Stato dell’Europa orientale; confina a NE con Ucraina e Moldavia, a NO con l’Ungheria, a S con la Bulgaria e a SO con la Serbia; si affaccia per quasi 250 km sul Mar Nero.
Il territorio della Romania costituisce un’entità geografica armonica, malgrado le caratteristiche profondamente diverse dei suoi elementi costitutivi. L’elemento morfologico essenziale è rappresentato dalla catena carpatica, formatasi nel Terziario durante il ciclo orogenetico alpino, di cui alla Romania appartengono interamente la sezione meridionale e solo parzialmente la sezione orientale. È possibile suddividere i Carpazi romeni in tre settori: Carpazi Orientali, Carpazi Meridionali e Carpazi Occidentali. I primi, che si allungano con direzione NO-SO con una pronunciata forma arcuata, hanno un’altitudine media fra i 1200 e i 1330 m. Vi si distinguono tre zone geologico-strutturali: una centrale, cristallina, ove si tocca la massima elevazione di tutto il settore nei Munții Rodnei (Pietrosul: 2303 m); una zona vulcanica recente che la fiancheggia a oc;cidente per circa 400 km; una zona a oriente, sul bordo del nucleo cristallino centrale, dove sono presenti formazioni sedimentarie di età mesozoica e paleogenica. I Carpazi Meridionali, detti anche Alpi Transilvane, hanno forme più massicce e sono meno frazionati: si dispongono anch’essi ad arco fra la valle della Dâmbovița e le Porte di Ferro, angusta gola nella quale per un centinaio di km scorre il Danubio. In questa sezione, elevata in media dai 1500 ai 1750 m, si raggiungono le massime altezze carpatiche in Romania, con cime che superano i 2500 m (Moldoveanu 2543 m; Negoiul 2535 m ecc.). La sezione occidentale dei Carpazi romeni comprende i Monti del Banato e gli Apuseni, un raggruppamento di massicci allungati per quasi 350 km dal Danubio al fiume Someş e separati fra di loro da alcune depressioni tettoniche. Nel Bihor si ha la cima più alta degli Apuseni (1849 m). La Transilvania costituisce una depressione originatasi in seguito alla tettonica distensiva conseguente ai corrugamenti alpini e colmata da depositi marini sabbiosi e argillosi paleogenici, miocenici e pliocenici, con uno spessore variabile dai 2500 ai 4000 m. Fra le Alpi Transilvane e il Danubio, in direzione OE, si apre la Valacchia, antico bacino distensivo riempito da sedimenti marini e successivamente lacustri che il Danubio e i suoi affluenti di sinistra e di destra hanno gradatamente colmato. Continuazione della pianura valacca verso NE è la Moldavia, che con la Bucovina meridionale forma l’avampaese esterno dei Carpazi, fra questi e il Prut. Fra il corso terminale del Danubio e il Mar Nero si estende la Dobrugia, che si presenta come un pianoro quasi tabulare arido e steppico, tuttavia fertile per il löss che lo ricopre; la sezione settentrionale comprende i resti di antiche montagne, sollevate nel Paleozoico e in seguito peneplanate, elevate in media fra i 400 e i 450 m. Antiche valli solcano il tavolato da E a O. Il Danubio, sfociando nel Mar Nero, forma un apparato deltizio di spessore variabile da 83 a 175 m; esso occupa un antico golfo delimitato, in epoca preistorica, da una serie di cordoni litoranei, e colmato in seguito dalle alluvioni del fiume. Le terre comprese fra i tre rami principali del delta, quelli secondari e i canali sono caratterizzate dalle acque stagnanti, per lo più ricoperte da una vegetazione palustre. Appartiene alla Romania anche la pianura del Tibisco, già ungherese, una fascia larga da 40 a 120 km, che da N a S occupa la parte più occidentale del paese.
L’intero territorio della Romania è posto nella zona temperata, vale a dire nell’area di interferenza delle tre principali varianti del clima temperato europeo: la variante atlantica, che si fa sentire al centro e nella parte occidentale del paese, quella mediterranea a S e quella continentale a E. Un clima pertanto complesso, sul quale influiscono anche il rilievo e la sua disposizione, nonché i venti di provenienza orientale (crivǎtz) e quelli provenienti da O e SO (austru). Le escursioni termiche sono rilevanti, dell’ordine di 22-25 °C e sono maggiori nelle pianure che sulle montagne: nelle pianure pericarpatiche agli alti valori dell’estate (punte superiori ai 35 °C) si alternano infatti minimi assoluti di −35 °C in inverno. Le medie di gennaio sono ovunque al di sotto dello zero. Va anche sottolineata la tendenza delle temperature nei due mesi estremi ad accentuare i loro valori procedendo da O verso E. Si deve poi aggiungere la frequenza delle inversioni termiche dovute alla caratteristica morfologica delle valli dal fondo incassato tra zone culminanti arrotondate. La piovosità non è abbondante: massima nelle aree collinose subcarpatiche (700-900 mm all’anno) e soprattutto nelle Alpi Transilvane occidentali con 1400-1500 mm; nella Moldavia e nella Valacchia si scende a meno di 600 mm e a minimi notevolmente più bassi in Dobrugia. Date le basse temperature, le precipitazioni invernali assumono carattere nevoso, specie sui Carpazi.
Nel complesso (eccetto una piccola sezione della Dobrugia costiera, peraltro quasi arida) tutte le acque superficiali confluiscono nel Danubio: l’intero territorio è solcato solo da affluenti di sinistra del fiume, benché ne comprenda parzialmente anche la sponda destra nel breve tratto della Dobrugia. In genere gli affluenti che defluiscono verso l’esterno dell’arco carpatico si gettano direttamente nel Danubio, quelli invece che scorrono verso l’interno vi arrivano tramite il Tibisco. Tra i primi, i maggiori, da NE a SO, sono il Prut, che dopo aver segnato con gran parte del suo percorso il confine con la Moldavia, sbocca nel Danubio presso Reni; il Siret (che ha le sorgenti in territorio ucraino) vi si getta poco a sud di Galați; quindi la Ialomița, la Dâmbovița, l’Olt e lo Jiu.
Il Danubio, che entrando nel paese si affossa nelle gole delle Porte di Ferro, interessa il territorio romeno per 1075 km, pari a circa due quinti del suo sviluppo totale. Convoglia una gran massa di detriti, che accumula incessantemente nella zona deltizia, oltre la quale riversa le sue acque nel Mar Nero. Numerosi i laghi, seppure di dimensione modesta (1% della superficie totale): tra quelli costieri, per estensione (360 km2) e per pescosità si ricorda il Razim; lungo la sponda sinistra del Danubio, i laghi fluviali di Potelu, di Greaca e di Călărași; infine i laghi di montagna, di origine glaciale o vulcanica, con acque calde e salate, talvolta utilizzate per cure balneotermali.
Per mancanza di definiti limiti fisici a N e a O si è sempre avuta una forte compenetrazione tra i Romeni e le popolazioni ungheresi, slave e germaniche circostanti. La situazione si è infine virtualmente stabilizzata solo dopo gli ingenti spostamenti avvenuti in seguito al secondo conflitto mondiale: l’elemento romeno rappresenta circa l’89% dell’intera popolazione, ma vi sono anche minoranze di Magiari (6,6%), Rom (2,4%), Tedeschi (f0,3%). Estremamente ridotte rispetto al passato risultano le minoranze ucraine, russe, turche ecc., ben localizzate nelle zone di confine. Tuttavia, nonostante la lunga marcia verso la romenizzazione, protrattasi per decenni, il paese resta, in Europa, uno di quelli che si distinguono per varietà etnico-culturale e incidenza numerica delle nazionalità minoritarie. La politica nei confronti di queste, e in particolare degli Ungheresi, ha attraversato fasi alterne, di apertura e di restrizione, con momenti di tensione. La scarsità delle fonti e il fatto che la Romania abbia subito numerose variazioni territoriali costituiscono un serio ostacolo alla ricostruzione storica dell’entità numerica della popolazione, a partire dalle epoche più remote fino ai tempi recenti. Accresciutasi per oltre un quarantennio, dall’immediato secondo dopoguerra al termine dell’esperienza socialista (nel 1946 gli abitanti erano 15,8 milioni, saliti a 18,4 nel 1960, a 20,2 nel 1970, per toccare i 22,7 nel 1984), essa ha preso a diminuire a partire dal 1992, con un decremento medio annuo dello 0,3%: tendenza negativa che però sembra essersi esaurita nell’ultimo biennio del 20° secolo. Il calo è dovuto all’andamento del saldo naturale, ma anche al cospicuo flusso emigratorio iniziato dopo la fine del regime socialista; tale flusso, allontanando dal paese individui in età feconda, ha a sua volta determinato un ulteriore abbassamento della natalità: 10,53‰, di contro a una mortalità del 11,9‰, secondo una stima del 2009, cui contribuisce anche un tasso di mortalità infantile drammaticamente risalito (22,9‰).
Meta dell’emigrazione romena è soprattutto la Germania, seguita da altri Stati europei, tra i quali l’Italia. La distribuzione sul territorio è nel complesso abbastanza omogenea, con i maggiori addensamenti nella Valacchia, nelle valli del Siret, del Prut e in alcuni distretti della Transilvania. Le densità più basse si incontrano nei distretti di Tulcea (Dobrugia) e di Caraș-Severin (Monti del Banato). L’incidenza della popolazione urbana, passata dal 23% del 1948 a più del 40% alla fine degli anni 1960, è oggi del 54% (2006). Tra i centri urbani domina nettamente la capitale per quanto riguarda sia l’ampiezza demografica sia il peso delle attività produttrici di beni e servizi. Delle altre città, le più popolose sono Iași, Timișoara e Costanza. Merita un cenno l’opera di pianificazione urbanistica imposta dal processo di industrializzazione. Diversamente da altri paesi dell’Est europeo (come la ex Cecoslovacchia), si è preferito distribuire la popolazione in un certo numero di ‘città nuove’, dotate dell’intera gamma di attrezzature necessarie, ben servite dalle vie di comunicazione, integrate in un più vasto complesso che include anche città tradizionali, industrie antiche e recenti. Contemporaneamente si è provveduto al rinnovamento dei quartieri insalubri delle grandi città, alla creazione di città doppie o satelliti nelle periferie, allo sviluppo delle stazioni balneari.
Religione di gran lunga prevalente (87%) è quella ortodossa della Chiesa romena, con minoranze cattoliche (5%), protestanti (4%), musulmane ed ebraiche.
Il processo di sviluppo iniziato nel secondo dopoguerra è stato rapidissimo fino agli anni 1970, ma successivamente la vulnerabilità alle congiunture negative internazionali, agendo su un apparato produttivo ancora squilibrato e instabile, ha frenato la crescita economica. Le basi per la politica di sviluppo socioeconomico furono simili a quelle degli altri paesi socialisti: nazionalizzazione di tutte le branche produttive; collettivizzazione dell’agricoltura, preceduta da una riforma agraria attuata con la confisca delle proprietà eccedenti i 50 ha, il frazionamento e la distribuzione dei lotti ai contadini senza terra; organizzazione e sviluppo dell’economia nazionale in un tutto unico, governato secondo piani annuali e quinquennali. Dopo il 1989, l’avvio di politiche di privatizzazione dei mezzi di produzione e di apertura agli investimenti esteri, attratti dal basso costo della manodopera, ponevano le premesse per una riconversione produttiva che non può dirsi ancora conclusa. Progressi non irrilevanti sono stati compiuti per raggiungere l’obiettivo dell’ingresso nell’Unione Europea (2007), in particolare per quanto concerne la privatizzazione delle attività e la modernizzazione dei settori secondario e terziario, soprattutto in termini di occupazione.
Nonostante la numerosa popolazione occupata e la notevole estensione della superficie destinata all’arativo e alle colture arboree (42,7%), l’agricoltura risulta poco produttiva. Oltre la metà della superficie coltivata è adibita alla cerealicoltura, in particolare alla produzione di mais e frumento. In aumento è l’orzo, mentre declinano le coltivazioni dei cereali minori, come avena e segale, ormai superate dal riso, che trova lungo il Danubio condizioni ottimali. Da segnalare altre colture alimentari (patate, pomodori, fagioli, cipolle, cavoli, piselli ecc.), industriali, fra cui le oleifere (girasole, soia, colza ecc.), la barbabietola da zucchero, il tabacco e alcune piante tessili (lino, canapa, cotone). Le colture arboree riguardano in primo luogo il prugno, dal cui frutto si ricava per distillazione il liquore nazionale, la zuica, il melo, il pero, il pesco ecc. La vite, diffusa un po’ dovunque, fornisce uva sia da tavola sia per la vinificazione. Le foreste, che coprono vaste superfici in Transilvania e nei Carpazi Orientali, sono costituite in prevalenza di faggi, conifere e querce; la produzione di legname nel 2006 è stata di 13,8 milioni di m3. Rilevante l’allevamento: prevale quello ovino e suino, seguito da quello dei bovini. Latte, burro, formaggio, carne, uova sono, insieme con la lana, i prodotti zootecnici offerti al mercato interno ed estero.
Le risorse energetiche presenti nel sottosuolo, così come l’abbondanza delle acque superficiali, hanno permesso di attuare una politica di sfruttamento diversificata. Rilevanti le riserve di petrolio (i cui pozzi sono collegati mediante oleodotti con Giurgiu sul Danubio, con Costanza sul Mar Nero e con Galați-Reni), gas naturale e lignite. Il sottosuolo fornisce anche salgemma, ferro, bauxite, argento, oro, manganese, piombo, rame ecc. L’energia elettrica si basa prevalentemente su centrali termiche e in parte su impianti idroelettrici (tra cui quello alle Porte di Ferrro); a Cernavodă è attiva una centrale nucleare.
Il forte impulso dato all’industrializzazione ha assorbito la parte più cospicua degli investimenti governativi. Dall’industria pesante, privilegiata dai piani di sviluppo degli anni 1950-1970, si è poi passati alla creazione di industrie diversificate (tessili, materie plastiche, beni di consumo ecc.) per rispondere, seppure non sempre in modo sufficiente, alle istanze dei mercati interno ed estero. Il processo di espansione è stato rapido, avendo potuto contare su buone basi locali, oltre che sull’assistenza tecnico-finanziaria sia dei paesi socialisti sia di quelli a economia liberista. I pianificatori ebbero il vantaggio di poter impiantare strutture completamente nuove nelle regioni che non erano state interessate dall’industrializzazione del 19° sec.: così attrezzature e impianti si sono localizzati in funzione della presenza di manodopera e delle necessità regionali.
Il processo di privatizzazione e riconversione di prodotto e processo del settore industriale è ancora in corso. Buoni risultati si sono manifestati nell’industria leggera, in seguito agli investimenti esteri e ai processi di delocalizzazione che hanno decentrato in Romania fasi di lavorazione di aziende di paesi occidentali; fra le altre, numerose industrie dell’Italia nordorientale (per la massima parte venete), essenzialmente appartenenti ai rami dell’abbigliamento e delle calzature, hanno trasferito parte della loro attività in città della Romania occidentale (Timișoara e Oradea).
L’industria è sviluppata, in particolare, nei settori siderurgico, metallurgico e meccanico (produzione di motori diesel, macchine agricole, materiale ferroviario, macchinario petrolifero, utensile ed elettrico, autoveicoli, natanti ecc). Il comparto chimico è articolato in una serie di complessi recenti, tra i quali emergono quelli petrolchimici, che forniscono una gamma svariata di prodotti (fertilizzanti fosfatici, ceneri di soda, concimi azotati, acidi, detersivi, coloranti, caucciù sintetico, resine e materie plastiche ecc.). Di qualche rilievo l’industria tessile, che si avvale del cotone, della lana e dell’impiego crescente di fibre sintetiche, la calzaturiera, la cartaria, quelle del cemento, del legno e della cellulosa. Infine vanno menzionate le industrie alimentari, già pilastro dell’economia romena, e in particolare la molitoria, sorta nei principali centri del commercio cerealicolo (Brăila, Galați, Costanza, Timișoara).
Il settore delle comunicazioni, nonostante i progressi, manifesta ancora squilibri. La funzione dei trasporti terrestri resta preponderante. La rete ferroviaria (10.781 km nel 2006, di cui 3978 elettrificati) è costituita da un sistema concentrico con due cinture principali, con tronchi transcarpatici, e con altre linee che dalla capitale si irraggiano in ogni direzione. La rete viaria comprende 198.817 km di strade asfaltate e 228 di autostrade (2006). I trasporti fluviali svolgono una funzione limitata, nonostante l’estensione delle vie navigabili (1780 km), quasi tutte lungo il Danubio. I porti più attivi si trovano sul Mar Nero (Costanza e Mangalia); sul Danubio, degni di nota, sono gli scali di Brăila, Galați e Giurgiu. Le linee aeree garantiscono i collegamenti con le principali città europee.
Il commercio estero presenta una bilancia in passivo. Gli scambi avvengono principalmente con la Germania e con l’Italia. Nelle importazioni prevalgono macchinari, prodotti tessili e alimentari.
Il turismo è in prevalenza balneare, diretto verso le spiagge del Mar Nero, sebbene a partire dagli ultimi anni del 20° sec. abbia cominciato a diversificarsi, attratto anche da luoghi di grande interesse naturalistico (il delta del Danubio) e culturale.
Le popolazioni rurali della Romania avevano, fino a pochi decenni fa, un’economia agricolo-pastorale, con sopravvivenza di antiche tecniche e strumenti (l’aratro ligneo senza ruote con la punta indurita al fuoco, i forni d’argilla, le macine a mano ecc.). I pastori, durante la transumanza, usavano, e in parte usano ancora, particolari capanne (stâne), dove in un apposito ambiente si confezionano i formaggi che, una volta pronti, vengono pressati e conservati entro pelli. Laddove non siano intervenuti i violenti e spesso drammatici mutamenti imposti dal potere politico negli anni 1950-90, l’abitazione rurale è di struttura variabile, secondo il censo: in alcune zone della pianura danubiana si incontrano ancora le antiche dimore di argilla e di terra. Altrove prevale un tipo di abitazione a balconata anteriore, attraverso la quale si accede agli ambienti interni; questi hanno le pareti circondate da panche e adorne di specchi, icone, tappeti.
Il costume varia da luogo a luogo: caratteristici dell’abbigliamento femminile le bellissime camicie ricamate e il doppio grembiule, di quello maschile gli stretti pantaloni bianchi e il corpetto di pelle di pecora. Nelle leggende, nelle credenze e nella letteratura si notano sovrapposizioni e influssi romani, bizantini, slavi, cristiani ecc. sull’antico patrimonio dei Daci. Diffusi la credenza nel diavolo, al tempo stesso antagonista e collaboratore di Dio, con potere notturno, capacità di incarnarsi in vari animali e di rendere gli uomini ossessi; come anche il timore delle streghe e dei licantropi. Tracce di magia si riscontrano nei riti agresti. Abbastanza ricca e varia la letteratura popolare: colinde, ossia stornelli augurali con parti epico-drammatiche, cantati da giovani uomini nel periodo tra Natale e Capodanno; racconti agiografici o storico-leggendari; liriche; epigrammi mordaci che ragazze e giovanotti si scambiano durante un caratteristico ballo in tondo (hora). La danza è di solito accompagnata dal canto: in alcune zone si usa il flauto, più raramente cornamuse e zampogne.
Manufatti litici di tipo paleolitico inferiore sono stati trovati in siti di superficie, ma le più antiche testimonianze sicure si riferiscono al Musteriano, di cui esistono varie facies. Per il Paleolitico superiore sono documentati l’Aurignaziano e il Gravettiano, la cui età e tipologia sono mal conosciute. Un ricco sito mesolitico è stato scoperto a La Scaune, nei Carpazi Orientali. Dopo un orizzonte aceramico, il Neolitico con ceramica comincia verso la metà del 6° millennio a.C. ed è fortemente influenzato dalla ‘cultura della ceramica lineare’, le cui genti penetrano nell’area carpato-danubiana, provenienti dall’Europa centrale; altri influssi provengono dalle regioni a sud della Romania. Nel Neolitico finale (circa 2900-2700 a.C.), specie nella parte occidentale della Romania, si moltiplicano gli insediamenti fortificati, a riprova di mutate condizioni di vita; si diffondono strumenti e armi di rame, mentre l’oro è utilizzato per gli oggetti di ornamento; alcuni gruppi di popolazioni pastorali cominciano a penetrare, provenienti in particolare dalle steppe nord-pontiche.
La transizione all’età del Bronzo si effettua in momenti diversi nelle varie zone del paese: verso il 2200 a.C. nelle regioni meridionali e sud-orientali, fin verso il 1800-1700 a.C. nel resto della regione. Durante l’età del Bronzo sono intensamente sfruttati i locali giacimenti di rame, fonte di ricchezza tramite il commercio con regioni vicine e lontane. La metallurgia continua ad avere grande importanza durante l’età del Ferro, che vede lo sviluppo delle popolazioni note come Traci.
Alla fine del 6°-inizio del 5° sec. a.C. cominciano a manifestarsi elementi scitici, mentre l’influenza della Grecia si fa sempre più forte, specie dopo la fondazione delle colonie sulle sponde del Mar Nero (Histria, Tomis, Callatis). Verso il 300 a.C. penetrano in Romania anche elementi celti, provenienti dall’ovest e dal sud-ovest. Nel periodo successivo i Geto-Daci creano una ricca cultura, con una metallurgia molto sviluppata, un’architettura originale e moneta propria. Dopo la conquista romana di parte dei territori occupati da queste popolazioni, una evoluzione indipendente continuò nelle aree non assoggettate.
La Romania si costituì in Stato, con il nome di România, ancora soggetto alla sovranità della Sublime Porta, il 24 gennaio 1862, in conseguenza dell’unione della Moldavia e della Valacchia in un unico principato. L’unità politica si era preparata nel corso delle lotte combattute per secoli dai Romeni dei due versanti dei Carpazi, nati dall’antico popolo dei Daci, e avente come centro la Transilvania. Esso si è sempre considerato e chiamato rumân o român, cioè «romano», in seguito alla conquista traianea quando nella Dacia furono trasferiti coloni da ogni parte del mondo romano (➔ Daci).
Nell’Alto Medioevo si costituirono le prime formazioni politiche romene (ducati e voivodati), raggruppatesi dal 14° sec. nei ‘grandi voivodati’ di Valacchia e di Moldavia. Le formazioni statali della Transilvania seguirono un’evoluzione storica differente in seguito alla penetrazione dei Magiari: nel 10° sec. alcune genti magiare si stabilirono accanto alla popolazione autoctona e dal 12° sec. per oltre 4 secoli la Transilvania fece parte dello Stato ungherese quale voivodato. Nelle tre regioni i Romeni conservarono e svilupparono una cultura materiale e spirituale specifica in stretto legame con il mondo bizantino. Il lungo processo di organizzazione statale, in particolare, fu influenzato dal cristianesimo di rito bizantino.
La Valacchia, suddivisa in judete o giudicati e retta localmente da giudici, tenuti insieme dall’autorità di un voivoda o duca, era nel 14° sec. tributaria dei Mongoli dell’Orda d’oro, pur rimanendo soggetta alla sovranità del re d’Ungheria. Nel 14° sec. uno dei voivodi, Basarab di Câmpulung, riuscì a imporsi sugli altri duchi e giudici nella cosiddetta Oltenia; nel 1330, sconfiggendo il re d’Ungheria Carlo Roberto d’Angiò, ottenne il riconoscimento della sua posizione di primato come «Gran Voivoda di tutto il paese romeno». I suoi successori ne continuarono la politica tendente ad affermare la nuova unità statale: da Nicola Alessandro (1352-64) per giungere a Mircea il Vecchio (1386-1418), si assiste a un progressivo estendersi delle conquiste territoriali insieme a una più definita organizzazione dello Stato.
Suddivisa in tre classi (boiari, contadini e schiavi), la società valacca dei sec. 14°-16° era tenuta insieme dal principe, capo militare, giudice supremo e padrone di tutte le terre a lui sottoposte. Lo Stato valacco si era appena consolidato che già nei primi anni di regno di Mircea il Vecchio i confini vennero minacciati dai Turchi: Mircea, dopo la sconfitta cristiana nella battaglia di Kosovo (1389), fu battuto a Rovine, poi con l’aiuto ungherese batté i Turchi a Turnu-Măgurele; ma dopo la sconfitta di Nicopoli (1396), l’indipendenza della Valacchia venne limitata e lo Stato dal 1417 fu assoggettato a tributo da Maometto I. I 20 domni o voivodi che si succedettero sul trono di Valacchia dal 1418 sino alla battaglia di Mohács (1526) riuscirono sì a conservare al paese una certa autonomia, ma dopo la sconfitta di Mohács la Valacchia di fatto fu sottomessa e i suoi voivodi interamente soggetti al sultano. Solo con la salita al potere di Michele il Valoroso (1593-1601) la riscossa contro il dominio turco trovò un condottiero capace, che riuscì a realizzare per la prima volta l’unione di Valacchia, Transilvania e Moldavia, proclamandosi principe di tutti i Romeni. Nel 17° sec. si segnalarono i principi Matei Basarab (1632-54), Șerban Cantacuzeno (1678-88) e Costantino Brâncoveanu (1688-1714), cui seguì il regime fanariota.
La futura Moldavia era invece interamente soggetta al dominio dei Mongoli. Solo quando il potere mongolico si indebolì, emerse come marca di confine contro il pericolo mongolico. Verso il 1360 Bogdan, voivoda del Maramureş, regione del nord della Transilvania, si eresse a domn, dando la prima dinastia al paese e sottraendosi anche alla dipendenza dall’Ungheria. La sua posizione era identica a quella del domn di Valacchia e non diversa si presentava la struttura sociale della popolazione moldava. I suoi successori nell’arco di circa un secolo estesero il proprio potere a tutto il territorio compreso fra il Dnestr, il delta del Danubio e i contrafforti nordorientali dei Carpazi, fin oltre Cernauṭi, ai confini con la Polonia.
Tenere a bada i Mongoli, poi i Russi che premevano da oltre il Dnestr, i Polacchi e i Magiari, quindi anche i Turchi, rappresentò un problema non facile e solo con Stefano III il Grande (1457-1504) la regione trovò un assestamento che doveva essere decisivo per la formazione della nazione romena. Con la Polonia del re Casimiro IV si giunse a un accordo; verso l’Ungheria Stefano respinse gli attacchi del re Mattia Corvino; più difficile fu il compito di dare sicurezza alla frontiera meridionale: nel 1474 Stefano si collegò di fatto con la grande lega cristiana insieme al pontefice, a Venezia, a Mattia Corvino e al re di Napoli e il 10 gennaio 1475 batté Solimano l’Eunuco, giunto in forze dall’Albania. Il possesso della linea del Danubio e di tutte le coste del Mar Nero era troppo importante per i Turchi perché potesse essere trascurato. Dopo la sconfitta di Valea Alba a opera degli eserciti congiunti ottomano e crimeano (1476), nell’agosto del 1484 Stefano III, attaccato dalle truppe di Bāyazīd II, perse i porti di Chilia e Cetatea Alba. L’aiuto polacco gli fece vincere i Turchi, ma la pace conclusa fra Turchi e Polacchi nel 1489 lo indusse a pagare un tributo al sultano e a inviare suo figlio Alessandro in ostaggio presso la Sublime Porta. Alla sua morte (1504) la Moldavia era completamente inserita fra i domini ottomani.
In Transilvania la grande maggioranza della popolazione del voivodato, comprendente anche il Banato, la Crișana e il Maramureș, era romena. I Sassoni, insediati come coloni insieme ai Secleri dalla corona ungherese, e i pochi ungheresi stabilitisi nelle città rappresentavano una minoranza. Accanto alle nuove suddivisioni amministrative del voivodato si mantennero i distretti romeni che continuavano i cnesati trovati al loro arrivo dagli Ungheresi. Nel 14° e 15° sec. si verificarono varie sommosse di contadini romeni e ungheresi contro il clero cattolico e la nobiltà ungherese e sassone. Dopo il 1541 la Transilvania diventò principato autonomo e dal 1691 provincia dell’Impero asburgico. Nel 1784-85 avvennero violenti movimenti contadini guidati dai tre famosi capi Horia, Cloșca e Crișan.
In queste secolari lotte di principi di Valacchia e Moldavia contro gli Ungheresi, padroni dopo il 1000 della Transilvania, contro la Polonia, che tendeva a espandersi verso il Mar Nero, e infine contro i Turchi ottomani, che finiranno per dominare quasi tutti i Balcani, nei Moldo-Valacchi si venne a consolidare la coscienza di una propria individualità. Un movimento culturale in questa direzione si ebbe soprattutto nel 18° sec., periodo caratterizzato da un notevole sviluppo economico e culturale, in cui emersero soprattutto le personalità dei principi Costantino Brâncoveanu (1688-1714) in Valacchia e Dimitrie Cantemir (1710-11) in Moldavia. Cantemir, celebre umanista, tese a eliminare le cause dell’instabilità politica della Moldavia. La libertà e l’unità dei Romeni furono le idee dominanti della sua opera e delle azioni che intraprese, la più importante delle quali fu l’alleanza con lo zar Pietro il Grande nella lotta contro i Turchi (1710-11); il tentativo di liberare il Principato dalla soggezione ottomana si concluse, però, con la disfatta di Stănilești (1711), che costrinse Cantemir a riparare in Russia.
Con Cantemir si rafforzò la coscienza della latinità dei Romeni dei tre Principati. Dalla fine del 18° sec. in poi questi già saldi legami con il mondo latino occidentale si rinsaldarono anche grazie alla diffusione della cultura francese e delle ideologie rivoluzionarie, liberali e poi democratiche. Sotto il profilo politico la situazione delle terre romene appariva però quanto mai sfavorevole a una loro unificazione: contro le aspirazioni ideali di una ristretta élite di intellettuali, il dato reale era offerto dall’inserimento dei due principati di Valacchia e Moldavia nell’ambito dell’Impero ottomano con la sostituzione, operata dalla Porta (1711 in Moldavia, 1716 in Valacchia), dei principi locali con fanarioti greci. Gli Asburgo, dopo la Transilvania, nel 1775 avevano esteso il loro dominio anche alla Bucovina, e la Russia dal 1774 (trattato di Küciük Qainarge) aveva progressivamente accresciuto la sua influenza sui Principati.
Nel marzo 1821 il greco A. Ipsilanti tentò di sollevare i Principati entrando in Moldavia e giungendo fino a Bucarest, mentre una più vasta ribellione, con centro la Valacchia, trovò un capo in T. Vladimirescu. Dopo un inizio di intesa i due movimenti entrarono in contrasto e Vladimirescu fu fatto arrestare e decapitare da Ipsilanti, le cui forze furono poi battute dai Turchi. La Porta, tuttavia, temeva che le aspirazioni nazionali greche si saldassero con quelle dei Principati e dopo il 1821 i principi di Moldavia e Valacchia non furono più di nazionalità greca ma autoctoni. A seguito della guerra russo-turca i Principati furono occupati dalla Russia (1828-34) e affidati al governo del generale P.D. Kiselëv.
Nel 1848-49, la rivoluzione nei Principati e in Transilvania, punto più avanzato verso oriente della ‘primavera dei popoli’ del 1848, fu soffocata dalle forze collegate di Austria e Turchia; Valacchia e Moldavia furono occupate dalla Russia dall’autunno del 1853 alla primavera del 1854 e, quindi, dall’Austria. Il movimento di indipendenza si concretò con l’elezione (1859) di A. Joan Cuza a principe di Moldavia e Valacchia, unificate nel Principato di Romania, soggetto però alla nominale sovranità ottomana. Furono realizzate allora fondamentali riforme: l’incameramento dei beni ecclesiastici; la creazione di una seconda camera, nel quadro di una vera e propria Costituzione che rafforzò l’autorità e le prerogative del capo dello Stato; la creazione di un Consiglio di Stato; la riforma agraria; l’unificazione della legislazione civile, penale e commerciale. Questo complesso di riforme ardite e moderne aveva però toccato troppo a fondo gli interessi dei boiari e della borghesia radicale: a Cuza, rovesciato dal trono e costretto all’esilio (1866), succedette Carlo di Hohenzollern-Sigmaringen, che introdusse una Costituzione che accresceva i poteri del sovrano in senso dispotico, mentre una legge elettorale rigidamente censitaria assicurava il monopolio del potere politico agli esponenti della grande proprietà terriera.
Nel 1876, con la rivoluzione di Bosnia, Erzegovina e Bulgaria e la guerra della Serbia e del Montenegro (con l’aiuto della Russia) contro la Turchia, il Principato si alleò con la Russia che, pur rivendicando la Bessarabia, prometteva la piena sovranità. Riconosciuta indipendente dal Congresso di Berlino (1878), alla Romania furono attribuite anche la Dobrugia e la foce del Danubio.
Nel 1913 il paese partecipò alla seconda guerra balcanica; l’anno successivo salì al trono Ferdinando I. Scoppiata la Prima guerra mondiale, la Romania entrò nel conflitto nell’agosto 1916, al fianco della Triplice Intesa, e nel dicembre fu occupata dagli Imperi centrali. Il periodo tra le due guerre fu segnato da violente tensioni e dal succedersi di governi autoritari. Acquistò un ruolo crescente la Guardia di ferro, un’organizzazione paramilitare di stampo fascista e razzista fondata nel 1930. Anche la monarchia espresse, nel corso del decennio, una propria tendenza autoritaria. Alla morte di Ferdinando I (1927), la corona era passata al nipote, Michele, assistito da un consiglio di reggenza; il padre di questo, Carlo, che aveva rinunciato al trono nel 1925, fu richiamato in patria e incoronato re nel 1930; nel 1938 assunse poteri dittatoriali sotto una nuova costituzione corporativista e costituì il Fronte della rinascita nazionale, partito unico fino al 1940. Sul piano internazionale Bucarest sviluppò, nel corso degli anni 1920, stretti legami con la Francia; nel decennio successivo tuttavia la Romania si avvicinò progressivamente alla Germania.
Nel 1940, dopo aver perso la Bessarabia e la Bucovina settentrionale (annesse all’URSS in giugno), dovette cedere la Transilvania settentrionale all’Ungheria (agosto) e la Dobrugia meridionale alla Bulgaria (settembre). All’interno, il filonazista maresciallo I. Antonescu assunse i pieni poteri, forzando Carlo I all’abdicazione e richiamando al trono il figlio Michele; le Guardie di ferro furono riconosciute quale unico partito legale e il paese sottoposto a un durissimo regime repressivo, mentre dall’ottobre vi si dislocavano truppe tedesche. Con il mutare delle sorti del conflitto, nell’agosto 1944 Antonescu fu destituito dal re Michele, che firmò l’armistizio e dichiarò guerra alla Germania. La Romania condusse quindi le ultime fasi della guerra a fianco degli Alleati, occupata dall’esercito sovietico; sul piano politico si affermò progressivamente il ruolo dei comunisti, che divennero la forza egemone nel nuovo esecutivo costituito (marzo 1945) da P. Groza (primo ministro fino al 1952), autore di una radicale riforma agraria.
Il 30 dicembre 1947 il re Michele fu forzato all’abdicazione e nell’aprile 1948, con il varo di una nuova Costituzione, la Romania divenne formalmente una repubblica popolare; nello stesso anno, nazionalizzate le grandi proprietà industriali, fu avviata la pianificazione dell’economia, tendente in particolare allo sviluppo dell’industria pesante. Delle perdite territoriali del 1940, la Romania riacquisì nel dopoguerra solo la Transilvania settentrionale. Una serie di accordi bilaterali, conclusi nel corso del 1948, portarono all’inserimento del paese nel blocco sovietico, rafforzato dall’adesione al COMECON (1949) e al Patto di Varsavia (1955). Nei primi anni 1950 si verificò un irrigidimento del regime in senso stalinista.
Nel 1965, alla morte di G. Gheorghiu-Dej, segretario del Partito romeno dei lavoratori – nato nel 1948 dalla fusione di comunisti e socialdemocratici – divenne segretario generale del partito (dal luglio denominato Partito comunista) N. Ceauşescu, che varò una nuova Costituzione, proclamando la repubblica socialista. Ceauşescu impose al paese una dittatura personale, assumendo nel 1967 la carica di capo dello Stato e nel 1974 quella, appena istituita, di presidente della Repubblica con poteri esecutivi. La rivendicazione di una maggiore autonomia nazionale portò Bucarest a condannare l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle forze del Patto di Varsavia nel 1968, mentre buone relazioni venivano mantenute con la Cina. Al tempo stesso furono incrementati i rapporti con i paesi dell’Europa occidentale. Il forte aumento del debito estero, verificatosi nel corso degli anni 1970, segnò tuttavia la crisi del modello di sviluppo incentrato sulla crescita dell’industria pesante.
L’autarchia economica applicata dal 1983, unita al progressivo isolamento internazionale determinato dalla politica di riforme avviata da M.S. Gorbačëv in URSS, portò alla crisi. Nel 1989 l’esplodere della protesta popolare sfociò nel rovesciamento di Ceauşescu, che fu condannato a morte e fucilato.
Caduto Ceauşescu, sino al 1995 fu al potere J. Iliescu, ex comunista e leader del Fronte di salvezza nazionale, in seguito rinominato Partito socialdemocratico. Fin dai primi anni 1990 fu avviata una trasformazione dell’economia del paese attraverso la ristrutturazione del settore industriale, la privatizzazione dell’agricoltura e il passaggio a un’economia di mercato, suscitando violente proteste per i pesanti costi sociali. Per altro verso, la situazione politica era connotata dall’emergere di sempre più forti spinte nazionaliste e xenofobe che attraversavano tutti gli schieramenti politici. Le opposizioni vinsero per la prima volta le elezioni presidenziali nel 1996 con E. Constantinescu, ma già nelle seguenti consultazioni del 2000 Iliescu tornava alla presidenza.
Divenuta Stato associato della CEE nel 1993, la Romania sottoscrisse un accordo di cooperazione con la NATO nel 1994 e appoggiò l’intervento aereo contro la Iugoslavia nel 1999. Nel 2004 il paese entrò a far parte della NATO, nello stesso anno le elezioni presidenziali furono vinte da T. Băsescu, del Partito liberaldemocratico di centrodestra, che annunciò un programma di avvicinamento all’Europa unita e di lotta alla corruzione. Contemporaneamente si svolsero le elezioni legislative, da cui scaturì un governo di coalizione presieduto da C. Tariceanu. Dopo la firma del trattato di adesione (2005), nel 2007 la Romania, insieme alla Bulgaria, entrò nella UE. Nel 2008, dopo l’esito incerto delle elezioni politiche, si costituì un altro governo di coalizione, a guida di E. Boc. Già sospeso dalle sue funzioni da una maggioranza di centro-sinistra nel 2007 ma rieletto per un secondo mandato nel 2009, Băsescu è stato destituito dal Parlamento nel luglio 2012 con le accuse di violazione della Costituzione e usurpazione del ruolo del primo ministro, che dall'aprile dello stesso anno è ricoperto da V. Ponta, ma il referendum popolare per l'impeachment non ha raggiunto il quorum e Băsescu è rimasto in carica. Alle elezioni legislative tenutesi nel dicembre 2012 la coalizione di centrosinistra che sostiene il premier ha conseguito una larga vittoria, ottenendo il 57% circa delle preferenze contro il 19% riportato dall'opposizione di centrodestra guidata da Băsescu. Al primo turno delle consultazioni presidenziali svoltesi nel novembre 2014 il premier socialdemocratico Ponta ha ricevuto oltre il 40% di consensi contro il 30,5% aggiudicatosi dall'esponente della minoranza sassone K. Iohannis, che lo ha sconfitto al ballottaggio ottenendo il 54,5% dei consensi e subentrando nel mandato presidenziale a Băsescu. Nel novembre 2015, a seguito delle violente proteste di massa esplose dopo il devastante incendio scoppiato in una discoteca in cui hanno perso la vita almeno 32 persone, il premier Ponta e l'intero governo romeno si sono dimessi, sostituiti nello stesso mese da un esecutivo tecnico guidato dal premier D. Cioloș. Le elezioni parlamentari anticipate, tenutesi nel dicembre 2016 con un'affluenza alle urne del 39%, hanno confermato la sinistra al potere, con il Partito socialdemocratico che ha ottenuto il 46% delle preferenze, seguito dal Partito liberaldemocratico, in forte calo con il 20% circa delle preferenze, e la nuova formazione dell’Unione per la salvezza della Romania (Usr), alla sua prima esperienza elettorale a livello nazionale, che aggiudicandosi l'8,5% dei voti è entrata in Parlamento come terza forza politica; nello stesso mese il presidente Iohannis ha affidato al socialdemocratico S. Grindeanu l’incarico di primo ministro. Profonde tensioni sociali, sfociate in numerose manifestazioni di piazza che hanno mobilitato l'intero Paese, si sono aperte ad appena un mese dall'insediamento del nuovo esecutivo a causa dell'approvazione nel febbraio 2017 di misure per la depenalizzazione di una serie di reati legati alla corruzione. Malgrado il ritiro del decreto le proteste non si sono placate, e i manifestanti hanno continuato a chiedere una moralizzazione del Paese e le dimissioni del governo Grindeanu. Nel giugno successivo il premier ha rinunciato alla carica, subentrandogli il socialdemocratico M. Tudose, sostituito nel gennaio 2018, dopo le dimissioni, dalla socialdemocratica V.V. Dăncilă. Le elezioni europee tenutesi nel maggio 2019 hanno evidenziato una perdita di consensi dei socialdemocratici, che hanno ottenuto il 23,3% circa dei consensi contro il 37,6% delle consultazioni del 2014, seguiti dalla coalizione Alleanza 2020 formata dall'Unione salvate Romania e dal Partito della Libertà, dell'Unità e della Solidarietà dell'ex premier Cioloș, che si è imposto con il 21,4% dei voti come seconda forza politica del Paese. Nell'ottobre 2019, sfiduciata dal Parlamento e contestata da violente manifestazioni di piazza con l'accusa di incompetenza e corruzione, la premier Dăncilă è stata costretta a rassegnare le dimissioni, subentrandole nella carica L. Orban. Le elezioni presidenziali svoltesi nel novembre successivo hanno registrato al primo turno l'affermazione del presidente uscente Iohannis con il 33,6% dei consensi, contro il 23,8% aggiudicatosi dalla ex premier Dăncilă, che ha sconfitto al ballottaggio aggiudicandosi oltre il 65% dei consensi. Nel febbraio 2020 l'esecutivo guidato da Orban è stato sfiduciato dal Parlamento a seguito di una mozione presentata dalle opposizioni, mentre il premier ha riottenuto la fiducia nel mese successivo. L'insuccesso registrato dal Partito nazionale liberale di Orban alle consultazioni legislative svoltesi nel dicembre 2020, alle quali ha ricevuto meno del 25% dei consensi a fronte del 29% dei voti aggiudicatosi dal Partito socialdemocratico (Psd), ha spinto l'uomo politico a rimettere nuovamente il mandato, subentrandogli dallo stesso mese F.V. Cîțu, sfiduciato dal Parlamento nell'ottobre dell'anno successivo.
Dal 1° gennaio al 30 giugno 2019 la Romania ha esercitato la presidenza del Consiglio dell'Unione Europea.
Il romeno è la lingua romanza formatasi sul territorio della Dacia. Cronologicamente, si configurò come idioma romanzo tra il 6° e il 10° secolo. L’insediamento delle popolazioni slave nella regione nord-danubiana a partire dal 6° sec. non alterò in modo sostanziale la struttura romanza, ma l’influenza dell’adstrato slavo ebbe ripercussioni sul lessico, che si arricchì di numerosi prestiti. A partire dal 10° sec. ebbe inizio la separazione nei quattro dialetti nord- e sud-danubiani: il dacoromeno, continuazione del latino parlato nella Dacia romana e diventato lingua nazionale della Romania e, nella variante dialettale moldava, della Repubblica di Moldavia; l’aromeno o macedoromeno, diffuso soprattutto nella Grecia settentrionale e in Macedonia; il meglenoromeno, diffuso in una zona a nord-est di Salonicco, e l’istroromeno, parlato in Istria.
Il dacoromeno si presenta come una lingua sostanzialmente unitaria nei suoi tratti fondamentali e differenze dialettali si notano solo a livello fonetico-lessicale. Le sue principali peculiarità morfologiche sono: la conservazione, seppure parziale, della declinazione in casi propria del latino (vocativo, maschile e femminile, e genitivo-dativo femminile); la posposizione dell’articolo determinativo; la presenza di forme verbali perifrastiche, futuro e condizionale. Il fondo lessicale è formato da elementi latini, cui si sono sovrapposti elementi slavi e, in misura minore, turchi e neo-greci. Dal 18° sec., il vocabolario si è arricchito di numerosi prestiti neologici di origine francese e italiana.
Con la divisione dell’Impero romano, le province orientali passarono dalla sfera d’influenza latina a quella greca. In tal modo, la cultura della popolazione di lingua romanza stanziata nel bacino del Danubio si sviluppò in un contesto culturale non solo isolato rispetto a quello occidentale, ma contraddistinto da influenze esterne diverse che nel resto della Romània. Tali condizioni di isolamento furono alla base della peculiarità della cultura e della letteratura romena medievali: le prime opere letterarie, di carattere prevalentemente religioso, apparvero in un ambiente ortodosso, la lingua ‘sacra’ di riferimento fu lo slavo-ecclesiastico, l’alfabeto in cui furono scritte fu un alfabeto ‘straniero’: il cirillico. Questa situazione di dicotomia tra la lingua di origine romanza e la cultura cui essa faceva riferimento caratterizzò lo sviluppo della letteratura romena delle origini fino all’apparizione della letteratura moderna, nei primi decenni del 19° secolo. Gli eventi storici che nel tempo divisero la sorte dei territori nord-danubiani fecero sì che la regione extracarpatica – Moldavia e Valacchia – restasse nell’ambito dell’influenza religiosa e culturale bizantino-slava, mentre la Transilvania venisse attratta nella sfera d’influenza dell’Ungheria e, quindi, dell’Occidente latino e cattolico. Sul piano letterario, da tale specifica evoluzione rispetto all’Occidente latino conseguì che nei territori nord-danubiani le prime attestazioni scritte apparvero nella locale redazione slavo-romena. Bisognerà attendere l’inizio del 16° sec. per trovare la prima attestazione in lingua volgare romanza (Scrisoarea lui Neacșu «La lettera di Neacșu», 1521).
La letteratura medievale fu essenzialmente letteratura religiosa, poiché i monasteri erano gli unici centri di cultura, dove si traducevano e si copiavano i testi fondamentali della liturgia. Accanto a essi, e sempre muovendo dalla letteratura bizantino-slava, apparvero compilazioni storiche, annali e cronografie. Le prime testimonianze letterarie in lingua volgare, databili al 16° sec., sono tramandate da 4 codici contenenti le traduzioni del Libro dei Salmi e degli Atti degli Apostoli. Tali testi furono alla base delle edizioni del Salterio e degli Atti degli Apostoli stampate dal diacono Coresi nella seconda metà del 16° sec. a Brașov. L’importanza di Coresi nell’ambito della letteratura romena deriva non dal valore artistico delle sue edizioni, ma dall’aver contribuito all’affermazione del volgare sullo slavo ecclesiastico con un processo che nel secolo seguente divenne irreversibile.
Dal 17° sec. si moltiplicarono le traduzioni, accanto a cui cominciarono ad apparire opere originali di carattere religioso o storico, molto spesso contraddistinte da autentico valore letterario. Al metropolita di Moldavia Dososftei si deve la traduzione integrale di un Salterio versificato (1673), considerato il primo testo poetico della letteratura romena. In Muntenia, l’imposizione del romeno avvenne grazie all’opera del metropolita Antim Ivireanul, il quale all’attività di traduzione e stampa affiancò una produzione letteraria di rilevante originalità. Nello stesso secolo, si affermò anche un filone storico-profano. Grazie all’opera di un gruppo di cronisti che, continuando la tradizione annalistica, crearono opere originali, la letteratura romena si affermò in quanto tale. Le cronache di G. Ureche, M. Costin e I. Neculce, dedicate alla storia moldava e scritte nella variante locale, testimoniano sia la cultura umanistica di stampo occidentale degli autori sia la loro consapevolezza del legame che univa la lingua romena al latino. Accanto a loro vanno ricordati i cronisti munteni, pur se con esiti di minor rilievo: C. Cantacuzino, Romania Greceanu, Romania Filipescu. Il 17° sec. si chiude con l’opera di D. Cantemir, il primo intellettuale romeno di livello europeo per la notevole cultura umanistica e la profonda conoscenza del mondo ottomano.
Con l’attività di Antim in Muntenia e Cantemir in Moldavia si conclude un ciclo della storia e della letteratura romene: a partire dal 1711-16, infatti, i Turchi imposero a Moldavia e Valacchia la reggenza di principi greco-fanarioti. La loro dominazione determinò il declino della cultura di ascendenza slava e l’imporsi di quella greca. La concomitanza di questa innovazione con l’affermarsi del romeno quale lingua ufficiale dello Stato e della Chiesa prefigurò per la letteratura romena un’epoca di transizione. Nel corso del 18° sec. si assistette, infatti, a una rapida laicizzazione della letteratura, grazie all’importazione dall’Occidente, per il tramite neo-greco, di innovatori elementi culturali. Accanto alle rilevanti trasformazioni che si verificarono nei due principati, fuori dai loro confini si andò delineando una corrente di pensiero le cui teorie storico-linguistiche svolsero un ruolo determinante nel processo di modernizzazione della cultura romena.
In Transilvania nella seconda metà del 18° sec. nacque la Scuola latinista, un movimento di idee dal pronunciato carattere illuminista, il cui fine era la dimostrazione della latinità del popolo romeno e della sua lingua. Sulla base dell’ideologia latinista si formò una vera scuola di studi storico-filologici grazie alla quale si elaborarono grammatiche e dizionari e vennero enunciati, su base etimologica, i principi fonetico-ortografici che regolarono il passaggio dall’alfabeto cirillico a quello latino. Tra i principali rappresentanti della Scuola latinista, la cui opera scientifica assunse anche un rilievo letterario: S. Micu-Klein, G. Șincai, P. Maior e I. Budai-Deleanu.
Alla fine del 18° sec., dunque, la cultura romena sembra percorsa da due fondamentali direttrici di rinnovamento. Da un lato, la Transilvania si ricollega all’illuminismo moderato austriaco e persegue, attraverso il latinismo, una ri-romanizzazione linguistica e culturale; dall’altro, la Moldavia e la Valacchia abbandonano gli schemi medievali quando vi si impongono, per il tramite neo-greco, le più radicali ideologie politiche e culturali europee, in particolare francese e italiana. Conseguenza sul piano letterario fu l’apparizione in Moldo-Valacchia di una poesia originale, pur se non di rado di maniera e influenzata da modelli neoanacreontici. Sono da ricercare, dunque, in poesia i primi tentativi di creazione artistica, espressione di una nascente letteratura profana di diletto intesa in senso moderno. Le più importanti opere in versi di questo periodo appartengono ai poeti Ienăchiță, Alecu e Nicolae Văcărescu.
All’inizio del 19° sec., l’ideologia latinista penetra anche in Valacchia e in Moldavia. A Bucarest, il transilvano G. Lazăr fondò la prima scuola romena (1818), alla cui guida, nel 1823, subentrò I. Heliade Rădulescu. Questi nella sua opera elabora un’originale visione romantica che si accompagna a motivi romantici, come la creazione di una norma linguistica unitaria, elemento imprescindibile per realizzare l’unificazione della nazione romena. Intellettuale poliedrico, Heliade Rădulescu fondò il giornale Curierul românesc («Il corriere romeno», 1829) e la rivista letteraria Curierul de ambe sexe («Il corriere per entrambi i sessi», 1836), primi esempi di stampa periodica in romeno. In Moldavia, analogo sforzo di diffusione culturale sarà compiuto dal poeta G. Asachi, fondatore della rivista Albina românească («L’ape romena») e iniziatore del teatro in lingua romena.
Su questo sfondo si inserirono le prime manifestazioni letterarie riconducibili al Romanticismo, il quale non ebbe, come in Occidente, un carattere di rottura, data l’assenza di una consolidata tradizione classica cui opporsi. In Romania il Romanticismo fu recepito innanzitutto come movimento culturale e politico che fondava la propria ideologia sulla difesa del principio di nazione, sul recupero della storia, sulla riscoperta e la valorizzazione delle tradizioni etniche. Di qui si formò una generazione che combinava attività letteraria e forte impegno politico, perseguendo la nascita di uno Stato unitario. Un altro elemento che, pur derivando dall’estetica romantica, assunse in ambito romeno un particolare rilievo fu l’importanza accordata al folclore, in quanto depositario delle autentiche tradizioni nazionali e testimone dello ‘spirito etnico’. Organi ufficiali delle istanze romantiche furono le riviste Dacia literară (1840), Propășirea («Il progresso», 1844) e România literară (1855), cui collaborarono, tra gli altri: G. Alexandrescu. G. Negruzzi, N. Bălcescu, I. Ghica, M. Kogălniceanu, V. Alecsandri, D. Bolintineanu, A. Russo.
Nella seconda metà del secolo, realizzata l’unione dei principati di Moldavia e Valacchia, al mutato contesto politico nazionale corrispose un cambiamento delle esigenze culturali. In letteratura, il rinnovamento fu affidato all’opera del critico T. Maiorescu, il quale, nel 1863 fondò a Iași il circolo letterario Junimea («Giovinezza»). Il suo programma si basava sull’idea che la vera opera d’arte dovesse essere sciolta da qualsiasi impegno legato alle contingenze storico-sociali. A differenza della generazione precedente, quindi, e in opposizione a essa, i junimisti valutavano l’opera letteraria secondo criteri strettamente estetici e non per il grado di impegno. La critica junimista, inoltre, affrancò la letteratura romena dall’epigonismo soprattutto verso la letteratura francese, orientando l’estetica letteraria verso l’area culturale tedesca. All’attività del cenacolo letterario sono legati gli esordi dei maggiori scrittori, poeti e critici della seconda metà dell’Ottocento: I. Negruzzi, A.D. Xenopol, I. Slavici. Inoltre, pubblicarono in Convorbiri literare (1867), organo ufficiale di Junimea, M. Eminescu, I. Creangă, I.L. Caragiale, le cui opere testimoniano come la letteratura romena avesse ormai raggiunto la maturità tanto nella poesia quanto nella prosa e nel teatro.
Contemporanea all’attività di Junimea fu l’opera di A. Macedonsky, il quale, attraverso la rivista Literatorul (1880), introdusse in Romania il simbolismo. Tuttavia, l’ambiente letterario romeno, ancora legato a stilemi romantici e dominato dalla figura di Eminescu, non era pronto alla recezione di modelli poetici troppo moderni e perciò estranei ai suoi canoni. Il simbolismo si impose solo nei primi decenni del Novecento con l’opera di O. Densusianu, fondatore della rivista Viața nouă (1905), G. Bacovia e I. Minulescu.
Il 20° sec. si aprì su un panorama letterario ormai ben delineato, i movimenti impostisi nel secolo precedente furono ‘recuperati’ in senso moderno. Con gli ideologi di questa corrente, A. Vlahuță, G. Coșbuc, N. Iorga, che ponevano al centro della loro riflessione il recupero del mondo rurale, il villaggio assurse a emblema della spiritualità romena, luogo privilegiato dove si manifesterebbe più compiutamente lo ‘specifico nazionale’. Collaborarono a Sămănătorul («Il seminatore», 1901), la rivista che diede il nome alla corrente, molti poeti e prosatori: P. Cerna, Ș. Iosif, I. Agârbiceanu, E. Gârleanu, M. Sadoveanu. A questo movimento si opposero gli scrittori e i poeti riuniti intorno alla rivista Viața românească, fondata nel 1906 da C. Stere, P. Bujor e dal critico letterario G. Ibrăileanu. Le premesse della posizione critica di Ibrăileanu, ideologo del gruppo, coincidevano in parte con quelle di Sămănătorul. Il recupero della tradizione rurale, tuttavia, non fu utilizzato come motivo letterario per descrizioni idilliache e pittoresche della vita del villaggio, ma rappresentò il fulcro per una critica, in senso sociale, delle condizioni di vita dei contadini. Tra gli aderenti al gruppo di Viața românească vi furono N. Gane, D. Anghel, I.A. Brătescu-Voinești, O. Goga, G. Galaction.
Il periodo interbellico coincise con un momento particolarmente fecondo della storia letteraria: si imposero, soprattutto in poesia, correnti originali ma in un rapporto di interazione con i coevi movimenti europei. La ricchezza tematico-stilistica non permette di inserire i singoli autori in correnti o movimenti ben definiti, sebbene si possano individuare due direttrici fondamentali, che in parte continuano la contrapposizione fra tradizione e modernità, nata alla fine dell’Ottocento. Tale contrapposizione, tuttavia, si annulla, per es., nell’opera di T. Arghezi, dove temi tradizionali sono espressi in un linguaggio assolutamente moderno. Appartengono alla corrente tradizionalista, riunita attorno alla rivista Gîndirea («Il pensiero», 1921), da cui il nome del movimento, gîndirismo, prosatori e poeti che individuano nei valori della tradizione autoctona e nell’ortodossia il carattere precipuo della cultura romena: N. Crainic, I. Pillat, V. Voiculescu, L. Blaga. La corrente modernista, il cui ideologo sarà il critico E. Lovinescu, espresse in modo evidente e immediato l’originalità raggiunta dalla letteratura romena, innanzitutto nella ricerca tecnico-formale. Movimenti di avanguardia quali il surrealismo e il dadaismo, ricevettero contributi di grande originalità da autori come T. Tzara, I. Vinea, S. Pa;nă, I. Voronca, B. Fundoianu, Urmuz. La prosa attesta anche la presenza di generi più attuali. È il caso del romanzo di introspezione psicologica di H. Papadat-Bengescu, M. Caragiale, C. Petrescu o del romanzo di ispirazione storico-sociale di L. Rebreanu. Appartiene al periodo immediatamente precedente la Seconda guerra mondiale una parte della produzione in prosa di G. Călinescu.
L’immediato dopoguerra, con la divisione dell’Europa in blocchi contrapposti e la collocazione della Romania nella zona di influenza socialista, fu caratterizzato dalla capillare ingerenza del potere politico in ogni ambito sociale: di conseguenza, la cultura fu costretta a un rigido allineamento alle direttive imposte dal regime. Tuttavia, a partire dalla fine degli anni 1950, la letteratura riuscì, almeno in parte, a sottrarsi alle indicazioni più marcatamente impegnate. In poesia, si segnala l’opera di M. Isanos, A.E. Baconsky, N. Cassian, D. Deșliu, M. Beniuc; nella prosa, oltre ai romanzi della maturità di Călinescu, un posto di assoluto rilievo è occupato dalla produzione di M. Preda. Tra gli anni 1960 e 1970 si assistette a un rinnovamento totale, anche grazie ai versi di N. Labiş e di altri poeti come N. Stănescu, M. Sorescu, I. Alexandru, C. Baltag, M. Ivănescu. In questo periodo, inoltre, si affermò quel particolare genere che è l’onirismo, i cui rappresentanti più importanti furono D. Țepeneag (in Francia dal 1975 e attivo con una produzione sia in romeno sia in francese: Hotel Europa, 1996; La belle Roumaine, 2004), V. Mazilescu, L. Dimov. In prosa si affermarono C. Țoiu, I. Lancrănjan, A. Ivasiuc, N. Breban, A. Buzura, G. Adameșteanu, E. Uricaru. Appartengono, almeno cronologicamente, a questa generazione i poeti che, durante i decenni più bui del regime comunista (1970-89), riuscirono a opporsi alla censura: A. Blandiana, I. Mălăncioiu, G. Melinescu, C. Buzea, M. Dinescu.
Agli inizi degli anni 1980 ha esordito un gruppo di poeti, accomunati dalle definizioni di optezciști («quelli degli anni Ottanta») o di poeti in blue-jeans, che propugnano il superamento di canoni letterari ormai convenzionali, per imporre un linguaggio poetico postmoderno (T. Coșovei, F. Iaru, I. Stratan, M. Cărtărescu, I.B. Lefter). In prosa, un analogo rinnovamento si riscontra nell’opera di B. Horosangian, S. Agopian, M. Nedelciu.
In seguito alla caduta del regime di Ceauşescu si produce una sorta di rivolgimento nel modo di intendere e fare letteratura: la fine della censura spinge ad abbandonare la metafora e il simbolismo che, per quasi mezzo secolo, avevano contraddistinto la scrittura artistica. L’elemento assolutamente innovatore è la relazione che si instaura tra testo letterario e tecnologie multimediali. Si elabora la definizione di textualism mediatic: il prodotto artistico nasce dalla commistione di strumenti e generi diversi (computer, realtà virtuale, Internet, arte cibernetica e visuale).
Le invasioni barbariche non permisero in terra romena la continuità delle espressioni artistiche basate sulla tradizione dei sec. 5° e 6°, attestata dalle fondamenta di chiese bizantine ritrovate a Tropaeum Traiani. L’architettura religiosa (dal 13° sec.) presenta in Romania forti differenze regionali fino alla metà del 19° secolo. In Transilvania, l’infiltrazione sassone e ungherese modifica il tipo di chiesa bizantina importato dalla Valacchia, introducendo elementi gotici anche nelle chiese di legno, caratteristiche di questa regione: la cupola si trasforma in piramide (come a Maramureș, 12° sec.), quando non si hanno costruzioni puramente gotiche (chiesa evangelica di Sibiu; «chiesa Nera» di Brașov, 14°-15° sec.). In Valacchia (Muntenia, Oltenia) il monumento più antico è la chiesa principesca di Curtea de Argeș (14° sec., di tipo bizantino, a croce greca, con navata divisa in tre segmenti); di questo periodo sono anche i monasteri di Cozia, di Vodița e di Tismana (semidistrutti). Nel 15° sec. predomina ancora l’influsso di Bisanzio; verso la fine del secolo, appare un tipo di chiesa d’influsso serbo-georgiano (chiesa vescovile di Curtea de Argeș, 1517), imitata in Valacchia e in Moldavia. Durante i sec. 17°-18° si sviluppa uno stile barocco costantinopolitano, ricco di elementi orientali (monastero di Hurezi, 1693; chiesa Stavropoleos a Bucarest, 1733 ecc.). Una decorazione ad affresco è presente talvolta all’esterno nelle chiese dei sec. 15°-16° (Voroneț, 1488; Sucevița, 1590). La scultura è quasi inesistente in questo periodo e ridotta a decorazione. La pittura si attiene strettamente alla tradizione bizantina del Monte Áthos, malgrado qualche sporadico influsso occidentale. Notevoli gli affreschi della chiesa vescovile di Curtea de Argeș, quelli di Voroneț, Suceava, Sucevița (16° sec.). Particolare sviluppo ebbe, nei conventi, l’arte del ricamo (‘epitaffi’, ossia veli con la rappresentazione della deposizione di Gesù, del 15° sec.).
Nel 19° sec. l’arte romena si stacca decisamente dalla tradizione e si volge all’Occidente. Al movimento moderno contribuirono anche artisti stranieri, specie francesi. I maggiori pittori del periodo sono G. Țătărescu, I. Mirea, T. Aman. Dopo L. Andrescu, N. Grigorescu e Ș. Luchian, l’arte romena entrò in una fase postimpressionista con una forte impronta autoctona. Prima la società Tinerimea artistică («Gioventù artistica»), in seguito «Il gruppo dei 4» formato dai pittori N.N. Tonitza, S. Dumitrescu, F. Șirato e lo scultore O. Han crearono un fermento tra le ultime due guerre (1920-40) cui parteciparono gli artisti G. Petrașcu, T. Pallady, A. Steriadi, D. Ghiață, L. Theodorescu-Sion, Iser, G. Ressu e gli scultori D. Paciurea, I. Jalea, G. Medrea e Mac Constantinescu. L’avanguardia romena si muoveva in Occidente, dal 1904, tra Parigi, Monaco e Zurigo con C. Brâncuși, Tristan-Tzara, M. Iancu e V. BrauneRomania In Romania tra i pittori s’impongono A. Ciucurencu, C. Baba, B. Covaliu, I. Bițan, G. Brătescu. Tra i grafici: V. Dobrian, O. Grigorescu, M. Petrașcu e per i gioielli F. Fărcașu. Fra tutti, figura isolata nella pittura rimane I. Ṭuculescu, che introdusse elementi dell’antico folclore romeno in un repertorio di forme simboliche. Fedeli alla tradizione nella scultura sono I. Vlasiu, I. Irimescu, V. Gheza, che si ispirano alla letteratura folcloristica, il ritrattista G. Anghel e i tre autori di vari monumenti G. Lucaci, O. Maitec e G. Popovici. Lavorano in Francia D. Grigorescu, G. Tomaziu, H. Damian, A. Istrati, N. Dumitrescu, P. Ackerman, D. Berea; in Italia E. Dragutescu, E. Frateș-Caragața, N. Batalli, N. Mavrodin, C. Demetrescu; in Spagna M. Droc; tra l’Italia e gli USA lo scultore E. Ciucă. Nell’ambito dell’arte astratta contemporanea un filone di matrice neocostruttivistica è costituito da I. Pavel, M. Rusu, attivi a Bucarest, e da un gruppo di artisti di Timișoara: S. Bertalan, Romania Cotosman, D. SayleRomania D’impostazione non figurativa lirica sono I. Setran, P. Codiță, I. Nicodim, I. Pacea, che hanno realizzato anche notevoli arazzi. Particolarmente sensibili al problema delle arti integrate nell’architettura sono S. Maitec, M. Șaraga-Maxy, e gli scultori A. Ghiorghisa, A. Severineanu, P. Mateescu. Notevoli anche le sculture in legno di G. Iliescu-Călinesți.
L’interesse per le correnti artistiche d’avanguardia si ritrova nella ripresa della ricerca artistica dopo la rivoluzione del 1989, accanto al rinnovato legame con la grande tradizione. Riferimento imprescindibile rimane C. Brâncuşi, punto di partenza per gli scultori su legno e pietra. Su questa linea si pone G. Apostu, accanto alle sperimentazioni di S. Bertalan, M. Cocea, M. Buculei, F. Codre, N. Tiron (Napo), A. Vlad, M. Zidaru. Lavorano il bronzo N. Paduraru e I. Pârvan; materiali diversi, come il poliestere, tratta D. Covrig. M. Spataru, contestato durante il regime di Ceauşescu, è stato poi chiamato a dirigere l’Accademia di Bucarest. Mentre lo sperimentalismo in pittura, nel collage e nell’assemblage, ha caratterizzato la vitale attività di I. Bitzan, a un vasto campo di esperienze si rifanno P. Neagu (che nella pittura si presenta come Generative arts group), A. Lupas, le installazioni di I. Grigorescu, le ricerche fotografiche e video di C. Dan, J. Krály, G. Rasovszky, V. Mladin, D. Perjovschi, S. Vreme.
Tra gli architetti va ricordato I. Mincu, creatore del cosiddetto ‘stile romeno’. La scena architettonica romena ha rivelato una certa impermeabilità verso i linguaggi d’avanguardia degli anni 1990. Diversità di atteggiamento si possono riscontrare nella cosiddetta scuola di Timişoara. Attenzione per la tradizione, per l’espressività dei volumi e per l’artigianalità dei dettagli si riscontrano nelle opere di I. Andreescu, RomaniaM. Mihailescu e Romania Radoslav, S. Sturdza, I. Andreescu e V.A. Gaivoronschi ecc.
Per quanto riguarda l’archeologia ➔ Daci; Geti; Tracia.
La musica popolare romena è un misto di musica araba, slava e ungherese che si accompagna, naturalmente, alla tradizione identificabile nel nucleo etnico di cultura latina. Le manifestazioni musicali attraverso le quali si esprime il folclore romeno sono le ballate, canzoni epiche di origine antichissima legate alla tradizione orientale e a influenze bizantine, eseguite su testi fantastici e mitologici, e la doina, la forma più autentica e caratteristica, canzone spontanea in forma libera basata sull’improvvisazione dell’esecutore. Per le feste del solstizio d’inverno si intonano le colindat, canti augurali con accompagnamento di strumenti o esclusivamente strumentali su testi leggendari, mentre in primavera e in estate si eseguono la paparuda, un misto di canto e danza per invocare la pioggia, lo scaloian, per propiziare la fertilità dei campi, e il calus, danza rituale per festeggiare il ritorno dell’estate. Danza nazionale è la hora, ballo in tondo forse di origine greco-romana, mentre tra gli strumenti popolari si ricordano vari tipi di scacciapensieri (drimba), il corno bocium, simile all’Alphorn, il muscal (flauto di Pan) e il salterio tambal.
L’attività nel campo della musica colta in Romania iniziò soltanto nel 19° sec.; fino ad allora la musica praticata era quella liturgica (in particolare il canto bizantino), e soprattutto quella della tradizione popolare, i cui primi documenti scritti risalgono al 17° sec., quando il monaco benedettino J. Cajoni (1634-1671), trascrisse per virginale e arricchì del basso continuo canti e danze popolari, riunendoli nel Codex Cajoni. Nel 18° sec. Dimitrie Cantemir, principe di Moldavia, riunì documenti nella Descriptio Moldaviae (1716) e apparvero i Valachische Täntze und Lieder (1781) dell’austriaco J. SulzeRomania Una raccolta e codificazione dei canti liturgici fu realizzata, a partire dal 19° sec., da Macario il Geromonaco, Anton Pann e I.D. Petrescu, che contribuirono anche a creare vere e proprie scuole, confluite poi nei conservatori di musica e d’arte drammatica, sostenuti dallo Stato, promotore, inoltre, di numerose società filarmoniche, associazioni corali, compagnie di balletto, scuole e centri di musica popolare.
L’opera dei compositori romeni contemporanei ha teso a valorizzare ampiamente il materiale popolare, traducendolo nelle forme della musica colta europea. Fra i compositori più noti del Novecento, oltre a G. Enescu, figurano A. Alessandrescu (1893-1959), D. Cuclin (1885-1978), F. Lazar (1894-1936), Mihail Andricu (1894-1974), S. Dragoi (1894-1968), P. Constantinescu (1909-1963), A. Mendelssohn (1910-1966), A. Vieru (n. 1926), P. Bentoiu (n. 1927), T. Olah (n. 1928), W. Berger (n. 1929), D. Popovici (n. 1932), C. Taranu (n. 1934).