In astronomia, oggetto extragalattico di aspetto stellare, estremamente lontano e luminoso. Il nome q. fu inizialmente attribuito a sorgenti radio intense che avevano nel visibile un aspetto stellare. In seguito, però, si individuarono altri corpi, assai più numerosi, che non erano forti emettitori di onde radio, ma avevano le stesse proprietà ottiche dei quasar. A essi fu dato il nome di ‘oggetti quasi stellari’ o, più brevemente, QSO (quasi stellar objects). I q. e i QSO vengono considerati membri di una medesima classe e il termine q. viene impiegato estensivamente anche per indicare oggetti con debole radioemissione.
I q. emettono radiazione in quasi tutte le regioni dello spettro elettromagnetico, dalle onde radio (o dall’infrarosso nel caso dei q. con debole radioemissione) fino ai raggi X e gamma. Si osserva, in particolare, una marcata emissione nell’ultravioletto, che viene spesso utilizzata per individuare questi oggetti distinguendoli dalle stelle. La fig. 1 è un diagramma degli indici di colore dei q., U-B e B-V (dove U, B, V sono, nell’ordine, le magnitudini apparenti ultravioletta, blu e visuale; ➔ fotometria). Si nota che i q. non soltanto presentano un forte eccesso ultravioletto rispetto alle stelle di sequenza principale (curva continua), ma che i loro punti rappresentativi cadono, in buona parte, al di sopra della retta tratteggiata corrispondente all’emissione di un corpo nero. Alla componente continua dello spettro sono sovrapposte numerose righe sia di emissione sia di assorbimento. La caratteristica saliente dello spettro dei q. è il fortissimo spostamento verso il rosso di tutte le righe di emissione. Il fenomeno, attribuito all’effetto Doppler, è illustrato in fig. 2, che mostra una porzione dello spettro del q. OQ 172. L’intensità del flusso è riportata in funzione della lunghezza d’onda emessa λo (scala in basso) e di quella osservata λ (scala in alto). Si nota, per es., che la riga Lyman-α viene osservata a λ=550,8 nm, cioè nella regione verde dello spettro visibile, mentre la sua lunghezza d’onda di riposo (λo=121,6 nm) cade nell’ultravioletto. Nel caso in figura, il redshift, definito come z=(λ−λo)/λo, è 3,53, un valore di gran lunga maggiore di quelli tipici delle stelle (z≲0,002) e anche delle galassie ordinarie (la maggioranza delle quali ha z≲0,5).
È opinione diffusa (anche se non universalmente accettata) che il redshift dei q. sia di origine cosmologica, cioè sia prodotto, per effetto Doppler, dal moto di espansione dell’Universo. Le velocità che si deducono dalla teoria dell’effetto Doppler sono enormi, fino a oltre 0,9 c (c=velocità della luce). Corrispondentemente, la legge di Hubble (➔) implica che i q. siano assai lontani. Per es., per z=2 si trova una distanza di circa 3800 Mpc (1 Mpc=106 parsec), pari a circa 12 miliardi di anni luce. D’altra parte, per studiare la distribuzione radiale dei q., si preferisce esprimere le loro distanze direttamente in termini di z, anziché in Mpc. I valori del redshift dei q. variano entro un ampio intervallo, da meno di 0,1 a oltre 4. La distribuzione non è però uniforme. In fig. 3, la densità spaziale d dei q. con z=0,5 e z=2 è riportata in funzione della loro magnitudine bolometrica assoluta MB: si nota non soltanto che i q. con z=2 sono più numerosi di quelli con z=0,5, ma anche che la loro luminosità è maggiore. In generale, si trova che la luminosità assoluta dei q. tende ad aumentare con la distanza.
Le dimensioni dei q. possono dedursi dalla variabilità della loro luminosità. Infatti, secondo la teoria della relatività, la luminosità di una sorgente non può variare su tempi più brevi di quelli impiegati da un segnale luminoso per attraversare la regione di emissione. È possibile, pertanto, fissare un limite superiore alle dimensioni della sorgente, moltiplicando la velocità della luce per il tempo sul quale la sua luminosità subisce variazioni sostanziali. Si è così trovato che le dimensioni di questi oggetti non possono superare un anno luce: una lunghezza assai piccola, se confrontata con i diametri tipici delle galassie (dell’ordine di decine di migliaia di anni luce). La massa dei q. è difficile da valutare. Una stima grossolana può essere ottenuta dalla luminosità. Questa, infatti, non può superare il cosiddetto limite di Eddington, oltre il quale la pressione di radiazione prevarrebbe sulla attrazione gravitazionale, espellendo gli strati di materia più esterni. Al crescere della massa del corpo, cresce anche il limite di Eddington: pertanto, supponendo che la luminosità di un q. sia vicina a tale limite, se ne può dedurre la massa. Si trovano valori dell’ordine di 109 M⊙ (M⊙=massa solare).
I q. pongono alcuni dei problemi più impegnativi con cui le teorie astrofisiche devono oggi confrontarsi. Infatti, se essi sono effettivamente così lontani come implicato dai loro redshift, l’energia emessa è enorme. Si tratta allora di spiegare come oggetti aventi un diametro di appena un anno luce (e forse meno) possano avere una luminosità pari a quella di 1000 galassie, formate ciascuna da 100 miliardi di stelle. È proprio per evitare questa difficoltà che alcuni astrofisici rifiutano tuttora l’interpretazione cosmologica del redshift. Secondo il punto di vista più largamente accettato, la sorgente che alimenta i q. è l’energia gravitazionale di un corpo massiccio e molto denso, probabilmente un buco nero, capace di catturare continuamente nuova materia (fig. 4).
Le osservazioni più recenti hanno rivelato la presenza di aloni luminosi intorno a quasi tutti i q. con z<0,5. Questi aloni vengono interpretati come galassie (le cosiddette galassie ospiti), delle quali i q. costituirebbero il nucleo. Molto probabilmente, tutti i q. sono nuclei di galassie, anche se queste, a redshift maggiori di 0,5, hanno in genere una luminosità troppo debole per essere osservabili.
La teoria della relatività generale fa prevedere che un corpo massiccio, situato sulla linea di vista di una sorgente, ne defletta i raggi luminosi, producendo, in certe circostanze, uno sdoppiamento dell’immagine. Il fenomeno, noto come lente gravitazionale o miraggio gravitazionale, fu ipotizzato da A. Einstein nel 1936. La prima conferma sperimentale dell’effetto è stata fornita, nel 1980, dal q. 0957+561, di cui si rivelarono due immagini identiche a una distanza angolare di 6″ (fig. 5). Da allora sono state scoperte parecchie altre immagini sdoppiate di quasar.