Sistema eterogeneo, formato da due (o più) fasi solide, liquide o gassose, nel quale una delle fasi ( fase disperdente) è continua e disperde l’altra, o le altre ( fasi disperse). Si dice disperdente anche una sostanza aggiunta a una sospensione per favorire la d. delle singole, finissime particelle solide (di solito aventi grandezza dell’ordine delle particelle colloidali). Si definiscono agenti disperdenti gli alcoli alifatici solfonati, l’etanolammina ecc. che vengono largamente utilizzati nella macinazione dei pigmenti per smalti, per disperdere coloranti insolubili in acqua in modo da assicurarne uniformi proprietà tintoriali ecc.
I sistemi dispersi sono costituiti da particelle di piccole dimensioni (comprese fra 10–8 e 10–3 m), separate fra loro da un mezzo fluido. La loro classificazione è pertanto basata sia sulla natura e sulle proprietà dei liquidi o dei solidi che costituiscono la fase dispersa, sia sulle caratteristiche del mezzo disperdente. La situazione più comune è quella degli aerosol(➔). Le d. di gas in liquidi con elevata tensione superficiale danno origine anche alle schiume, mentre quelle di goccioline liquide, aventi dimensioni comprese fra un nanometro (nm) e un micron (μm), in un altro liquido vengono chiamate emulsioni. In generale, i sistemi costituiti da piccole particelle o da macromolecole, di dimensioni comprese nell’intervallo ora menzionato, disciolte in un liquido vengono chiamati colloidi (➔ colloidale, stato). I diversi tipi di sistemi dispersi possono essere classificati come viene riportato nella tabella. Le ricerche condotte sui sistemi dispersi richiedono l’impiego di tecniche sofisticate, per lo più ottiche, per determinare le dimensioni, la distribuzione, la forma e la flessibilità delle particelle. Lo studio delle interazioni fra le particelle e le molecole del solvente permette di individuare i fattori che ne determinano la stabilità dovuta a fattori cinetici, perché la repulsione fra le particelle limita in modo significativo la velocità dei processi di coagulazione. L’applicazione di tali principi e metodologie trova ampio spazio nello studio di sistemi naturali quali le proteine, nella preparazione di prodotti di largo uso e nello sviluppo di moderne tecnologie industriali. Inoltre, la scienza dei sistemi dispersi interviene nelle ricerche sul comportamento dell’atmosfera, nella quale sono presenti diverse particelle solide o liquide che provengono da sorgenti naturali, marine, vulcaniche ecc., o da attività di origine antropica. La conoscenza e l’eventuale controllo dell’evoluzione e delle trasformazioni di tali particelle sono fondamentali per la protezione dell’ambiente.
I sistemi nei quali tutte le particelle hanno la stessa dimensione vengono detti monodispersi e possono essere ottenuti con particolari accorgimenti. Solitamente si ha però a che fare con sistemi nei quali le dimensioni delle diverse particelle presentano una distribuzione il cui andamento dipende dal modo in cui è stata preparata la d. stessa. Per descrivere il comportamento di una d. è opportuno assimilare le particelle in essa presenti alle molecole di un fluido. Più propriamente essa viene assimilata a un ‘fluido sopramolecolare’ le cui particelle sono soggette a moti browniani. Infatti le particelle con diametri inferiori a 5 μm sospese in un liquido manifestano caratteristici movimenti irregolari a zig-zag, dovuti agli urti non bilanciati con le molecole del mezzo disperdente. Questi movimenti, che possono essere osservati all’ultramicroscopio, sono stati individuati per la prima volta dal botanico R. Brown nel 1827. L’interpretazione del fenomeno è stata data da W. Ramsay nel 1876, mentre la sua descrizione quantitativa è stata formulata successivamente da M. Smoluchowski e A. Einstein agli inizi del secolo scorso. In tale quadro le proprietà della d. si possono valutare applicando i metodi della termodinamica statistica e della teoria cinetica, attraverso la conoscenza delle leggi che esprimono l’interazione fra le particelle.
I settori applicativi nei quali intervengono i sistemi dispersi riguardano i numerosi prodotti costituiti da una d. colloidale (aerosol, materiali compositi, prodotti alimentari, additivi per oli, vernici, farmaci ecc.) o da una soluzione di un tensioattivo (detersivi, erbicidi, insetticidi ecc.), e i processi che fanno uso di tensioattivi o di altri fenomeni correlati ai sistemi dispersi (flottazione, trattamento delle acque, flocculazione selettiva, recupero assistito del petrolio, interventi per la tutela ambientale, analisi chimica e fisica dell’atmosfera).
Il termine è usato come equivalente di due termini inglesi: dispersal e dispersion.
Nel primo significato indica la tendenza di un singolo individuo di una specie a disperdersi, cioè ad allontanarsi dal sito di nascita o da quello di riproduzione verso nuovi siti con caratteristiche ecologiche a lui idonee. I tassi di d. dipendono dall’interazione della capacità intrinseca di d. degli organismi con l’azione di fattori ambientali, come il vento o le correnti marine, che possono influenzarla in modo positivo o negativo. Si possono distinguere due tipi di d.: una d. attiva, nella quale gli organismi esplorano un certo numero di siti prima di sceglierne uno e ritornarvi, e una d. passiva, nella quale gli organismi si muovono attraversando una serie successiva di siti per fermarsi in uno senza possibilità di ritorno. Le specie vegetali ricorrono alla d. passiva: la d. dei semi (fig. 1) dipende dai vettori che trasportano il seme (venti, acque o altri organismi mobili), ed è influenzata dalla posizione della pianta nell’ambiente. Il seme è in grado di controllare parzialmente l’interazione con le forze che lo trasportano, quindi la pioggia di semi che parte da un albero non è mai distribuita del tutto a caso. Gli animali presentano meccanismi di d. sia attivi sia passivi, anche se per molti è difficile dimostrare un vero comportamento di tipo esplorativo. Non sempre è facile distinguere negli organismi una d. attiva o passiva, perché la d. passiva non è limitata ai soli organismi privi di capacità attiva di movimento: per es., gli uccelli e gli insetti si spostano sia per moto attivo sia per moto passivo, sfruttando le correnti d’aria. Alcune specie hanno maggiori capacità di d.: gli insetti che occupano ambienti instabili hanno fasi dispersive più pronunciate di quelli che abitano ambienti permanenti. Ciononostante, tutti gli organismi, anche quelli che vivono in ecosistemi estremamente stabili, devono avere capacità di d. per evitare gli effetti del sovraffollamento: la natura del processo di d. determina uno dei modi in cui una popolazione è sottoposta alla selezione naturale. Per questa ragione esiste una varietà di specializzazioni per la d.; per es., hanno ali e piume i semi a d. anemocora (a opera del vento), rivestimenti resistenti alla digestione quelli dispersi con le deiezioni animali, uncini o spine quelli dispersi dal movimento attivo degli animali sui quali si attaccano ( zoocora). Queste strutture hanno un costo, sono cioè risorse investite nelle strutture di d.; il peso di un propagulo è inversamente correlato alla sua capacità di d., ma un peso maggiore in un seme o in un ragno appena nato rappresenta una riserva di risorse che possono essere determinanti nel successo iniziale dell’individuo. Questi conflitti hanno avuto risoluzioni evolutive differenti nelle diverse specie, a seconda delle specifiche condizioni di vita.
Nel secondo significato, corrispondente a dispersion, indica il modo in cui gli organismi di una specie si distribuiscono nello spazio che occupano. Sebbene vi sia un continuum nei tipi di distribuzione, si possono identificare tre classi di d. (fig. 2): casuale, se vi è eguale probabilità che un individuo occupi un qualsiasi punto nello spazio e la presenza di un individuo non influenza la presenza di un altro; regolare, se gli individui tendono a evitarsi o se muoiono o vengono cacciati quando si trovano troppo vicini; raggruppata, se gli individui tendono a raggrupparsi in determinati siti o se la presenza di un individuo attrae o genera altri individui nello stesso sito.
Fenomeno per cui le componenti di un’onda si propagano diversamente l’una dall’altra e che accompagna in generale tutti i fenomeni di propagazione legati alla lunghezza d’onda. Si evidenzia bene nel caso della rifrazione della luce: poiché l’indice di rifrazione del vetro, per es., varia al variare di λ, aumentando dal rosso al violetto, quando un raggio di luce bianca a (fig. 3), incide su un prisma di vetro b, rifrangendosi, i raggi violetti v sono più deviati dei rossi r, e il ‘raggio rifratto’ è in realtà un fascetto divergente, costituito da raggi monocromatici, che si succedono secondo l’ordine dei colori dello spettro della luce bianca. Sulla seconda faccia del prisma si ha rifrazione accompagnata da una nuova d. e il raggio emergente è disperso: raccogliendolo su uno schermo, si osserva su di esso lo ‘spettro’ della luce incidente. Relazioni di d. In generale, legge di dipendenza dei parametri che descrivono la d. di una grandezza in funzione di altre grandezze. In particolare, la legge che esprime la dipendenza dell’indice di rifrazione dalla lunghezza d’onda, oppure la relazione fra numero d’onde (complesso) e frequenza.
In generale, è quella che avviene in un qualsiasi mezzo materiale poiché l’indice di rifrazione del mezzo, inteso come rapporto tra la velocità c delle onde elettromagnetiche nel vuoto e quella v nel mezzo, dipende da λ. È facile comprendere perché l’indice di rifrazione n di un mezzo dipenda dalla lunghezza d’onda λ di un’onda propagantesi in esso. Il campo elettrico dell’onda provoca infatti una polarizzazione variabile del mezzo, la quale, in prima approssimazione, può essere descritta come uno stato di vibrazione forzata degli elettroni, atomi e molecole del mezzo; tali particelle, che vanno riguardate come oscillatori elementari, irradiano onde che interferiscono con quelle incidenti: l’onda che effettivamente si propaga nel mezzo ha quindi un’ampiezza e una velocità di fase che dipendono dall’ampiezza e dalla fase delle vibrazioni forzate delle particelle del mezzo. Per un dato mezzo al crescere indefinito di λ l’indice di rifrazione del mezzo, n = c/v, tende asintoticamente al valore √‾‾εr, se εr è la costante dielettrica relativa statica del mezzo; al diminuire di λ, n decresce sino a valori leggermente minori dell’unità per lunghezze d’onda che cadono nel campo dei raggi X: la dispersività, cioè la derivata dn/dλ, è dunque generalmente una quantità negativa. A tale andamento generale si sovrappongono picchi e discontinuità conseguenti a fenomeni di risonanza in corrispondenza di frequenze proprie di vibrazioni molecolari, atomiche o elettroniche, il cui effetto è di far assumere alla dispersività valori, positivi e negativi, anormalmente alti, insieme a massimi relativi di assorbimento. Quanto detto sinora per le onde elettromagnetiche vale anche per ogni altro tipo di propagazione ondosa: per es., per onde elastiche in genere (in mezzi solidi o fluidi) e per onde sonore o ultrasonore in particolare (➔ onda).
Limitatamente al campo delle radiazioni visibili, si usa parlare di d. normale oppure di d. anomala a seconda che l’indice di rifrazione n diminuisca o aumenti all’aumentare della lunghezza d’onda λ. Presentano d. ottica normale quasi tutti i mezzi ordinari (quarzo, vetri d’ottica ecc.) mentre presentano d. anomala, ristretta a più o meno ampi intervalli di λ, sostanze che abbiano righe o bande d’assorbimento nello spettro visibile. D. degli assi ottici Fenomeno in virtù del quale l’angolo tra gli assi ottici di un cristallo biassico e la posizione del piano che li contiene vengono a dipendere dalla lunghezza d’onda della luce. Tale fenomeno è conseguente al fatto che la posizione degli assi ottici è legata ai valori dei 3 indici principali di rifrazione, i quali, a loro volta, a causa della d. ordinaria, variano col variare della frequenza della luce.
Locuzione con cui si intendono i vari fenomeni di d. di radiazioni elettromagnetiche nell’atmosfera terrestre. Fenomeni di d. si accompagnano generalmente alla rifrazione e alla diffusione che nell’atmosfera subisce la luce del Sole e di altri astri. Un fenomeno di d. facilmente osservabile è la scintillazione delle stelle, consistente in un continuo tremolio e in un continuo trasmutare di colore della luce delle stelle, dovuto a variazioni della rifrangenza atmosferica in conseguenza della turbolenza dell’aria.
Procedimento mediante il quale dati contigui vengono copiati in locazioni di memoria non contigue. Lettura con d. Dall’espressione inglese scatter read, operazione di immissione di dati in un calcolatore durante la quale i dati contenuti in ciascun record vengono memorizzati in locazioni non contigue; questa operazione è complementare all’operazione di scrittura con raggruppamento. Il termine d. è usato anche come sinonimo di operazione NAND (➔).
D. scolastica In senso tecnico, fenomeni di d. sono l’abbandono (➔), certamente il più grave, ma anche la ripetenza, ovvero la condizione di chi si trovi a dover rifrequentare lo stesso corso frequentato in precedenza con esito negativo, nonché gli altri casi di ritardo, quali l’interruzione temporanea della frequenza per i motivi più vari o il ritiro per periodi determinati seguito dalla ripresa degli studi. La non frequenza e l’interruzione dei corsi dell’istruzione di base configurano casi, anche giuridicamente rilevanti, di evasione o inadempimento dell’obbligo scolastico, la cui durata varia secondo gli ordinamenti dei diversi paesi. La non frequenza è valutata negativamente, sotto il profilo sociopolitico ed economico, anche quando si riferisce alla fascia dell’istruzione secondaria superiore, dal momento che la formazione completa a detto livello di istruzione è ritenuta ormai indispensabile per l’inserimento nel mondo del lavoro e per la stessa maturazione culturale e civile delle giovani generazioni. Nelle analisi e comparazioni internazionali dei sistemi scolastici, l’incidenza dei fenomeni di d. scolastica o, come altrimenti chiamati, di insuccesso, rappresenta un indicatore in negativo della qualità ed efficienza dei sistemi stessi.
Nella teoria fonologica si definisce campo di d. l’area che comprende le diverse realizzazioni di un fonema, sia in rapporto con il contesto (articolazioni contigue), sia in dipendenza dai singoli parlanti (per es., la frequenza della voce maschile o femminile nelle vocali). Il campo di d. è uno dei presupposti per spiegare il mutamento nella fonologia diacronica (A. Martinet ecc.).
In balistica, la d. del tiro costituisce il modo secondo il quale si distribuiscono sul bersaglio i colpi sparati dalla stessa bocca da fuoco, con gli stessi dati e nelle identiche condizioni.
Modo in cui i valori di una distribuzione si distribuiscono intorno al valor medio. In questo caso la d. è quindi una delle caratteristiche della distribuzione. Si dice che una serie di frequenze statistiche è a d. normale, quando la sua distribuzione è sensibilmente prossima a quella che il fenomeno presenterebbe se esso dipendesse da una probabilità costante, eguale al valor medio delle frequenze.