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Augusto, Gaio Giulio Cesare Ottaviano

Enciclopedia on line
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Primo imperatore romano (Roma 63 a.C. - Nola 14 d.C.). Fondatore dell'Impero romano, la sua opera chiuse definitivamente la crisi della repubblica, ormai inadeguata a reggere lo stato attraverso l'oligarchia senatoria, sostituendo un regime monarchico solidamente stabilizzato sull'esercito e sul dominio delle province: in ciò fu continuata l'opera di Cesare, salvo che A. volle evitare ogni aspetto di usurpazione e di dittatura, giustificando il suo regime dal punto di vista repubblicano. Non c'è dubbio però che questa soluzione (per cui l'imperatore derivava il potere dal senato, mentre la sua autorità, con le sue forze militari ed economiche, era in realtà indipendente dal senato) costituì il dissidio intrinseco del principato, che A. lasciò ai suoi successori. Oltre alla soluzione costituzionale, l'opera veramente grandiosa di A. fu la realizzazione dell'unità dell'Impero, cioè la collaborazione armoniosa degli elementi eterogenei che lo componevano sotto una forza regolatrice, che assicurava il benessere e la pace, soddisfacendo all'antico ideale dell'abolizione delle guerre tra i partecipi della stessa civiltà.

Vita e attività

Figlio di Gaio Ottavio e di Azia (nipote di Cesare), nacque in Roma il 23 sett. 63 a. C. e fu adottato da Cesare nel 45; da Apollonia (ove si trovava quando Cesare fu assassinato) venne a Roma nel maggio del 44, rivendicando i diritti di figlio ed erede del dittatore. Il rifiuto di Marco Antonio a consegnargli la sottratta eredità fece sì che intorno alla sua persona si riunissero tutte le forze che, alla morte di Cesare, volevano riprendere le antiche posizioni e che speravano di poter dominare meglio col giovanetto Ottaviano che non col potentissimo Antonio. In tal modo si creò la singolare situazione per cui egli ebbe al suo seguito veterani di Cesare e insieme il gruppo senatorio già avversario di Cesare. Ne sorse di conseguenza il conflitto con Antonio, il quale fu vinto in due battaglie a Modena (44-43) e riparò in Gallia. Ottaviano ruppe quindi l'artificiosa alleanza con l'oligarchia senatoria e, appoggiato dalla forza armata, assunse il consolato. Allo scopo di fronteggiare il pericolo dei repubblicani cesaricidi, venne a un accordo con Antonio, costituendo con lui e con Lepido il secondo triunvirato (43). Assieme ad Antonio vinse, a Filippi, Bruto e Cassio (42). Mentre Antonio ebbe il comando dell'Oriente, Ottaviano si assunse il compito delle assegnazioni ai veterani delle terre in Italia, ma dovette affrontare una guerra civile, provocata tra gli Italici da Lucio Antonio (fratello del triunviro), che sconfisse a Perugia (40). Rinnovati gli accordi con Antonio a Brindisi, combatté Sesto Pompeo che, dalla Sicilia e dalla Sardegna, esercitava un pericoloso dominio sul mare, e, con l'aiuto di Agrippa, lo vinse a Nauloco (36). Eliminato quindi anche Lepido (al quale spettava il comando dell'Africa), fu padrone dell'Occidente, e poiché Antonio con i suoi accordi con Cleopatra manifestava il disegno di voler trasformare l'Impero romano in una monarchia orientale, dichiarò guerra a Cleopatra e ad Azio (31) sconfisse la regina e Antonio; la vittoria fu coronata l'anno dopo con la presa di Alessandria e i suicidî di Antonio e Cleopatra; in tal modo Ottaviano conquistò anche l'Egitto. Nel 29 celebrò a Roma un triplice trionfo e chiuse il tempio di Giano. L'era delle guerre civili era terminata.

Divenuto padrone dell'impero, dovette risolvere il problema costituzionale: egli inserì la sostanza monarchica del nuovo regime nell'ambito delle forme repubblicane. A ciò servì non tanto il consolato (rivestito consecutivamente dal 31 al 23), quanto l'imperio proconsolare, che gli dava il comando militare, e la potestà tribunicia (assunta nel 23), che gli conferiva, col diritto di veto, una posizione dominante fra le altre magistrature; fu conservato anche il titolo di imperator, generale vittorioso; la sua posizione predominante si rifletteva nel titolo di Augusto, col suo significato di onore e venerazione (non di culto), del quale il senato lo insignì nel 27. Nel 12 a. C. fu fatto pontefice massimo, nel 2 a. C. ebbe il titolo di pater patriae. Il nuovo regime seppe interpretare la coscienza della missione dominatrice e civilizzatrice dell'Impero romano, e della pace feconda di operosità, di ordine e di benessere; e questi ideali di gloria e di pace, che si riflettono nelle lettere e nelle arti del tempo, poterono oscurare gli antichi ideali di libertà. L'imperatore attuò anche una grandiosa riforma dell'organizzazione dello stato (quale era richiesta dalla crisi degli antichi ordinamenti e dalle esigenze del nuovo sistema politico). L'amministrazione (a danno delle magistrature repubblicane) fu messa nelle mani di funzionarî dipendenti dall'imperatore, formando così una nuova categoria di burocrati e determinando l'ascesa della classe equestre. A. prese su di sé la cura dell'annona, delle vie, degli acquedotti, ecc., la monetazione in oro e in argento. Divise le province in senatorie e imperiali, creò il fisco imperiale con i redditi delle province da lui dipendenti; provvide all'istituzione del censo provinciale. Creò contingenti fissi di legioni (25 unità) per le zone di confine renane, danubiane e orientali, nonché in Egitto, Africa e Spagna. Divise l'Italia in 11 regioni, riorganizzò l'amministrazione di Roma, che divise in 14 regioni, stabilì le coorti urbane come guarnigione, le coorti dei vigili per la sicurezza e la difesa contro gl'incendî. Furono da lui istituite le coorti pretorie e fissate nel numero di nove, di cui tre stabilite in Roma e le altre sparse in Italia. Combatté il malcostume con una vasta legislazione che metteva le assocíazioni sotto il controllo dello stato, puniva le malversazioni elettorali, tutelava la famiglia, ecc. Cercò di ravvivare la religione tradizionale. A Roma (foro di Augusto, Campo Marzio, ecc.) e fuori svolse una grandiosa attività edilizia. Fondò 28 nuove colonie.

Al tempo stesso A. dovette provvedere alla tranquillità delle province periferiche: negli anni 27-24 furono condotte azioni vittoriose contro i Cantabri; i popoli alpini furono sottomessi dopo ripetute azioni; i rapporti coi popoli dell'Oriente furono regolati, in gran parte per merito di Agrippa, con vantaggiosi accordi: Erode, re di Giudea, divenne vassallo dei Romani; i Parti restituirono nel 20 le insegne perdute da Crasso e da Antonio. Nel 19 la Penisola Iberica era definitivamente pacificata dopo le azioni condotte da Agrippa. Negli anni 16-15 una spedizione nel Norico fu con pieno successo condotta da Tiberio: furono create le province Rezia e Norico. Tiberio in tre anni (12-9) di sanguinosa guerra contro i Pannoni portò il confine al Danubio; in Germania furono condotte vittoriose spedizioni da Druso (12-9) e da Tiberio (8) e la regione tra il Reno e l'Elba fu assoggettata. I Parti dovettero nell'1 a. C. rinnovare gli accordi di fronte ai preparativi di una spedizione diretta da Gaio Cesare. In Germania, dove Maroboduo minacciava le posizioni romane, Tiberio (4 d. C.) assicurò nuovamente la linea dell'Elba, e dovette quindi con una dura lotta debellare l'insurrezione scoppiata in Pannonia e in Dalmazia (6-9). Nel 9 d. C. Varo subiva una grave disfatta da parte di Arminio, nella selva di Teutoburgo; Tiberio, accorsovi, arretrò la linea difensiva sul Reno. Nel 14 d. C., A. morì a Nola e fu sepolto a Roma nel mausoleo del Campo Marzio. Egli ebbe tre mogli: Clodia fino al 41 a. C., Scribonia che sposò nel 40 e dalla quale ebbe Giulia, e dal 39 Livia, già sposa di Tiberio Claudio Nerone (dal quale essa aveva avuto Tiberio ed era incinta di Druso). A. si preoccupò a lungo della successione; apparvero prima designati il nipote Marcello, che sposò nel 25 Giulia, ma morì nel 23 a. C.; quindi Agrippa, che sposò a sua volta Giulia, e nel 18 a. C. fu insigníto della potestà tribunicia ma morì nel 12 a. C., poi i figli di Agrippa e di Giulia, Gaio e Lucio Cesare, che furono adottati da Augusto ma morirono rispettivamente nel 4 e nel 2 d. C. Infine, essendo morto nel 9 a. C. anche Druso, unico erede possibile fu il figliastro Tiberio, adottato nel 4 d. C.

Augusto scrittore. A. fu scrittore puro ed elegante. Scolaro per l'eloquenza latina del retore Marco Epidio, per la cultura greca di Apollodoro di Pergamo, fu sempre studioso di eloquenza, ma con prevalente interesse politico e moralistico. Per prudenza politica scrisse sempre i suoi discorsi; anzi si dice che preparasse per iscritto memoriali per i colloqui più importanti, per non dire di più o di meno di quel che doveva. E dai numerosi frammenti delle epistole ai famigliari e di quelle ufficiali si vede com'egli fosse lontano dal turgido preziosismo asiano ma anche dal voluto arcaismo; né, colto com'era di greco, evitava parole ed espressioni greche. Scrisse: Rescripta Bruto de Catone, risposta al panegirico di Catone fatto da Bruto; esortazioni alla filosofia (Hortationes ad philosophiam); le proprie memorie in 13 libri (Commentarii de vita sua) fino alla fine della guerra cantabrica (24 a. C.); una Descriptio Italiae, opera geografica in cui si valse del materiale lasciato da Agrippa; una Vita di Druso; un poemetto in esametri, Sicilia; un libro di epigrammi (ne restano due di scarso valore letterario); aveva cominciato una tragedia Aiax, che poi, malcontento della forma, distrusse. Resta invece l'Index rerum a se gestarum, elenco delle sue imprese, da A. redatto poco prima di morire, e affidato alla custodia delle Vestali perché alla sua morte fosse inciso su tavole di bronzo davanti al suo mausoleo. Di esso furono fatte numerose copie, una delle quali quasi integra è il cosiddetto Monumentum Ancyranum.

Iconografia di Augusto. Oltre alle belle effigie su monete, si conservano di A. più di 140 ritratti in scultura (dall'Italia e dalle varie provìnce) che lo riproducono dalla giovinezza alla maturità. Notevoli soprattutto le teste marmoree del Museo Capitolino, di Istanbul (proveniente da Pergamo), di Chiusi, di Ancona, quelle bronzee di Londra (da Meroe), del Museo Profano al Vaticano, e le due statue, quella loricata ritrovata a Prima Porta (ora al Vaticano) e quella togata come pontefice (ritrovata in via Labicana, ora al Museo naz. rom.), capolavori della ritrattistica augustea. A. compare anche nel fregio dell'Ara Pacis, nella gemma augustea di Vienna e nel cammeo Strozzi-Blacas a Londra.

Vedi anche
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