Sistema formato da un gran numero di stelle (da ∿108 a ∿1011) e, in generale, da nubi di gas e di polveri. Il Sole fa parte di uno di questi grandi sistemi, chiamato Via Lattea o Galassia. A occhio nudo si distinguono soltanto quattro g.: Andromeda, le due Nubi di Magellano e la nebulosa spirale M33. Il numero totale delle g. osservabili con i moderni telescopi è dell’ordine di miliardi.
Le g. vengono classificate, in base alle loro caratteristiche morfologiche, secondo uno schema originariamente proposto da E. Hubble. Esse vengono distinte in cinque tipi principali (g. ellittiche, lenticolari, spirali normali, spirali barrate e irregolari) che possono essere rappresentate in sequenza. Le g. ellittiche (E) hanno forma regolare e brillanza superficiale che diminuisce rapidamente dal centro ai bordi. A loro volta, vengono divise in 8 sottoclassi, in ordine crescente del loro schiacciamento apparente, da E0 (forma circolare, cioè ellitticità nulla) a E7 (massima ellitticità). Le g. spirali normali (S) sono costituite da un nucleo leggermente oblato, simile alle g. ellittiche, e da un disco, articolato in due (o più) braccia a spirale che escono tangenzialmente dal nucleo, da punti press’a poco diametralmente opposti. Si suddividono in tre sottoclassi (Sa, Sb, Sc) al decrescere del rapporto di luminosità fra il nucleo e le braccia e a seconda dell’avvolgimento, più o meno accentuato, di queste ultime. La Via Lattea è probabilmente una g. Sbc, cioè intermedia fra i tipi Sb e Sc. Un altro esempio notevole di galassia spirale, è la M100, contenente più di 100 miliardi di stelle. Le g. spirali barrate (SB) sono caratterizzate da una barra centrale, da cui si staccano le braccia di forma quasi circolare. Anch’esse vengono suddivise in tre sottoclassi (SBa, SBb, SBc) con criteri analoghi a quelli usati per le spirali normali. Nella classificazione di Hubble, la transizione fra le g. ellittiche e le spirali è occupata dalle g. lenticolari (S0): esse non possiedono braccia, ma solo un disco equatoriale che circonda il nucleo ellittico. Al termine della sequenza, si trovano le g. irregolari (I), distinte in due sottoclassi (la I, che comprende g. prive di nucleo e di simmetria, la II, che comprende oggetti con caratteristiche peculiari spesso difficilmente classificabili).
Le dimensioni delle g. si calcolano dalle corrispondenti dimensioni angolari, una volta nota la distanza. Nelle g. ellittiche, la brillanza superficiale (I) diminuisce con la distanza dal centro (r), seguendo la legge empirica di de Vaucouleurs: logI ∝ r−1/4. Si definisce raggio effettivo (re) della g. il raggio di un cerchio che include metà del flusso luminoso complessivo proveniente dalla galassia. Valori tipici di re, per le g. ellittiche, sono 1-10 kiloparsec (kpc). Esistono, tuttavia, g. ellittiche nane, che hanno raggi effettivi notevolmente più piccoli e g. ellittiche giganti, che raggiungono raggi effettivi di ∿100 kpc e posseggono aloni estesi, la cui brillanza diminuisce con la distanza più lentamente del normale. Le dimensioni delle g. spirali (normali o barrate) presentano una variabilità minore di quelle delle g. ellittiche: il nucleo di tali g. ha un raggio tipico di 1-5 kpc, mentre il disco ha un raggio dell’ordine di 20 kpc e uno spessore di 1 kpc. Il nucleo e il disco sono circondati da un grande alone sferico. Nel nucleo, la brillanza diminuisce con la distanza, seguendo la stessa legge di de Vaucouleurs valida per le g. ellittiche.
Le caratteristiche spettrali della radiazione proveniente da una g. dipendono dalla natura delle stelle che la costituiscono e dall’eventuale presenza di nubi di gas e di polvere. Le g. ellittiche sono, in prevalenza, costituite da stelle vecchie che hanno tutte, press’a poco, la stessa età (∿1010 anni). Alla luminosità di queste g. contribuiscono soprattutto stelle giganti rosse, anche se la maggior parte della massa galattica è costituita da stelle di sequenza principale di piccola massa (M<M⊙, con M⊙=massa solare). In generale, le g. ellittiche più luminose sono più ‘rosse’ delle altre (relazione colore-luminosità). Poiché una stella di elevata metallicità (cioè ricca di elementi pesanti) è più rossa di una stella simile, ma povera di metalli, la relazione colore-luminosità indica che le g. ellittiche più luminose hanno anche un maggior contenuto di elementi pesanti. Un’altra, e assai importante, caratteristica delle g. ellittiche è l’assenza quasi completa di gas e polvere. La composizione delle g. lenticolari è simile a quella delle g. ellittiche; in particolare, solo poche di esse contengono nel disco quantità apprezzabili di gas e di polvere. Le g. spirali e quelle irregolari sono formate sia da stelle di popolazione II che di popolazione I. I nuclei delle g. spirali hanno una composizione simile a quella delle g. ellittiche, mentre le braccia contengono soprattutto stelle di popolazione I, più giovani e ricche di metalli. Nelle g. spirali, gas e polveri sono concentrati soprattutto nel disco e nelle braccia.
Le g., siano esse ellittiche, lenticolari o spirali, ruotano su sé stesse. Ciò è rivelato dall’effetto Doppler (➔ Doppler, Christian). Infatti, la rotazione provoca uno spostamento delle righe spettrali verso le lunghezze d’onda più corte sul lembo della g. che si avvicina all’osservatore e uno spostamento verso le lunghezze d’onda più lunghe sul lembo opposto che si allontana dall’osservatore. Dall’entità dello spostamento Doppler delle righe si risale alla velocità di rotazione. In genere, si cerca di ricavare una curva di rotazione, cioè di ottenere la velocità di rotazione al variare della distanza dal centro. Ciò è più facile per le g. spirali che per le ellittiche. La fig. 2 mostra la tipica curva di rotazione di una g. spirale. Nella zona centrale, la rotazione è quasi rigida, come indicato dall’aumento della velocità con la distanza (v ∝ r). Il periodo di rotazione è dell’ordine di 100 milioni di anni. La massima velocità di rotazione (dell’ordine di 200-300 km/s) si raggiunge, di solito, a distanze comprese fra 3 e 9 kpc dal centro. A distanze maggiori, la velocità di rotazione diminuisce lievemente e poi, di solito, tende a stabilizzarsi su valori quasi costanti.
Esistono vari metodi per stimare le masse delle galassie. Uno dei più usati, per le g. ellittiche, è fondato sull’uso del teorema del viriale, che stabilisce che 2T+U=0, dove T è l’energia cinetica e U l’energia potenziale gravitazionale del sistema. L’energia cinetica viene espressa come T=(1/2)M(Δv)2, dove M è la massa della g. e Δv la dispersione delle velocità delle stelle intorno al loro valore medio (Δv si determina dall’allargamento Doppler delle righe, dovuto appunto al moto casuale delle stelle, alcune delle quali si avvicinano e altre si allontanano dall’osservatore). L’energia potenziale è dell’ordine di U=−GM2/re (con G costante di gravitazione universale e re raggio effettivo della g.). Dalle relazioni precedenti segue: M=(Δv)2re/G, che fornisce M. Per le g. spirali, si possono utilizzare le curve di rotazione. Se si assume che la maggior parte della massa della g. sia contenuta entro una sfera di raggio R, la III legge di Keplero (➔ Kepler, Johannes) dà: v(R)2=GM/R−, dove v(R) è la velocità di rotazione alla distanza R dal centro −, da cui si ricava M. Vi è tuttavia una difficoltà. Se effettivamente quasi tutta la massa della g. fosse contenuta entro la sfera di raggio R, la velocità di rotazione, oltre tale distanza, dovrebbe diminuire come R−1/2 (la terza legge di Keplero infatti, implica che, per M costante, v2 sia inversamente proporzionale a R). Ciò, però, in genere non si verifica: come abbiamo visto, infatti, la velocità di rotazione delle g. spirali tende, a grandi distanze, a un valore costante. Questo andamento significa che la massa aumenta proporzionalmente alla distanza: dal momento che la materia visibile nelle regioni esterne delle g. è assai poca, bisogna pensare che vi sia della materia oscura che sfugge all’osservazione diretta. Con i metodi precedenti si trova che la massa delle g. varia da ∿109 a ∿1011 M⊙, passando dalle g. irregolari (le meno massicce) alle spirali, alle lenticolari e alle ellittiche. Tuttavia, specie le g. ellittiche presentano un’ampia variabilità: le g. nane hanno masse di appena 108 M⊙, mentre quelle giganti possono raggiungere le 1012-1013 M⊙. D’altra parte, anche le g. spirali, includendo nella stima la materia oscura, possono superare le 1012 M⊙. Un parametro di grande interesse (anche per la determinazione della densità media della materia nell’Universo) è il rapporto massa-luminosità (M/L) delle galassie. Misurando sia M che L in unità solari (rispettivamente M⊙ e L⊙) si trovano valori che oscillano, a seconda del tipo di g. e del metodo usato per calcolarne la massa, fra ∿10 e oltre 100. Il rapporto M/L, inoltre, tende ad aumentare al crescere della massa (cioè, la luminosità delle g. non cresce proporzionalmente alla loro massa, ma più lentamente). Valori di M/L nettamente maggiori di 1 indicano, dunque, che una gran parte della massa delle g. è in uno stato non direttamente osservabile. Scoprire la natura di questa materia oscura o, come anche si dice, risolvere il problema della massa mancante nelle g. costituisce oggi una delle questioni chiave dell’astronomia extragalattica.
Con il nome nuclei galattici attivi (NGA) si indicano quegli oggetti extragalattici il cui nucleo emette una grandissima potenza radiativa. Notevoli fra questi le g. di Seyfert (➔ Seyfert, Carl Keenan).
Secondo il principio cosmologico (➔ cosmologia), oggi largamente accettato, l’Universo è omogeneo, cioè ogni regione di spazio, avente dimensioni sufficientemente grandi, contiene la stessa quantità di materia di qualsiasi altra regione di uguale volume. Tuttavia, ciò è vero soltanto su scale di lunghezza estremamente grandi. Su scale più piccole – fino, sembra, a ∿100 megaparsec (Mpc) – la materia non è distribuita uniformemente nello spazio. Si è trovato, infatti, che le g. sono raggruppate in sistemi di varie dimensioni (sistemi multipli, gruppi, ammassi, superammassi), fra i quali vi sono ampi spazi praticamente vuoti. I sistemi multipli possono essere costituiti da due o più g. (nel caso di due sole componenti, si parla di g. binarie), legate da una intensa interazione gravitazionale. Un sistema multiplo è costituito dalla Via Lattea e dalle sue due g. satelliti, la Grande e la Piccola Nube di Magellano. I gruppi sono aggregazioni di qualche decina di galassie. La Via Lattea, per es., fa parte del cosiddetto Gruppo Locale, che ha una trentina di membri. Il diametro del Gruppo Locale è ∿1,5 Mpc. Un gruppo di g. viene definito ammasso, quando contiene numerose (almeno 50) galassie molto luminose. Il raggio tipico di un ammasso è 2-5 Mpc. Si distinguono almeno due tipi di ammassi: gli ammassi regolari, caratterizzati da una forte concentrazione centrale di g. e da una struttura piuttosto regolare, e gli ammassi irregolari, senza un’apprezzabile concentrazione centrale di g. e di forma irregolare. Gli ammassi di g. possono formare dei raggruppamenti ancora più grandi (detti superammassi).
Vi sono due teorie diverse riguardo all’origine delle g. e degli ammassi di galassie. Secondo il primo punto di vista, il collasso gravitazionale della materia primordiale avrebbe dato origine alle g. e queste, in un’epoca successiva, sempre a causa dell’attrazione gravitazionale, si sarebbero raggruppate formando gli ammassi. Tuttavia, questo modello incontra difficoltà nello spiegare le aggregazioni delle g. sulle scale più grandi, essenzialmente perché tale processo avrebbe richiesto un tempo più lungo dell’età dell’Universo. Secondo l’altro punto di vista, oggi più accreditato, si sarebbero invece formate per prime le strutture di maggiori dimensioni e, solo in un secondo tempo, queste si sarebbero frammentate, dando origine alle galassie. Per spiegare la formazione delle g. entrambe le teorie ipotizzano delle disomogeneità nella distribuzione della materia successiva all’esplosione iniziale ( ➔ big-bang; cosmologia) che avrebbe dato origine all’Universo.
Per quanto riguarda, più specificamente, l’origine dei vari tipi di g., si ritiene che ogni g. evolva rimanendo sempre dello stesso tipo: questo sarebbe fissato dalle condizioni esistenti al momento della sua formazione. I due parametri, che giocherebbero il ruolo principale nel controllare l’evoluzione di una g., sarebbero la massa e il momento angolare della nube di gas, dalla quale essa trae origine. Passando dalle g. ellittiche alle spirali, diminuirebbe la massa mentre aumenterebbe il momento angolare iniziale. In nubi di grande massa e momento angolare relativamente piccolo, la formazione delle stelle e il conseguente esaurimento del gas diffuso procedono più rapidamente del collasso gravitazionale globale: il sistema, allora, evolve verso una g. ellittica, che sarà tanto meno schiacciata quanto più rapido è stato l’esaurimento del gas. In nubi di massa minore e velocità rotazionali più elevate, il collasso globale, in direzione polare, procede, invece, più rapidamente del processo di formazione delle singole stelle, sicché la g. assume la forma di un disco appiattito (g. spirale): solo nella zona centrale, dove la formazione di stelle è più rapida, si sviluppa un nucleo simile alle g. ellittiche. Le g. lenticolari sarebbero strutture di massa e momento angolare intermedi, in cui il gas si è esaurito proprio nel momento in cui il disco cominciava a formarsi.
I nuclei di alcune g. forniscono l’indicazione più convincente dell’esistenza di buchi neri con masse intorno alle 109 masse solari e raggi di alcuni parsec. In effetti un buco nero non è osservabile direttamente, ma si manifesta indirettamente grazie a quanto avviene alla sua periferia. La materia circostante, attratta verso il centro, tende a formare un ‘disco caldo’ di materia in cui avvengono fenomeni assai energetici, visibili in tutte le bande di frequenza della radiazione elettromagnetica. Esempi sono i nuclei di g. quali la NGC 4161, NGC 4261, M87 e M84. Massa e dimensione del buco nero possono essere derivate dai moti kepleriani della materia circostante, purché si disponga della necessaria risoluzione angolare, che per primo il telescopio spaziale Hubble (HST) è riuscito a conseguire nell’ultimo decennio del 20° secolo.