sincrotrone Macchina acceleratrice di particelle cariche, ideata da E.M. McMillan e V. Veksler (1945), che sfrutta simultaneamente i principi di funzionamento del betatrone (campo magnetico variabile) e del sincrociclotrone (tensione acceleratrice alternata modulata in frequenza) e consente di raggiungere energie elevatissime.
L’introduzione di un campo magnetico variabile in sincronismo con il moto delle particelle consente di mantenere le particelle sempre sulla stessa orbita circolare; poiché, a causa dell’accelerazione subita dalle particelle, questa orbita circolare viene descritta con velocità sempre più elevata, per mantenere il sincronismo tra il moto di rivoluzione delle particelle e le oscillazioni della tensione acceleratrice si rende necessario l’aumento progressivo della frequenza della tensione acceleratrice. La velocità angolare ω delle particelle accelerate è legata alla massa a riposo m delle particelle, alla loro carica elettrica q, all’induzione magnetica B a cui sono soggette, al raggio dell’orbita R e alla velocità della luce nel vuoto c dalla relazione:
Se si fanno aumentare B (con legge arbitraria) e contemporaneamente la frequenza f della tensione acceleratrice in modo tale che sia f=ω/2π, con ω data dalla relazione precedente, R rimane costante e le particelle descrivono sempre la stessa orbita, con energia sempre maggiore. L’energia cinetica massima TM ottenibile con un s. dipende dal raggio della macchina e dall’induzione magnetica massima BM raggiungibile:
quindi per s. di alta energia TM ∝ BMR (se le particelle accelerate sono elettroni, intervengono però nella determinazione di TM anche le perdite per irraggiamento).
In un s. la camera da vuoto, nella quale si muovono le particelle accelerate, si riduce a un anello cavo (ciambella) immerso nel campo magnetico generato da elettromagneti opportunamente disposti intorno all’anello, assai meno ingombranti e costosi di quelli che, a parità di raggio, sarebbero richiesti per un ciclotrone, un sincrociclotrone o un betatrone. Un’ulteriore riduzione della regione sede del campo magnetico è ottenuta impiegando magneti a focheggiamento forte.
Il s. può essere usato per l’accelerazione di elettroni (elettrosincrotrone), di protoni (protosincrotrone) e di particelle pesanti (s. per ioni), che vengono in esso iniettate dopo essere stati preventivamente accelerate da un acceleratore ausiliario (iniettore) e vengono poi ulteriormente accelerate da una o più cavità risonanti disposte lungo l’anello. Una variante degli elettrosincrotroni e dei protosincrotroni, profondamente innovativa dal punto di vista concettuale ma non da quello strutturale, è costituita dagli anelli di accumulazione o di collisione (➔ anello).
I s. hanno funzionamento impulsivo; il ciclo di accelerazione di un s. ha durata che varia da alcuni millesimi di secondo nei piccoli elettrosincrotroni ad alcuni secondi nei grandi protosincrotroni. Essenziale per il funzionamento del s. è il principio di stabilità di fase, rappresentato in modo schematico e semplificato in fig. 1. In ordinata è riportato il valore dell’intensità del campo elettrico accelerante E (nell’unica cavità risonante che si ipotizza sia presente nel s.) in funzione del tempo, più propriamente di ωt. La particella 1 è arrivata nella cavità risonante alla fase giusta ϕs e la sua energia cresce della quantità giusta, necessaria perché la particella resti sull’orbita di equilibrio di raggio R0. Dopo un giro la particella tornerà alla stessa fase ϕs. La particella 2 invece è arrivata troppo presto, trova il campo E troppo grande e acquista troppa energia dalla cavità: essa viaggia su un’orbita di raggio maggiore e si ripresenterà dopo un tempo maggiore del periodo T=2π/ω proprio della cavità, trovando quindi un campo E minore rispetto al passaggio precedente. Questa tendenza si invertirà non appena E sarà sceso al di sotto del valore Es. A questo punto il raggio dell’orbita della particella sarà minore di R0 e la sua fase risalirà verso ϕs. Il meccanismo del principio di stabilità di fase consiste sostanzialmente in questa oscillazione (oscillazione di s.) intorno alla fase ϕs e provoca la formazione di un pacchetto (bunch) di particelle accelerate attorno alla particella sincrona; la lunghezza del pacchetto dipende dalla pendenza dell’intensità del campo. Il numero di pacchetti è uguale al rapporto (intero) tra la frequenza del campo accelerante e quella di rivoluzione della particella sincrona.
Radiazione elettromagnetica emessa da particelle cariche relativistiche circolanti in un campo magnetico. Come è noto, ogni qualvolta si fa variare la velocità di una carica elettrica questa irradia onde elettromagnetiche. Nel caso di un elettrone con energia E in moto su una traiettoria circolare di raggio R con velocità υ≃c, come in un elettrosincrotrone, l’energia irradiata per giro, proporzionale al quadrato della carica specifica, è 88,5 (E4/R) keV, essendo misurati E in GeV e R in metri. Questa radiazione viene emessa in un piccolo cono intorno alla direzione della velocità della particella (di apertura angolare ϑ≃2√‾‾‾‾‾‾1−[v/c]2)‾‾‾‾ e ha un elevatissimo grado di polarizzazione: il campo elettrico delle onde elettromagnetiche emesse vibra ortogonalmente al campo magnetico che mantiene gli elettroni sull’orbita circolare, cioè nel piano dell’orbita. La distribuzione spettrale della radiazione (fig. 2) è continua e presenta un massimo per la lunghezza d’onda λM=0,42 λc, dove λc è la cosiddetta lunghezza d’onda critica, pari a 4πR(√‾‾‾‾‾‾1−v2/c2)‾‾‾‾ 3/3. Lo spettro decresce esponenzialmente per lunghezze d’onda minori del massimo, abbastanza lentamente per lunghezze d’onda maggiori del massimo e ha una larghezza a metà altezza pari a 0,84 λc.
La radiazione di s. è emessa dagli elettrosincrotroni (e dagli anelli di accumulazione per elettroni) di alta energia (a causa dell’alto valore della massa del protone questo fenomeno è trascurabile nei protosincrotroni e nei s. per ioni, anche nei più potenti) sotto forma di fotoni che coprono uno spettro che va dalle onde radio ai raggi X duri. La prima utilizzazione della radiazione di s. si ebbe nel 1963 a opera di R. Madden e K. Codling in studi spettroscopici sui gas nobili presso l’elettrosincrotrone da 180 MeV del National bureau of standards di Washington.
Dall’uso ‘parassitico’ di elettrosincrotroni e anelli di accumulazione costruiti per lo studio delle particelle elementari si è passati, negli anni 1980, allo sviluppo di anelli di accumulazione per elettroni dedicati alla luce di s., dotati di dispositivi che permettono di variare le caratteristiche del fascio fotonico emesso. In particolare, mediante opportune strutture magnetiche periodiche inserite nelle sezioni diritte delle macchine, è possibile spostare la distribuzione spettrale della radiazione di s. a frequenze più alte (con magneti wiggler) o concentrare l’emissione in un intervallo spettrale stretto (con magneti ondulatori). La richiesta principale nell’uso della luce di s. è quella di massimizzare la potenza radiante che incide sul campione da studiare entro una larghezza di banda spettrale che è tipicamente Δλ/λ∿10–3; i monocromatori usati sono di vario tipo: nella regione dell’ultravioletto estremo si utilizzano monocromatori a reticolo, in quella dei raggi X molli monocromatori a cristallo. L’impatto della luce di s. sulla ricerca nei campi della fisica, chimica, biologia e sulla scienza dei materiali è considerevole: l’interazione di questa radiazione con la materia presenta infatti aspetti molteplici legati alla grande varietà di sistemi che si possono studiare a causa dell’ampio intervallo spettrale coperto dalla sorgente. Tra le numerose, varie applicazioni si possono in particolare ricordare la spettroscopia (atomica, molecolare, di luminescenza ecc.), la fisica dei solidi e delle superfici, la diagnostica per immagini.