Lo studio delle proprietà geometriche delle figure che non dipendono dalla nozione di misura, ma sono legate a problemi di deformazione delle figure stesse.
La t., che è oggi un capitolo fondamentale della matematica, in origine si limitava allo studio di aspetti geometrici qualitativi, tanto da essere chiamata analysis situs o geometria di posizione o, con denominazione antiquata, geometria del continuo. Per es., una circonferenza, un quadrato e un’ellisse, sono tre figure ben distinte nella geometria ordinaria; esse sono invece equivalenti dal punto di vista della t., perché questa non bada al fatto che la figura sia rotonda o schiacciata o abbia dei vertici, ma soltanto al fatto che le tre figure considerate sono tutte curve chiuse semplici; ciò significa che togliendo un punto a tale curva essa rimane connessa (tutta d’un pezzo), mentre togliendole due punti essa diventa sconnessa (in due pezzi). La connessione è quindi una proprietà topologica; forma e dimensioni della figura non hanno alcuna influenza.
Un altro esempio di proprietà topologica è offerto dal teorema di Eulero sui poliedri ordinari convessi, con v vertici, s spigoli e f facce. Il teorema afferma che v−s+f=2; tale proprietà si mantiene invariata, alterando con continuità forma e dimensioni del poliedro. In generale si può dire che la t. studia le proprietà di uno spazio che rimangono inalterate eseguendo una qualunque trasformazione biunivoca e bicontinua, una trasformazione cioè che muta, in entrambi i sensi, punti vicini in punti vicini. È evidente che si potrà dare un senso determinato a questa definizione solo dopo aver precisato sia la nozione di spazio, sia quella di vicinanza tra punti dello spazio; percorrendo questa strada si perviene alle nozioni di spazio topologico e di applicazione continua tra due spazi topologici.
Aspetti principali della t. sono la t. generale e la t. algebrica. Un più complesso sviluppo è la t. differenziale.
La t. generale si occupa in primo luogo della definizione e dello studio degli enti che stanno alla base della t., e cioè degli spazi topologici e delle funzioni continue; in secondo luogo delle nozioni fondamentali di più vasta applicazione che è possibile sviluppare in uno spazio topologico, come, per es., le nozioni di connessione, di compattezza, di metrizzabilità. Lo spazio topologico viene presentato assiomaticamente come un insieme S di elementi, detti punti, al quale sia associata una famiglia ℱ di sottoinsiemi, detti gli aperti di S, soddisfacenti opportune condizioni. La relazione di vicinanza tra due punti P e Q si esprime con il fatto che esiste un aperto contenente i due punti P e Q. In queste condizioni si dice anche che nell’insieme S considerato è stata introdotta una t. o una struttura topologica. Viene così generalizzata la situazione geometrica descritta dagli intorni dei punti, nel piano e nello spazio euclidei; gli insiemi aperti di uno spazio topologico contenenti un dato punto vengono infatti assunti come intorni del punto stesso. Un sottoinsieme di S si dice chiuso se è il complementare di un aperto. La nozione di connessione equivale all’impossibilità di spezzare lo spazio in due aperti non vuoti e disgiunti. Può accadere naturalmente che uno stesso insieme I possa essere considerato spazio topologico in due modi diversi, associando a esso due sistemi di aperti non equivalenti; in tal caso si hanno due diverse strutture topologiche nell’insieme I.
La seconda nozione fondamentale è quella di funzione (o applicazione) continua f fra due spazi topologici S ed S′. Se f è un’applicazione biunivoca tra S e S′, e se sono continue tanto f quanto f–1, si dice che f è un omeomorfismo tra S e S′, o anche che i due spazi S e S′ sono tra loro omeomorfi. Spazi omeomorfi hanno la stessa t. ovvero hanno le stesse proprietà topologiche; o si dice anche che S e S′ sono topologicamente equivalenti. Due spazi topologici omeomorfi vanno quindi considerati come lo stesso ente dal punto di vista della t.; il problema di fondo di quest’ultima sarà quello di classificare gli spazi topologici di fronte alla relazione di equivalenza, offerta dagli omeomorfismi. Una proprietà di uno spazio S che rimane invariata per omeomorfismi si dirà una proprietà topologica, o un invariante topologico di S. Così, per es., è un invariante topologico il fatto che una curva piana sia connessa (tutta di un pezzo). Un classico esempio di teorema di natura topologica è espresso dal teorema di C. Jordan: una curva piana C semplice e chiusa divide il piano in due regioni distinte, ciascuna delle quali è connessa e ha per frontiera C. La stessa proprietà vale anche sulla superficie della sfera, ma non sulla superficie del toro. Si comprende quindi l’importanza del problema di caratterizzare uno spazio topologico per mezzo di un certo numero di invarianti a esso associati. Un teorema in questo senso è quello che caratterizza le curve chiuse semplici del piano: ogni insieme chiuso e connesso tale che togliendo da esso un punto non se ne interrompe la connessione, ma togliendo due punti si interrompe, è omeomorfo a una circonferenza. Con riferimento a esempi precedenti, possiamo dire che una circonferenza, un’ellisse e un quadrato sono figure omeomorfe; sono anche omeomorfe la superficie di una sfera e la superficie di un cubo, mentre non sono omeomorfe la superficie di una sfera e quella di un toro.
La t. algebrica è caratterizzata dall’uso sistematico dei metodi e delle tecniche algebriche per la risoluzione dei problemi topologici. Il problema generale che essa affronta è quello di associare a uno spazio topologico una o più strutture algebriche che abbiano un significato topologico.
È un fatto abbastanza intuitivo che lo studio delle curve chiuse semplici in uno spazio topologico fornisce importanti informazioni sulla struttura topologica dello spazio stesso. Si pensi, per es., alle due superfici della sfera e del toro; sulla prima ogni curva chiusa semplice spezza la superficie in due parti disgiunte, mentre sul toro esistono curve chiuse semplici che non spezzano la superficie, come, per es., un parallelo. Similmente si comprende che le curve chiuse semplici sono importanti in tutte le questioni di orientazione di uno spazio topologico. Una curva chiusa orientata in uno dei due modi possibili ha un comportamento diverso a seconda che sia tracciata sulla superficie di un cilindro oppure sopra un nastro di Möbius; nel primo caso la curva, comunque deformata a partire da una posizione iniziale e a questa ricondotta, vi torna sempre con lo stesso orientamento, invece nel secondo caso può tornare nella posizione iniziale con l’orientamento invertito. Ciò è in relazione al fatto che il cilindro è orientabile, mentre il nastro di Möbius non è orientabile. Lo studio sistematico delle curve chiuse orientate ha fornito il primo spunto per la considerazione dei gruppi di omologia di uno spazio topologico.
In uno spazio topologico S si considerino le curve chiuse orientate z1, z2, ..., e le loro combinazioni lineari finite a coefficienti interi relativi
Tali combinazioni lineari si dicono cicli a 1 dimensione (ted. Zyklus) nello spazio S e, rispetto alla naturale operazione di somma che in essi si può definire, costituiscono un gruppo abeliano Z. Un sottogruppo notevole del gruppo Z è costituito dai bordi (o cicli contornanti o circondanti o omologhi a zero); tale è ogni ciclo che, con opportune regole sull’orientamento, risulti contorno di una porzione di superficie appartenente a S. Detto B tale sottogruppo, il gruppo quoziente Z/B prende il nome di gruppo di omologia di dimensione 1 dello spazio S e si indica con H1(S). Gli elementi del gruppo di omologia sono le classi di cicli omologhi, essendo ogni classe formata da tutti i cicli omologhi a uno dato. Per es., si ha che il gruppo H1(S) relativo a una sfera S è costituito dal solo elemento zero: ogni ciclo sulla sfera è omologo a zero; invece sul toro il gruppo H1(S) è un gruppo abeliano libero con due generatori, z1 e z2, che si possono assumere coincidenti con un meridiano e un parallelo, cosicché sul toro ogni ciclo è omologo a un ciclo della forma n1z1+n2z2. Per ottenere i gruppi di omologia di dimensione superiore, definiamo un complesso di catene (S*, ∂*) come la successione di gruppi abeliani e omomorfismi:
con la proprietà che ∂n∂n+1=0. In altri termini, se y=∂n+1(x), allora ∂n(y)=0. Se y=∂n+1(x), y si chiama n-bordo; e se ∂n(y)=0, y si chiama n-ciclo. Dunque ogni n-bordo è un n-ciclo. Un complesso di catene costituisce una successione esatta se ogni n-ciclo è un n-bordo. Dato un complesso di catene (S*, ∂*), la sua omologia è la successione dei gruppi quozienti Hn(S)=ker(∂n)/Im(∂n+1). Equivalentemente, due n-cicli si dicono omologhi se la loro differenza è un n-bordo. Hn(S) costituisce l’insieme delle classi di equivalenza. Pertanto, la successione [2] è esatta a Sn, se e solo se Hn(S)=0. Il nucleo di un omomorfismo f:A→B è il sottogruppo di A definito da ker(f)={a∈A | f(a)=0}, e la sua immagine è {f(a) | a∈A}. Dati gli omomorfismi f:A→B e g:B→C, la successione A −−→f B −−→g C si dice esatta a B se ker(g)=Im(f); cioè, se g(b)=0 se e solo se esiste a∈A tale che f(a)=b. Chiaramente due spazi topologici omeomorfi hanno gli stessi gruppi di omologia; questo fatto fornisce un importante strumento d’indagine, anche se non vale sempre l’inverso (due spazi con gli stessi gruppi di omologia non sono necessariamente omeomorfi).
Supponiamo ora che S e S′ siano due spazi topologici tra i quali è definita un’applicazione continua f:S→S′; questa trasformerà una curva chiusa orientata di S in una curva chiusa orientata di S′, cosicché si potrà associare al ciclo z di S espresso dalla [1] il ciclo di S′ espresso da f(z)=n1f(z1)+...+nrf(zr). Si vede facilmente che f è un omomorfismo tra i gruppi degli 1-cicli di S e di S′e che f conserva la relazione di omologia tra cicli cosicché determina un omomorfismo tra i gruppi di omologia H1(S) e H1(S′), che si chiama omomorfismo indotto dall’applicazione continua f e si indica con f: H1(S)→H1(S′). In modo analogo f induce degli omomorfismi tra i gruppi di omologia di dimensione superiore: H2(S)→H2(S′), H3(S)→H3(S′).
Quanto abbiamo detto finora presuppone in qualche modo la conoscenza dei gruppi di omologia dello spazio S. Sul modo in cui si determinano tali gruppi, una volta che sia assegnato lo spazio S, non esiste un procedimento generale valido per ogni spazio topologico; tuttavia se lo spazio è triangolabile mediante un complesso simpliciale, cioè se è possibile ricoprire S con un ricoprimento di tipo poliedrale (segmenti, triangoli, tetraedri ecc.), si possono determinare i gruppi di omologia con un ben preciso procedimento di calcolo fornito dalla cosiddetta t. combinatoria. Operando con combinazioni lineari a coefficienti interi sui simplessi (del complesso) delle varie dimensioni e tenendo conto delle relazioni di contorno si ottengono i cicli e i cicli contornanti e si possono costruire in conseguenza, con un preciso procedimento di calcolo, i gruppi di omologia delle varie dimensioni, che si possono attribuire sia al complesso simpliciale sia alla varietà a cui il complesso stesso è associato. I gruppi di omologia di un complesso simpliciale risultano essere gruppi abeliani con un numero finito di generatori i cui caratteri (numero di generatori e coefficienti di torsione) prendono il nome di numeri di Betti e di coefficienti di torsione del complesso ovvero della varietà.
Oltre al caso precedentemente esaminato, esistono altre situazioni nelle quali i gruppi di omologia di uno spazio S si possono determinare a partire dalla conoscenza dei gruppi di omologia di altri spazi, legati a S da ben precise relazioni topologiche. Per es., se T è un sottospazio chiuso di S, esistono relazioni ben precise tra i gruppi di omologia di T, S−T e S, espresse da un’opportuna successione esatta di gruppi e omomorfismi (omologia relativa). Così pure se lo spazio S è il prodotto topologico di due altri spazi S′ e S″, cioè se S=S′×S″, i gruppi di omologia di S si possono calcolare a partire dagli analoghi gruppi di S′ e S″. Più in generale, se S è uno spazio fibrato a partire dalla base S′ e dalla fibra S″ (la nozione di spazio fibrato generalizza quella di spazio prodotto) si conoscono varie relazioni esistenti tra i gruppi di omologia di S, S′, S″. Le relazioni generali tra i gruppi di omologia di una varietà topologica n-dimensionale sono conseguenza del teorema di dualità di Poincaré: il gruppo di omologia Hq(S) è determinato dai gruppi Hn–q(S) e Hn–q–1(S).
Un altro strumento importante per lo studio degli spazi topologici è offerto dalla teoria dell’omotopia. Due applicazioni continue f e g di S in S′ si dicono omotope se per ogni numero reale t appartenente all’intervallo [0, 1] esiste un’applicazione ht: S→S′ in modo che h0=f, h1=g e in modo che il punto ht(x) immagine del generico punto x di S dipenda con continuità da x e da t. Per es., se S è una circonferenza e S′ una corona circolare, due applicazioni continue di S in S′ sono omotope se (e soltanto se) le due curve immagini di S girano lo stesso numero di volte attorno al foro della corona circolare. In altri termini si può dire che due applicazioni f e g sono omotope quando è possibile «deformare con continuità la f nella g». La relazione indicata tra f e g (relazione di omotopia) è una relazione di equivalenza e pertanto le applicazioni continue di S in S′ si suddividono in classi di omotopia. Inoltre se f e g sono due applicazioni omotope tra S e S′, allora coincidono gli omomorfismi indotti f* e g* tra i gruppi di omologia di S e S′. In alcuni casi è possibile definire un’operazione di composizione (moltiplicazione) tra classi di omotopia, in modo da ottenere un gruppo (gruppo di omotopia) per ciascuna dimensione. Particolarmente importante il gruppo di omotopia di dimensione 1, introdotto da H. Poincaré; lo studio dei gruppi di omotopia di dimensione >1, sviluppato da W. Hurewicz intorno al 1935, ha un ruolo fondamentale nella t. algebrica. L’omotopia fornisce anche uno strumento di classificazione degli spazi topologici con riguardo al ‘tipo di omotopia’: due spazi S e S′ appartengono allo stesso tipo di omotopia se esistono due applicazioni continue f:S→S′ e g: S′→S tali che le applicazioni composte fg e gf siano omotope all’identità rispettivamente in S′ e in S. Se gli spazi S e S′ sono omeomorfi, essi hanno certamente lo stesso tipo di omotopia; tuttavia esistono spazi con lo stesso tipo di omotopia che non sono omeomorfi. La teoria dell’omotopia infine consente di affrontare il «problema dell’estensione» delle applicazioni continue: se S e S′ sono spazi topologici, C⊂S un sottoinsieme chiuso di S e f:C→S′ un’applicazione continua, si domanda se esiste un’applicazione continua f̄:S→S′ che sia ‘estensione’ di f, tale cioè che f̄(x)=f̄(x) per ogni x∈C.
La teoria della coomologia associata a un gruppo abeliano si definisce in maniera analoga alla teoria della omologia, ma gli omomorfismi indotti sono rovesciati; alle catene si sostituiscono le cocatene, ai cicli i cocicli, ai bordi i cobordi. Un complesso di cocatene (S*, δ*) è una successione di gruppi abeliani e di omomorfismi:
con la proprietà che δnδn+1=0. Se y=δn+1(x), y si chiama n-cobordo e se δn(y)=0, y si chiama n-cociclo. Dato un complesso di cocatene (S*, δ*), la sua coomologia è la successione dei gruppi quozienti Hn(S)=ker(δn)/Im(δn–1). Dato un complesso di catene (S*, ∂*) e un gruppo abeliano G, sia Sn il gruppo degli omomorfismi di Sn in G, e sia δn l’omomorfismo indotto da ∂n+1. La coppia (S*, δ*) così definita è un esempio di complesso di cocatene chiamato duale di (S*, ∂*) rispetto a G. Per es., lo spazio vettoriale di tutte le n-forme su una varietà differenziabile munito di differenziazione è un complesso di cocatene detto complesso di De Rham e la sua coomologia si chiama coomologia di De Rham.
La coomologia è un invariante di uno spazio o di una varietà che misura la capacità di giustapporre soluzioni locali di un sistema di equazioni per ottenere una soluzione globale. Sotto certe condizioni naturali, un sistema di equazioni ha soluzioni locali. Ciò significa che ogni punto ha un intorno nel quale esistono soluzioni non necessariamente univocamente determinate che soddisfano il sistema. Per trovare una soluzione che soddisfi ovunque il sistema (soluzione globale), bisogna determinare soluzioni locali che concordino nelle intersezioni dei diversi intorni.
Ulteriore sviluppo della t. algebrica è la teoria dell’omologia a coefficienti appartenenti a un anello o a un gruppo commutativo (anziché all’anello degli interi).
La t. differenziale si avvale dei metodi del calcolo differenziale. Essa considera equivalenti due spazi quando tra essi intercorre un omeomorfismo differenziabile (o diffeomorfismo), cioè quando l’applicazione tra i due spazi considerati oltre a essere biunivoca e bicontinua è anche differenziabile. Ciò presuppone, naturalmente, che i due spazi siano due varietà differenziabili. È chiaro che se due varietà sono equivalenti dal punto di vista della t. differenziale, esse sono anche topologicamente equivalenti (non vale però il contrario). Le origini della t. differenziale si possono far risalire a B. Riemann, ma essa è divenuta un ramo autonomo solo nel 1956 a opera di J.W. Milnor (1954), con la dimostrazione dell’esistenza di due varietà non equivalenti dal punto di vista della t. differenziale, pur tuttavia omeomorfe (cioè equivalenti dal semplice punto di vista topologico). Questa scoperta dimostra che l’equivalenza offerta dalla t. differenziale è un effettivo raffinamento della semplice equivalenza topologica. Uno dei problemi principali della t. differenziale è costituito, assegnata una varietà, dalla dimostrazione dei teoremi di esistenza e unicità delle C-strutture, cioè di strutture differenziabili C compatibili con la struttura C′ data sulla varietà, dove per C compatibile con C′ si intende la condizione per cui C′ si ottenga da C trascurando parte della struttura C. Tra i risultati della t. differenziale figurano la determinazione di strutture esotiche (➔ esotico) sulle sfere, la dimostrazione dell’esistenza, nella dimensione 4, di varietà che non ammettono strutture differenziabili compatibili (➔ Donaldson, Kirwan Simon) e l’estensione del concetto di spazio geometrico.
In ostetricia, l’esame dei rapporti tra parte fetale presentata e canale pelvico.
Psicologia topologica è locuzione usata per designare le ricerche nel campo della teoria della personalità di K. Lewin, che nel tentativo di descrivere le relazioni tra soggetti e ambiente introdusse una serie di concetti mutuati dalla t. geografica (per es.,‘spazio vitale psicologico’, ‘regioni dello spazio’, ‘distanza psicologica’ ecc.).