Nell’uso scientifico, per un corpo in movimento intorno a un altro corpo, lo stesso che giro completo, e anche il relativo moto.
Nell’uso figurato, mutamento radicale di un ordine statuale e sociale, nei suoi aspetti economici e politici.
Nome dato a una serie di innovazioni volte a creare, dagli anni 1960, un’agricoltura altamente produttiva in varie regioni del Terzo Mondo, basate sull’industrializzazione dell’attività agricola, sul recupero di terre incolte e la loro irrigazione, sull’impiego di varietà di sementi atte ad assicurare abbondanti raccolti e sulla vasta utilizzazione di sussidi tecnici (fertilizzanti chimici, antiparassitari, erbicidi) e creditizi.
A fronte della carenza di risorse alimentari, la FAO ha lanciato a più riprese (1994, 2006) l’appello per una ‘seconda r. verde’, concepita, rispetto alla prima, con minore dissipazione energetica e maggiore sensibilità ecologica e fondata su un impiego più oculato ed efficiente delle risorse naturali a disposizione, più che sull’introduzione di nuove varietà di grano o di riso a più alto rendimento.
Il moto di un corpo celeste (pianeta, satellite, compagno di una stella doppia) intorno al suo centro di gravitazione (Sole, pianeta centrale, astro principale); periodo di r., la durata di una rivoluzione.
Il vertiginoso aumento dei prezzi che, soprattutto a partire dalla metà del Cinquecento, colpì in primo luogo la Spagna e poi gli altri paesi europei, fino all’Ungheria, alla Boemia e alla Polonia, a causa dell’abbondanza dei metalli preziosi e della svalutazione della moneta, conseguenza delle grandi scoperte geografiche. Ne trassero giovamento i paesi in via d’industrializzazione (Gran Bretagna e Olanda); ne soffrì invece l’economia dei paesi che fondavano la propria fortuna sull’attività bancaria e sul credito (come la Repubblica di Genova). Decadde la nobiltà che aveva dato la terra in affitto dietro canone in denaro, mentre nell’Europa orientale l’aumentato prezzo dei cereali valorizzò la terra e la potenza economica della classe che ne deteneva la proprietà. Se, dunque, nell’Europa occidentale la r. dei prezzi favorì l’ascesa di nuovi strati sociali, al contrario nell’Europa orientale essa contribuì a ribadire il servaggio delle classi rurali.
L’insieme delle fasi di contrazione attiva, o sistole, di rilasciamento, o diastole, e di riposo del cuore.
L’insieme di due passi semplici.
In senso stretto, il processo rapido, e per lo più violento, attraverso il quale ceti, classi o gruppi sociali, ovvero intere popolazioni, sentendosi non sufficientemente rappresentate dalle vigenti istituzioni, limitate nei diritti o in una posizione sociale subalterna, sovvertono tali istituzioni al fine di modificarle profondamente e di stabilire un nuovo ordinamento. In senso più ampio, qualsiasi processo storico o movimento, anche non violento e protratto nel tempo, attraverso il quale si determini un radicale mutamento di fatto delle strutture economico-sociali e politiche, o di particolari settori di attività.
La storia degli ultimi 5 secoli è stata costellata da molteplici rivoluzioni. La prima fu quella che portò i Paesi Bassi a ottenere l’indipendenza dalla Spagna (1566-81). A essa seguirono le due rivoluzioni inglesi del 17° sec. (1628-60 e 1688-89) che segnarono la fine dell’assolutismo monarchico in Inghilterra. Di grande significato fu poi la R. americana, che portò alla nascita degli Stati Uniti d’America (1776). Il modello per eccellenza della rivoluzione moderna e delle sue dinamiche fu tuttavia incarnato dalla R. francese (1789-99), la quale segnò un vero e proprio spartiacque tra due epoche, non solo in Francia, ma nell’intera Europa e, per certi aspetti, anche al di là di essa.
Circa mezzo secolo più tardi, nel biennio 1848-49, si produsse in Europa una nuova ondata di r., che ebbero un carattere prevalentemente politico-sociale in Francia e un carattere invece soprattutto nazionale in Italia e nel mondo germanico. Anche il Novecento è stato scosso da grandi rivoluzioni. Tra queste la più importante fu senza dubbio la R. russa dell’ottobre 1917 (➔ URSS), che, dopo la rivoluzione del 1905 e quella del febbraio 1917, portò i comunisti al potere, ponendo le premesse per la nascita dell’Unione Sovietica e del suo gigantesco sistema egemonico ed esercitando un’enorme influenza sulla politica mondiale. Un ruolo significativo ebbe anche la R. messicana (1910-20). Un altro evento di enorme portata storica fu la R. cinese, che si concluse nel 1949 con la trasformazione di quell’immenso paese in uno Stato comunista. R. per diverse ragioni di rilevante significato furono ancora quella cubana nel 1959, che portò alla nascita di un regime comunista nelle Americhe, e la cosiddetta r. islamica, che nel 1979 diede vita in Iran a una vera e propria repubblica teocratica ispirata ai principi del fondamentalismo islamico.
Il termine r. è stato impiegato, oltre che per le rivolte operaie e studentesche del 1968, anche per indicare quei processi che hanno portato allo smantellamento di svariati regimi autoritari e degli stessi regimi comunisti nel 1989-91. Si è parlato in questo senso, per citare solo due esempi, di R. dei garofani in relazione alla caduta del regime salazarista in Portogallo (1974) e di R. di velluto in relazione alla caduta del regime comunista in Cecoslovacchia (1989). Sono state chiamate r. anche quei movimenti filo-occidentali che nei paesi ex sovietici si sono opposti in genere con metodi non violenti a governi filorussi autoritari e corrotti (R. delle rose in Georgia, 2003; R. arancione in Ucraina, 2005).
Il concetto di r. oscilla di continuo, nell’ambito degli studi storico-sociali, fra i due estremi metodologici della spiegazione ‘individualizzante’ (le r. sono singoli eventi storici in sé stessi unici e irripetibili) e della spiegazione ‘generalizzante’ (si tenta di costruire un modello ideal-tipico che sia in grado di includere in un’unica categoria tutta una serie di casi definibili come rivoluzionari). Le indagini storiografiche e quelle sociologiche sulla r. tendono a differenziarsi, rispettivamente, sui lati opposti di questa alternativa, anche se è prevalsa alla fine la strategia di integrare entrambe le prospettive (E. Carr, 1966). Nelle analisi più propriamente sociologiche della r. riaffiora continuamente quella che G. Ferrero aveva definito «l’ambiguità semantica del termine»: per cui possiamo intenderla come «un nuovo ordinamento dello spirito, una porta sull’avvenire» (per es., il cristianesimo) oppure come «il crollo o il rovesciamento di una vecchia legalità, la sovversione parziale o totale delle regole prestabilite»: una ‘r. silenziosa’ e una ‘r. rumorosa’, come scriveva nel 1951 lo stesso Ferrero in Les deux Révolutions françaises. Fu per l’appunto una particolare congiuntura storica, l’incrociarsi nel 1789 in Francia delle ‘due r.’, ciò che fece sorgere nella cultura occidentale la convinzione che la r. rumorosa – la presa della Bastiglia – fosse la causa di quella silenziosa, cioè del progressivo affermarsi dei principi liberali e democratici nelle forme di governo dei paesi europei (S. Weil, 1954). È per questa sua specificità storica che la R. francese assume un valore paradigmatico nella tradizione politica occidentale, come non era riuscito né alla r. inglese, né a quella americana, che pure la precedono nel tempo.
La novità più vistosa del 20° sec. è stata l’istituzionalizzazione di un tipo di dominio definito totalitario (H. Arendt), che ha fra i suoi tratti salienti non solo la circostanza di nascere da un processo rivoluzionario, ma di incarnare esso stesso un principio di r. permanente, basato su un flusso continuo di mobilitazione sociale e culturale (attraverso la propaganda, l’indottrinamento, il terrore) al fine di mantenere l’ordine ‘nuovo’. Se il socialismo scientifico di K. Marx e F. Engels aveva presentato il corso della storia come una sequenza di processi rivoluzionari dotati di forza propria, già per Lenin, e per tutta una generazione di marxisti ‘volontaristici’, la r. non è un processo storico di tipo evolutivo, bensì il frutto di una lotta politica contro i ceti dominanti condotta dalle masse sotto la guida demiurgica delle élite intellettuali e con l’appoggio organizzativo del partito ‘carismatico’. Una posizione, questa, che troverà nella edificazione dello Stato totalitario la suprema realizzazione. La correlazione fra r. e totalitarismo è tuttavia negata da R. De Felice (1975), con riferimento all’analisi comparata dei regimi fascista e nazista: quest’ultimo, a differenza del primo che presenta caratteri rivoluzionari nella sua instaurazione, senza tuttavia consolidarsi come sistema totalitario in senso pieno, possiede un’intima essenza conservatrice in quanto «tende a una restaurazione dei valori e non alla creazione di nuovi». Per contro, F. Furet (1995) assimila i due movimenti e li riconnette alla comune matrice socialista.
Le teorie contemporanee sul cambiamento dei regimi politici fanno riferimento a modelli complessi in cui più variabili interrelate determinano i processi di crisi dei sistemi politici e i loro esiti, sotto forma di transizione o di vero e proprio crollo, verso soluzioni di riconsolidamento (di vecchi regimi) o di instaurazione (di nuovi regimi) che contengono comunque, insieme a elementi di discontinuità più o meno radicali e più o meno violenti, anche elementi di continuità.
Serie di avvenimenti iniziata in Francia nel 1789 con la trasformazione degli Stati generali in Assemblea costituente e proseguita fino alla proclamazione della Repubblica nel 1792 e oltre, con datazioni terminali che variano a seconda delle diverse ricostruzioni e interpretazioni (per gli avvenimenti in questione ➔ Francia).
La cultura illuministica, di cui era già stata espressione l’azione riformatrice di molti sovrani europei, con provvedimenti innovatori nella legislazione e nell’amministrazione, fu il precedente ideale e culturale della r., al quale si era rifatta altresì la rivolta delle colonie americane contro la Gran Bretagna. Negli anni 1780 iniziò una revisione dello spirito illuministico, che faceva appello ad altri valori e non trovava più soddisfacente il riformismo come metodo del rinnovamento. Questa fase fu repentinamente interrotta dallo scatenarsi della r. in Francia, che passò via via dall’assolutismo monarchico del 1789 all’ impero proclamato con Napoleone nel 1804. Lo sconvolgimento nella vita europea fu profondo. Cadde il regime delle divisioni e dei privilegi di classe, fu soppresso il sistema feudale, fu impiantato il moderno Stato di diritto, venne elaborata una legislazione moderna e la si raccolse in un codice, si affermarono le grandi linee del liberalismo e della democrazia, la nazione si affiancò come personalità politica e morale allo Stato e ne divenne protagonista, governo e amministrazione furono razionalizzati e modernizzati nelle loro strutture, gli eserciti di mestiere vennero sostituiti da quelli di leva, la borghesia divenne il centro di gravitazione e di integrazione della vita sociale, fu adottato il principio del merito e della competenza in luogo di quello della nascita, e insieme con l’ordinamento politico e i rapporti con la Chiesa venne laicizzata anche l’istruzione. Certo, non si trattò di svolgimenti lineari e del tutto coerenti. Numerose furono le sopravvivenze dell’ancien régime. La Chiesa dimostrò un forte radicamento sociale. Le spinte liberali e liberistiche prevalsero alla fine largamente su quelle democratiche e sull’intervento statale nell’economia. Ma l’edificio rapidamente costruito dalla r. dimostrò nei suoi tratti essenziali un’incrollabile solidità; e la prova migliore fu data dal fatto che anche le potenze nemiche della Francia rivoluzionaria e di Napoleone si uniformarono via via ai principi del ‘nuovo regime’.
Non sorprende che una serie così complessa di eventi decisivi e risolutivi abbia dato luogo a una tradizione storiografica ancor più, se possibile, complessa. In essa si ritrovano, in pratica, i principali elementi di analisi e di elaborazione dei fondamenti reali e dei valori della civiltà moderna, che la cultura europea è andata dibattendo nei sec. 19° e 20°. I principi del 1789, affermati nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino premessa alla prima Costituzione francese (1791) con una chiara eco della Dichiarazione dei diritti dell’uomo americana (1787), divennero, perciò, uno specchio della coscienza europea, che ha oscillato tra il riconoscerli come un patrimonio divenuto ormai parte integrante del suo essere più profondo e il disconoscerli come ideologia fuorviante rispetto alla sua vera identità e ai suoi più reali interessi. Gli storici hanno contribuito e hanno risentito di tale dibattito, mettendo in luce le forti ragioni per cui la R. francese non può essere considerata come una entità compatta, la varietà dei suoi elementi costitutivi e la loro potenzialità di innescare diversi svolgimenti etici e culturali, politici e sociali.
Si intende per r. industriale quella trasformazione di strutture che, prendendo l’avvio dall’Inghilterra del Settecento, parallelamente alla R. francese, sconvolse le basi dell’antico regime, con il passaggio dalle tradizionali manifatture alla produzione meccanizzata e accentrata nella fabbrica, con la nascita della borghesia industriale e della moderna classe operaia. L’espressione, già ricorrente in F. Engels (Die Lage der arbeitenden Klassen in England, «La condizione della classe operaia in Inghilterra», 1845), fu divulgata dal primo storico dell’industrializzazione inglese, l’economista e filantropo A. Toynbee, con le sue Lectures on the industrial revolution (1884); più tardi si affermò nella letteratura anglosassone il termine take-off («decollo»), proposto da W.W. Rostow (soprattutto in The economics of take-off into sustained growth, 1963).
In Inghilterra si presentarono, intorno alla metà del 18° sec., le condizioni necessarie al primo decollo industriale, in particolare la concentrazione dei capitali e l’incremento generale della popolazione, soprattutto di quella urbana. L’urbanesimo fu certamente legato, nei primi decenni del secolo, al movimento d’industrializzazione, di cui anzi costituì uno degli aspetti più appariscenti, ma in realtà era anteriore al processo produttivo, risalendo al progresso dell’attività marinara e commerciale e soprattutto alle trasformazioni del settore agricolo. Infatti, in seguito ai cambiamenti avvenuti nell’ambito della distribuzione e al nuovo regime giuridico della proprietà, anche il mondo rurale inglese si era profondamente modificato: erano andate via via scomparendo le terre incolte di uso comune (open fields) e le grandi aziende avevano iniziato a prevalere sulle piccole unità di produzione; caratteristica fu l’applicazione delle enclosures, provvedimenti per cui, dapprima in forma arbitraria e più tardi per vie legali, si cingevano con segni di confine le terre aperte, trasformandole in proprietà privata. I vecchi coltivatori, perduti i loro diritti d’uso, furono obbligati a trasformarsi in braccianti, a emigrare oltre oceano, o infine a trasferirsi in città.
Una serie di innovazioni tecnologiche favorì e accompagnò, lungo il corso del secolo, la trasformazione economica e sociale, costituendone anzi uno degli elementi essenziali: se ne avvantaggiò per prima l’industria del cotone, mentre quella più antica della lana rimaneva legata ai metodi tradizionali. Nel 1733 J. Kay perfezionò il telaio a mano con la «navetta volante» (flying shuttle), che s’impose dopo il 1760, a lungo osteggiata dai lavoratori, permettendo un considerevole risparmio di manodopera e insieme l’impiego di telai più ampi di quelli tradizionali. Ancora alla tessitura fu applicata (1764) la spinning Jenny di J. Hargreaves, che consentiva a un solo operaio di far funzionare un gran numero di fusi. Infine R. Arkwright applicò (1769) alla macchina l’energia idraulica; imprenditore egli stesso, creò la prima grande filatura meccanica, che nel 1779 impiegava 300 operai. Con l’incremento della produzione aumentò anche l’importazione in Inghilterra del cotone greggio americano con conseguente nuovo impulso al movimento commerciale. Il telaio meccanico brevettato da E. Cartwright fu applicato nel 1787, ma il suo uso si diffuse lentamente: la prima tessitura meccanica fu introdotta a Manchester nel 1806, e ancora nel 1830, su un totale di 300.000 telai in tutta la Gran Bretagna, il numero di quelli meccanici si aggirava intorno a 60.000.
Il cinquantennio 1780-1830 fu decisivo per l’introduzione delle macchine nelle varie industrie tessili; contemporaneamente si trasformarono la tecnica mineraria e l’industria siderurgica. J. Watt brevettò (1764) un nuovo metodo per l’estrazione dell’acqua dalle miniere; A. Darby ricavò (1735) il coke dal carbon fossile e dimostrò l’utilità di sostituirlo al carbone di legna negli altiforni per la fusione del minerale di ferro: dopo il 1780 gli altiforni a coke cominciarono a moltiplicarsi, mentre aumentava rapidamente la produzione del ferro greggio. Nell’industria metallurgica la produzione salì con ritmo accelerato soprattutto dopo il 1830, grazie alla forte richiesta di ferro e acciaio per usi civili. Con l’introduzione delle macchine decadde il vecchio sistema del lavoro a domicilio, esercitato soprattutto nelle campagne, sotto il controllo di un imprenditore che poteva essere un artigiano fornito di capitale o, più spesso, un mercante impegnato essenzialmente nello scambio dei prodotti.
Un altro tratto caratteristico della r. fu la decisa tendenza a distinguere la produzione dallo scambio, anticipando la funzione dell’imprenditore moderno che si interessava essenzialmente dell’organizzazione della fabbrica. Nel Settecento inglese il nuovo ceto imprenditoriale era connesso per lo più con i gruppi dei dissidenti religiosi – puritani, quaccheri e presbiteriani scozzesi – che, ostacolati nell’istruzione superiore e nelle carriere statali, concentravano le loro forze nel campo della produzione. Non meno sensibile fu la trasformazione che avvenne nelle file operaie. In epoca preindustriale svolgevano attività di produzione interi nuclei familiari contemporaneamente occupati nell’agricoltura; nella seconda metà del Settecento cominciò a sorgere la moderna fabbrica per la produzione in serie, che riuniva intorno alle macchine gruppi considerevoli di operai reclutati fra le masse del nascente proletariato urbano. Mentre fino alla fine del secolo il salariato industriale rappresentò una minoranza, sebbene già figurasse in alcuni rami dell’industria laniera, nelle grandi aziende agricole o nei pochi opifici, soltanto mezzo secolo dopo rappresentava la totalità del lavoro nell’industria capitalistica. La classe operaia era reclutata fra i contadini danneggiati dalla divisione delle terre comuni, fra i lavoratori a domicilio, costretti a passare al sistema accentrato di fabbrica, e in misura assai minore fra i maestri artigiani che, per mancanza di capitali, si riducevano al livello di salariati. Ma non va sottovalutata, per l’Inghilterra, la disponibilità di mano d’opera irlandese a basso prezzo, e più tardi, per gli USA, il flusso migratorio dall’Europa.
Le condizioni di vita della classe operaia nelle prime fasi del processo di industrializzazione furono caratterizzate da profonda miseria: nei sobborghi dei centri urbani sorgevano interi quartieri dove trovava abitazione la massa immigrata; gli orari di lavoro raggiungevano le 70-80 ore settimanali, mentre i salari, dopo il ventennio delle guerre napoleoniche, scesero a livelli bassissimi. Specie nelle industrie tessili si fece largo impiego di donne e bambini, retribuiti in misura nettamente inferiore agli uomini. Ma la maggiore insidia alle condizioni di vita del proletariato furono le crisi periodiche, che si ripetevano a intervalli pressoché regolari di 10-11 anni (1836, 1847, 1857, 1866). Di solito un periodo di congiuntura favorevole, con incremento della domanda e rialzo dei prezzi, induceva gli imprenditori ad ampliare gli impianti facendo ricorso al credito; presto la richiesta era superata dall’offerta, si accumulavano le merci invendute e i prezzi precipitavano.
Si verificarono, a opera del ceto artigianale, tentativi di rifiuto del nuovo ordinamento della produzione, sia sul piano della reazione violenta contro le macchine (➔ luddismo), sia su quello legale (ripristino delle norme che limitavano il numero dei garzoni apprendisti nelle botteghe artigiane). Ma ormai il vecchio equilibrio era rotto per sempre e le nuove strutture si consolidavano, sia pure a prezzo di continua tensione e duri conflitti di classe. Nel 1800, sull’esempio della Costituente francese, fu vietata in Inghilterra qualunque forma di coalizione operaia, stabilendo pene severe contro gli scioperi; poi furono soppresse (1814) le corporazioni artigiane e tutte le norme che, sotto l’antico regime, avevano limitato l’attività imprenditoriale. Nel 1824 fu revocato il divieto di associazione e ammessa la nascita di nuove organizzazioni operaie; ma l’anno successivo l’attività delle Trade Unions fu espressamente limitata ai soli obiettivi dell’aumento salariale e della diminuzione di orario.
Realizzato, fra il 1780 e il 1830, un enorme progresso nell’applicazione delle macchine e nella produzione in fabbrica, si chiudeva il primo cinquantennio della r.: l’espansione produttiva urtava, a questo punto, contro le difficoltà create dalle barriere dei sistemi doganali, dalla lentezza e dall’alto costo dei trasporti. Nel mondo anglosassone si verificarono i primi tentativi di applicazione delle macchine a vapore ai trasporti fluviali: nel 1802 sul canale Forth-Clyde, nel 1807 sull’Hudson (Albany-New York), nel 1812 sulla Clyde e poi sul Tamigi; la prima traversata dell’Atlantico con il sussidio del vapore fu compiuta (1819) dal piroscafo americano Savannah, ancora fornito di vele. Successo più rapido ebbe l’applicazione del vapore alle ferrovie: nel 1825 G. Stephenson inaugurò la prima ferrovia a vapore fra Stockton e Darlington; cinque anni dopo fu aperto all’esercizio il tronco fra Liverpool e Manchester. In Inghilterra le costruzioni ferroviarie, numerose già nel 1840, si moltiplicarono nel decennio successivo, al termine del quale le ferrovie in esercizio raggiungevano complessivamente quasi 11.000 km. Nel 1848, in Francia esse superavano di poco i 1900 km e in Germania i 4800, mentre in Italia toccavano appena i 200.
Gli USA avanzarono di pari passo con l’Inghilterra: particolare importanza assunsero le ferrovie che dalla costa atlantica, attraverso i monti Alleghany, si spingevano all’interno del bacino del Mississippi, aprendo la via all’attività colonizzatrice. La necessità di istituti di credito che rispondessero prontamente alle esigenze delle grandi imprese favorì l’affermazione di potenti gruppi finanziari che controllavano diverse attività su scala internazionale ed erano impegnati in primo luogo nella corsa alle costruzioni ferroviarie: l’esempio più cospicuo di queste dinastie di banchieri è la famiglia Rothschild, padrona delle ferrovie del Nord e largamente interessata alla Paris-Lyon-Méditerranée. In Germania lo Zollverein (1848) creò le premesse dello sviluppo capitalistico; già in possesso dei giacimenti di carbone (Saar, Alta Slesia e Ruhr), la Prussia acquistò nel 1870, con le miniere di ferro della Lorena, l’altra base dell’industria pesante la cui crescita caratterizzò il decollo industriale tedesco.
Negli USA il processo d’industrializzazione fu preceduto da una r. agraria maturata negli anni della guerra civile. Il passaggio dall’artigianato e dal lavoro a domicilio alla fabbrica, lentamente iniziato negli Stati del Nord fin dal principio del secolo, ebbe un’accelerazione dalla guerra civile, che segnò il crollo dell’aristocrazia rurale del Sud e il dominio incontrastato del ceto mercantile settentrionale; l’industrializzazione prese nuovo slancio verso il 1890, quando la rapida discesa dei prezzi dei prodotti agricoli spinse i capitali verso le fabbriche. Prevalsero all’inizio le industrie di trasformazione dei prodotti agricoli (cotone, cereali, carni); ma già alla fine del secolo si affermavano l’industria siderurgica, la metallurgica e la meccanica.
In Italia il decollo industriale si avviò solo verso la fine dell’Ottocento, agevolato anche dall’intervento statale. Le prime industrie tessili, favorite inizialmente da alcuni provvedimenti protezionistici, sorsero intorno al 1880. La produzione italiana subì successivamente una grave flessione, per riprendere a crescere negli ultimi anni del secolo.
Nell’impero zarista lo sviluppo industriale iniziò, promosso dallo Stato, immediatamente dopo la liberazione dei servi (1861), limitato nei primi tempi al settore tessile, che aveva i suoi centri in Polonia, nelle province baltiche e nella regione di Mosca; nei primi anni del 20° sec. si verificò in Russia il decollo dell’industria metallurgica, che nel 1910 impiegava oltre mezzo milione di operai.
Il Giappone, abbattuto il vecchio ordinamento feudale, affrontò il processo di trasformazione mirando soprattutto alla creazione di un esercito e di una marina moderni, fornendo la prima prova di efficienza nella vittoriosa guerra contro la Cina (1894-95).