipici intorno al 50%. La direzione di polarizzazione ruota, nel corso di un ciclo, di un angolo fino a 180°.
Identificazione con le stelle di neutroni. La rapida rotazione delle p. implica che esse siano oggetti quanto mai compatti. In generale, una stella di raggio R e massa M non può ruotare a una velocità angolare maggiore di quella, ωmax, data dalla relazione:
[1] ω2maxR = GM/R2
(che esprime l’uguaglianza fra l’accelerazione centrifuga e l’accelerazione di gravità alla superficie), perché altrimenti di disgregherebbe. Dalla [1] si deduce che solo stelle di raggio molto piccolo possono ruotare così velocemente come le pulsar. La teoria dell’evoluzione stellare suggerisce due candidati: le nane bianche e le stelle di neutroni. Per una nana bianca, di raggio R∼30.000 km e massa M∼1M⊙ (M⊙=massa del Sole), la [1] dà un valore ωmax, che corrisponde a un periodo di rotazione di ∼1 s, maggiore di quello di numerose pulsar. Per una stella di neutroni, che ha un raggio di soli 10 km, il limite centrifugo è soddisfatto, invece, anche da periodi dell’ordine di 1 ms, in accordo con le osservazioni (la p. più veloce ha, come si è detto, un periodo di 1,557 ms). D’altra parte, la conservazione del momento angolare in un sistema isolato, spiega facilmente come una stella, contraendosi fino alle dimensioni di una stella di neutroni, possa acquistare velocità di rotazione assai elevate.
Campi magnetici. La polarizzazione della radiazione delle p. suggerisce che queste posseggano campi magnetici assai intensi. D’altra parte, la stessa emissione radio delle p. viene attribuita alla presenza di un campo magnetico, combinata con la rapida rotazione. Assumendo che il campo magnetico sia dipolare, la teoria dell’elettromagnetismo fa prevedere che una p., ruotando con la velocità angolare ω, irradi sotto forma di onde elettromagnetiche la potenza: W= 2μ2(sen2α)ω4/(3c3), dove μ è il momento del dipolo magnetico e α l’angolo fra μ e l’asse di rotazione. Una stima di μ (e, quindi, dell’intensità del campo magnetico superficiale B0=2μ/R3) può essere ottenuta supponendo che il rallentamento della rotazione della stella sia dovuto alla perdita di energia derivante dall’irraggiamento. Vale allora la relazione approssimata:
,
dove P è il periodo di rotazione della pulsar. Per una p. tipica (con M=M⊙, R=10 km, P=1 s e dP/dt=10–15), si trova: B0∼1011-1012 G; più deboli (B0∼108-109 G) sono i campi magnetici delle p. superveloci. La stabilità dei periodi di tali p. (dP/dt∼10–19) dipende dal fatto che il loro moto di rotazione è frenato molto lentamente, data la piccolezza del campo magnetico. Ciò spiega anche perché finora non sia stata osservata nessuna p. superveloce fortemente magnetizzata: infatti, una p. dotata di un campo magnetico intenso rallenta rapidamente la propria rotazione, sicché solo in una fase iniziale assai breve della propria vita può avere un periodo dell’ordine di 1 ms. Si pensa che gli intensi campi magnetici, che in generale permeano le p., siano prodotti nel processo di collasso gravitazionale che dà origine a questi corpi, poiché in un fluido di elevata conducibilità elettrica, quale è quello che costituisce le stelle, le linee di forza del campo magnetico sono ‘congelate’ nella materia e il flusso magnetico si mantiene costante (➔ magnetofluidodinamica).
Meccanismo della radioemissione. L’intenso campo magnetico di una p. crea intorno a essa una magnetosfera (➔), nella quale le particelle cariche sono legate alle linee di forza e ruotano con esse. Tuttavia questo tipo di rotazione non può estendersi oltre la distanza Rv, alla quale la velocità delle particelle raggiungerebbe la velocità della luce (Rv=c/ω); la fig. 2 mostra schematicamente la struttura della magnetosfera di una p. e la superficie del cosiddetto cilindro della velocità della luce C, dove questo tipo di rotazione cessa. Se l’asse del dipolo magnetico a, come supposto in fig. 2, è sufficientemente inclinato (angolo α) rispetto all’asse di rotazione b, le linee di forza c che escono dalle regioni polari della p. d intersecano il cilindro della velocità della luce e rimangono aperte (cioè si chiudono soltanto all’infinito). Lungo queste linee di forza si muovono nubi di particelle cariche e, accelerate a velocità relativistiche da intensi campi elettrici (potenziali di oltre 1012V), e sfuggono nello spazio allontanandosi dalla pulsar. La radioemissione dipende dal fatto che queste particelle energetiche non percorrono una traiettoria rettilinea, dovendo seguire la curvatura delle linee di forza. Nel caso più semplice, le onde elettromagnetiche vengono emesse entro uno strato conico, avente per asse l’asse del dipolo magnetico, come evidenziato in figura. La p. sarà osservabile soltanto se la direzione f in cui si trova la Terra cade all’interno della fascia di cielo spazzata dal fascio di onde radio nel corso della rotazione della stella. D’altra parte, le caratteristiche del segnale ricevuto dipendono dalla direzione di osservazione. Nel caso in fig. 2, in cui questa direzione è poco inclinata rispetto all’asse del cono di emissione, il segnale presenterà due picchi.
Età e durata della vita. La vita di una p. è limitata dal frenamento, prodotto dal campo magnetico, che via via ne rallenta la rotazione. Dal momento che la p. più lenta che si conosca ha un periodo di 4,3 s, bisogna pensare che il meccanismo di radioemissione cessi di essere efficace per periodi più lunghi di qualche secondo. Ne consegue che la maggior parte delle p. ha una vita relativamente breve. Si può stimare l’aspettativa di vita di una p. dal valore del rapporto fra il suo periodo P e il tasso di cambiamento del periodo dP/dt. Per una p. tipica, con P=1 s e dP/dt=10–15, si trova P/(dP/dt)=1015 s=3∙107 anni. In generale, la durata complessiva della vita di una p. non supera di molto questo valore perché nella fase iniziale, in cui la rotazione è più veloce, il rallentamento è assai rapido. Fanno eccezione le p. superveloci, che, a causa della debolezza del loro campo magnetico, sono molto più longeve. Le p. di questa categoria sono, anzi, le più antiche che osserviamo: una p. con P=3 ms e dP/dt=10–19 potrebbe essere nata 500 milioni di anni fa con un periodo di 1 ms.
I dati raccolti dall’osservatorio a raggi gamma del satellite Fermi, messo in orbita nel 2008 dalla NASA, hanno rivelato che p. molto vecchie e morenti riprendono il loro moto vorticoso se incontrano un’altra stella, dalla quale traggono energia.