(lat. Mercurius)
Antica divinità romana, venerata nel Lazio già in età arcaica: nel 5° sec. a.C. a Falerii Veteres, nel 4°-3° sec. a Preneste. A Roma, per lungo tempo, fu considerato unicamente come dio dei mercanti: già il 15 maggio 495 a.C., gli sarebbe stato dedicato un tempio alle pendici dell’Aventino e si costituì sotto la sua protezione il collegio dei mercanti (mercuriales, mercatores). Analoghi collegi si costituirono ovunque fossero gruppi di Romani residenti per ragioni di commercio, per es. nell’isola di Delo, già alla metà del 2° sec. a.C. Collegi di mercanti sotto la protezione del dio erano anche numerosi in città italiche, dove al culto di M. si associò poi quello di Augusto (Mercuriales et Augustales).
Frattanto però il M. romano si era andato progressivamente ellenizzando, assumendo i caratteri della corrispondente divinità greca Ermete, forse anche per la mediazione dell’etrusco Turms: inventore della lira, messaggero degli dei e quindi protettore degli araldi, guida dei defunti nell’Ade ecc. In età imperiale il romano M. nelle regioni africane, celtiche e germaniche si assimilò a svariate divinità locali.
L’arte romana, come quella etrusca, riprende e sviluppa il tipo dell’Ermete greco. Nel periodo repubblicano la testa imberbe con petaso alato compare nel sestante dell’aes grave. Generalmente a Roma prevale il tipo che regge nella mano destra il sacchetto dei denari, con petaso e caduceo; è alato, nudo o con mantello, spesso associato alla Fortuna.
Il pianeta del Sistema solare più vicino al Sole. È noto fin dall’antichità, essendo (insieme a Venere, Marte, Giove e Saturno) uno dei 5 pianeti visibili a occhio nudo. Il suo diametro medio (4878 km) è ∿0,38 volte quello terrestre, e la sua massa è 3,30∙1023 kg (∿0,06 volte quella terrestre). L’accelerazione di gravità alla superficie è 3,7 m/s2; la velocità di fuga 4 km/s; la riflettività media della sua superficie ∿0,13.
M. è il pianeta che, dopo Plutone, ha l’orbita più fortemente ellittica (fig. 1): il suo semiasse maggiore misura 57.900.000 km (0,387 UA); l’eccentricità è ε=0,206. La distanza dal Sole varia da un minimo di ∿46.000.000 km (al perielio) a un massimo di ∿70.000.000 km (all’afelio). L’inclinazione dell’orbita rispetto al piano dell’eclittica è 7°, la maggiore fra quelle di tutti i pianeti, eccetto Plutone. Il periodo del moto di rivoluzione (anno sidereo) di M. è di 87,97 giorni (0,24 anni). Il periodo di rivoluzione sinodico, vale a dire il tempo che il pianeta, visto dalla Terra, impiega a riprendere la stessa posizione rispetto al Sole, è di ∿116 giorni.
Data la sua distanza relativamente piccola dal Sole, M. non è mai visibile dalla Terra in piena notte, ma solo poco prima dell’alba o poco dopo il tramonto e solo per qualche decina di giorni all’anno. Nel corso dell’anno, poiché il periodo di rivoluzione sinodico è di 116 giorni, si verificano tre congiunzioni inferiori e tre congiunzioni superiori. I periodi di visibilità del pianeta sono quelli che precedono e seguono le congiunzioni inferiori: nel periodo precedente la congiunzione, M. appare a E del Sole poco dopo il tramonto; in quello che segue la congiunzione, appare a O del Sole poco prima dell’alba. Data la notevole inclinazione dell’orbita sul piano dell’eclittica, M. non transita davanti al disco solare a ogni congiunzione inferiore, ma a N o a S di esso. I transiti sul Sole si osservano quando la congiunzione si verifica nelle epoche in cui la Terra è in prossimità della linea dei nodi di M., cioè dell’intersezione del piano orbitale di M. con quello dell’eclittica: ciò accade l’8 maggio e il 10 novembre e i transiti sono possibili da 3 a 5 giorni attorno a tali date. Si è calcolato che in un secolo si verificano in media 13 passaggi.
M., essendo un pianeta ‘inferiore’ (cioè più vicino al Sole della Terra), presenta fasi analoghe a quelle lunari: al momento della congiunzione superiore ha fase piena e diametro apparente minimo; al momento della congiunzione inferiore ha fase minima e diametro apparente massimo.
Negli anni 1960, la velocità di rotazione del pianeta fu determinata con la tecnica radar, basata sull’effetto Doppler. Si trovò che questa velocità corrispondeva a un periodo di rotazione di ∿59 giorni. Ma l’italiano G. Colombo, insieme a I. Shapiro, intuì che il periodo di rotazione doveva essere in realtà di 58,65 giorni, cioè esattamente 2/3 del periodo di rivoluzione (87,97 giorni), il che fu confermato dalle misure radar successive. Colombo e Shapiro dimostrarono anche che la configurazione dinamica in cui si trova M. è stata prodotta dalle intense forze di marea esercitate dal Sole. Il rapporto di 2/3 fra i periodi di rotazione e di rivoluzione si è stabilito perché l’orbita del pianeta è notevolmente ellittica: se l’orbita fosse stata circolare, i due periodi sarebbero diventati uguali e si sarebbe avuta la rotazione sincrona (come nel caso del moto della Luna intorno alla Terra).
Pur essendo un oggetto notevolmente brillante (la sua massima magnitudine apparente è −1,9), M. si osserva con difficoltà a occhio nudo perché, data la sua vicinanza al Sole, viene sempre visto sullo sfondo di un cielo molto luminoso. Le osservazioni al telescopio sono complicate dal fatto che all’alba e al tramonto il pianeta appare attraverso uno spesso strato di aria, mentre intorno a mezzogiorno si è disturbati dalla intensa luminosità del cielo. A causa di queste difficoltà e delle piccole dimensioni del disco del pianeta (il cui massimo diametro angolare è di appena 13″), ben poche informazioni vennero ottenute su M. prima dell’era spaziale.
Il quadro delle caratteristiche fisiche del pianeta è emerso soltanto con la missione Mariner 10, che, lanciata il 3 novembre 1973, raggiunse M. il 29 marzo 1974. Da un punto di vista tecnologico, questa missione presentò un’importante innovazione, sfruttata largamente in seguito nell’esplorazione spaziale: l’uso del campo gravitazionale di un pianeta (in questo caso Venere) per dare a una sonda la ‘spinta’ necessaria a raggiungere un obiettivo più lontano (➔ sonda). L’incontro con M. fu calcolato da G. Colombo, in modo tale da sfruttare il campo gravitazionale di M. per ‘sincronizzare’ il periodo di rivoluzione della sonda intorno al Sole con quello del pianeta: si realizzarono così altri due incontri (avvenuti il 21 settembre 1974 e il 16 marzo 1975).
Nel 2004 è stata lanciata la sonda Messenger della NASA, destinata a restare nell’orbita di M. per circa un anno, a partire dal 2011. Nel 2008 ha iniziato a inviare a Terra le immagini dell’emisfero nascosto del pianeta.
Le fotografie scattate da Mariner 10 mostrano un panorama apparentemente simile a quello lunare, la cui caratteristica saliente è l’intensa craterizzazione. I crateri da impatto sono presenti ovunque, anche se la densità di craterizzazione (definita come il numero di crateri, aventi un diametro maggiore di un dato valore, che si trovano sull’unità di superficie) cambia da una regione all’altra; i crateri vengono designati con nomi latini o di personaggi storici. Fra quelli di dimensioni maggiori, detti più propriamente bacini, vi sono Dostoevskij e Tolstoj (che hanno diametri di ∿400 km) e Caloris (il più grande di tutti, con un diametro di ∿1300 km). I crateri di M., come quelli della Luna, non presentano segni di erosione: infatti, in assenza di acqua e di un’apprezzabile atmosfera, essi sono stati cancellati soltanto da nuovi impatti di meteoriti o da eruzioni vulcaniche.
Su M., come sulla Luna, si distinguono due tipi principali di territori, gli altopiani e le pianure. I primi, come i loro analoghi lunari, sono i più densamente craterizzati; le pianure, probabilmente generate da immense colate di lava fuoriuscite da fessure apertesi nel suolo, che coprono il 15-20% della superficie esplorata da Mariner 10, corrispondono ai ‘mari’ lunari.
Su M. i dislivelli sono, in generale, meno accentuati di quelli esistenti sulla Luna: questa è una conseguenza della maggiore intensità della forza gravitazionale, che su M. ostacola la formazione di montagne molto elevate. Strutture caratteristiche della superficie mercuriana sono le scarpate, che si estendono per centinaia di kilometri, attraversando sia gli altopiani sia le pianure. Le scarpate sono faglie, la loro forma arrotondata e l’andamento sinuoso rivelano che esse devono aver tratto origine da una compressione della crosta del pianeta avvenute in una fase della storia geologica di Mercurio.
La superficie del pianeta è ricoperta da uno strato di pietre e polvere simile alla regolite lunare (➔ Luna); questo strato di materiale incoerente, derivato dalla frammentazione delle rocce originarie per opera delle meteoriti, avrebbe uno spessore da qualche metro fino a qualche decina di metri.
Le osservazioni di Mariner 10 hanno dimostrato che intorno a M. vi sono tracce di gas: la pressione al suolo è appena 10-13 bar. Piuttosto che di una vera e propria atmosfera si tratta di una esosfera, cioè di un involucro gassoso talmente rarefatto che le singole particelle non collidono quasi mai fra loro, ma si muovono su traiettorie paraboliche fra un urto e l’altro contro la superficie del pianeta. Negli altri pianeti interni del Sistema solare (Venere, Terra e Marte) l’esosfera costituisce soltanto la parte più esterna dell’atmosfera. Per quanto riguarda la composizione chimica, l’esosfera mercuriana è essenzialmente composta da sodio; vi sono poi presenti potassio, idrogeno, elio e minime tracce di altri gas nobili. Si pensa che l’attuale esosfera venga alimentata attraverso due meccanismi. Una sorgente è certamente rappresentata dal vento solare, un flusso di gas ionizzato proveniente dal Sole: si spiegherebbe così la presenza, nell’esosfera, dell’idrogeno e dell’elio, che sono i principali costituenti del vento solare. La seconda sorgente, che deve dare origine al sodio e al potassio, è più misteriosa: questi elementi, molto volatili, potrebbero provenire dalla disintegrazione delle micrometeoriti che cadono sul pianeta oppure vaporizzare direttamente dalle rocce superficiali, ‘bombardate’ dalle particelle del vento solare.
Sulla superficie di M. le escursioni termiche sono assai maggiori di quelle che si verificano su qualsiasi altro pianeta. A ciò contribuiscono tre diversi fattori: l’elevata intensità della radiazione solare, la mancanza dell’isolamento termico, che sugli altri pianeti è assicurato dall’atmosfera, e la lunga durata del giorno. Quando M. si trova al perielio la temperatura, all’equatore, può raggiungere i 430 °C; durante la notte essa può scendere a −180 °C.
Un’ipotetica struttura di M. (fig. 2) è quella nella quale si distinguono un nucleo di ferro-nichel, che avrebbe un raggio di ∿1750 km, un mantello, profondo ∿700 km, formato soprattutto da silicati, e la crosta superficiale di spessore sconosciuto. Il nucleo, relativamente alle dimensioni del pianeta, è assai grande: in esso si concentrerebbe il 60% della massa totale, mentre nel nucleo della Terra vi è poco più del 30% della sua massa. Si pensa che la differenza di composizione chimica fra i due pianeti non sia dovuta a un ‘arricchimento’ di M. in metalli pesanti, ma a un suo ‘depauperamento’ in elementi leggeri: quando M. si è formato, la temperatura del materiale nebulare, data la vicinanza al Sole, era così elevata da non permettere la condensazione dei silicati, che sono molto volatili; questi, perciò, sarebbero andati in gran parte dispersi nello spazio, lasciando la materia residua più ricca di ferro e di nichel.
Uno dei risultati più interessanti ottenuti da Mariner 10 è stata la scoperta del campo magnetico mercuriano. Tale campo ha caratteristiche simili a quello terrestre; ha una struttura dipolare, con l’asse del dipolo inclinato di ∿11° rispetto all’asse di rotazione e diretto in senso opposto a questo. La sua intensità è molto piccola: il momento del dipolo è soltanto ∿4·10−4MT (dove MT=8·1025 u.e.m. è il momento del dipolo terrestre). Anche se così debole, il campo magnetico mercuriano ha rappresentato una sorpresa. Secondo le teorie dinamo accettate (➔ dinamo), per generare un campo magnetico in un pianeta occorre che questo sia in ro;tazione abbastanza rapida e possegga un nucleo metallico fluido. Non ci si aspettava che tali condizioni fossero verificate da M.: la sua rotazione sembrava essere troppo lenta per alimentare una dinamo; inoltre si pensava che, data la piccola massa del pianeta, il suo nucleo metallico si fosse da tempo raffreddato, solidificando completamente. L’esistenza di un campo magnetico apprezzabile sembra implicare che M. possegga tuttora un nucleo fluido abbastanza esteso; tuttavia la sua esistenza potrà essere confermata soltanto da misure più accurate del campo magnetico, che permettano di stabilire se questo è effettivamente prodotto attraverso il meccanismo dinamo.