In chimica, raggruppamento di atomi legati tra loro per costituire una tipica struttura ‘a grappolo’. All’aumentare del numero di atomi possono presentarsi disposizioni geometriche più o meno regolari (v. fig.).
Lo studio dei c. (spesso indicati anche come microaggregati) è andato acquisendo sempre maggiore rilevanza, con un particolare impulso nel corso degli anni 1990 per l’interesse sorto sui nuovi materiali a nanostruttura. Gran parte della ricerca di base, sperimentale e teorica, sui c. si è posta l’obiettivo di stabilire quale sia la dimensione in corrispondenza della quale avviene la transizione dallo stato di microaggregato a quello di solido o liquido vero e proprio. La risposta non può essere univoca, poiché alcune proprietà dei c. evolvono velocemente verso quelle dello stato massivo, o di bulk, altre molto più lentamente, cosicché aggregati di dimensioni confrontabili possono mostrare alcune proprietà simili a quelle dello stato condensato e altre spiccatamente diverse. È stato previsto che il potenziale di ionizzazione di un c. di atomi di sodio tende a raggiungere un valore pari al potenziale di estrazione del sodio metallico solo quando l’aggregato arriva a contenere diverse migliaia di atomi, mentre per dimensioni inferiori il potenziale varia con un andamento non regolare, mantenendosi comunque al di sopra del valore che compete al solido. Al contrario, alcuni c. costituiti da poche decine di atomi metallici, come, per es., talune specie contenenti il legante monossido di carbonio, quali [Rh22(CO)37]4−, [Pt38(CO)44]2−, [Ni38Pt6(CO)48]6−, mostrano, quando analizzati mediante diffrazione dei raggi X, una disposizione di tali atomi assai simile a quella del solido.
Lo studio sperimentale delle proprietà dei c. ha fruito di numerose tecniche chimico-fisiche che permettono di generare e analizzare microaggregati di varie dimensioni. Lo stato di aggregazione dei c. è di tipo metastabile e tende a evolvere spontaneamente verso quello più stabile di liquido o solido, pertanto durante la preparazione si deve impedire la riaggregazione dei singoli c. per poterne studiare le caratteristiche ed eventualmente sfruttarne le proprietà a scopi applicativi. Tra i metodi preparativi si possono distinguere quelli più chimici e quelli fisici. Nel primo caso, mediante sintesi chimica in un solvente si ottengono microaggregati di diversi elementi, principalmente di metalli di transizione, stabilizzati da adatte molecole leganti che formano una sorta di guscio protettivo capace di impedire l’ulteriore aggregazione dei singoli cluster. Nel secondo caso, per vaporizzazione del metallo e combinazione diretta degli atomi allo stato gassoso vengono generati microaggregati contenenti sino a qualche migliaio di atomi. I due approcci sperimentali sono assai diversi e hanno dato origine a due categorie di c. ben distinte: i c. stabilizzati da leganti e i c. privi di leganti.
Costituiscono un sottogruppo dei composti di coordinazione o complessi, il cui studio ha rappresentato, sin dagli anni 1960, un importante capitolo della chimica inorganica. Si tratta di composti neutri o ionici contenenti un certo numero di atomi metallici, legati direttamente tra loro a formare una struttura regolare, circondata da un numero variabile (fino ad alcune decine) di molecole o ioni inorganici od organici. I c. contenenti leganti organici sono anche indicati come composti organometallici polinucleari o c. organometallici, e il loro campo di studio si sovrappone in parte con quello della chimica organometallica. Nei c. organometallici polinucleari gli atomi metallici possono trovarsi in uno stato di ossidazione alto o basso. Nel primo caso il c. è formato solitamente da 6-8 atomi metallici circondati da leganti fortemente elettronegativi (cloro, zolfo, ossigeno), a cui cedono uno o più elettroni. Formule tipiche sono M6X8 e M6X12 (dove M indica il metallo e X il legante). Quando queste unità, condensate allo stato solido, vengono combinate con un terzo elemento, per es., il piombo, formano le cosiddette fasi di Chevrel, dotate di interessanti proprietà elettriche e magnetiche. Nel secondo caso i composti organometallici polinucleari sono costituiti da gruppi di atomi metallici variabili da 2-3 a diverse decine (anche oltre 50), completamente circondati da molecole elettricamente neutre quali, per es., il monossido di carbonio (CO) o di azoto (NO), fosfine organiche (PR3, con R radicale organico) ecc. Poiché tali molecole hanno poca tendenza a cedere o acquistare elettroni, in questi composti gli atomi metallici si trovano in uno stato di ossidazione basso. È possibile ottenere questi c. in quantità apprezzabili e, se gli atomi metallici non sono troppo numerosi, possono essere preparati allo stato solido sotto forma di cristalli regolari la cui struttura è investigabile mediante tecniche diffrattometriche.
Con queste metodiche è stato possibile osservare che il nocciolo metallico in questi c. assume forme basate su poliedri regolari. Tuttavia, mentre in alcuni casi tali strutture ripetono, su scala ridotta, quelle riscontrate nei metalli allo stato solido, in altri esse non hanno alcuna rispondenza nota nei rispettivi solidi cristallini. Lo studio strutturale dei c. organometallici ha evidenziato una serie di analogie con i sistemi costituiti da una superficie metallica (una ben precisa faccia cristallografica del metallo) su cui sono adsorbite le specie atomiche o molecolari che nel c. agiscono da leganti. Così, le distanze metallo-legante e gli angoli di legame, e anche molte proprietà spettroscopiche, sono spesso simili nelle due situazioni. Tale analogia riflette il fatto che il legame tra una molecola e gli atomi di metallo di una superficie è di natura molto locale, cioè coinvolge soltanto i pochi atomi direttamente a contatto con la molecola. Che questi atomi facciano parte di un solido esteso o che siano circondati da pochi altri atomi metallici (come avviene nel c.) influisce poco sul legame metallo-molecola.
Lo studio delle proprietà dei c. organometallici con tecniche chimico-fisiche avanzate ha evidenziato anche profonde differenze tra tali aggregati e i sistemi metallici estesi sulla cui superficie sono adsorbite molecole. È stato mostrato che le molecole di legante inducono una profonda perturbazione nella struttura elettronica degli atomi metallici con cui interagiscono direttamente (il guscio più esterno dell’aggregato). Nell’aggregato si possono così distinguere due tipi di atomi metallici: quelli interni, che continuano a mostrare un comportamento metallico, e quelli esterni che, per effetto dell’interazione con i leganti, possiedono proprietà diverse. Così, gli atomi di nichel legati a molecole di CO mostrano un momento magnetico molto inferiore a quelli di aggregati di Ni, anche molto piccoli, privi di leganti. Mentre in un solido il rapporto tra atomi ‘esposti’ all’interazione con le molecole e atomi interni è minimo (gli atomi interni sono infinitamente più numerosi), in un c. anche di notevoli dimensioni tale rapporto è elevato: nel c. ‘gigante’ Pd561phen36O200 (dove phen indica il legante organico fenantrolina) ancora circa la metà degli atomi metallici è superficiale. Le proprietà di tali atomi influiscono quindi in modo pesante su quelle complessive del materiale.
Dal punto di vista applicativo, i c. organometallici si sono rivelati utili soprattutto nel campo della catalisi eterogenea. In particolare, depositando c. organometallici su substrati inerti (ossidi, zeoliti) e riscaldando il sistema in modo da eliminare i leganti, è possibile ottenere particelle metalliche adsorbite sulle superfici, dotate di spiccata attività catalitica.
Sono anche noti come c. liberi o nudi. A differenza di quelli organometallici, questi c. si ottengono principalmente allo stato gassoso. Sebbene i primi aggregati di questo tipo siano stati ottenuti semplicemente vaporizzando il metallo in un forno e facendo quindi condensare il vapore su un substrato inerte, è stato con l’introduzione, negli anni 1980, delle metodiche preparative basate sull’uso del laser che è divenuto possibile ottenere con relativa facilità c. di metalli refrattari selezionati in ragione della loro dimensione. In un tipico esperimento, un fascio di radiazione laser viene focalizzato su un dischetto di metallo, producendo un plasma costituito da atomi isolati ad alta temperatura. A questo punto viene immessa nella camera di vaporizzazione una corrente di elio che raffredda il plasma provocando l’aggregazione degli atomi e la formazione di c. di varie dimensioni. Questi vengono quindi fatti passare attraverso una piccola apertura in una camera ad alto vuoto, dove la differenza di pressione provoca l’espansione del getto di c. a velocità supersonica; in questa fase i c. si raffreddano e si stabilizzano. Il getto dei c. viene poi irradiato con un laser nell’ultravioletto che ionizza i c., i quali possono così essere separati con uno spettrometro di massa in modo da poterne stabilire l’abbondanza relativa e da poterne studiare separatamente le proprietà. La metodica basata sull’uso del laser è poco adatta alla preparazione di c. di metalli non refrattari. Questi ultimi vengono in genere vaporizzati in forno o, secondo procedure più recenti, mediante un arco voltaico.
Aggregati di sistemi ionici, infine, quali gli alogenuri alcalini, possono essere prodotti mediante bombardamento con ioni (per es., ioni Xe+). La tecnica di selezione dei c. ha permesso di stabilire che le abbondanze relative di aggregati di diversa dimensione sono assai differenti e molto accentuate in corrispondenza di particolari dimensioni del microaggregato, che con tutta evidenza sono energeticamente più vantaggiose. C. dotati di speciale stabilità sono stati osservati in corrispondenza di certi particolari numeri di atomi, denominati numeri magici. L’esistenza dei numeri magici è stata poi razionalizzata, almeno per alcuni sistemi, da modelli teorici. Tra le proprietà dei c. liberi più studiate vi sono il già citato potenziale di ionizzazione, la polarizzabilità, le proprietà magnetiche, i punti di fusione, gli spettri di assorbimento e di emissione. Queste proprietà si sono dimostrate particolarmente utili per seguire l’evoluzione del comportamento al crescere delle dimensioni dell’aggregato. Parallelamente agli studi sperimentali, notevoli contributi alla conoscenza di questi sistemi sono venuti dall’applicazione dei metodi della chimica computazionale.
Una classe di c. a sé stante, infine, oggetto di molti studi nel corso degli anni 1990, è quella dei fullereni (➔).