Muscolo volontario o involontario che ha la funzione di tendere un organo o una formazione anatomica: t. del palato, contrae il palato molle; t. del tarso, nell’orbita, comprime i punti lacrimali delle palpebre e la ghiandola lacrimale; t. del timpano, nell’orecchio, distende la membrana del timpano, migliorando la percezione dei suoni acuti.
Ente atto a individuare le grandezze geometriche e fisiche che obbediscono, per cambiamento di coordinate, a opportune leggi di trasformazione.
Nel primitivo significato attribuitogli da W.R. Hamilton, il termine indicava il modulo di un vettore. La nozione di grandezza tensoriale nel suo significato attuale e il nome stesso di t. sono dovuti a W. Voigt, che alla considerazione di tali enti fu condotto dalle sue ricerche sui cristalli (1882). Ma l’algoritmo tensoriale ha le sue origini nella teoria delle matrici e dei determinanti, i cui primi accenni sono dovuti a G.W. Leibniz (1693) e il loro sviluppo sistematico a K.G. Jacobi e A. Cayley (1858). Il calcolo tensoriale, o calcolo differenziale assoluto, e il suo sviluppo sistematico come un ramo della matematica, si devono a G. Ricci-Curbastro (1892) e a T. Levi-Civita (1901). Ulteriori ricerche sull’uso dei metodi del calcolo tensoriale ebbero un notevole impulso soltanto quando A. Einstein si servì di tali metodi come dello strumento indispensabile per formulare la sua teoria della gravitazione o relatività generale (1915).
Fra i vantaggi che i metodi tensoriali presentano sono fondamentali: a) quello di guidare nella scelta delle leggi fisiche suggerendo quali di esse siano invarianti rispetto alle trasformazioni di coordinate; b) quello di permettere di dare forma compatta alle equazioni generali di una teoria geometrica o fisico-matematica, e a tale proposito è da ricordare l’importanza che la nozione di t. ha nella teoria dei campi.
La nozione di t. può essere data in una varietà differenziabile MN a un numero qualunque N di dimensioni. In una siffatta varietà, munita di un sistema di coordinate locali (xi), siano P un punto di coordinate xi, e Q un punto infinitamente prossimo a P, di coordinate xi+dxi. Questi due punti individuano il vettore (spostamento) PQ, che nel sistema di coordinate (xi) è rappresentato dalle quantità dxi, dette componenti del vettore. Se ora consideriamo una N-pla di funzioni
xi′ = xi′ (x1, x2, x3, …, xN) (i′=1, 2, …, N)
a jacobiano non nullo, e le assumiamo per esprimere un cambiamento di coordinate, dalle primitive (xi) alle nuove (xi′), le nuove componenti del vettore PQ verranno a essere legate alle precedenti dalla relazione:
Nelle [1] si adotta la convenzione di sottintendere il simbolo di sommatoria, facendo figurare due volte l’indice rispetto al quale deve essere considerata la sommatoria stessa. Si suole anche dire che tale indice è muto o che è saturato. Il vettore PQ è il prototipo di una classe di enti geometrici chiamati vettori controvarianti. In generale un insieme di N quantità vi associate a un punto P rappresentano le componenti di un vettore controvariante se in un cambiamento di coordinate esse si trasformano, conformemente alle [1], nel modo seguente:
Si suole anche dire che le componenti vi del vettore si trasformano con legge di controvarianza. Quando un ente geometrico è rappresentato da un insieme di N2 quantità a due indici, Thk, che in un cambiamento di coordinate si trasformano secondo la legge
si dirà che Thk è un t. doppio (o del 2° ordine) controvariante. Le leggi di trasformazione [2] e [3] mostrano ormai chiaramente come si possano definire t. controvarianti di ordine comunque elevato. I vettori controvarianti definiti da [2] sono chiamati anche t. del 1° ordine, mentre si chiamerà t. d’ordine zero, o scalare invariante, ogni ente geometrico o fisico rappresentabile mediante una sola quantità che conserva invariato il suo valore al variare del sistema di coordinate. In generale un ente rappresentato, in un sistema di coordinate, da un certo numero di quantità, le componenti, si dice che è un ente geometrico (o oggetto geometrico) se è possibile determinare una legge di trasformazione, rappresentante un gruppo, che permette di conoscerne le componenti al variare del sistema di coordinate. Il gradiente di una funzione scalare invariante ϕ(x1, x2, …, xN), ossia l’ente geometrico gradϕ≡∂iϕ, è il prototipo di un’altra classe di enti geometrici, vr, detti vettori covarianti, che in un cambiamento di coordinate si trasformano come vi′=vi∂i’xi. Per convenzione, gli indici che esprimono il carattere controvariante (indici di controvarianza) di un ente sono scritti in alto accanto al simbolo che rappresenta l’ente, mentre quelli indicanti il carattere covariante (indici di covarianza) sono posti in basso. I vettori covarianti sono anche detti t. covarianti di ordine 1. In modo analogo si definiscono i t. covarianti di ordine più elevato. Per es., un insieme di N2 quantità Tik rappresenta le componenti di un t. doppio covariante se in ogni cambiamento di coordinate si trasformano con la legge
Ti′k′=Tik ∂i′ xi ∂k′ xk .
Le definizioni date di t. controvarianti e covarianti suggeriscono di definire i t. misti come enti geometrici rappresentati da componenti aventi alcuni indici di controvarianza e altri di covarianza. Per es., le N2 quantità Tik che si trasformano con la legge
Ti′k′=Tik ∂i xi′ ∂k′ xk
rappresentano un t. doppio misto. Invece di ordine di un t., si parla talora di rango di un t.: così, t. controvariante di 2° rango, t. covariante di rango 1 ecc.
Un t. può essere assegnato in un punto della varietà MN, o in un insieme continuo di punti di MN, nel qual caso si dirà che è assegnato un campo tensoriale. Un insieme di N2 quantità a due indici Aik si dice simmetrico o antisimmetrico a seconda che siano soddisfatte le condizioni Aik=Aki, o le altre Aik=−Aki; analogamente per un t. controvariante e per t. covarianti o controvarianti di ordini più elevati. Un generico t. di MN, di ordine k, ha Nk componenti; se il t., di ordine k, è completamente simmetrico, il numero delle sue componenti distinte è ∣N+k−1k∣. Per un t. di ordine k, completamente antisimmetrico, il numero delle componenti distinte è (Nk ). Dati due t. dello stesso tipo e di uguale ordine, se si sommano le componenti omologhe, si ottiene un t. somma dei due dati. Dati due t., anche di tipi e ordini diversi, se si moltiplica ogni componente del primo per tutte le componenti del secondo, si ottiene un t. che si dice prodotto esterno del primo per il secondo. Se si considera un t. misto, può essere eseguita l’operazione di prodotto interno, o contrazione (o saturazione) di due indici di tipo diverso, uno covariante l’altro controvariante, uguagliando i valori di tali due indici ed effettuando la somma rispetto a essi. Per es., dato il t. Aik, la contrazione dà luogo all’invariante scalare Aii, detto invariante lineare del tensore. Criterio di tensorialità Per stabilire la tensorialità di un ente geometrico è sufficiente, per es., saturare tutti i suoi indici con vettori covarianti e/o controvarianti, verificando che il prodotto interno così ottenuto sia un invariante scalare.
Data una varietà differenziabile a N dimensioni MN, almeno di classe C2, a ogni suo punto si può associare uno spazio vettoriale VN detto spazio vettoriale tangente nel seguente modo. Siano P0 un punto di MN, UP0 un suo intorno munito di un sistema di coordinate (xi), e xi0 le coordinate di P0. Gli elementi lineari
∂1P≡(1, 0, ..., 0), ∂2P≡(0, 1, 0, ..., 0), ...,
∂NP≡(0, 0, …, 1)
costituiscono la base naturale di VN in P0 associata al sistema di coordinate locali xi. Indicando con dP il vettore generico di VN in P0, che possiamo immaginare come un segmento orientato congiungente P0 con un punto di MN a esso infinitamente vicino, possiamo scrivere
dP=∂iP dxi .
L’introduzione dello spazio vettoriale tangente alla varietà MN in ogni suo punto consente di definire campi di vettori sulla varietà stessa, potendo associare a ogni punto P di MN un vettore appartenente allo spazio vettoriale tangente a MN in P. Inoltre si può attribuire a MN un campo di t. doppi simmetrici covarianti ghk che nello spazio vettoriale tangente a ogni suo punto permetta di definire il prodotto scalare e l’angolo di due vettori, la norma di un vettore e ogni altra nozione che si possa trarre dall’introduzione di tali concetti. Una varietà differenziabile MN alla quale sia stato associato il suddetto campo di t. grs è detta una varietà riemanniana e il t. grs è chiamato t. fondamentale o t. metrico della varietà. La norma del vettore spostamento infinitesimo dP
è detta la forma quadratica fondamentale o la metrica di MN. Nei casi in cui lo spazio vettoriale tangente è propriamente euclideo, la [4] rappresenta il quadrato della distanza di due punti infinitamente vicini di MN. In una varietà riemanniana, assegnato un sistema di coordinate locali e la corrispondente base naturale, un campo di vettori v(P) può essere rappresentato nella forma v=vr∂rP; verrà ad avere perciò come componenti controvarianti le quantità vr e come componenti covarianti i prodotti scalari vk=v∙∂kP. Le componenti covarianti del t. metrico possono scriversi nella forma ghk=∂hP∙∂kP. Ne segue che il quadrato della distanza di due punti infinitamente vicini della curva può anche assumere la forma ds2=ghk dxhdxk.
Curve di importanza fondamentale in una varietà riemanniana sono le geodetiche. Introducendo i simboli di Christoffel di 1ª e di 2ª specie, rispettivamente espressi dalle formule
1 ∂2P ∂P
(i, h, k)=−−−(∂i ghk+∂h gki−∂kgih)=−−−−−−∙−−−,
2 ∂xi∂xh ∂xk
i
{ } = (h, k, r)gri,
hk
le geodetiche risultano le curve integrali delle equazioni differenziali
Una varietà riemanniana che in un intorno di ogni suo punto possiede un sistema di coordinate locali che rendono costanti le componenti del t. metrico gik è detta euclidea e le coordinate che godono della proprietà suddetta sono chiamate cartesiane. Esistono infiniti sistemi di coordinate locali cartesiane; fra essi è possibile trovarne uno che dia alla forma metrica l’espressione pseudopitagorica ∥dP∥=εr(dxr)2 con εr=±1. Se accade che una varietà euclidea MN possa essere posta in corrispondenza biunivoca e bicontinua con uno spazio euclideo a N dimensioni, si dirà che la varietà è globalmente euclidea. In una generica varietà riemanniana MN, con t. metrico grs, ogni t. doppio Tik può essere decomposto nella somma di due t., uno dei quali, detto isotropo, differisce dal t. metrico grs, per un fattore scalare J individuato dalla relazione Trr=NJ; l’altro ha invariante lineare uguale a zero. Si può scrivere pertanto
Trs = Jgrs + T′rs, grsT′rs = T′ss = 0.
La definizione di t. isotropo può essere estesa a un t. di ordine 2k, con k intero.
Dati due t. in un punto P di una varietà riemanniana MN, è possibile stabilire se essi sono uguali, e si può sommarli o farne la differenza, perché queste operazioni sono lecite nello spazio vettoriale tangente a MN in P. Ma se consideriamo, per es., due vettori v, w, l’uno in un punto P, l’altro in un punto Q di MN diverso da P, ossia in due diversi spazi vettoriali tangenti, un confronto fra essi non è possibile: se hanno componenti uguali in un sistema di coordinate, vr=wr, in un cambiamento di coordinate le nuove componenti sono in generale differenti, avendosi
vr′ = vr(∂r′xr)P, wr′ = wr(∂r′ xr)Q
a causa dei diversi valori che in generale hanno le funzioni ∂r′xr in punti diversi di MN. Non hanno perciò carattere intrinseco né somma né differenza di vettori presi in punti diversi di MN, né di conseguenza il differenziale ordinario di un campo di vettori assegnati in MN. Si presenta pertanto la necessità di introdurre in MN un’operazione di differenziazione che abbia carattere tensoriale. Per un campo di scalari invarianti ϕ(x) il problema non sussiste perché il differenziale ordinario dϕ=∂iϕ ∙ dxi è già invariante, rappresentando il prodotto scalare del vettore dP e del vettore grad ϕ≡{∂iϕ}. Al contrario, se si considera un campo di vettori v(P), il differenziale ordinario dv non ha carattere tensoriale. Hanno invece carattere tensoriale le espressioni
che rappresentano la derivata covariante (o derivata tensoriale) del vettore vs. Pertanto avrà carattere vettoriale l’espressione
che si chiama il differenziale assoluto del campo di vettori vs(P) in un punto P, in corrispondenza a un dato vettore tangente dP. Per rappresentare la derivata covariante di un campo di vettori vs(P), ∇rvs, si adoperano anche i simboli vs/r, vs;r mentre per indicare le derivate parziali ∂rvs si adopera anche la notazione vs,r. Se un campo di vettori v(P) si rappresenta mediante le sue componenti controvarianti vr(P) la derivata covariante è espressa dalla formula
La derivazione covariante si estende a un qualunque campo di tensori. Per es., per un t. triplo Trpq si ha
Per una funzione scalare ϕ(x) la derivazione covariante coincide con la derivazione parziale ordinaria, e dà il vettore gradϕ: ∇rϕ(x)= ∂rϕ(x). È fondamentale il seguente teorema di Ricci: la derivata covariante del t. metrico è identicamente nulla. Pertanto nell’eseguire la derivazione covariante il t. metrico si comporta come una costante: ∇h(gpqTqs)=gpq∇hTqs. La differenziazione assoluta opera su campi di t. e dà t. dello stesso ordine; si riduce alla differenziazione ordinaria se opera in una varietà euclidea riferita a coordinate cartesiane, e in generale quando opera su funzioni scalari. Dalla nozione di differenziazione assoluta si deduce quella di derivazione assoluta rispetto a un parametro. Se si considera un arco di curva regolare di MN, di equazione xr=xr(u), si chiama derivata assoluta di un campo di t. Trpq(u), definito lungo la curva, il tensore
D dxh
−−−−Trpq = ∇hTrpq −−−−.
Du du
Il calcolo tensoriale, come s’è visto finora, adopera un simbolismo che evita ogni riferimento a particolari sistemi di coordinate, anche se in molte occasioni è utile fare uso di opportuni sistemi di coordinate, come nei casi seguenti: a) coordinate localmente cartesiane, che in un punto assegnato della varietà MN permettono di dare alla metrica la forma pseudoeuclidea; b) coordinate normali, che utilizzano le traiettorie ortogonali di una famiglia Σλ, infinita a un parametro, di ipersuperficie di MN, in modo che la metrica può assumere la forma:
ds2=gρσdxρdxσ + gNN(dxN)2
(ρ,σ=1, 2,..., N−1);
c) coordinate riemanniane, che, scelto un punto determinato O di MN come origine, fanno corrispondere al generico punto P
di MN le quantità xr′=s∣ dxr−−−ds ∣0, essendo s
l’ascissa curvilinea di P lungo la geodetica che congiunge P con O, e ( dxr−−−ds )0 le componenti del vettore unitario tangente in O alla geodetica considerata, in un qualunque sistema di coordinate (xr); d) coordinate normali geodetiche, che s’introducono a partire da un’arbitraria varietà a N−1 dimensioni, MN–1, dai cui punti si conducono le geodetiche a essa ortogonali. In coordinate normali geodetiche la metrica può scriversi nella forma:
ds2=gρσdxρdxσ+ εN(dxN)2, εN=±1.
In tipi speciali di varietà riemanniane, e in particolare in uno spazio euclideo, può essere introdotto anche un sistema di coordinate ortogonali, nel quale la metrica viene ad assumere la forma:
ds2=grr(dxr)2, grs=0 per r≠s
Una varietà euclidea è detta anche varietà piatta. Una varietà che non sia piatta si suol dire che possiede una curvatura. Per stabilire se una varietà riemanniana è piatta o curva ci si serve del cosiddetto t. di Riemann,
l’annullarsi identico di tale t., è infatti condizione necessaria e sufficiente affinché una varietà riemanniana sia una varietà piatta. Per tale ragione il t. [10] è anche chiamato il t. di curvatura. Il t. di Riemann si incontra anche quando si eseguono due derivazioni covarianti successive in un campo di vettori vh. Sussiste infatti la formula
∇n∇mvh−∇m∇nvh=Rkhmnvk.
La permutabilità delle due derivazioni covarianti sussiste perciò solo quando il t. di Riemann è nullo, ossia quando la varietà MN è euclidea. Altri t. di notevole importanza che si deducono dal t. di Riemann sono il t. doppio di Ricci
Rrm = gsn Rsrmn ,
che è simmetrico, e il t. di Einstein
1
Ghk = Rkh − −−− δkh R, R = ghkRhk,
2
che è fondamentale nella teoria della relatività generale.
Lo scalare R è chiamato l’invariante di curvatura. Un altro invariante che si deduce dal t. di Riemann, e ha un profondo significato geometrico, è la curvatura riemanniana: in un punto determinato P di MN scelto ad arbitrio, siano vr e wr due vettori di norma non nulla, appartenenti allo spazio vettoriale tangente in P alla varietà. Essi individuano un 2-spazio vettoriale euclideo E2 tangente a MN in P. Si chiama curvatura riemanniana in P, associata al 2-spazio tangente E2 l’invariante
Rihklviwhvkwl
K = −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−.
(gmrgns−gmsgnr)vmwnvrws
Se N=2 la varietà diviene una superficie Σ; è allora unico il piano tangente nel generico punto P di Σ, ed è unica la curvatura riemanniana di Σ in P. Se inoltre si aggiunge l’ipotesi che la metrica di Σ sia definita positiva, la curvatura riemanniana viene a coincidere con la curvatura gaussiana G=1/R1R2, R1 e R2 essendo i due raggi principali di curvatura. Il t. di Riemann interviene anche quando si vuole caratterizzare in MN il trasporto parallelo (o per parallelismo). Si dice che si esegue il trasporto parallelo di un vettore v(P) lungo una curva di MN quando lungo tale curva, di equazioni parametriche
le componenti del vettore v(P) soddisfano le equazioni differenziali
In una varietà euclidea, riferita a coordinate cartesiane, questa equazione si riduce alla condizione dvr−−−du =0. Il trasporto parallelo non altera la norma del vettore, però nel passaggio da un punto a un altro della varietà dipende dal cammino lungo il quale il trasporto è stato effettuato. Se il trasporto parallelo è eseguito lungo un cammino chiuso, generalmente il vettore non torna nella sua posizione di partenza. Se la curva [11] è una geodetica, le equazioni [5] che la caratterizzano mostrano, in base alla definizione [12], che il vettore tangente
alla geodetica, ph≡ dh−−−du, subisce lungo di essa un trasporto parallelo, avendosi
Dph dph k dxr
−−−− ≡ −−−− −{ }−−−− pk = 0.
Du du hr du
Le geodetiche di una varietà riemanniana si presentano pertanto come linee autoparallele, analogamente a ciò che accade in una varietà euclidea. Si dimostra che le condizioni di integrabilità delle equazioni [12] sono espresse dall’annullarsi identico del t. di Riemann.