(lat. Saturnus)
Antico dio latino. La sua arcaicità è attestata dall’essere ricordato nel Carmen saliare e nel calendario numano, che ne stabilisce la festa al 17 dicembre. Il suo nome era accostato dagli antichi a satus, part. pass. di serere «seminare»
La figura di S. non trovò diffusione fuori di Roma, dove ebbe un solo tempio e finì col fondersi con quella del greco Crono. Si favoleggiò allora che il dio, cacciato dal figlio Giove, avrebbe trovato rifugio in quella regione dell’Italia che da lui prese il nome di Lazio perché lì si nascose (lateo), instaurandovi la favolosa età dell’oro. A Roma il tempio di S. era nel lato occidentale del Foro, ai piedi del Campidoglio; dedicato dal console Tito Larcio (498 a.C.), fu poi ricostruito (42 a.C.) da Munazio Planco e restaurato dopo il 283 d.C. Al tempio era annesso l’aerarium populi Romani (➔ erario). Fuori Roma il culto di S. fu praticato solo nell’Africa romana, dove il suo nome sostituisce quello punico di Ba‘al. La diffusione dell’astrologia di origine orientale nell’età imperiale portò a identificare S. con il pianeta omonimo e con il sole notturno; l’influenza di S. era considerata negativa per l’organismo umano.
I Saturnali erano le feste, di carattere popolare, che si celebravano in onore di S. dal 17 dicembre (per 3 giorni al tempo di Augusto, poi aumentati). Durante i Saturnali, che si aprivano con una cerimonia religiosa e continuavano in modo sfrenato e orgiastico, era consuetudine scambiarsi doni augurali, abolire le distanze sociali e considerare sospese alcune leggi e norme.
Il secondo, per dimensioni, dei pianeti principali del Sistema solare e il sesto in ordine di distanza dal Sole.
È noto fin dall’antichità, essendo (insieme a Mercurio, Venere, Marte e Giove) uno dei cinque pianeti visibili a occhio nudo: la sua massima magnitudine apparente è −0,3. La sua orbita ellittica ha un semiasse maggiore di 1.426 milioni di kilometri (9,54 UA), un’inclinazione di 2° 29′ rispetto al piano dell’eclittica e un’eccentricità ε=0,056. Il periodo del suo moto di rivoluzione intorno al Sole è di 29,46 anni; il periodo di rotazione interno è di 10h39m24s. L’equatore è inclinato di 26°42′ rispetto al piano dell’orbita. Ha un diametro di 126.660 km (9,5 volte quello della Terra) e una massa di 5,69∙1026 kg (95 volte quella della Terra); la densità media è ρ=0,69 g/cm3 (1/8 di quella della Terra), la più piccola fra quelle dei pianeti. Il disco presenta un notevole schiacciamento (deq–dp)/dm=0,09, essendo deq il diametro equatoriale, dp il diametro polare e dm il diametro medio del pianeta. L’accelerazione di gravità alla superficie è 10,5 m/s2; la velocità di fuga 35,6 km/s. La riflettività della superficie è ∼50%.
S. è stato visitato per la prima volta nel 1979 dalla sonda Pioneer XI, e nei due anni successivi dalle sonde Voyager I (1980) e Voyager II (1981), che fornirono dati parziali sulle caratteristiche del pianeta perché si limitarono a dei passaggi in prossimità di esso per poi proseguire il loro viaggio. Dal luglio 2004 è in orbita attorno a S. la sonda Cassini-Huygens (nata dalla collaborazione NASA-ESA) che ha permesso di ottenere immagini dettagliate della superficie. Nel dicembre 2004, la s. atmosferica Huygens staccandosi dalla sonda madre Cassini si è diretta verso il principale satellite di S., Titano: penetrando nella sua atmosfera ha fornito importanti dati sulla sua composizione e immagini della superficie.
S. ha una composizione chimica simile a quella di Giove: entrambi i pianeti consistono prevalentemente di idrogeno, come indicato dal fatto che i loro punti rappresentativi nel diagramma massa-densità (➔ pianeta) cadono assai vicini alla curva che corrisponde a una composizione di puro idrogeno. Dopo l’idrogeno, l’elemento più abbondante su S., come su Giove, è l’elio. Nell’atmosfera, questo elemento è contenuto in percentuali relativamente piccole (∼7%): si pensa però che esso si concentri soprattutto negli strati interni, sicché la sua abbondanza complessiva si avvicinerebbe a quella solare (∼25%). Per quanto riguarda gli altri elementi (ossigeno, carbonio, silicio ecc.), le loro abbondanze sarebbero lievemente maggiori di quelle del Sole, che possiede ∼2% di elementi pesanti.
La struttura di S. (fig. 1) non sarebbe sostanzialmente diversa da quella di Giove, salvo una più completa differenziazione degli strati più interni. Al centro del pianeta, dove probabilmente si raggiungono temperature di ∼15.000 K, vi sarebbe un nucleo roccioso di silicati e metalli, circondato da un guscio di materiali ghiacciati (H2O, NH3 e CH4). Intorno a questo nucleo solido, avente un raggio di 10.000 o 15.000 km, si estenderebbe un mantello di idrogeno liquido nel quale si distinguerebbero, come su Giove, due strati: uno interno di idrogeno metallico, cioè idrogeno ionizzato, e uno esterno di idrogeno molecolare. Al di sopra dell’oceano di idrogeno liquido si estende l’atmosfera: tuttavia, il passaggio dalla fase liquida a quella gassosa avviene gradualmente, senza un confine netto.
S., come Giove, irraggia, sotto forma di radiazione infrarossa, circa il doppio dell’energia che riceve dal Sole. Si pensa che anche questo pianeta sia riscaldato da una conversione di energia gravitazionale in energia termica, ma i processi che si invocano sono diversi da quelli in atto in Giove. S., infatti, avendo una massa relativamente piccola, ha certamente già disperso il calore immagazzinato all’epoca della sua formazione; oggi, d’altra parte, non può contrarsi ancora apprezzabilmente. Si pensa allora che il meccanismo di riscaldamento dominante sia la ‘caduta’ dell’elio, contenuto nel mantello liquido, verso il nucleo: questo elemento si separerebbe lentamente dall’idrogeno, in cui è disciolto e, a causa della sua maggiore densità, precipiterebbe, liberando energia gravitazionale. Ciò spiegherebbe anche la scarsezza di elio nell’atmosfera del pianeta. Tale processo, d’altra parte, non si verificherebbe su Giove dove, data la temperatura più elevata del mantello, l’elio rimarrebbe disciolto nell’idrogeno.
L’atmosfera di S., ancor più di quella di Giove, è costituita soprattutto da idrogeno: infatti, come già detto, l’elio (il secondo elemento in ordine di abbondanza) rappresenta soltanto il 7% della sua massa. Gli altri elementi, come il carbonio e l’azoto, non si trovano allo stato libero, ma quasi esclusivamente in combinazione con l’idrogeno. I gas più abbondanti, dopo l’idrogeno e l’elio, sono il metano (2 parti per 1000) e l’ammoniaca (2 parti per 10.000). Seguono l’etano (C2H6), la fosfina (PH3), l’acetilene (C2H2), l’acido cianidrico (HCN) e l’ossido di carbonio (CO). Finora non è stato individuato il vapore acqueo, anche se si ipotizza che nubi di acqua esistano nella bassa atmosfera. Gli andamenti della pressione e della temperatura con l’altezza sono rappresentati in fig. 2.
L’atmosfera di S., come quella di Giove, ha una struttura a bande, alternativamente chiare e scure. Queste bande, tuttavia, hanno colorazioni meno intense delle zone e delle fasce di Giove e presentano un minore contrasto di luminosità. La superficie visibile del pianeta consiste di nubi, le cui caratteristiche variano con la quota (fig. 2). Le nuvole più alte, bianche, consistono quasi certamente di cristalli di ammoniaca. Più incerta è la natura delle nuvole più basse, di colore giallo-bruno: in esse, come nelle loro omologhe gioviane, si ipotizza la presenza di composti dello zolfo (forse l’idrosolfuro di ammonio, NH4HS) e del fosforo. A quote ancora inferiori, dovrebbero formarsi nubi di acqua: anche se esse non sono state osservate, si invoca la loro presenza per spiegare la mancanza di vapor acqueo negli strati sovrastanti dell’atmosfera. Un’altra caratteristica saliente, che accomuna l’atmosfera di S. a quella di Giove, è l’esistenza di grandi ovali, assai stabili, variamente colorati. Fra i più notevoli, le tre macchie brune, situate a 42° di latitudine nord, e Anna, a 55° di latitudine sud. Quest’ultima macchia assomiglia alla grande macchia rossa di Giove, anche se ha dimensioni minori (è lunga ∼6000 km). Ripresi da distanza ravvicinata, gli ovali rivelano la loro natura di vortici atmosferici. Se per es. la struttura vorticosa si trova nell’emisfero settentrionale del pianeta, la rotazione oraria rivela che si tratta di un’area anticiclonica (cioè di alta pressione).
S. possiede un campo magnetico approssimativamente dipolare, il cui momento è ∼550 MT, dove MT = 8∙1025 unità elettromagnetiche è il momento del dipolo terrestre. Date le grandi dimensioni del pianeta, il campo magnetico alla sommità delle nubi ha un’intensità di ∼0,2 oersted, un valore un po’ minore di quello che il campo geomagnetico ha all’equatore (∼0,3 oersted). L’asse del dipolo magnetico è quasi esattamente parallelo all’asse di rotazione, una configurazione unica nel Sistema solare e che è in contrasto con le aspettative delle teorie dell’origine del magnetismo planetario. Il campo magnetico di S. è, inoltre, rovesciato rispetto a quello terrestre: il polo nord e il polo sud magnetici coincidono con i corrispondenti poli geografici, mentre sulla Terra si verifica l’opposto.
Di S. si conoscono oltre 50 satelliti. I cinque maggiori, aventi diametri di oltre 1000 km, furono scoperti nel 17° sec. da C. Huygens (Titano) e da G.D. Cassini (Rea, Giapeto, Dione e Teti). Altri quattro satelliti di medie dimensioni (Mimas, Encelado, Iperione e Phoebe) vennero individuati al telescopio nei due secoli successivi. I più recenti sono stati scoperti dopo il 2004 grazie alle ricerche della sonda Cassini-Huygens. Vi sono tre gruppi di satelliti (detti coorbitali) che percorrono orbite identiche (o quasi). Essi sono: Epimeteo e Giano (il cui semiasse dell’orbita, a, misura 151.400 km); Teti, Calipso e Telesto (a = 295.000 km); Dione e Elena (a = 377.000 km). Calipso e Telesto, in particolare, occupano, sull’orbita di Teti, i punti di Lagrange, cioè le posizioni di equilibrio stabile per un corpo soggetto all’attrazione gravitazionale di Teti e del vicino Dione. I satelliti coorbitali provengono, molto probabilmente, da un unico corpo progenitore, frammentatosi in seguito a catastrofici impatti meteoritici. Importante è il ruolo che i satelliti più interni giocano nella dinamica degli anelli: per es., Pandora e Prometeo confinano, con il loro campo gravitazionale, le particelle dell’anello F in una banda sottile (per questa funzione, essi sono detti satelliti-pastore). Il satellite più esterno, Phoebe, si distingue per la notevole eccentricità della sua orbita (ε = 0,163) e per il fatto che è l’unico a muoversi intorno a S. in senso retrogrado: probabilmente, si tratta di un asteroide, catturato dal campo gravitazionale del pianeta (➔ satellite).
Gli anelli di S. furono osservati per la prima volta nel 1610 da Galileo, che tuttavia, a causa del modesto ingrandimento del cannocchiale di cui disponeva, li confuse con dei satelliti. Fu C. Huygens, nel 1656, a riconoscere che il pianeta era circondato da un anello. Le osservazioni telescopiche successive rivelarono che si trattava, in realtà, di un sistema di anelli: nel 1675, G.D. Cassini distinse due anelli (denominati A e B), separati da uno spazio vuoto (divisione di Cassini); nel 1837 J.F. Encke scoprì, all’interno dell’anello A, un altro spazio vuoto (divisione di Encke); nel 1850, W. Bond identificò l’anello C, più interno. Già Cassini, nel 1705, aveva ipotizzato che gli anelli non fossero corpi compatti, ma consistessero di una moltitudine di piccoli oggetti: ciò, tuttavia, fu definitivamente accertato soltanto nel 1895 da J. Keeler. All’inizio degli anni 1970, grazie allo sviluppo delle astronomie fuori del visibile, si cominciò a chiarire la natura delle particelle degli anelli: l’osservazione della loro emissione termica, alle lunghezze d’onda infrarosse, rivelò che erano costituite soprattutto da ghiaccio d’acqua, mentre l’analisi degli echi radar (➔ radarastronomia) indicò che, almeno in larga parte, dovevano avere dimensioni maggiori di 1 cm. Informazioni assai più dettagliate sono state ottenute analizzando le fotografie e gli altri dati raccolti dalle sonde spaziali. È risultato, fra l’altro, che il sistema di anelli è assai più complesso di quanto appaia da Terra. La fig. 3 mostra schematicamente la struttura degli anelli A, B e C, evidenziando le lacune più notevoli (oltre alla divisione di Cassini e alla divisione di Encke già nominate, quelle dette di Huygens, di Maxwell e di Keeler): occorre tuttavia tener presente che gli anelli si risolvono, a loro volta, in migliaia di sottili anellini (ring;lets) e che le divisioni non sono, in generale, veri e propri vuoti, ma piuttosto fasce in cui le particelle si diradano. Sono stati anche scoperti altri anelli, assai rarefatti, sia all’interno sia all’esterno dei tre principali: l’anello D, che si estende dai limiti dell’atmosfera di S. fino all’anello C, e gli anelli F, G ed E, che si trovano oltre il bordo esterno dell’anello A. Un anello più grande è stato scoperto nel 2009, ampio fino a 12 milioni di km circa dal pianeta e con un’orbita inclinata di 27° rispetto agli altri anelli.