tettonica Ramo delle scienze della Terra che ha per oggetto lo studio della dinamica delle deformazioni alla superficie del pianeta. Nel senso più ampio del termine, comprende sia lo studio delle grandi strutture geologiche costituenti la litosfera terrestre, sia lo studio, a una scala più locale, delle geometrie tridimensionali che assumono i corpi rocciosi quando sono sottoposti a sforzi che modificano le loro originarie configurazioni geometriche, tessiturali e strutturali.
La maggior parte delle deformazioni delle rocce è prevalentemente prodotta da processi orogenetici; durante questi processi le rocce subiscono una serie di dislocazioni che comprendono pieghe, faglie, sovrascorrimenti e falde di ricoprimento la cui formazione è strettamente legata al comportamento meccanico delle rocce stesse, a sua volta funzione della pressione litostatica, della temperatura, della presenza di fluidi di impregnazione, della velocità di deformazione e del tipo di materiali che costituiscono la roccia stessa. L’insieme di questi caratteri fa sì che le strutture tettoniche presenti nelle diverse regioni della superficie terrestre abbiano stili tettonici diversi, che possono anche coesistere, sebbene alcuni possano essere prevalenti sugli altri. Si parla così di stile a faglie, a pieghe e a falde di ricoprimento; in quello a pieghe inoltre si può distinguere uno stile deiettivo, caratterizzato da larghe anticlinali e strette sinclinali, e uno eiettivo, con larghe sinclinali e strette anticlinali. Quest’ultimo caratterizza in particolare le zone aventi una t. di copertura, vale a dire quelle aree dove, sopra un basamento costituito da rocce metamorfiche e intrusive, è presente una copertura di rocce sedimentarie piegate, interessata da faglie e sovrascorrimenti che risultano scollati dal sottostante basamento in corrispondenza di formazioni molto plastiche come evaporiti o rocce argillose.
A scala locale le strutture tettoniche vengono studiate dal punto di vista meso- e micro-strutturale, intendendo, nel primo caso, le indagini effettuate sulle strutture plicative e disgiuntive a scala dell’affioramento, e nel secondo quelle più particolareggiate su un campione in sezione sottile. Si può così riscontrare che i materiali hanno comportamento fragile quando si rompono nell’ambito dell’intervallo di elasticità a seguito della perdita di coesione lungo la superficie di frattura; hanno invece un comportamento duttile quando essi fluiscono indefinitamente sotto un certo sforzo, mentre si parla di comportamento fragile-duttile quando si ha una certa deformazione prima che intervenga la rottura vera e propria. Con questo tipo di studio si possono ottenere una serie di informazioni riguardanti sia la geometria delle strutture a più grande scala, sia l’orientazione del campo di sforzi che le hanno generate. Rientrano tra questi tipi di analisi lo studio della scistosità, della foliazione e delle lineazioni.
T. globale. La teoria della t. a zolle, detta anche t. a placche, partendo dall’esistenza di ben definite zone sismiche della Terra, suddivide l’involucro più esterno di essa (litosfera) in un mosaico di zolle rigide, che costituisce il modulo-base della configurazione dinamica della Terra. Questo mosaico non è immobile, ma è in continuo movimento: tutte le zolle, infatti, sono a contatto fra loro e in movimento relativo l’una rispetto all’altra; esse si spostano sulla sottostante zona plastica, l’astenosfera, da cui sono scollate, attraverso un canale a bassa velocità delle onde sismiche, il quale contiene una piccola percentuale di fase fluida che facilita lo scorrimento. Si è giunti così a definire un modello di t. globale, in cui la litosfera terrestre è composta da 6 grandi zolle (nord- e sudamericana, africana, euroasiatica, indiana, pacifica e antartica) e da numerose zolle più piccole, per es., Cocos, Nazca, caraibica, filippina (fig. 1).
Caratteristiche delle zolle. Ogni zolla viene considerata rigida, nel senso che le deformazioni sono prevalentemente concentrate lungo i margini, sebbene attività vulcanica e terremoti si registrino anche all’interno delle zolle stesse. Più in generale, le zolle litosferiche sono caratterizzate da bassa rigidità alla flessione, e possono essere sottoposte a intenso piegamento (bending) senza rompersi; possiedono inoltre una notevole rigidità alla torsione. Le dimensioni delle zolle sono variabili, e possono arrivare a un’estensione anche di 104 km (come la zolla pacifica) e a uno spessore di 80 km (quelle oceaniche) e 130 km (quelle continentali). La loro distribuzione non ha niente a che vedere con quella degli oceani e dei continenti; esse possono essere infatti costituite sia da litosfera oceanica sia da litosfera continentale o anche da uno solo di questi due tipi di litosfera (zolla pacifica).
Le zolle sono delimitate da tre tipi di margini: divergenti o in accrescimento, convergenti o in consunzione e conservativi o trasformi. Quelli divergenti sono rappresentati dalle dorsali oceaniche (➔ dorsale), dove arriva continuamente in superficie magma di provenienza profonda e dove si attua l’espansione dei fondi oceanici (fig. 2). Le dorsali sono segmentate e spostate lateralmente da faglie ortogonali (faglie trasformi); esse sono inoltre caratterizzate da un elevato flusso di calore, da valori elevati delle anomalie gravimetriche di Bouguer e da un particolare andamento delle anomalie magnetiche che risultano, rispetto all’asse della dorsale, alternativamente positive e negative (➔ paleomagnetismo).
Sistemi arco-fossa. I margini distruttivi sono rappresentati dalle zone di subduzione che appartengono ai cosiddetti sistemi arco-fossa, i quali comprendono 5 elementi morfotettonici principali (fig. 3): la fossa, profonda più di 6 km e pavimentata da crosta oceanica; la zona di subduzione, situata sotto la parete interna della fossa; l’intervallo arco-fossa, che raccorda la zona di subduzione e l’arco magmatico e dove è presente generalmente un bacino sedimentario; l’arco magmatico, costituito da una serie di apparati vulcanici; l’area di retroarco, spesso sede di un bacino marginale (o bacino di retroarco) che può essere impostato sia su crosta oceanica sia su crosta continentale. Le zone di subduzione sono caratterizzate da intensa attività vulcanica e sismica; presentano inoltre valori negativi delle anomalie gravimetriche di Bouguer in corrispondenza dell’arco insulare e hanno un andamento particolare delle isoterme, che si deprimono incuneandosi verso l’arco (fig. 4). Nelle zone di subduzione, infatti, la litosfera oceanica proveniente dalle dorsali e composta di lave ultrabasiche, basalti e sedimenti pelagici, viene riassorbita quasi completamente nel mantello; nella sua discesa, la zolla subisce inoltre cambiamenti di fase mineralogica e rotture che generano terremoti, distribuiti secondo un piano con inclinazioni variabili da 15° a 75°, detto piano di Benioff. La rifusione della zolla in profondità provoca anche la risalita di materiali fusi, che s’intrudono, generando vari tipi di rocce intrusive, e giungono fino in superficie sotto forma di lave. I margini convergenti sono anche i luoghi dove si attua il processo di collisione tra due zolle che trasportano blocchi continentali, dopo che l’oceano, tra loro interposto, è stato inghiottito all’interno della zona di subduzione.
La collisione tra i due blocchi crea una notevole deformazione nella zona in cui avviene l’accostamento: le rocce si piegano, si innalzano e il risultato finale (fig. 5) è la nascita di una catena montuosa (orogenesi).
L’accostamento tra le due placche (fig. 5A) avviene a spese della subduzione di crosta oceanica e del corrispondente mantello litosferico; adiacente alla zona di subduzione si forma una serie di vulcani che sono alimentati con il magma che deriva dalla fusione della placca subdotta. A causa di questi movimenti il bacino oceanico intermedio si chiude (fig. 5B); la crosta oceanica si rompe in cunei che tendono ad accavallarsi verso la placca in subduzione e i sedimenti marini cominciano a deformarsi. Con la collisione dei due continenti (fig. 5C) compressione e deformazione raggiungono la massima intensità; lembi di crosta oceanica (ofioliti), sedimenti marini e rocce dei blocchi continentali vengono ridotti in cunei e scaglie che si accavallano reciprocamente. Una volta che il processo di convergenza si blocca, l’intero edificio di scaglie accavallate, non più compresso, si solleva per compensazione isostatica. Lungo i margini trasformi non si genera né si distrugge crosta e le zolle scorrono l’una accanto all’altra. In queste zone, il movimento relativo lungo la faglia è parallelo alla direzione del movimento della faglia stessa: ne consegue che le faglie trasformi sono le uniche linee che ci danno indicazione sulla direzione del moto relativo delle zolle; queste zone sono inoltre sismicamente attive solamente nel settore che raccorda i due tronconi di dorsale; viceversa, i tratti della zona di frattura situati all’esterno delle dorsali risultano praticamente asismici.
Le zone in cui i margini di tre placche convergono sviluppano delle configurazioni geometriche definite giunzioni triple; queste possono essere stabili o instabili a seconda che siano in grado di conservare la loro geometria nel corso della loro evoluzione; solo le giunzioni triple da cui si dipartono tre dorsali sono stabili per qualsiasi orientazione dei margini di zolla.
Velocità delle zolle.I movimenti delle zolle avvengono su una superficie sferica (quella terrestre) e possono essere descritti come una rotazione attorno a un asse passante per il centro della Terra che interseca la superficie in un punto a detto polo di espansione o polo di Eulero (fig. 6). La velocità angolare di spostamento delle zolle su ogni parallelo di rotazione è costante, mentre quella lineare aumenta da zero al polo a un massimo all’equatore della rotazione. La posizione del polo di rotazione può essere determinata tracciando vari cerchi massimi perpendicolarmente alle faglie trasformi; il punto di intersezione di questi cerchi massimi (meridiani della rotazione) può essere dedotto anche sulla base della variazione della velocità di espansione lungo una dorsale. È evidente che il polo di rotazione di due zolle rappresenta una costruzione geometrica che può cambiare nel tempo al variare del movimento e della velocità relativa tra due zolle. Molto più complessa è invece la determinazione del movimento e della velocità assoluta di una zolla, per la quale sarebbe necessario disporre di un punto fisso di riferimento; gli unici che sembra possano essere utilizzati come tali sono i punti caldi (hot spots).
Meccanismi motori. Allo stato attuale della conoscenza vengono postulati per la t. a zolle diversi meccanismi motori. Tra questi vi sono: la trazione gravitativa dei lembi di litosfera in subduzione (slab-pull); la spinta laterale dovuta alla risalita dei magmi e alla creazione di nuova crosta in zone di dorsali (ridge-push); un generale meccanismo delle celle convettive che, secondo alcuni, interesserebbero solo il mantello, portandosi passivamente le zolle litosferiche sul loro dorso; secondo altri invece sarebbero direttamente le zolle a suscitare questi movimenti, sebbene i risultati delle indagini di tomografia sismica diano maggiore validità alla prima di queste due ipotesi. Benché quindi nessuno di questi meccanismi spieghi tutti i processi e le possibili situazioni, va sottolineato come la t. a zolle costituisca comunque una teoria organica di ampia portata, in grado di legare, in una logica rappresentazione di sintesi, una serie di processi apparentemente slegati tra loro, come la sismicità, il vulcanismo, l’espansione dei fondali oceanici, le anomalie e le inversioni magnetiche, la nascita delle catene montuose.
È lo studio dei processi che hanno contribuito a modellare la crosta, oltre che della Terra, anche degli altri pianeti interni (Mercurio, Venere e Marte) e della Luna. Questi corpi però hanno avuto una storia geologica meno complessa di quella della Terra in quanto, avendo una massa minore, hanno disperso nello spazio la loro energia termica interna più rapidamente della Terra stessa; per questo motivo la Terra è l’unico pianeta ad avere la crosta suddivisa in zolle che si trovano in moto continuo l’una rispetto all’altra. Marte, Mercurio e la Luna hanno croste più spesse e rigide, che consistono in un’unica placca. Ciò nonostante, molte caratteristiche superficiali di questi corpi (come le scarpate di Mercurio e i canyon di Marte) devono aver tratto origine da sforzi di compressione o di tensione tali da aver deformato la crosta.