Fenomeno squisitamente giuridico per il quale un soggetto subentra ad altro soggetto in un complesso di rapporti giuridici patrimoniali ovvero in un rapporto giuridico patrimoniale singolo, restando oggettivamente inalterata la loro natura. Siffatta s. di una persona a un’altra si determina sia a causa di morte sia per trasferimento tra vivi.
Il termine, nel linguaggio giuridico come in quello comune, è usato soprattutto con riferimento alla s. per causa di morte (o successione mortis causa), che produce il trasferimento di diritti patrimoniali dal defunto (de cuius) al successore. La s. è disciplinata dal libro II del codice civile, di cui numerosi articoli sono stati modificati con l. 151/1975 sulla riforma del diritto di famiglia. Essa può aver luogo nell’intero asse ereditario, cioè nella complessiva situazione patrimoniale propria del de cuius, e si dice s. a titolo universale, o in una quota della medesima (quando gli eredi siano più di uno) ovvero in uno o più rapporti giuridici patrimoniali determinati e si dice s. a titolo particolare. Nel primo caso la persona che succede assume lo status di erede e subentra, per intero o in ragione di una quota, nella posizione giuridica del defunto, dei cui diritti assume la titolarità e dei cui obblighi patrimoniali (debiti) diviene responsabile; questo porta a una confusione dei due patrimoni, del defunto e dell’erede, alla quale quest’ultimo può sottrarsi o rinunciando all’eredità o accettando la medesima con beneficio d’inventario. Nella s. a titolo particolare la persona che succede assume lo status di legatario e subentra, come ogni successore a titolo particolare nei trasferimenti tra vivi, in rapporti giuridici determinati: il legatario, per questa sua particolare posizione, deve chiedere comunque all’erede il possesso della cosa legata. La legge disciplina con disposizioni generali l’apertura della s., la delazione ereditaria e l’acquisto dell’eredità.
La s. si apre al momento della morte, nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto (art. 456 c.c.). A seguito dell’apertura il complesso dei rapporti giuridici che costituisce l’eredità rimane senza soggetto; pertanto l’eredità si devolve ai nuovi aventi diritto secondo la volontà della legge (s. legittima) o secondo la volontà del defunto espressa nel testamento (s. testamentaria) con l’osservanza del duplice principio, secondo cui da una parte non si fa luogo alla s. legittima se non quando manchi in tutto o in parte quella testamentaria, e dall’altra parte non si possono pregiudicare con disposizioni testamentarie i diritti che la legge riserva ai cosiddetti legittimari (art. 536 e seg. c.c.). I nuovi aventi diritto possono succedere in quanto ritenuti capaci dalla legge (art. 462 c.c.): e precisamente sono capaci tutti coloro che sono nati o concepiti al momento dell’apertura della s. e anche (nella s. testamentaria) i nascituri figli di una persona vivente al tempo della morte del testatore. Sono esclusi dalla s. perché ritenuti indegni (art. 463 c.c.): chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere il de cuius o il coniuge o un suo discendente o ascendente, salvo il caso di non punibilità del reato; chi ha denunciato una di tali persone per un reato punibile con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denuncia si sia giudizialmente rivelata calunniosa; chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui s. si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento o ne l’ha impedita; ecc. I nuovi aventi diritto acquistano l’eredità mediante l’accettazione (art. 459 c.c.): quest’ultima può essere espressa (contenuta in un atto pubblico o in una scrittura privata) o tacita (quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare l’eredità), semplice o con beneficio d’inventario.
L’accettazione pura e semplice determina la completa s. dell’erede nella posizione giuridica del defunto con la conseguente assunzione di una responsabilità patrimoniale illimitata per i debiti del defunto anche oltre il valore economico dell’eredità; a seguito dell’accettazione con beneficio d’inventario il patrimonio del de cuius rimane distinto da quello dell’erede, che è obbligato a soddisfare i creditori del defunto soltanto entro i limiti di capienza del patrimonio ereditario. In generale l’accettazione si può impugnare quando è effetto di violenza o di dolo, contrariamente al caso in cui sia viziata da errore (art. 482 e 483 c.c.). La rinuncia all’eredità deve essere fatta con dichiarazione resa davanti a un notaio o al cancelliere della pretura (art. 519 c.c.) e può essere impugnata per violenza o dolo. In tutti i casi in cui il chiamato all’eredità non possa o non voglia succedere (e, nella s. per testamento, nel caso in cui il de cuius non abbia espressamente disposto con una sostituzione) i suoi discendenti legittimi o naturali gli subentrano nel luogo e nel grado per diritto di rappresentazione (art. 467 c.c.). Gli effetti dell’accettazione e della rinuncia retroagiscono al momento dell’apertura della s. (art. 459 e 521 c.c.). La legge prevede anche il caso in cui, quando non vi sia stata accettazione dell’eredità, sia opportuno nominare un curatore dell’eredità stessa (detta giacente, art. 528 e s.) per procedere all’inventario, esercitare e rappresentare l’eredità, e provvedere al pagamento dei debiti ereditari e dei legati, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
La s. devoluta per legge dà luogo alla cosiddetta s. legittima, la quale si attua nell’ambito della famiglia e con riferimento a determinate categorie di successibili, che possono succedere con esclusione nel concorso di altre categorie. La legge al riguardo prende in considerazione nell’ordine (art. 565 c.c.): i discendenti legittimi, gli ascendenti legittimi, i collaterali, i parenti naturali, il coniuge, lo Stato. In particolare, al padre e alla madre succedono in parti uguali i figli legittimi, naturali, legittimati e adottivi (art. 566 e 567 c.c.) con esclusione di altri parenti: a colui che muore senza lasciare prole succedono i genitori e i fratelli in concorso tra loro, restando attribuita in ogni caso ai genitori una quota non inferiore alla metà (art. 571 c.c.). Tuttavia, se qualcuno muore senza lasciare prole, né genitori né altri ascendenti, né fratelli o sorelle né loro discendenti, l’eredità è devoluta a favore dei parenti prossimi, senza distinzione di linea fino al sesto grado (art. 572 c.c.). I figli naturali succedono quando il rapporto di filiazione abbia formato oggetto di riconoscimento o di dichiarazione giudiziale, salvo l’assegno vitalizio prescritto dall’art. 580 per i figli naturali non riconosciuti nei casi in cui essi abbiano diritto al mantenimento, all’istruzione e all’educazione a norma dell’art. 279. I figli naturali non riconoscibili hanno diritto a un assegno vitalizio quando il genitore non abbia disposto per donazione o testamento in loro favore (art. 594 c.c.). Per quanto concerne il coniuge, è stabilito che il medesimo, in concorso di figli legittimi, naturali o legittimi e naturali, ha diritto alla metà dell’eredità se alla s. concorra un solo figlio, e a un terzo negli altri casi (art. 581 c.c.). Il coniuge che concorra con ascendenti legittimi, fratelli e sorelle, ha diritto a due terzi dell’eredità (art. 582 c.c.); in mancanza di figli legittimi o naturali, di ascendenti, di fratelli o sorelle, ha diritto a tutta l’eredità (art. 583 c.c.). Il coniuge separato ha gli stessi diritti del coniuge non separato quando la separazione non sia stata addebitata a lui; se invece gli sia stata addebitata la separazione, ha diritto soltanto a un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della s. godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto (art. 585 c.c.). In mancanza di successibili ammessi dalla legge, l’eredità è devoluta allo Stato (art. 586 c.c.).
La s. devoluta per testamento dà luogo alla cosiddetta s. testamentaria, con la quale il de cuius può disporre in tutto o in parte delle proprie sostanze, destinandole secondo la propria volontà a uno o più soggetti per il tempo in cui egli avrà cessato di vivere; detta destinazione può essere diretta anche a soggetti totalmente estranei alla famiglia del disponente. Le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore; sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario negli altri casi: comunque l’indicazione fatta dal testatore di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la relativa disposizione sia a titolo universale, quando risulti che il disponente abbia inteso assegnare quei beni come quota del suo patrimonio (art. 588 c.c.). Sono dettate disposizioni particolari per le condizioni, i termini, gli oneri contenuti nei testamenti (art. 633-648 c.c.). Le disposizioni testamentarie possono essere impugnate da chiunque vi abbia interesse quando sono l’effetto di errore, di violenza o di dolo (art. 624 c.c.); possono altresì essere annullate per difetto di forma (art. 606 c.c.). Comunque, la nullità della disposizione testamentaria da qualsiasi causa determinata non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, abbia, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato a essa volontaria esecuzione (art. 590 c.c.).
Oltre alla s. legittima e a quella testamentaria, la legge prevede anche la s. dei legittimari (comunemente detta s. necessaria) o contro il testamento, la quale è un modo di s. per legge prevista al fine di correggere o neutralizzare in tutto o in parte la s. testamentaria ovvero anche gli atti di disposizione a titolo gratuito posti in essere dal de cuius nel corso della sua vita, l’una e gli altri eccedenti certi limiti di disposizione dei beni (la cosiddetta disponibile) posti dalla legge nell’interesse dei legittimari, anche detti riservatari. Questi ultimi sono: il coniuge, i figli legittimi, naturali, legittimati o adottivi, gli ascendenti legittimi (art. 536 c.c.). La quota di riserva a favore dei figli legittimi e naturali è la metà del patrimonio ereditario se il defunto lascia un figlio solo, e i due terzi se i figli sono più. I figli legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali (art. 537 c.c.). La quota di riserva a favore degli ascendenti legittimi è di un terzo (art. 538 c.c.). A favore del coniuge è riservata la metà del patrimonio, e anche quando concorra con altri chiamati, gli sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni (art. 540 c.c.). Le disposizioni sulla riserva sono variamente modificate nell’ipotesi di concorso di legittimari (art. 541-546 c.c.). Se la quota di eredità riservata a favore dei legittimari sia stata lesa dal de cuius o con disposizioni testamentarie eccedenti la quota disponibile o con atti di liberalità durante la sua vita (il che risulta a seguito del procedimento previsto dall’art. 556 c.c.), la legge prevede la possibilità di reintegrare la quota riservata mediante l’istituto della riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni (art. 553 e s.). L’azione di riduzione può essere proposta dai legittimari e dai loro eredi e aventi causa. La legge prevede il modo in cui la riduzione delle disposizioni summenzionate deve aver luogo (art. 558-63 c.c.), e dispone che la riduzione delle disposizioni testamentarie debba precedere quella delle donazioni (art. 555, ultimo comma, c.c.).
Nel diritto privato internazionale la s. mortis causa è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta al momento della morte di questi. Tuttavia è consentito all’interessato di sottoporre l’intera s. alla legge dello Stato in cui risiede, purché tale scelta risulti da una dichiarazione espressa in forma testamentaria e sempre che il soggetto continui a risiedere nello Stato anche al momento della morte. Se il testatore è un cittadino italiano, la scelta non pregiudica i diritti che la legge italiana riconosce ai legittimari residenti in Italia al momento della morte della persona della cui s. si tratta. La legge italiana si applica quando il defunto era cittadino italiano al momento della morte, se la s. si è aperta in Italia, se la parte dei beni ereditari di maggiore consistenza economica si trova in Italia, se il convenuto ha la residenza o il domicilio in Italia o ha accettato la giurisdizione italiana o ancora, se si tratta di beni situati in Italia.
Si definisce s. tra Stati la sostituzione di uno Stato nel governo del territorio di un altro Stato (s. di fatto). Può avvenire a seguito di secessione, ossia di formazione di un nuovo Stato su una parte del territorio dello Stato predecessore, che continua a esistere; di smembramento, cioè della nascita di più Stati sul territorio dello Stato predecessore, con conseguente estinzione di quest’ultimo; di incorporazione, o completa annessione da parte di uno Stato del territorio di un altro Stato, che si estingue; di cessione, ossia trasferimento allo Stato successore di una parte del territorio dello Stato predecessore, che continua a esistere; e infine di fusione, cioè di unione di due o più Stati che si estinguono per formare un nuovo Stato. A seguito di tali mutamenti territoriali è necessario stabilire se i diritti e gli obblighi dello Stato predecessore si trasmettono allo Stato successore (s. giuridica).
La materia della s. giuridica è disciplinata dal diritto consuetudinario, in parte codificato nella Convenzione di Vienna del 1978 sulla s. tra Stati nei trattati (entrata in vigore nel 1996) e nella Convenzione di Vienna del 1983 sulla s. tra Stati nei beni, archivi e debiti pubblici (non ancora in vigore).
Per quanto concerne la s. nei trattati, se essi sono localizzabili, ovvero stabiliscono obblighi e diritti rispetto a un determinato territorio (come la fissazione di frontiere, diritti di passaggio, pesca o navigazione), si applica il principio della continuità dei trattati, in base al quale i trattati conclusi dallo Stato predecessore sono trasmessi allo Stato successore. Fanno eccezione i trattati a prevalente connotazione politica (come quelli relativi all’istallazione di basi militari straniere), rispetto ai quali vige il principio rebus sic stantibus, secondo cui un trattato o alcune sue clausole si estinguono a seguito di un mutamento radicale delle circostanze.
Per i trattati non localizzabili occorre invece distinguere due ipotesi. In caso di estinzione dello Stato predecessore (per cessione o incorporazione), si applica il principio della mobilità delle frontiere dei trattati: gli accordi stipulati dallo Stato successore si estendono ai territori acquisiti, mentre quelli conclusi dallo Stato predecessore cessano di produrre effetti giuridici. Nei casi di formazione di uno o più nuovi Stati (secessione, fusione e smembramento) vige il principio della tabula rasa, in base al quale il nuovo Stato non è vincolato dai trattati conclusi dal predecessore. L’applicazione di tale principio è integrale rispetto ai trattati bilaterali, pertanto il nuovo Stato che abbia interesse a subentrare in un trattato bilaterale stipulato dal predecessore dovrà concludere un apposito accordo con la controparte. Esso subisce un temperamento in relazione ai trattati multilaterali che prevedono la cosiddetta notificazione di s., atto attraverso cui la partecipazione del nuovo Stato al trattato retroagisce al momento dell’acquisto dell’indipendenza.
Distinguendosi in parte dal diritto internazionale consuetudinario, la Convenzione di Vienna del 1978 accoglie il principio della tabula rasa per gli Stati sorti dalla decolonizzazione (con l’eccezione della notificazione di s. per i trattati multilaterali), mentre contempla il principio della continuità dei trattati in tutte le altre ipotesi di formazione di nuovi Stati.
Nell’ambito dei trattati istitutivi di organizzazioni internazionali, la qualità di membro dell’organizzazione non può essere acquisita automaticamente a seguito di successione. Lo Stato successore dovrà quindi presentare domanda di ammissione, a meno che esso sia ritenuto il continuatore dello Stato preesistente (caso verificatosi per la Federazione russa, che, dopo lo smembramento dell’Unione sovietica, è succeduta a quest’ultima nel seggio di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nonché nella membership di altre organizzazioni internazionali, come continuatore dell’URSS).
Per quanto riguarda la s. nelle situazioni giuridiche di diritto interno, lo Stato che esercita il proprio potere di governo sul territorio ove il bene o l’archivio è situato succede nella sua proprietà. Quanto al debito pubblico del predecessore, la regola tradizionale stabilisce che i debiti localizzati, cioè contratti a favore del territorio oggetto della s., siano trasferiti al successore. Gli altri debiti continuano a far capo al predecessore se ancora esistente, altrimenti in base alla Convenzione di Vienna del 1983 i debiti del predecessore si trasmettono ai nuovi Stati in proporzione equa.
Il regolare susseguirsi nella stessa località di cenosi differenti; le variazioni della composizione di una cenosi consistono nella comparsa di specie nuove, o nella scomparsa di specie già esistenti o nell’alterazione dei rapporti di quantità delle varie specie. Queste variazioni dipendono da variazioni del clima, dei caratteri fisici della stazione (verificatesi per opera della cenosi stessa o di perturbazioni esterne, o per interventi umani).
Le s. sono per lo più studiate con riferimento alle piante, perché più di queste che degli animali è facile seguire le fluttuazioni. In una s. si distinguono diversi stadi seriali (➔ serie), da quelli iniziali (stadi pionieri ➔ pioniere) a quelli stabili finali (➔ climax). La durata dei singoli stadi e quindi del loro complesso è molto varia, talora secolare.
Serie o sequenza di formazioni rocciose, sedimentarie e/o vulcaniche, che si succedono una sull’altra in un dato intervallo di tempo e in una data regione. Si definisce concordante la s. verticale di due unità che abbiano strati tra loro paralleli, orizzontali o inclinati; si definisce discordante la s. che mostra un non parallelismo tra gli strati, con angoli più o meno accentuati. In quest’ultimo caso le s. di strati che vengono a contatto tra loro presentano 4 principali tipi di relazioni angolari (v. fig.) definite: onlap, downlap, toplap e troncatura erosiva. La terminazione a onlap identifica l’appoggio di strati orizzontali discordanti su superfici inclinate; la terminazione downlap l’appoggio di strati originariamente inclinati su una superficie orizzontale o debolmente inclinata; la terminazione toplap indica strati in origine inclinati rispetto a una superficie limite superiore suborizzontale di non deposizione; la troncatura erosiva definisce la terminazione di strati dell’unità inferiore contro una superficie di erosione sub-orizzontale e con andamento irregolare.
S. è un insieme I di elementi, solitamente della stessa natura, ciascuno dei quali è associato a un numero naturale; viene indicata con a0, a1, a2, ... an, ..., dove 0, 1, 2, ..., n, ... sono gli indici della s.; una s. è pertanto formata da infiniti elementi, elencati in modo ordinato; talvolta una s. è indicata con a′, a″, ... oppure in forma sintetica, con (an) o {an}; un esempio è la s. di Fibonacci 1, 1, 2, 3, 5, 8, ..., in cui ogni elemento (tranne i primi due) è la somma dei due precedenti. Secondo una definizione più rigorosa, una s. è una funzione che associa a ogni numero naturale n un elemento an di un certo insieme (per es., dell’insieme dei numeri reali). La comune natura degli elementi può variare; più frequentemente si trovano s. di numeri (reali o complessi), s. di punti, s. di funzioni. Le s. numeriche possono considerarsi come casi particolari delle s. di punti. Una s. il cui codominio I è sottoinsieme di uno spazio metrico S si dice limitata se I è limitato in S; in particolare, se S è lo spazio dei reali, ciò significa che esiste un K tale che per ogni indice n è |an|<K. Particolare interesse hanno le s. che, al crescere di n indefinitamente, si avvicinano sempre più a un elemento della stessa natura degli an, detto limite della successione. Si dice che una s. numerica {an} tende al limite l (o converge a l) per n→∞ e si scrive limn→∞an=1 se, fissato un arbitrario ε>0, esiste in corrispondenza un indice ν tale che per ogni n>ν risulti |an−l|<ε; per una s. di punti in uno spazio metrico, P si dice limite di {Pn} se, fissato un arbitrario ε>0, esiste in corrispondenza un indice ν tale che per ogni n>ν la distanza tra Pn e P sia <ε. Una s. di funzioni {fn} definite sullo stesso insieme D tende alla funzione limite f se per ogni punto x di D la s. numerica {fn(x)} converge a f(x); in tale situazione, fissato ε>0, il ν che ne risulta varia in genere al variare del punto x in D. Se esiste un ν indipendente da x si dice che la s. converge uniformemente a f su D; ciò si può anche esprimere dicendo che, fissato ε>0, esiste ν tale che per ogni n>ν è supx∈D∣fn(x)−f(x)∣<ε.
Per s. di tipo particolare si possono dare anche altri tipi di convergenza. Per es., negli spazi vettoriali dotati di una norma (➔ spazio) si dice che {an} tende ad a se, fissato ε>0, esiste ν tale che per ogni n>ν è ||an–a||<ε; tra le funzioni integrabili in D per le quali la norma è ∫D ∣f(x)∣dx tale convergenza si dice in media (di ordine uno), per quelle a quadrato sommabile in D, con norma √∫D ∣f(x)∣2 dx, la convergenza è in media quadratica, e analoga è la convergenza in media di ordine p per le funzioni a potenza p-esima sommabile; una s. {fn} di funzioni definite su un insieme di uno spazio dotato di misura si dice convergente in misura a f se, fissato ε>0, tende a 0 la misura dell’insieme degli x su cui è |fn(x)−f(x)|> ε; si dice convergente quasi ovunque se converge per ogni x all’infuori di un insieme di misura nulla. Una s. numerica è divergente se, fissato ε>0, esiste ν tale che per ogni n>ν è |an|>ε; talvolta si distingue tra divergenza a +∞ (con an>ε) e a −∞ (con an<−ε). Una s. di punti {Pn} è divergente se, fissato ε>0, esiste ν tale che per ogni n>ν, la distanza di Pn dall’origine è >ε. Le s. che non sono né convergenti né divergenti si dicono indeterminate, per es. 1, −1, 1, −1, 1... La s. di funzioni {an}={xn} converge a 0 per −1<x<1, converge a 1 per x=1, mentre la convergenza uniforme si ha sugli intervalli [a, b] con a>−1, b<1; diverge per |x|>1, per x=−1 è indeterminata.
Esistono vari teoremi per le s.; per es., una s. numerica reale monotona converge se è limitata, diverge se non lo è; una s. limitata ha almeno un valore di aderenza ecc. Altri teoremi collegano la continuità, derivabilità, integrabilità degli elementi di una s. {fn} di funzioni con analoghe proprietà dell’eventuale funzione limite f; per es., se le fn sono continue e convergono uniformemente a f, anche f è continua. La sottosuccessione o s. estratta da una s. {an} data, è una s. i cui elementi sono alcuni degli an, dove l’indice varia su un sottoinsieme infinito dei naturali; per es., i numeri pari sono una sottosuccessione dei naturali, la s. {1/(2n)} è una sottosuccessione della s. {1/n}. Certe condizioni su {an} possono implicare l’esistenza di una sottosuccessione convergente; per es., se {an} è limitata esiste una sottosuccessione convergente (è un enunciato del teorema di Bolzano-Weierstrass); un limite di una sottosuccessione di {an} si dice valore di aderenza per {an}. S. di Cauchy (o s. fondamentale) In uno spazio metrico con distanza ρ è una s. {an} tale che, fissato ε>0, esiste ν tale che per ogni coppia di indici m, n entrambi maggiori di ν è ρ(an, am)<ε. Non sempre le s. di Cauchy convergono; se convergono tutte, lo spazio si dice completo: per es. lo spazio dei reali con la distanza euclidea ρ(x, y)=|x−y| è completo (teorema di Cauchy), mentre non lo è lo spazio dei razionali.
Conflitti combattuti in Europa nella prima metà del 18° sec., suscitati dalle rivalità dinastiche per la s. sui troni di Spagna, Polonia e Austria, il cui esito alterò gli equilibri di forza fra le grandi potenze e consolidò il primato commerciale britannico sui mari. Guerra di s. di Spagna (1702-14) Dopo la morte di Carlo II (1661-1700), re di Spagna, salì al trono – secondo la volontà del defunto re (con la clausola, però, che le corone spagnola e francese restassero separate) – Filippo di Borbone (Filippo V, 1683-1746), nipote di Luigi XIV di Francia. A causa dell’ingerenza di Luigi XIV negli affari spagnoli, la s. fu contestata da Gran Bretagna e Province Unite, alleate dell’imperatore Leopoldo I, irremovibile nel mantenere la candidatura del suo secondogenito Carlo alla corona di Spagna (all’alleanza si aggiunsero poi Portogallo, Prussia e ducato di Savoia). Scoppiato nel maggio 1702, il conflitto – che dal punto di vista militare registrò il predominio dello schieramento austro-britannico-olandese – ebbe una svolta decisiva quando, alla morte dell’imperatore Giuseppe I (1678-1711), al quale doveva succedere l’arciduca Carlo (poi Carlo VI), pretendente alla corona di Filip;po V, si configurò l’ipotesi di una riunione dei possedimenti austriaci a quelli spagnoli. La Francia uscì sconfitta negli scontri decisivi, che si combatterono in Italia (assedio francese a Torino del 1706 risolto con l’azione del duca di Savoia, Vittorio Amedeo II, e di Eugenio di Savoia, al servizio dell’Austria), nella Germania meridionale, nei Paesi Bassi, negli oceani e nel Mare del Nord. L’11 aprile 1713, a Utrecht, fu siglata la pace tra Francia e Gran Bretagna, Province Unite, Prussia, Portogallo e Savoia. Anche l’Impero acconsentì alla pace, conclusa a Rastatt il 7 marzo 1714. Filippo V era riconosciuto re di Spagna, ma la fine del conflitto segnò la fine della preponderanza spagnola in Italia (ducato di Milano e Regno di Napoli) e nei Paesi Bassi in favore di quella austriaca, nonché la crescita del ducato di Savoia e la sua acquisizione della Sicilia con il titolo regio. Alla Gran Bretagna toccarono Gibilterra e Minorca, e privilegi commerciali nel commercio atlantico. Guerra di s. di Polonia (1733-38) Alla morte di Augusto II di Polonia (1670-1733) due furono i principali candidati alla s.: l’elettore di Sassonia Federico Augusto II (Augusto III, 1696-1763), figlio del re defunto, che godeva dell’appoggio di Austria e Russia; e Stanislao Leszczyński (1677-1766), suocero di Luigi XV e candidato della Francia. Quando quest’ultimo fu eletto re (1° settembre 1733) dalla Dieta polacca, i russi intervennero appoggiando una seconda elezione favorevole ad Augusto III. Per reazione la Francia, alleatasi con i regni di Sardegna e Spagna, dichiarò guerra all’Austria. Le operazioni belliche si svolsero prevalentemente in Italia. La pace, conclusa a Vienna nel 1738, assegnò il trono polacco ad Augusto III in cambio del ducato di Lorena conferito a Stanislao (alla cui morte sarebbe passato alla Francia). Francesco di Lorena (poi Francesco I imperatore, 1708-1765) ottenne in compenso il granducato di Toscana, dove si erano estinti i Medici. In Italia, l’Austria cedette Napoli, Sicilia e Stato dei Presidi a Carlo di Borbone (Carlo III di Spagna), ricevendo in compenso il ducato di Parma, dove si erano estinti i Farnese. Il Regno di Sardegna conseguì un ulteriore avanzamento verso il Ticino. Guerra di s. d’Austria (1740-48) Fu determinata dalla morte dell’imperatore Carlo VI (1740) e dall’ascesa sul trono asburgico della figlia Maria Teresa, in virtù della Prammatica Sanzione del 1713. La guerra iniziò con l’invasione della Slesia da parte di Federico II di Prussia, che ebbe al suo fianco Baviera, Francia e Spagna, contrarie alla s. asburgica. L’altro fronte era costituito da Austria, Gran Bretagna, Province Unite e Regno di Sardegna. La pace di Aquisgrana (ottobre 1748) pose fine al conflitto, riconoscendo il trono asburgico e imperiale a Maria Teresa e al marito Francesco I. La Prussia mantenne la Slesia. In Italia, il ducato di Parma e Piacenza venne assegnato ai Borbone e il Regno di Sardegna ottenne nuovi territori che spostarono il confine al Ticino.
Il divieto di patti successori nella più recente giurisprudenza di meritodi Dario Farace