Conflitto nel quale furono coinvolti quasi tutti i paesi del mondo, combattuto dal 1939 al 1945. I principali contendenti furono Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti d’America e Unione Sovietica da una parte, Germania, Italia e Giappone dall’altra. Fu una guerra totale sotto diversi aspetti: geografico, perché interessò tutti i continenti; economico, perché costrinse i paesi coinvolti a uno sforzo produttivo senza precedenti; ideologico, perché combattuta per ideali radicalmente contrapposti; demografico, perché coinvolse la popolazione civile in pari misura delle forze militari.
I presupposti del trattato di Versailles, che addossavano alla Germania e all’Austria la responsabilità della Prima g., non potevano alla lunga essere accettati dai Tedeschi; d’altra parte, le condizioni finanziarie e territoriali imposte alla Germania, mentre da un lato erano troppo dure, dall’altro non erano sufficienti a impedirne la risurrezione militare e industriale. Di fatto, le clausole del trattato costituirono il terreno di coltura per una rinascita del militarismo e del nazionalismo tedesco.
Altre minacce alla pace si andarono addensando nel corso degli anni 1930, mostrando la debolezza della Società delle Nazioni. L’impresa giapponese in Manciuria (1931-32), con la costituzione dello Stato vassallo del Manchoukuo, inferse un primo colpo al principio della sicurezza collettiva e si concluse con l’uscita del Giappone dalla Società delle Nazioni, abbandonata nel 1933 anche dalla Germania, dopo il fallimento della Conferenza di Ginevra per il disarmo. Mentre il governo nazista dava libera attuazione a un massiccio incremento delle forze militari, in violazione delle limitazioni imposte dal trattato di pace, rimasero anche prive di efficace applicazione le sanzioni decretate dalla Società delle Nazioni contro l’Italia quando attaccò l’Etiopia (1935). Quando la Germania rioccupò militarmente la Renania (7 marzo 1936), fu la Gran Bretagna, nello spirito proprio della diplomazia tradizionale volta a un equilibrio delle forze, per contrastare in Europa l’influenza di URSS, Francia e Italia, a negare il suo consenso a un intervento attivo della Società delle Nazioni. L’uscita formale dell’Italia fascista dalla Società delle Nazioni nel dicembre 1937 ne sanzionò definitivamente la crisi.
La conquista dell’Etiopia aveva visto la Germania nazista a fianco dell’Italia fascista: il legame si rafforzò con l’accordo sull’annessione tedesca dell’Austria (11 luglio 1936), la nascita dell’Asse Roma-Berlino (incontro Hitler-Ciano, 20-24 ottobre 1936), e la comune politica riguardo la guerra civile in Spagna (1936-39), dove si misurarono per la prima volta direttamente le forze del fascismo e dell’antifascismo europeo. Da allora la scena politica internazionale fu dominata dalle manifestazioni violente della volontà di potenza germanica. Nel marzo 1938 si ebbe l’annessione tedesca dell’Austria. L’accordo di Monaco del settembre 1938, che autorizzò la Germania a occupare, i Sudeti salvò provvisoriamente la pace ma, dopo l’annessione dei Sudeti, l’occupazione tedesca di Boemia e Moravia, con la conseguente dissoluzione della Cecoslovacchia (15 marzo 1939), rese chiara alla classe dirigente britannica l’impossibilità della politica di appeasement fino allora perseguita. Il governo di Londra approvò ingenti stanziamenti per le forze armate e la coscrizione obbligatoria. Il 22 maggio 1939 fu conclusa a Berlino l’alleanza italo-tedesca (nota anche come patto d’acciaio).
Il patto di non aggressione tedesco-sovietico (patto Ribbentrop-Molotov), siglato il 23-24 agosto 1939, in vista dell’attacco alla Polonia, costituì l’antecedente immediato dell’attacco tedesco alla Polonia e quindi della nuova guerra mondiale. Il 1° settembre 1939 la Polonia fu invasa; il 3 Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra al Reich. L’Italia fin dal 1° settembre aveva invece dichiarato la ‘non belligeranza’, l’astensione dal conflitto essendo imposta tanto dall’impreparazione militare e morale del paese, quanto dall’ostilità della corona e di gran parte delle stesse sfere dirigenti fasciste.
Superiori in numero e provviste di mezzi corazzati e dell’appoggio dell’aviazione, le forze tedesche liquidarono rapidamente la resistenza della Polonia, che il 15 settembre fu invasa anche dalle truppe sovietiche. Il 28 settembre (Varsavia era caduta il giorno prima) la firma di un trattato fra Germania e URSS definì i rispettivi possessi nella Polonia e le zone d’influenza delle due potenze in Europa orientale. Occupate Lettonia, Estonia e Lituania, i Sovietici attaccarono la Finlandia (30 novembre), che aveva rifiutato cessioni territoriali e che capitolò dopo una strenua difesa (marzo 1940).
Respinta da Gran Bretagna e Francia un’offerta di pace (6 ottobre 1939), la Germania mosse contro la Danimarca e la Norvegia (9-27 aprile 1940) per procurarsi una linea di basi per circondare la Gran Bretagna. La Danimarca, territorialmente contigua, fu occupata senza resistenza in poche ore; il rapido successo dell’attacco alla Norvegia fu dovuto alla superiorità aerea della Germania, che le consentì il dominio dello Skagerrak e sconsigliò l’Ammiragliato di Londra dall’impegnarsi a fondo in una zona lontana dalle proprie basi.
Con l’attacco contro l’Occidente, iniziato il 10 maggio 1940, nei Paesi Bassi i Tedeschi costrinsero alla capitolazione l’esercito olandese in 5 giorni. Il 13 maggio avevano sfondato ogni difesa fra Namur e Sedan. Il comando francese, poiché la rottura sulla Mosa misurava solo 50 km e la linea Maginot (➔ linea) era intatta, pensò fosse sufficiente concentrare truppe di riserva, a N e a S delle colonne nemiche di sfondamento, per tamponare il versamento e prendere più tardi l’offensiva. Ma non era preparato a sostenere una guerra manovrata dalle grandi unità corazzate tedesche. Di catastrofe in catastrofe (il Belgio si arrese il 28), la battaglia della Manica si concluse, il 3 giugno, con la riuscita evacuazione delle truppe britanniche da Dunkerque. Il 5 giugno, con la battaglia di Francia iniziò l’ultima fase della campagna dell’Ovest: dal 5 all’11 giugno, l’esercito francese fu annientato e il 22 giugno, a Rethondes, la Francia firmò l’armistizio con la Germania, e il giorno seguente con l’Italia, intervenuta il 10 giugno.
Tra le conseguenze politiche del crollo francese è da includere il rafforzamento dell’Asse con la firma del Patto tripartito (27 settembre 1940) tra Germania, Italia e Giappone.
Il successo radicale e in misura non prevista sulla Francia pose al comando tedesco il problema di un grande sbarco in Gran Bretagna, che, guidata ora da W. Churchill, aveva respinto nuove proposte di pace (19 luglio 1940). Hitler e il generale A. Jodl, autori del piano d’invasione, si proposero anzitutto la conquista della superiorità aerea sulla Manica, in modo da interdire durevolmente le acque di quel mare alla Marina britannica. Un massiccio attacco aereo tedesco, attuato tra l’8 agosto e il 31 ottobre (ma fino al maggio successivo sarebbero proseguiti bombardamenti notturni nelle città industriali), si concluse con l’insuccesso. L’aviazione tedesca, per la mancanza di bombardieri a grande autonomia di volo, si rivelò impotente a sottoporre l’intero territorio nemico ad attacchi pesanti, prolungati e precisi. Gli Inglesi, superiori nell’addestramento al volo strategico, si giovarono inoltre del radar, ancora ignoto ai Tedeschi. Il fallimento della battaglia aerea d’Inghilterra ebbe conseguenze risolutive sull’esito della guerra, perché la Gran Bretagna mantenne il controllo aereo della Manica e la Germania dovette rinunciare al piano d’invasione progettato.
Il 10 giugno l’Italia aveva dichiarato guerra alla Francia e alla Gran Bretagna, nell’errata convinzione che le sorti del conflitto fossero decise. Le operazioni (battaglia delle Alpi Occidentali) contro la Francia, ormai disfatta, si svolsero fra il 21 e il 23 giugno e furono sospese il 24 con l’armistizio di Villa Incisa.
Per l’Italia in un primo periodo la guerra ebbe come teatro esclusivo il Mediterraneo: le battaglie di Punta Stilo (8-9 luglio 1940) e di Capo Teulada (27 novembre 1940) mostrarono l’inferiorità strategica della Marina italiana per la mancanza di navi portaerei; la situazione italiana si aggravò ulteriormente per l’attacco aereo di sorpresa contro la flotta concentrata a Taranto (11 novembre). Nella battaglia di Capo Matapan (27-28 marzo 1941), l’uso notturno del radar da parte britannica avrebbe aggravato la sconfitta della flotta italiana, che non avrebbe più potuto contrastare la superiorità nemica.
Nell’Africa Orientale Italiana l’entrata dell’Italia nel conflitto portò l’Asse a contatto con l’Impero britannico in Egitto, Sudan, Uganda, Kenya, Somalia, per una frontiera di circa 6000 km. Nelle più lontane regioni del suo Impero d’Africa lo Stato Maggiore britannico, per guadagnare tempo e per risparmiare energie e uomini, abbandonò le zone più minacciate dalla schiacciante superiorità iniziale italiana: così fu evacuata la Somalia britannica. La controffensiva fu preparata contemporaneamente in Africa Orientale e in Libia: nel primo territorio, per il netto squilibrio delle forze opposte, dopo circa un anno e mezzo di operazioni, la difesa italiana non poté evitare la vittoria britannica (6 aprile 1941, capitolazione di Addis Abeba; 27 novembre 1941, caduta di Gondar, ultimo presidio italiano in Etiopia a deporre le armi).
In Africa settentrionale, dopo l’occupazione di Sidi Barrani a opera dell’Esercito italiano comandato da R. Graziani (12 settembre 1940), gli Inglesi, al comando del generale A.P. Wavell sferrarono un’offensiva (8 dicembre 1940-9 febbraio 1941) che si spinse fino a Bengasi, minacciando gravemente in Africa l’Italia. L’intervento di rinforzi aerei tedeschi e di un reggimento corazzato (Afrika Korps), al comando di E. Rommel invertì i rapporti delle forze: fra il 28 marzo e il 29 aprile 1941, le forze britanniche, in una situazione di netta inferiorità (tanto più che il governo aveva disposto che una parte dell’armata della Cirenaica fosse inviata in Grecia), furono costrette all’abbandono della Cirenaica. Restava in mano britannica Tobruk, importante punto d’appoggio per le future operazioni, inutilmente assediata dalle forze dell’Asse.
La guerra d’aggressione contro la Grecia intrapresa dall’Italia il 28 ottobre 1940, dopo un’iniziale penetrazione nel settore dell’Epiro, per l’accanita resistenza greca si era risolta in un sostanziale fallimento, costringendo le armate italiane a retrocedere, subendo forti perdite, in posizione più vicina ai porti di sbarco. Per rafforzare la situazione dell’Asse nella regione balcanica, compromessa dagli insuccessi della campagna italiana in Grecia, Hitler accentuò la pressione sulla Bulgaria, che il 1° marzo 1941 aderì al Tripartito; per fronteggiare le conseguenze del colpo di Stato antinazista in Iugoslavia (27 marzo 1941), il 6 aprile ebbe inizio la campagna per l’occupazione della Iugoslavia, che il 18 fu costretta all’armistizio.
Intanto, le armate tedesche provenienti dalla Bulgaria occupata entrarono in Tracia; la linea Metaxàs (eretta nella zona di confine della Grecia con la Bulgaria) fu rapidamente aggirata e le masse corazzate tedesche raggiunsero Salonicco dove, dopo il reimbarco del corpo di spedizione britannico, il 23 aprile fu firmato l’armistizio tra Grecia e potenze dell’Asse. Padroni di Salonicco, della valle del Vardar e della conca di Monastir, i Tedeschi occuparono dopo una rapida campagna tutta la Grecia (3 maggio 1941) e in 24 giorni fu operata la conquista aerea di Creta.
Dopo il vano tentativo di piegare la Gran Bretagna e di persuadere la Spagna alla collaborazione militare, Hitler, nel timore di un intervento sovietico contro la Germania, decise di invadere l’URSS, che aveva conquistato territori a O (giugno 1940, annessione degli Stati baltici, acquisizione dalla Romania di Bessarabia e Bucovina settentrionale). In gara sotterranea con la diplomazia sovietica, l’Asse conseguì decisivi successi in Europa centro-orientale: adesione (novembre 1940) al Tripartito di Ungheria e Romania (seguite dalla Bulgaria); dopo l’occupazione di Iugoslavia e Grecia, a Vienna il 23 aprile la diplomazia italo-tedesca sanciva la nascita del Nuovo ordine balcanico: condominio dell’Asse sulla Slovenia, assegnazione della costa dalmata all’Italia, che otteneva anche il protettorato sul ricostituito Montenegro, compensi territoriali in Iugoslavia a Ungheresi e Bulgari (questi ultimi s’ingrandivano anche a spese della Grecia).
Consolidata a proprio favore la situazione strategica, la Germania diede inizio il 22 giugno 1941 alle operazioni di guerra contro l’URSS. Il piano d’attacco (operazione Barbarossa) fu quello di totale annientamento ideato da Hitler, portato a sottovalutare la consistenza militare del nemico. La strategia dell’Armata rossa, cui si dovette la salvezza dell’URSS, fu di impegnare il nemico quanto più a lungo possibile, salvo, al momento critico, sottrarsi al combattimento facendosi scudo dello spazio: furono interposte distanze anche di 250 km, in modo da esaurire le formazioni motocorazzate, che giungevano alla fine della tappa prive di carburante; inoltre, poiché città e campagne venivano distrutte secondo la tattica della ‘terra bruciata’, i complessi corazzati tedeschi rimanevano fermi in attesa dei rifornimenti. Anche per il ritardo imposto all’avanzata dai complessi difensivi della linea Stalin, solo il 10 novembre 1941 le forze tedesche affrontarono il sistema difensivo di Mosca: quando il 6 dicembre, dopo giorni di combattimenti sostenuti nelle più avverse condizioni di clima e di terreno, il meccanismo della Wehrmacht concentrato contro Mosca cessò di funzionare, i Sovietici si lanciarono nella prima controffensiva d’inverno.
Nell’agosto 1941 si manifestarono già gli effetti politico-diplomatici della nuova aggressione tedesca: un accordo anglo-sovietico portò all’occupazione comune dell’Iran, indispensabile ponte di transito per i rifornimenti che dalla Gran Bretagna alimentarono la resistenza sovietica.
Nel frattempo, con l’applicazione del Lease and Lend Act (11 marzo 1941), una poderosa corrente di aiuti militari alle democrazie s’era messa in movimento dagli USA, dove il Congresso fin dal 1937 aveva abbandonato la politica isolazionistica dando inizio al riarmo della nazione. Il 14 agosto 1941 F.D. Roosevelt e Churchill si incontrarono ad Argentia (Terranova) per la compilazione della Carta atlantica, chiara manifestazione del proposito statunitense di partecipare direttamente alla guerra.
Il 27 settembre 1940, all’indomani della sconfitta francese, il Giappone aveva aderito al Patto tripartito che lo legava a Germania e Italia con lo scopo che servisse ai suoi propositi di penetrazione in Asia orientale. In effetti, l’atteggiamento di sostanziale collaborazione imposto al governo francese dalla Germania consentì al Giappone di sottomettere gradualmente nel 1940-41 tutta l’Indocina francese. Oltre a essere fonte preziosa di materie prime, il possesso del Sud-Est asiatico doveva servire per rescindere ogni contatto degli USA con la Cina e l’intera Asia orientale, fino a Singapore; una volta sconfitta la Cina con l’occupazione delle vie di rifornimento statunitense in Birmania, gli Stati Uniti sarebbero stati infine costretti a riconoscere la preminenza del Giappone in Estremo Oriente. Gli strepitosi ma illusori successi riportati dai Tedeschi nella campagna di Russia dell’estate-autunno 1941 avevano convinto i circoli militari nipponici che la resistenza sovietica stesse per crollare e che fosse giunto per il Giappone il momento d’inserirsi nel conflitto in atto in Occidente. Mentre erano in corso trattative diplomatiche con Washington, il 7 dicembre 1941 (un’ora prima che avesse luogo alla Casa Bianca l’udienza richiesta dalla rappresentanza diplomatica giapponese) il governo del generale H. Tojo, mediante l’attacco di Pearl Harbor (➔) diede repentinamente inizio, alla guerra con gli USA (Italia e Germania entreranno in guerra contro gli Stati Uniti l’11 dicembre). Il 10 dicembre, 2 unità britanniche a grande raggio d’azione, la Repulse, e la Prince of Wales, furono affondate nel Pacifico. In 4 mesi, il Giappone attuò la parte più importante del programma iniziale di espansione territoriale in Asia: la Thailandia invasa si alleò con il Giappone (21 dicembre), che da quel territorio scatenò l’offensiva contro la Malaysia e Singapore; Hong Kong cadde a dicembre, a gennaio furono invase Birmania, Indie Orientali Olandesi, Nuova Guinea, Salomone e Filippine.
Churchill e Roosevelt nella prima conferenza di Washington (22 dicembre 1941-14 gennaio 1942) decisero di concentrare lo sforzo principale di guerra contro la Germania, al fine d’impedire l’attuazione del suo piano di controllo di tutto il potenziale economico europeo mediante lo schiacciamento dell’URSS e di restare provvisoriamente sulla difensiva nel Pacifico. Rimasti con poche corazzate a disposizione dopo Pearl Harbor, gli USA costruirono a ritmo accelerato le portaerei, per adeguarsi alle nuove esigenze della tattica aeronavale. Si assicurarono in tal modo il successo contro i Giapponesi nelle battaglie del Mar dei Coralli (7-8 maggio 1942) e delle Midway (4-6 giugno 1942), che sventarono la minaccia diretta verso l’Australia.
Nella pausa invernale, i Sovietici avevano riorganizzato i corpi corazzati e soprattutto rafforzato potentemente l’artiglieria anticarro, mentre le forniture degli Angloamericani seguivano una curva ascendente. In campo tedesco lo sforzo venne a gravitare quasi solo sul gruppo sud che, al comando di F. von Bock, avrebbe dovuto distruggere le armate sovietiche distribuite fra il Mar d’Azov e la regione di Kursk, sfondare tra Voronež e Šachty, sul vertice dell’ansa del Don (di fronte a Stalingrado), quindi, con un movimento di conversione, marciare verso Mosca da tergo. Il piano difensivo sovietico considerava obiettivo fondamentale il mantenimento del settore di Voronež, per evitare l’avvolgimento diretto di Mosca da E. I successi conseguiti a luglio e nella prima decade di agosto contro il nemico in rotta che abbandonava, decimato, immensi territori, condussero l’alto comando tedesco alla decisione di sottrarre all’armata corazzata di von Bock, diretta verso Stalingrado, un buon terzo degli effettivi, per lanciarlo alla conquista dei petroli del Caucaso. Così la Wehrmacht si trovò a perseguire simultaneamente due obiettivi separati l’uno dall’altro da distanze enormi in cui la mancanza di vie di comunicazione rendeva impossibili gli scambi degli uomini e dei mezzi. L’attacco sovietico lanciato il 19 novembre, aveva imprigionato la VI armata tedesca nel settore di Stalingrado, tra il Don e il Volga. La controffensiva sovietica d’inverno, sviluppatasi dal 10 gennaio 1943, ricacciò i Tedeschi (marzo 1943), sul medio Donez. L’esito della battaglia di Stalingrado (➔ Stalingrado) segnò la fine dell’impulso offensivo tedesco e diede inizio alla guerra di esaurimento, a tutto vantaggio della coalizione anglo-russo-statunitense.
Alla campagna di Russia presero parte unità italiane: il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR), operante al comando del generale G. Messe (luglio 1941-autunno 1942), fu successivamente integrato con altre unità fino a raggiungere l’entità di una armata (VIII armata o ARMIR, Armata Italiana di Russia), al comando del generale I. Gariboldi. Combatté, in drammatiche condizioni di inadeguatezza di mezzi, la battaglia difensiva del Don.
Il generale britannico C. Auchinleck, disponendo delle truppe del Commonwealth dopo la capitolazione dell’Africa Orientale Italiana e utilizzando i primi mezzi forniti in grande misura dagli Stati Uniti, scatenò un’offensiva (11 novembre 1941-11 gennaio 1942) con cui riuscì a rioccupare tutta la Cirenaica. Il grosso delle forze mobili dell’Asse aveva però potuto mettersi in salvo, e pochi giorni dopo il comando dell’Asse, ricevuti notevoli rinforzi, sferrò la terza offensiva (21 gennaio-10 febbraio 1942), che sorprese gli Inglesi esauriti e li costrinse a ritirarsi dalla Cirenaica, a eccezione del porto di Tobruk.
Nella quarta e ultima offensiva dell’Asse (27 maggio-30 giugno 1942), occupata Tobruk (21 giugno) e caduta Marsa Matruh, gli Inglesi furono inseguiti fino all’istmo di el-’Alamèin, dove il 30 le forze italo-tedesche si attestarono. Il nuovo comandante inglese, B.L. Montgomery, il 23 ottobre sferrò la terza offensiva britannica, travolgendo il 3 novembre il diaframma difensivo di el-’Alamèin. L’Asse perdette l’iniziativa delle operazioni; gli Alleati l’8 novembre sbarcarono in Algeria e in Marocco, portandosi nel febbraio 1943 ai margini della Tunisia, dove a Mareth e Akarit gli Italiani si difesero validamente contro l’VIII armata britannica. Il 17 aprile-13 maggio, gli Angloamericani sferrarono l’offensiva finale, che eliminò le forze dell’Asse in Africa. L’11 maggio, il generale H.-J. von Arnim firmò la resa dei Tedeschi, il 13 maggio si arresero anche gli Italiani.
Allo sbarco angloamericano in Marocco e Algeria, fece seguito la costituzione del Comitato francese di liberazione, capeggiato dal generale C. De Gaulle. Ebbero allora inizio in Francia e in tutti i paesi occupati dai Tedeschi (ma anche in Italia) le azioni della Resistenza: scioperi, sabotaggi e la guerriglia dei partigiani.
Dall’inizio del conflitto fino al maggio 1945, ebbe luogo nell’Atlantico il confronto tra gli Alleati e le forze dell’Asse per il controllo delle rotte di navigazione utilizzate dai primi per i rifornimenti di armamenti e materie prime. All’inizio della guerra il naviglio di superficie pesante franco-britannico era enormemente superiore a quello tedesco. La guerra di corsa volse all’esaurimento dopo l’eliminazione della corazzata tedesca Graf von Spee nelle acque del Río de la Plata (17 dicembre 1939) e i sottomarini, come già nella Prima g., vennero a costituire il nerbo della flotta navale tedesca. La lotta contro gli U-Boote si fece per gli Alleati progressivamente più faticosa: l’ammiraglio K. Doenitz nel 1940 aveva costituito a Lorient, in Bretagna, un comando centrale, che sulla base dei dati informativi raccolti dall’aviazione impartiva ordini ai sottomarini per guidarli, durante la notte, alla presa di contatto. Gli Inglesi provvidero alla difesa munendo di reti parasiluri le navi destinate a occupare le posizioni esterne dei convogli, con nuove fregate a grande autonomia, con il sistema di rifornire in mare il naviglio di scorta meno efficiente, accrescendone l’autonomia, con l’impiego di aerei di più grande raggio e, soprattutto, attraverso la realizzazione progressiva di navi portaerei di scorta. La battaglia conobbe fasi alterne, ma nell’aprile-maggio 1943, l’introduzione, per la localizzazione dei sottomarini, di nuovi apparecchi (radar e sonar), pose in crisi la guerra tedesca ai convogli degli Alleati, e solo in parte i Tedeschi poterono, verso la fine del 1944, riprendere il loro piano di guerra ai convogli applicando agli U-Boote nuovi dispositivi (Schnorchel) che consentivano una prolungata immersione, al riparo dall’offensiva aero-navale avversaria.
Alla conferenza alleata di Casablanca (14-24 gennaio 1943) fu decisa l’apertura del secondo fronte e vi prevalse la tesi dello sbarco in Sicilia e dell’invasione dell’Italia. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, fu sferrato l’attacco anfibio contro l’isola, che cadde il 17 agosto. Alla caduta del fascismo (25 luglio 1943) seguirono le trattative del nuovo governo Badoglio con gli Alleati, che portarono il 3 settembre, con la firma dell’armistizio di Cassibile, alla resa incondizionata. L’8 settembre, con l’annuncio dell’armistizio, le forze tedesche occuparono la penisola e fronteggiarono lo sbarco effettuato lo stesso giorno dagli Alleati a Salerno. Con la disgregazione delle superstiti forze armate italiane, iniziò l’occupazione tedesca della capitale, abbandonata dal re e dal governo che a Brindisi presero contatto con gli Alleati, a fianco dei quali, il 13 ottobre, l’Italia entrò in guerra contro la Germania, mentre a Salò si formava sotto il controllo tedesco il governo della Repubblica sociale italiana.
Ritiratisi a Napoli, insorta il 27 settembre, mentre forze statunitensi sbarcavano ad Anzio (22 gennaio 1944), i Tedeschi opposero una tenace resistenza sulla linea Gustav, che venne infine spezzata con un attacco a Cassino (11-19 maggio 1944); seguì l’avanzata alleata verso Roma, liberata il 4 giugno. Le forze tedesche, abbandonata l’Italia centrale, si attestarono sulla linea Gotica lungo l’Appennino tosco-emiliano: il fronte appennico crollò dopo una nuova offensiva alleata e l’esercito tedesco, tra il 9 e il 24 aprile, venne disintegrato.
Il secondo fronte, richiesto dai Sovietici per alleggerire la pressione tedesca, fu aperto con lo sbarco in Normandia (operazione Overlord), mentre il comando tedesco aveva concentrato i suoi sforzi difensivi sul Passo di Calais, capolinea della scorciatoia per la Ruhr. Il Westwall fu rinforzato nell’inverno 1943-44, dopo la nomina di Rommel a ispettore del Vallo Atlantico. Lo sbarco ebbe luogo il 6 giugno tra la penisola del Cotentin e le spiagge del Calvados. Le forze alleate, al comando di D.D. Eisenhower, erano preponderanti a terra e sul mare; la stessa aviazione tedesca poteva considerarsi finita (nel giorno decisivo dello sbarco, la Luftwaffe effettuò 70 sortite contro 10.585 degli avversari). Conclusasi la battaglia delle spiagge con la rottura di Avranches del 1° agosto, i Tedeschi, per evitare l’accerchiamento evacuarono rapidamente la Francia fino alla Mosa. Lo sbarco in Provenza (operazione Anvil), del 15 agosto, accelerò la marcia alleata verso E e apportò forze nuove per gli eventi successivi. Il 19 agosto insorse contro i Tedeschi Parigi, dove C. De Gaulle giunse il 25 successivo. La battaglia di riconquista della Francia era terminata e stava per iniziare la conquista della Germania. 8.2 Il fronte orientale . - Con la terza campagna invernale del 1943-44 e con la quarta campagna estiva del 1944, i Sovietici, la cui superiorità sui Tedeschi era ormai notevole in uomini e in armamenti, si rovesciarono sull’Europa orientale, portandosi contemporaneamente sulla Vistola, nei Balcani e in Ungheria, fino a Budapest.
Il fallimento dell’offensiva lanciata a dicembre nell’altopiano delle Ardenne aggravò la situazione tedesca, resa poi disperata dallo scatenamento dell’offensiva sovietica della Vistola (gennaio 1945), che costrinse i Tedeschi a ripiegare sull’Oder, ultima linea di resistenza sul fronte orientale a protezione di Berlino.
Sul fronte occidentale, il 10 marzo 1945 gli Alleati stabilirono una prima testa di ponte sulla destra del Reno e il 23, mentre l’URSS iniziava la battaglia di Vienna, pilastro della difesa tedesca a sud-est, iniziarono con un lancio di paracadutisti la gigantesca operazione finale dell’oltre Reno. Caduta Vienna il 13 aprile, il 16 i Sovietici iniziarono la battaglia di Berlino, presa il 2 maggio, dopo il suicidio di Hitler (30 aprile). Il 7 maggio, a Reims, fu firmata la resa senza condizioni della Germania agli Angloamericani; il giorno successivo, a Berlino, quella ai Sovietici.
L’offensiva alleata nel 1943 e l’avanzata statunitense nel corso del 1944 avevano determinato una nuova situazione nello scacchiere bellico del Pacifico. La conquista delle Filippine aprì la via all’invasione dello stesso Giappone: occupata Iwo Jima (febbraio 1945) a marzo gli Statunitensi sbarcarono nelle Isole Okinawa. Lo scontro, aeronavale e terrestre, si protrasse fino a giugno, quando l’isola cadde, mentre gli Alleati liberavano quasi tutta la Birmania e acquisivano il dominio assoluto del cielo in Cina. Nonostante la quasi totale distruzione delle risorse belliche, il Giappone resistette, capitolando solo dopo l’esplosione, autorizzata dal presidente statunitense H. Truman, della bomba atomica sulle città di Hiroshima (6 agosto) e Nagasaki (9 agosto; nello stesso giorno l’URSS aprì le ostilità contro il Giappone). La resa fu firmata il 15 agosto.
I problemi della pace erano stati affrontati da USA, URSS e Gran Bretagna già nel corso del conflitto nelle conferenze di Teheran (28 novembre-1° dicembre 1943) e Jalta (4-12 febbraio 1945) con la comune enunciazione di principi ideali e politici e per la definizione, precisata a Jalta, delle rispettive sfere d’influenza nel mondo. Nella conferenza di San Francisco (25 aprile-15 giugno 1945) furono stabiliti gli statuti della futura organizzazione societaria internazionale, le Nazioni Unite. I ministri degli Esteri di URSS, USA, Gran Bretagna e Francia elaborarono i trattati di pace nell’aprile-luglio 1946.
A Parigi furono sottoscritti (10 febbraio 1947) quelli riguardanti la Finlandia, la Romania, la Bulgaria, l’Italia e l’Ungheria. I trattati imponevano sanzioni economiche (riparazioni) e giuridiche (punizioni dei criminali di guerra; impegno di istituire le libertà democratiche), misure di disarmo, e vaste diminuzioni di territorio metropolitano e coloniale (per queste ultime si veda la storia dei singoli Stati). I contrasti politici delineatisi nel dopoguerra fra gli Alleati impedirono la definizione del trattato di pace con la Germania.
A quello col Giappone, sottoscritto il 7 settembre 1951 a San Francisco da 48 Stati membri delle Nazioni Unite, non aderì l’URSS, che nel 1956 concluse col Giappone un trattato bilaterale.
Il trattato di pace con l’Austria fu concluso a Vienna il 15 maggio 1955.
Gli elementi essenziali che contraddistinguono la Seconda g. sono connessi innanzitutto al carattere ideologico e totale del conflitto. Nel conflitto le alleanze nazionali acquistarono un carattere di scelta politica, civile, etica; inoltre, non solo si estese ai 5 continenti ma penetrò profondamente nella popolazione civile, coinvolgendola sia attraverso le deportazioni, i bombardamenti delle città, gli stermini, sia attraverso le formazioni combattenti volontarie civili.
Sul terreno strettamente militare, i protagonisti furono il carro armato, che liquidò la guerra di trincea e restituì il primato all’attacco, e l’aereo da bombardamento, il cui uso estensivo fu funzionale tanto alla distruzione di obiettivi militari quanto alla demoralizzazione delle popolazioni e allo scompaginamento della vita civile; suo estremo sviluppo si ebbe con l’impiego dei missili (V1 e V2 tedesche nella battaglia d’Inghilterra) e, tanto più, con l’uso dell’arma nucleare (conseguita attraverso un’affannosa competizione scientifica tra Statunitensi e Tedeschi) che pose fine al conflitto aprendo l’era atomica. Innumerevoli furono gli sviluppi dell’industria bellica e applicata; in tutti i paesi belligeranti lo sforzo produttivo fu strenuo e vincitrice risultò la coalizione più forte sul piano economico.
La pratica dell’annientamento del nemico appare centrale nel complesso del conflitto. Il regime nazionalsocialista tedesco l’applicò innanzitutto all’interno ancora in periodo di pace, avviando il pianificato sterminio delle minoranze razziali e politiche. Non meno cruenta fu la risposta alleata (per es., con il bombardamento di Dresda e quelli di Hiroshima e Nagasaki), anche se priva delle motivazioni ideologiche che caratterizzavano l’aggressività dei primi. Alla fine del conflitto furono calcolati oltre 50 milioni di morti (30 nella sola Europa), oltre 2/3 dei quali civili. La risposta internazionale al disegno nazionalsocialista divenne efficace quando una larga alleanza contrappose all’espansionismo dell’Asse una coordinata forza di contenimento e contrattacco; a questa forza diede un apporto la Resistenza (➔), cioè i movimenti di liberazione delle nazioni occupate dall’Asse o dell’Asse stesso, e ciò contribuì a delineare il carattere sovranazionale ed etico, oltre che ideologico, della guerra.
Le conseguenze politiche della Seconda g. si inseriscono in questo quadro. Gli Stati Uniti d’America erano usciti definitivamente dal tradizionale isolazionismo, sopportando una parte sostanziosa dello sforzo bellico, e avevano contribuito in modo decisivo alla vittoria alleata, assicurandosi per l’avvenire un ruolo preminente nella politica mondiale. Per altri versi, l’URSS emerse dal conflitto stremata ma con enorme prestigio per aver bloccato in direzione orientale l’espansione tedesca. In una situazione in cui anche le altre potenze vincitrici erano afflitte da giganteschi problemi di ricostruzione, fu attorno ai due grandi Stati che si riorganizzò la vita politica mondiale (sul terreno internazionale, nel 1945 nasceva l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che assegnava un ruolo preponderante a 5 potenze vincitrici: USA, URSS, Cina, Gran Bretagna, Francia). Nel contempo, l’alleanza del periodo bellico si trasformò rapidamente in rivalità portando a una divisione dell’Europa e del mondo in sfere d’influenza; questo nuovo equilibrio bipolare (costituitosi negli anni 1945-49) avrebbe contraddistinto la politica mondiale fino alla disgregazione del blocco sovietico (1989). In questo senso, la riunificazione tedesca (1990) ha costituito di fatto la soluzione della principale delle pendenze politico-territoriali rimaste aperte dopo il conflitto==