Lavoratore subordinato che esplica mansioni prevalentemente manuali, diverse a seconda delle varie specializzazioni e della preparazione tecnico-pratica, per il corrispettivo di una retribuzione detta comunemente salario; è in genere distinto dall’impiegato, di cui si considera come caratteristica la diretta collaborazione all'attività dell'impresa per la quale lavora, con mansioni di amministrazione, controllo, organizzazione del lavoro, ecc. (ed è del pari distinto dall'artigiano, che è invece proprietario degli strumenti di lavoro e che può organizzare autonomamente modi e fasi di lavorazione).
Si distinguono, in base al livello professionale: o. qualificati, esplicanti mansioni che richiedono un'esperienza lavorativa specifica; o. specializzati, adibiti a mansioni complesse che richiedono adeguato tirocinio e specifica preparazione tecnica; o. equiparati, quelli che non hanno diritto alla qualifica impiegatizia, ma che per le mansioni svolte hanno lo stesso trattamento economico minimo riconosciuto agli impiegati; in base alle mansioni e al settore di lavoro: o. metalmeccanici, tessili, poligrafici, ecc.; gli o. delle fabbriche, dei cantieri, delle officine. Nell'esercito, vengono definiti o. militari sia gli operai civili che prestano la propria opera presso stabilimenti dipendenti dall'amministrazione militare e lavorano per conto delle forze armate, con diritti e doveri analoghi a quelli delle ditte private, sia i militari incaricati di funzioni e lavori analoghi a quelli degli operai comuni.
Il movimento operaio e sindacale in Europa si formò tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento e fu caratterizzato fortemente dalle peculiari radici non solo politiche ed economiche ma anche etico-religiose delle diverse realtà nazionali, nonché dalle specificità professionali e dalla fisionomia dei diversi lavori artigianali; esso si omogeneizzò gradualmente nella seconda metà del 19° sec. (per l’Italia ➔ sindacato).
Il movimento operaio inglese fu il primo a costituirsi; influenzato dai principi della Rivoluzione francese, attraversò una durissima fase di lotta per il riconoscimento del diritto di esistenza. Solo dal 1825 fu riconosciuto il diritto di coalizione. Nel 1834 fu fondata la Grand national consolidated trade union, poi sciolta d’autorità. Ciò diede origine al movimento a base politico-rivendicativa che, dalle rivendicazioni democratiche della People’s charter del 1838, prese il nome di cartismo. Nel 1842 iniziò un vasto programma di scioperi di massa che indusse il Parlamento a varare una legge sulle miniere e preparò il terreno per una legge che fissasse la giornata lavorativa a 10 ore (1847).
Anche in Francia il movimento operaio aveva iniziato la sua storia con una forte connotazione democratico-rivoluzionaria, che culminò nei moti del 1795-96 ispirati da F.-N. Babeuf, subendo poi una restrizione del diritto di associazione sindacale. Il movimento ebbe in seguito uno sviluppo modesto fino alla rivoluzione del luglio 1830. La cospirazione politica e la ribellione sociale dei nuclei operai ispirati da L.-A. Blanqui sfociarono nel 1839 in un tentativo insurrezionale, il cui fallimento, insieme all’aggravarsi della situazione economica nel corso degli anni 1840, produsse una serie di riflessioni e di proposte teoriche (C. Fourier, P.-J. Proudhon, H. de Saint-Simon). Le tensioni sociali culminarono nella partecipazione degli o. francesi alla rivoluzione del 1848, ma la pesantissima sconfitta della rivoluzione e il conseguente fallimento di alcuni esperimenti sociali gettarono il movimento operaio e sindacale in una gravissima crisi.
In Germania gli Stati del Bund erano caratterizzati da arretratezza economico-sociale e dalla mancanza di unità nazionale, cosicché il movimento operaio elaborò le prime forme di associazione e le prime azioni di lotta appoggiandosi ai più maturi movimenti inglese e francese.
Nel 1864 a Londra si costituì l’Associazione internazionale dei lavoratori (➔ Internazionale). La dura lotta che si svolse nell’Associazione tra i principi marxisti e bakunisti portò alla sua dissoluzione e alla costituzione nel 1889 della seconda Internazionale. L’internazionalizzazione culturale e politica del movimento operaio ebbe un formidabile ricasco sia per la generalizzazione delle esperienze organizzative della lotta di classe sia per la centralizzazione del dibattito politico che portò alla formazione dei partiti proletari e socialisti in Europa. In Gran Bretagna, con gli scioperi del 1889, all’associazionismo sindacale a base ristretta delle trade unions si aggiunsero le general labour unions, a struttura verticale e di massa, e nel 1893, sotto la spinta del new sindacalism, nacque l’Independent labour party, per la rivendicazione di una presenza politica autonoma dalle altre formazioni liberali.
In Francia la politicità e la tradizionale tendenza cospirativa e rivoluzionaria del movimento operaio non riuscirono a trasformarsi nella costituzione di un solo partito di classe, mentre la drammatica conclusione della Comune scompaginò le organizzazioni dei gruppi socialisti. Il movimento operaio francese si consolidò nel 1886 allorché si formò la Fédération nationale des syndicats, mentre si veniva diffondendo una forma di associazionismo economico denominato bourse du travail. L’aspro scontro tra i sostenitori del ‘modello tedesco’ (combinazione di attività parlamentare ed economico-rivendicativa) e la tendenza ispirata ai principi dell’action directe (sciopero generale come strumento della rottura rivoluzionaria dell’ordinamento borghese) caratterizzarono il movimento operaio francese anche dopo la costituzione della Confédération générale du travail (CGT, 1895).
In Germania, nel 1875, dall’unione di più organizzazioni nasceva la Deutsche sozialistische Arbeiterpartei, che elaborava un ampio programma di riforme e definiva i rapporti tra sindacato e partito, stabilendo l’apoliticità del primo, la sua subordinazione al partito e la necessità di unificare i sindacati in un’unica organizzazione per branca professionale a livello nazionale e locale. Nel 1891 furono stabiliti come capisaldi del movimento l’azione legale e l’utilizzo dello sciopero come strumento della lotta di classe. Partito e sindacato divennero in tal modo organizzazioni di massa, abbandonando ogni tendenza cospirativa.
Pressoché negli stessi anni il movimento operaio si sviluppava in altri paesi come l’Austria, l’Italia, l’Ungheria, la Serbia, la Bulgaria, i Paesi Bassi, la Svizzera e la Finlandia. Un ulteriore salto storico si compì con la formazione di un movimento operaio e sindacale al di fuori dell’Europa, negli Stati Uniti e in alcuni dei principali paesi latinoamericani, come Argentina e Brasile (non esistevano ancora organizzazioni sindacali in Africa e in Asia, tranne che in Giappone, dove il primo sindacato fu costituito nel 1897).
Per altri versi, grande rilevanza ebbe il movimento operaio russo, tra i primi a subire una decisa influenza marxista che portò alla costituzione del Partito operaio socialdemocratico russo (1898). Il proletariato russo, di recente formazione e concentrato in poche isole industriali, elaborò lo sviluppo dei soviet (consigli) che ebbero grande rilevanza nella rivoluzione del 1905 e che fin dal febbraio 1917 determinarono quel dualismo di potere su cui avrebbe fatto leva l’insurrezione bolscevica.
Il richiamo nazionalista fu più forte dei valori internazionalisti professati dal movimento operaio, ma alla compressione subita durante la Prima guerra mondiale seguì una nuova grande ondata di lotte: nel 1919-20 in gran parte dei paesi d’Europa fu posto il problema della gestione della produzione, giungendo talora a costituire governi socialisti (Ungheria, Baviera) come espressione politica del potere operaio. Tranne che nella Russia sovietica, nessuno di questi esperimenti sopravvisse e la strategia di ricomposizione dell’ordine borghese si divise tra il riconoscimento di un assetto contrattuale permanente con i sindacati e i partiti operai e la decapitazione del movimento, con l’eventuale e parziale assorbimento nelle strutture statali delle pulsioni rivendicative e partecipative popolari. È questo il caso del fascismo in Italia e, dopo la crisi della repubblica di Weimar, del regime nazionalsocialista. Nei regimi liberali e democratici il movimento operaio e sindacale, soprattutto a partire dagli anni 1930, tese a stabilire con lo Stato un rapporto costituito da intese strategiche, che non escluse però fasi di aperta conflittualità.
In Gran Bretagna il movimento operaio crebbe durante gli anni 1920 e si scontrò con gli orientamenti dei governi conservatori, culminando nello sciopero generale dei minatori (1926), che consentì al governo di operare un drastico ridimensionamento delle libertà e dei poteri del sindacato. Durante il periodo bellico il movimento operaio e il sindacato appoggiarono totalmente il governo conservatore; W. Churchill si rese pertanto disponibile a varare nel 1942 un piano di ampie riforme sociali e nel 1945 il movimento operaio e sindacale inglese assurgeva a forza di governo sulla base di un vasto programma e assegnava al lavoro e al sindacato, saldamente controllato dalle trade unions, quei poteri, quei diritti civili e quelle conquiste economiche che si sarebbero protratti fino alla grande crisi degli anni 1970 e alla rivoluzione conservatrice del primo ministro M. Thatcher.
In Francia il movimento rimase sotto la guida della CGT fino alla scissione del 1921 e alla nascita della CGTU (Confédération générale du travail unitaire). Riunificatasi tra il 1925 e il 1928, la CGT si inserì poi nel movimento che tra il 1935 e il 1936 portò al governo del Fronte popolare. Da questo la CGT pretese l’accordo (1936) con i rappresentanti del padronato che fissava il passaggio a una politica di sanzione legislativa del contratto e delle procedure del conflitto. Dopo il 1947 la necessità di frenare l’avanzata comunista portò a una divisione del movimento operaio e sindacale tra la CGT, più legata al partito comunista e al nucleo storico della classe operaia, e la CFDT (Confédération française démocratique du travail), più aperta e sensibile alle nuove esperienze che poi sarebbero esplose nei movimenti sociali della fine degli anni 1960.
Nella Germania federale del dopoguerra il sindacato (Deutscher Gewerkschaftsbund, 1949) costituì uno dei fattori decisivi della ricostruzione economica e politica del paese. Nei paesi socialisti fu invece adottata l’organizzazione ricalcata sul modello dell’URSS: rappresentanza sindacale unitaria inclusiva di ogni categoria e ogni qualifica, estesa alla quasi totalità dei lavoratori, con autonomia e potere contrattuale scarsi e, in genere, con il riconoscimento statutario della leadership del partito. In altra direzione si sviluppò invece il movimento operaio ogni qual volta entrò in conflitto con i poteri costituiti, dando vita talora a nuove formazioni sindacali; alcune di queste (è il caso della Polonia) contribuirono in modo rilevante al crollo dei regimi comunisti nel 1989-90. Infine, ed è questa una tendenza dei paesi sviluppati conseguente alla diminuzione del peso della classe operaia, accanto alla concentrazione del lavoro di fabbrica, l’espressione ‘movimento operaio e sindacale’ si è venuta estendendo ad altri comparti del lavoro dipendente, fino a delineare una rappresentanza generale sub specie sindacale dell’intero universo del lavoro salariato e stipendiato.
Categorie e qualifiche professionali