In senso generico, l’attività umana diretta alla produzione di beni e servizi, anche nelle sue forme più semplici e non organizzate. In senso specifico, ogni attività produttiva del settore secondario (diversa quindi dalla produzione agricola o settore primario, e dalle attività commerciali e di servizi, o settore terziario).
In paletnologia si dà il nome di i. all’attività svolta dai popoli preistorici per la fabbricazione di oggetti d’uso; è generalmente determinata dal materiale adoperato (per es., i. litica o i. ossea). Si designano come i. anche i prodotti di tale attività, cioè armi e strumenti di materiali non deperibili o comunque conservatisi fino a noi. Nelle i. litiche preistoriche si distinguono la più arcaica pebble culture, o i. su ciottolo, le i. a bifacciale e amigdaliane, quelle su scheggia, molto diffuse nel Paleolitico medio, e quelle su lama, generalmente più recenti e caratterizzate talora, specie in alcune culture del Paleolitico superiore, da uno strumentario ricco e variato.
Di un’i. domestica, nell’ambito del gruppo familiare e diretta solo a soddisfare i bisogni dello stesso, e di un’attività per il mercato di tipo artigiano esercitata spesso ereditariamente e sempre su ordinazione, si può parlare fin dai tempi più antichi, mentre nemmeno le opere di larga mole, come bonifiche, costruzioni monumentali, strade, sfruttamento di miniere, resero nell’antichità necessaria una vera e propria organizzazione industriale, data la possibilità di ricorso pressoché illimitato al lavoro degli schiavi e la esiguità del capitale fisso richiesto dalle condizioni della tecnica di allora.
Nel Medioevo e nel Rinascimento le i. più notevoli si realizzarono come piccole imprese artigiane. Si diffuse poi il lavoro a domicilio nelle campagne, di filatura e tessitura a mano per conto di commercianti che fornivano la materia prima e vendevano poi il prodotto, a cui successero presto le prime manifatture e, con la rivoluzione industriale, le fabbriche.
Nella storia dell’i. moderna si è soliti distinguere quattro fasi. La prima coincide con l’inizio della rivoluzione industriale intesa in senso classico e si caratterizza per lo sviluppo dell’i. tessile, avvenuto in Gran Bretagna nel 18° secolo. La seconda fase (dagli anni 1830) si identifica per lo sviluppo dell’i. siderurgica, settore strumentale alla produzione di beni di consumo e di beni di produzione. Tra 19° e 20° sec. si avvia una fase di grande espansione produttiva con il consolidamento della siderurgia, dell’i. di beni strumentali e armatoriali e con lo sviluppo della produzione di massa di beni durevoli. In seguito alla Seconda guerra mondiale inizia la quarta fase, caratterizzata da sviluppi tecnico-scientifici che evolvono rapidamente, accompagnati da un apporto sempre maggiore dell’informatica e della telematica, favoriti anche, verso la fine del 20° sec., dalla diffusione della rete Internet che facilita la circolazione di dati e informazioni.
In relazione alle diverse attività economiche, si distinguono le i. dei prodotti che si caratterizzano per la materialità del bene oggetto della loro attività (attività agricole, manifatturiere, commerciali) e le i. dei servizi (attività creditizie, dei trasporti, della sicurezza, dell’educazione). Tra le prime, particolare rilevanza hanno le i. propriamente dette in contrapposizione alle attività agricole e ai servizi. Sono considerate i. in senso stretto l’i. estrattiva (che sfrutta le ricchezze minerarie del sottosuolo), l’i. manifatturiera o di trasformazione (che trasforma materie prime o semilavorati in prodotti finiti, quali l’i. chimica, meccanica, elettronica, alimentare, tessile) e l’i. energetica (che trasforma l’energia prodotta dalle diverse fonti). Si distinguono ancora le i. pesanti per le quali è richiesto l’uso di notevoli capitali e capacità tecniche (siderurgia, chimica di base, i. aerospaziale) e l’i. leggera (i. del cemento, i. tessile); le i. di base che, producono beni più o meno indispensabili a tutte le altre i. (i. energetica, siderurgia), e le i. non di base; le i. ad alta intensità di capitale, in cui il capitale ha un peso determinante quale fattore produttivo (i. elettronica), e le i. a bassa intensità di capitale; le i. ad alta intensità di lavoro, per le quali prevale il fattore lavoro (i. tessile), e le i. a bassa intensità di lavoro; le i. piccole, medie o grandi in relazione al numero di lavoratori impiegati, al loro peso relativo sull’economia del paese o ad altre grandezze economiche. Spesso le i. sono anche classificate in base alla destinazione economica della loro produzione: i. di beni di consumo, di beni di investimento e di beni intermedi, impiegati nella fabbricazione di altri prodotti.
Con riferimento alle caratteristiche con le quali l’i. si attua e alle varie fasi storiche della sua evoluzione, si distingue infine: l’i. domestica, attività di produzione svolta dal nucleo familiare, a volte con la collaborazione di servi e salariati, per il consumo dello stesso, corrispondente alla fase dell’economia naturale o isolata; l’i. a domicilio, lavorazione di materie prime fornite dall’imprenditore e svolta a casa propria dal lavoratore, in genere da donne e da contadini che vi dedicano i periodi di sosta nei lavori della terra, coincidente con il periodo di transizione dall’economia naturale a quella di mercato; l’i. capitalistica o i. moderna, quella che lavora per il mercato e si attua nella fabbrica. Relativamente a quest’ultima, ricevono particolare attenzione nelle scelte di politica industriale l’i. chiave, che ha un peso determinante nell’economia del paese o di una regione (per dimensioni, per tipo di produzione ecc.), e l’i. nascente, i. nuova la quale spesso fruisce di una protezione specifica fin quando non ha raggiunto una dimensione ottimale.
Le i. vengono ulteriormente classificate attraverso la tassonomia di Pavitt, che raggruppa le i. in base ai contenuti tecnologici e all’intensità di ricerca e sviluppo. K. Pavitt individuò, sulla base dei criteri sopra accennati, quattro grandi raggruppamenti settoriali: tradizionale (o supplier dominated), quali tessile, calzature e in genere manifattura a basso contenuto tecnologico; settori di scala (scale intensive), quali chimica, farmaceutica, mezzi di trasporto e metallurgia e in genere imprese di grandi dimensioni che possono sfruttare economie di scala per le innovazioni sia di processo sia di prodotto; settori specializzati (specialised suppliers), comprendente macchine elettriche e meccanica di precisione e in genere imprese caratterizzate da innovazione di prodotto; alta tecnologia (science based), che comprende macchine per l’automazione, elettronica e apparecchiature di alta precisione. Questo settore è quello trainante nel processo di ricerca e sviluppo.
Si definisce industrializzazione ogni manifestazione di forte espansione della forma produttiva di tipo industriale (intesa come una particolare organizzazione del lavoro e del capitale) nell’attività economica avente come conseguenza soprattutto l’intensificazione della produzione di beni. Tale processo è, in genere, accompagnato dal diffondersi della produzione di massa e dalla concentrazione delle attività produttive in grandi complessi che si sostituiscono alla piccola i. e all’artigianato. Con riferimento a un’entità territoriale, l’industrializzazione indica la trasformazione dell’economia di questa in senso industriale, attraverso lo sviluppo delle attività industriali con prevalenza sulle altre (specie agricole). Talora, con riferimento a determinati settori dell’attività economica, si parla di industrializzazione dell’agricoltura o dei servizi, in riferimento allo sviluppo e intensificazione della produzione mediante un crescente impiego di capitali e l’adozione di nuove tecniche produttive, di criteri più razionali, di un più efficiente coordinamento dei fattori impiegati.
Storicamente, l’industrializzazione ha rappresentato, per i paesi in cui si è affermata, il passaggio decisivo per la crescita del reddito e degli standard di vita della collettività; tale sviluppo si è, infatti, accompagnato a mutamenti nella struttura della domanda dei consumi, seguendo in ciò le leggi di Engel: riduzione della quota di domanda per beni di prima necessità e crescita esponenziale di quella per i manufatti industriali e i beni di investimento (indispensabili per accrescere le capacità produttive del sistema). È da osservare che l’industrializzazione si è diffusa nel mondo con forme e intensità ineguali, per una serie di circostanze geografiche (diversa distribuzione di risorse naturali e umane), storico-politiche (particolare configurazione dei rapporti economici tra paesi industrializzati e non, a partire dal colonialismo e dall’imperialismo) e tecnologiche (invenzioni, scoperte e nuove tecniche produttive).
La valutazione del grado di industrializzazione per ciascuno Stato viene effettuata mediante appositi coefficienti, nei quali si combinano gli indici dell’occupazione e del valore aggiunto industriale pro capite. Nel gruppo di paesi a elevato grado di industrializzazione rientrano quelli con sistemi industriali a più antico impianto o comunque notevolmente diversificatisi e sviluppatisi a partire dal secondo dopoguerra (Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Russia, USA) ai quali si sono aggiunti paesi di più recente industrializzazione, come Brasile, Cina, India, Messico, Repubblica Sudafricana e alcuni Stati del Sud-Est asiatico (Corea del Sud, Singapore, Taiwan). Una serie di crisi attinenti al mercato delle materie prime e di problemi connessi al sovrasviluppo (congestione e inquinamento), unitamente a una maggiore sensibilità verso politiche di riequilibrio sociale ed economico, hanno effettivamente favorito un graduale processo di industrializzazione in aree diverse da quelle tradizionali. Si è determinata, quindi, la convenienza ad agevolare il trasferimento dei processi di trasformazione delle materie prime nei paesi produttori, o anche di seconde lavorazioni in quei paesi che offrono manodopera copiosa e a più buon mercato (è il caso soprattutto dei paesi del Sud-Est asiatico), nonché di spazi fisici ancora disponibili. Si tratta, in generale, di un fenomeno relativo alla dinamica della divisione internazionale del lavoro e delle specializzazioni produttive all’interno del sistema economico mondiale, che comporta, per i paesi in via di industrializzazione, un sistema industriale a più alta intensità di lavoro (inferiore intensità di capitale) e minor contenuto di ricerca rispetto ai paesi più industrializzati; ovvero, relativo alla produzione di quei beni di consumo standardizzati, a medio-basso contenuto tecnologico, che ormai vivono nei sistemi industriali più antichi una fase di maturità, se non di declino. I paesi industrializzati, infatti, tendono a sostituire le produzioni dei beni giunti alle fasi finali del loro ciclo di vita (➔ ciclo), puntando sugli investimenti in alta tecnologia e in ricerca.
È il settore dell’edilizia che comprende la progettazione e la costruzione degli edifici destinati all’industria. Tali edifici richiedono normalmente appropriate soluzioni costruttive, rispondenti a esigenze e caratteristiche particolari. Speciali problemi tipologici e distributivi sono poi connessi con i processi di lavorazione. I tipi originari e più frequenti di questi edifici si possono ridurre a tre: capannoni, a un solo piano, molto estesi planimetricamente, spesso riuniti in modo da formare un unico ambiente a pilastri, illuminati dall’alto per mezzo di coperture a ‘denti di sega’ (shed) o da lucernari; tettoie, a più navate, solitamente coperte con tetti a falde; edifici a più piani, spesso con strutture in vista e illuminati da grandi vetrate. Specialmente i primi due tipi si sono prestati, nel tempo, all’uso generalizzato di strutture prefabbricate (➔ prefabbricazione).
Oltre che con problemi di natura tecnica, la progettazione dell’edilizia industriale si è confrontata con complessi problemi di natura sociale, urbanistica e architettonica. Lo sviluppo della produzione industriale ha inevitabilmente condotto alla formazione di nuovi tipi di strutture architettoniche, adeguati alle necessità degli impianti e dei processi meccanici, determinando la graduale trasformazione dell’opificio da semplice ‘luogo’ di lavoro a complessa e funzionale macchina produttiva. Emerse di conseguenza la necessità di distribuire gli spazi e di sviluppare le strutture secondo una precisa funzione, sfruttando tutte le possibilità dei nuovi materiali e delle nuove tecniche al fine di ottenere piena unità di forma e funzione. Pur tendendo a un alto grado di funzionalità, l’edilizia industriale fu stimolata a raggiungere qualità formali e standard igienico-ambientali per le maestranze e per l’ambiente circostante, confrontandosi con i fermenti innovativi dell’architettura. L’interesse ruotò intorno ai problemi tecnici e al problema sociale, già utopisticamente affrontati fin dal 19° sec. (R. Owen, F.-M.-C. Fourier, J.-B.-A. Goudin). Tra le prime costruzioni industriali concepite con l’esplicito intento di trarre dalla distribuzione dei volumi e dalla funzionalità delle strutture edilizie nuovi valori di composizione architettonica, vanno ricordate quelle ideate, al principio del 20° sec., in Germania, da P. Behrens (stabilimenti AEG a Berlino, 1910); H. Poelzig (fabbrica chimica a Luban, 1911-12); W. Gropius e A. Meyer (stabilimenti Fagus ad Alfeld, 1910-24); E. Mendelsohn (fabbrica a Luckenwald, 1921-23); in Finlandia, da A. Aalto (fabbrica di cellulosa a Sunila, 1936-39). Da allora prese corpo anche l’assunto che la fabbrica non doveva soltanto essere un perfetto strumento di lavoro ma avrebbe dovuto rappresentare il fulcro di una complessa funzione sociale, tanto da prevedere, oltre al nucleo produttivo con annessi uffici, anche un quartiere abitativo con i relativi servizi (centro industriale di Typpi Oy a Oulu, A. Aalto, 1950-56). Quasi tutti gli esponenti di rilievo dell’architettura moderna hanno contribuito con opere di alto livello allo sviluppo dell’architettura industriale: F. Otto, in Germania; L.I. Kahn (stabilimenti Olivetti-Underwood a Harrisburg, 1970), negli USA; N. Foster, R. Rogers, N.T. Grimshaw in Inghilterra, dal 1970 ecc.
In Italia, dopo il primo e notevole esempio degli stabilimenti FIAT-Lingotto a Torino, di L. Matté Trucco (1919-26), si sono avute realizzazioni assai importanti, dal punto di vista tecnico e sociale: tra gli altri, il complesso industriale Italcima a Milano (1932-38) di L. Baldessari; gli stabilimenti Olivetti a Pozzuoli (1961-63) di L. Cosenza; il complesso Olivetti a Ivrea, su progetti di L. Figini e G. Pollini (corpi di fabbrica, 1934-57, e asilo nido, 1939-41), I. Gardella (mensa, 1953-59), R. Gabetti e A. Isola (foresteria, 1971) e M. Nizzoli, L. Quaroni e M. Ridolfi (quartiere residenziale Canton Vesco, 1937-63); le cartiere Burgo a Mantova (1961-63) di P.L. Nervi; il complesso IBM a Santa Palomba, Pomezia (1979-82) di M. Zanuso. Ulteriori sviluppi e articolazioni, in tal senso, si sono avuti, tra gli altri, da R. Piano (ristrutturazione della fabbrica Lingotto, Torino, 1988-2002) o da S. Boeri (Centrale geotermica sul Monte Amiata, 2001).
Per archeologia industriale solitamente si intende l’atteggiamento volto al recupero, alla riqualificazione e al riuso, per scopi di vario genere (musei, parchi tematici ecc.), dell’edilizia industriale caduta in disuso o privata delle sue funzioni originarie.