sport Attività intesa a sviluppare le capacità fisiche e insieme psichiche, e il complesso degli esercizi e delle manifestazioni, soprattutto agonistiche, in cui tale attività si realizza, praticati nel rispetto di regole codificate da appositi enti, sia per spirito competitivo (accompagnandosi o differenziandosi, così, dal gioco in senso proprio), sia, fin dalle origini, per divertimento, senza quindi il carattere di necessità, di obbligo, proprio di ogni attività lavorativa.
Pratica e larga diffusione di numerosi s. (come il calcio, il ciclismo, il pugilato) su basi professionistiche collegano il termine s. al suo significato etimologico (attraverso l’ingl. sport dal fr. ant. desport «diporto») in relazione non tanto all’attività svolta dagli atleti quanto al divertimento che ne traggono gli spettatori, appassionandosi in vario modo allo svolgimento e all’esito delle gare.
L’evoluzione della pratica sportiva e del suo significato terminologico è collegata strettamente al posto che essa ha occupato nella società, alla considerazione che le è stata o le è dedicata in un determinato contesto culturale, politico ed economico. In linea generale si parte da una identificazione tra s. ed educazione fisica, per arrivare a una identificazione tra pratica dilettantistica e pratica professionistica. L’educazione fisica, da parte sua, è uno strumento di carattere sostanzialmente pedagogico; lo s. possiede, invece, caratteristiche specifiche di agonismo e di volontarismo; e, quando il desiderio della vittoria diventa il solo obiettivo della pratica sportiva, quando l’atleta riceve un compenso per questa pratica e ne fa l’attività prevalente, se non esclusiva, della propria esistenza, quando al servizio del singolo o della squadra viene allestita una complessa organizzazione economica, amministrativa e scientifico-sanitaria, allora si entra nella sfera del professionismo, e lo s. assume caratteristiche completamente diverse. Dalla sfera ricreativa si passa a quella dello spettacolo che, sia pure in forme particolarissime e mai completamente staccate dal fervore agonistico, obbedisce a regole autonome ed è condizionato dalle esigenze tipiche di ogni processo economico. Intorno al fenomeno professionistico si crea un particolare ambiente nel quale allo spettatore occasionale o al semplice appassionato si sovrappone frequentemente il sostenitore, il fanatico, il ‘tifoso’ (secondo il fortunato neologismo che si afferma in Italia al principio degli anni 1930).
Nel senso inverso, quando cioè l’impegno sia del tutto disinteressato, quando non miri al superamento di primati o al successo in competizioni regolarmente organizzate, quando non implichi la mobilitazione di risorse tecniche o sanitarie, ma venga affrontato soltanto per divertimento personale e con mezzi di fortuna, dal concetto di s. vero e proprio si passa o si rientra in quello dello svago; diventa fondamentale l’utilizzazione del tempo libero, problema cresciuto via via d’intensità, in coincidenza con il macroscopico sviluppo della società industriale e della civiltà tecnologica, ma non va sottovalutata la dimensione educativa che possono assumere la conoscenza e la pratica dell’attività sportiva.
Numerose attività atletiche furono praticate nel mondo antico, sia in Oriente sia in Occidente, sin da epoche remote, con carattere ora sacrale, ora educativo, ora agonistico o come forma di preparazione militare. Ma fu in Grecia che lo s. assunse le caratteristiche di un fenomeno di larga diffusione, per taluni aspetti simile a quello dei tempi moderni, sia per il numero e l’importanza delle competizioni, sia per il loro accurato regolamento, sia infine per l’impetuosa fioritura di un professionismo e di un ‘divismo’ che entrarono profondamente nel costume della civiltà ellenica. Il centro di questa civiltà, nell’epoca classica, fu il santuario di Olimpia, nell’Elide. Anche se attività atletiche connesse a pratiche cultuali e rituali venivano con ogni probabilità svolte in epoca precedente, l’istituzione dei Giochi olimpici, l’evoluzione dello s. greco coincide fondamentalmente con la storia delle Olimpiadi, che si prolungarono per circa dodici secoli, dalla prima edizione del 776 a.C. all’ultima del 393 d.C. Competizioni panelleniche a carattere periodico si svolgevano pure a Delfi, sull’Istmo di Corinto, a Nemea, in altre pòleis, tutte dotate di notevoli impianti per lo svolgimento di molteplici manifestazioni, comprendenti gare di corsa, di lotta, di pugilato ecc. o competizioni ippiche. Ciò che rimase, tuttavia, a caratterizzare le Olimpiadi classiche e ad assicurarne la diffusione furono fondamentalmente due condizioni: la tregua dei conflitti armati per tutta la durata dei Giochi e l’affermazione del loro carattere sacro mediante un sacrificio offerto a Eracle, patrono designato degli atleti e mitologico fondatore della manifestazione. In realtà, nella Grecia classica, tre motivi di fondo ispirarono il movimento sportivo: uno, di carattere eugenetico e religioso, atteneva alla concezione ellenica dell’uomo come misura di tutte le cose e dunque anche della natura; il secondo motivo, di carattere estetico, nasceva dal culto della bellezza e quindi del corpo come suo simbolo concreto; un terzo, di carattere funzionale, concerneva l’educazione militare della gioventù. A Sparta, come riferisce Plutarco nella biografia di Licurgo, le severe regole imposte ai maschi perché imparassero a obbedire e a sopportare i disagi del servizio armato, erano estese alle fanciulle, che frequentavano esse pure le palestre praticando soprattutto gli esercizi all’aria aperta, in qualunque stagione, nonché la corsa, la lotta, il lancio del disco e del giavellotto. La specializzazione per la conquista degli allori olimpici e una graduale decadenza di costumi portarono al professionismo, all’affermazione del quale contribuì anche la formula olimpica secondo cui, insieme con il vincitore della competizione, si onorava anche la città di cui egli era originario. In principio, la città così celebrata si limitò a provvedimenti simbolici; poi, via via, si passò a riconoscimenti più concreti, come l’esenzione dalle imposte, l’alimentazione a spese dell’amministrazione cittadina, infine un premio in denaro fino a un ammontare di 500 dracme.
Nell’Italia antica l’attività sportiva non ebbe la ricchezza di motivazioni e di sviluppi mostrati in Grecia (Greci delle colonie di Magna Grecia e Sicilia parteciparono comunque, spesso con risultati lusinghieri, alle Olimpiadi). Gli Etruschi celebravano giochi sportivi per lo più in occasione di cerimonie funebri, ma anche nell’ambito di spettacoli organizzati dalle comunità in concomitanza di solennità cittadine e di particolari eventi politici. In tutte queste circostanze, accanto a gare simili a quelle note per il mondo greco (corsa, pugilato, competizioni ippiche ecc.), erano comuni danze, esibizioni di acrobati e giocolieri, combattimenti cruenti ecc., che rivelano una spiccata inclinazione di quel popolo verso l’elemento ludico e spettacolare. Tra i Romani, particolarmente nell’epoca repubblicana, le singole attività sportive erano largamente praticate per le esigenze della formazione militare. Corsa, salto, lancio del disco e del giavellotto erano le specialità più diffuse prima dell’era cristiana, quando cominciarono a organizzarsi agoni di tipo greco. In età imperiale finirono per imporsi, però, i giochi circensi, il cui contenuto sportivo era relativo, mentre prevalevano le caratteristiche di uno spettacolo crudele. Lotta, pugilato, pancrazio, ma soprattutto scontri armati uomo contro uomo (ludi gladiatori) e uomo contro belva (venationes), nonché corse di bighe e quadrighe, erano le specialità più seguite, e alle gare erano costretti a partecipare di solito schiavi e liberti. Questi spettacoli, deplorati dalle menti più elette (per es. Seneca) e combattuti aspramente dal Cristianesimo, erano già in grave decadenza se non scomparsi quando cadde l’Impero d’Occidente. Più a lungo durarono invece nell’Impero d’Oriente, dove tuttavia nel 520 d.C. l’imperatore Giustino decretò la soppressione dell’ultimo grande agone pagano, le Olimpie di Antiochia.
Dopo alcuni secoli in cui l’attività sportiva fu del tutto trascurata, una notevole ripresa si registrò nel periodo dei Comuni, soprattutto per l’equitazione, che dava luogo a giostre e tornei, talvolta degenerati in manifestazioni sanguinose.
Nel Rinascimento si affermò lo s. inteso con le sue caratteristiche attuali, cioè non più legato a presupposti di ordine etico-religioso. Nel 1423, presso Mantova, Vittorino da Feltre fondò, per ordine di Gianfrancesco Gonzaga, la cosiddetta Casa giocosa, in cui gli allievi, oltre che nelle lettere, venivano educati alla pratica dell’equitazione, dell’arco, della scherma, della lotta ecc. Furono pubblicati inoltre vari trattati di argomento sportivo, dovuti a P. Vergerio, L.B. Alberti, E.S. Piccolomini, M. Vegio ecc.
Fuori d’Italia, in Inghilterra, nel 1617 il re Giacomo I con la Declaration of sports concedeva l’autorizzazione al popolo di praticare talune specialità. Nel 1681 si trova ricordato per la prima volta in un giornale londinese, il Protestant Mercury, un combattimento di pugilato. Pochi anni più tardi un maestro di scherma, J. Figg, trasformò la sua sala d’armi in una palestra di pugilato, divenendo egli stesso primo campione britannico nel 1719; 14 anni più tardi l’inglese J. Broughton pubblicò il primo regolamento di una specialità pugilistica assai simile al pancrazio greco e nel 1886 J. S. Douglas, marchese di Queensberry, formulò un regolamento, che resta alla base delle norme del pugilato moderno. Un secolo prima (nel 1780), lord Derby aveva istituito la classica corsa ippica che porta tuttora il suo nome. Anche il calcio moderno ha le sue origini in Gran Bretagna, per la larga diffusione di tale pratica sportiva nei collegi universitari. Nel 1863 si pervenne alla fondazione della Football association, prima e modello di tutte le federazioni calcistiche mondiali.
In Germania, nel 1811, F.L. Jahn fondò la prima palestra a Hesenbeid (Berlino); tre anni dopo lo svedese P.H. Ling diede vita all’Istituto ginnastico di Stoccolma e diffuse il suo ‘sistema svedese’, oggi conosciuto e applicato in tutto il mondo; nel 1856 si disputò per la prima volta l’ormai tradizionale gara di canottaggio tra Oxford e Cambridge; nel 1894, il barone de Coubertin ripristinava durante un congresso alla Sorbona di Parigi i Giochi olimpici, che ebbero luogo nel 1896 ad Atene.
In Italia, un pioniere dello s. fu Q. Sella che fondò il CAI (➔). In precedenza, lo svizzero H.R. Obermann aveva fondato a Torino la celebre Scuola di ginnastica del Valentino. Nel 1869 sorse la Federazione ginnastica d’Italia. Dopo questa furono fondate quella ciclistica (Unione velocipedistica italiana) nel 1885, quella calcistica (Federazione italiana gioco calcio) nel 1898, lo stesso anno in cui gli appassionati di atletica leggera si staccavano dalla Federazione ginnastica per creare un gruppo autonomo che inizialmente si chiamò Unione podistica e in seguito avrebbe dato vita alla FIDAL. Altri gruppi sportivi che nei decenni successivi si sarebbero notevolmente sviluppati erano sorti tra il 1881 e il 1888, quali il Jockey club e il Royal Rowing club, confluiti più tardi nell’Unione nazionale italiana razze equine e nella Federazione canottaggio. La federazione della scherma, pur ricollegandosi a un’antichissima tradizione nazionale, fu fondata soltanto nel 1909; quella pugilistica poco dopo, in piena guerra mondiale, nel 1916.
Nel secondo dopoguerra il movimento sportivo è andato acquistando un rilievo crescente nella vita sociale di ciascun paese e ha assunto una dimensione universale. Lo s. costituisce infatti l’unico ‘alfabeto’ comune tra popoli e nazioni di diverse dimensioni economiche, politiche e culturali. Della sua importanza e dei vantaggi che può offrire alla gioventù si sono resi conto i vari governi, approntando provvidenze e strutture per la sua diffusione e la sua pratica. Questa universalità di intenti trova la sua massima espressione nelle competizioni internazionali, prime fra tutte i Giochi Olimpici, estivi e invernali. È tanto sentita questa esigenza, che sono ormai radicate le manifestazioni sportive a carattere regionale: Giochi del Commonwealth, Giochi Panamericani, Giochi Panasiatici, Giochi Panafricani, Giochi del Mediterraneo. Sono inoltre sempre più frequenti le occasioni di manifestazioni internazionali nei singoli s. e nelle varie discipline. Negli ultimi decenni inoltre una crescente attenzione è stata riservata alla promozione e allo sviluppo delle attività sportive per soggetti portatori di disabilità psicofisiche e sensoriali. Se in un primo momento la pratica sportiva è stata intesa soprattutto come evoluzione della fase terapeutico-riabilitativa del disabile, ben presto essa si è venuta affermando anche come attività agonistica, senza per questo perdere di vista l’obiettivo dell’integrazione sociale del singolo atleta. In campo internazionale, la principale manifestazione è rappresentata dalle Paralimpiadi (➔).
In tempi recenti ha preso corpo all’interno dello s. professionistico del mondo occidentale, espandendosi rapidamente anche ad altri paesi, una serie di apparati legati al ruolo sempre più notevole per forza e diffusione assunto nel mondo dello s. dall’economia, dall’imprenditoria diretta e indiretta alla scoperta di nuovi mercati in cui i prodotti legati allo s. e gli s. stessi intesi come prodotto, godibile, di spettacolo, emozioni e cassa di risonanza. Sono entrati in uso con frequenza sempre maggiore, nel linguaggio sportivo delle pubblicazioni specializzate i concetti, e le relative terminologie, di sfruttamento commerciale dei segni distintivi dello s.; di sponsorizzazione e merchandising; di diritti di immagine degli sportivi e forme del loro sfruttamento e della loro tutela; di sfruttamento dei diritti di trasmissione radiotelevisiva degli eventi sportivi e di disciplina antitrust vigente in tal senso; di bilanci in ambito sportivo e disciplina fiscale dell’ente sportivo; di rapporti tra s. e marketing (tipologie di marketing applicato allo s., mercati delle imprese che operano nello s., strategie d’impresa e di marketing nelle società sportive); di rapporto tra s., clienti individui e aziende; di comunicazione nello s. (pubblicità, promozione, sponsorizzazione, relazioni pubbliche, nuove tecnologie e i nuovi sistemi di comunicazione) e così via; tanto che da molte parti si invoca, genericamente, un ritorno ai valori essenziali dello s. sia pure in ambito professionistico.
Con la locuzione diritto sportivo si indicano, nella prassi e nella scienza giuridica, tre diversi aspetti di un medesimo fenomeno. In senso proprio, indica il complesso delle norme, delle regole e delle prescrizioni che promanano dalle fonti tipiche delle istituzioni sportive nazionali e internazionali. In una seconda accezione, più ampia ma strettamente collegata alla precedente, l’espressione è riferita non al solo aspetto della normazione, ma anche a quello degli istituti, degli atti, dei soggetti e delle organizzazioni attinenti alla fenomenologia giuridica del mondo sportivo. In senso stretto, infine, essa individua quella parte della legislazione e della normativa statale che disciplina la materia sportiva all’interno dei singoli paesi.
La formazione del diritto sportivo, inteso sia come normazione tipica delle istituzioni sportive, sia come complesso di svariati elementi costitutivi, ha origini piuttosto recenti: risale infatti alla seconda metà del 19° sec., allorché furono create le prime associazioni sportive, poi riunite in federazioni sia a livello nazionale sia a livello internazionale. Importanza preminente ebbe inoltre il ripristino delle Olimpiadi. Ancora più recente è la comparsa del diritto sportivo inteso quale particolare settore della legislazione statale, in quanto l’interesse dei poteri pubblici verso lo s. si è rivelato piuttosto tardi, e cioè soltanto quando lo s. stesso ha finito per assumere una dimensione socialmente ragguardevole.
Nello studio e nell’elaborazione del diritto sportivo il maggior problema dottrinale, non privo tuttavia di cospicui riflessi pratici, è senza dubbio rappresentato dalla configurabilità di un ordinamento giuridico sportivo, in aderenza alla nota teoria sulla pluralità degli ordinamenti giuridici. La maggioranza della dottrina e buona parte della giurisprudenza sono ormai orientate nel senso di riconoscere l’esistenza di un ordinamento giuridico sportivo con caratteristiche di autonomia e di originarietà, anche se poi si riscontrano notevoli discordanze in sede applicativa. In sintesi si può dire che il mondo dello s. presenta tutti gli elementi tipici di ogni ordinamento giuridico, e cioè una plurisoggettività, una normazione e un’organizzazione.
La plurisoggettività si risolve nella presenza di un certo numero di soggetti destinatari delle norme proprie dell’ordinamento. Nell’ordinamento sportivo i soggetti possono essere persone fisiche (atleti, dirigenti, giudici, ausiliari, sostenitori), raggruppamenti associativi (associazioni, circoli, club, sezioni) o altre entità eterogenee (giornali, case editrici sportive, imprese produttrici di oggetti sportivi). Tali soggetti, uniti dal perseguimento della comune finalità di migliorare i risultati atletici e attuare così il ‘progresso sportivo’, entrano a far parte dell’ordinamento attraverso un atto formale denominato tesseramento per le persone fisiche e affiliazione per le entità associative. All’interno delle singole categorie soggettive esistono poi svariate differenziazioni che possono riguardare lo status personale (per es., atleti dilettanti e professionisti, iuniores e seniores e simili) o il valore sportivo desunto da fatti classificatori (per es., società di serie A, B, C).
La normazione dell’ordinamento sportivo è invece formata da un complesso di prescrizioni, contenute in atti giuridicamente individuati (statuti, regolamenti organici e tecnici) che stabilisce diritti, obblighi, poteri e facoltà dei soggetti. Questo insieme di norme dà vita, attraverso mutue interconnessioni, a un ‘sistema’ gerarchicamente strutturato e culminante in alcuni principi fondamentali (lealtà sportiva, uguaglianza tra i competitori) che, articolandosi via via per norme subordinate, garantiscono l’integrazione e la completezza dell’ordinamento.
L’organizzazione, infine, è l’elemento forse più importante dell’ordinamento sportivo poiché, oltre a rendere possibile l’azione dei soggetti, esercita su di essi un potere-autorità che limita la libertà di ciascuno in nome dell’interesse collettivo; e ne è anche l’aspetto più appariscente, in quanto quello sportivo è un mondo traboccante di istituzioni di ogni genere (federazioni, unioni, leghe, comitati).
In campo internazionale le figure organizzative tipiche dell’ordinamento sportivo sono rappresentate, da un lato, dal Comitato internazionale olimpico e, dall’altro lato, dalle federazioni internazionali. Il CIO, di cui fanno parte i Comitati nazionali olimpici dei vari paesi, è in realtà un ente parasportivo in quanto, oltre al compito di assicurare la regolare celebrazione dei Giochi olimpici, persegue scopi di ordine educativo, culturale, etico e sociale che si riassumono nella difesa del movimento olimpico e della filosofia del dilettantismo sportivo. Le federazioni internazionali, cui sono affiliate le federazioni sportive nazionali, costituiscono invece degli enti sportivi ‘puri’, essendo titolari esclusivi del potere di disciplinare gli s. cui presiedono. Descrittivamente le federazioni assolvono i compiti di: redigere le regole degli esercizi sportivi e delle gare, controllando che siano applicate; stabilire i calendari, il meccanismo e le formule delle competizioni; organizzarne o farne organizzare lo svolgimento e omologare i loro risultati; compilare e aggiornare le classifiche e le graduatorie dei titoli, e via discorrendo.
Assai più varia appare invece l’organizzazione sportiva interna, poiché, accanto alle federazioni e ai comitati nazionali olimpici, possono coesistere altri organismi sportivi pubblici o privati, a seconda degli indirizzi di politica sportiva adottati. Ciò normalmente non avviene in quei paesi che lasciano quasi interamente all’iniziativa dei privati la cura dell’attività sportiva (Stati Uniti, Gran Bretagna ecc.), mentre si è verificato in misura più o meno marcata negli Stati che adottano o hanno adottato forme d’intervento nel settore sportivo (Francia, Spagna, paesi socialisti). In tali casi si può avere o la creazione di speciali apparati e organismi statali (ministeri, istituti superiori, consigli nazionali) che esercitano competenze più o meno estese in materia sportiva, ovvero si può avere la pubblicizzazione di enti sportivi preesistenti.
In Italia l’ordinamento sportivo ha per legge una propria originarietà e una propria autonomia, con precisi ruoli e compiti attribuiti al Comitato Olimpico Nazionale Italiano (➔ CONI). Lo svolgimento di manifestazioni sportive che si esplicano attraverso gare e concorsi è sottoposto ad autorizzazione da parte del Comune. L’autorizzazione non è necessaria per le manifestazioni sportive con finalità esclusivamente educative senza scopo di lucro o di speculazione come quelle prese a iniziativa dell’autorità scolastica. Particolari autorizzazioni delle autorità amministrative specificamente competenti sono invece richieste per le gare automobilistiche, le manifestazioni nautiche, le gare ippiche.
Con l’espressione giustizie sportive si intende il complesso degli organi previsti non dalle leggi statali, ma dagli statuti e dai regolamenti federali per dirimere le controversie insorte tra atleti, associazioni di appartenenza e federazioni. In linea di principio è possibile distinguere 4 tipi di procedimento demandati agli organi di giustizia sportiva: un procedimento tecnico, che ha per oggetto le controversie concernenti l’organizzazione delle gare e la loro regolarità; un procedimento disciplinare finalizzato a reprimere i comportamenti degli associati contrari ai principi cui deve essere informata l’attività sportiva; un procedimento economico previsto solo in alcune federazioni; un procedimento amministrativo avente a oggetto l’impugnazione degli atti degli organi di governo (per il calcio è in particolare prevista una Corte federale con competenza in tema di validità delle assemblee, di provvedimenti disciplinari, di interpretazione e validità delle norme federali).
Elemento tipico del sistema di giustizia sportiva è il cosiddetto vincolo di giustizia imposto agli aderenti e caratterizzato da due obblighi fondamentali: il primo è quello dell’accettazione e del rispetto delle norme e dei provvedimenti federali, il secondo e più rilevante è quello di adire, per le controversie insorte tra gli affiliati, esclusivamente gli organi federali. Tale obbligo comporta la preclusione per i tesserati a rivolgersi per la risoluzione delle controversie alla giustizia ordinaria, all’autorità giudiziaria ordinaria e al giudice amministrativo. Per alcune federazioni il vincolo è peraltro limitato, soprattutto in relazione alla possibilità di ricorso al TAR di Roma, per quel che concerne le controversie non aventi, o non esclusivamente, carattere tecnico e disciplinare.
Il contratto di lavoro sportivo è regolato dalla l. 91/23 marzo 1981, che detta le norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti. La legge afferma il principio che la prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce, salvo specifiche eccezioni, oggetto di contratto di lavoro subordinato; detta le formalità per le stipulazioni del contratto; dispone espressamente che mediante clausola compromissoria le controversie possono essere deferite a un collegio arbitrale; prevede la graduale eliminazione del vincolo sportivo inteso come limitazione alla libertà contrattuale dell’atleta professionista. Particolare rilievo ha assunto negli ultimi anni la necessità di regolamentare l’apporto e il tesseramento nelle squadre di club italiane di atleti professionisti provenienti da federazioni straniere, soprattutto in rapporto alla legislazione ordinaria sull’immigrazione, alle direttive a livello europeo sulla libera circolazione dei lavoratori nell’Unione Europea e alle possibili esigenze di specificità, in tal senso, dello s. rispetto ad altri settori del lavoro.
Branca della scienza medica che ha lo scopo di studiare i fenomeni d’interesse medico collegati con le attività sportive. Orientata inizialmente alle occorrenze d’ordine traumatologico e chirurgico degli s. più diffusi (calcio, sci, rugby ecc.), ha poi esteso i propri interessi allo studio dei problemi fisiologici e biochimici dell’allenamento, dello sforzo e della fatica; alla selezione psicofisica degli atleti; ai fabbisogni alimentari connessi all’attività sportiva; alle indagini sulle modificazioni funzionali (cardiocircolatorie, respiratorie, ormonali ecc.) indotte dal maggiore o minore impegno fisico richiesto dalle diverse specialità sportive; alla valutazione dell’idoneità fisica per la pratica di attività sportiva; alla ricerca dei metodi diagnostici rivolti a svelare il fraudolento ricorso al doping ecc.
Grande importanza nell’ambito della medicina dello s. hanno ormai acquisito la scienza della nutrizione e lo studio del metabolismo applicato all’esercizio fisico; vengono infatti allestiti regimi personalizzati che tengono conto delle esigenze nutrizionali nei vari momenti del programma di preparazione e allenamento. Sulla base di studi di fisiologia e biomeccanica, si possono classificare le attività sportive in: a) attività a impegno prevalentemente anaerobico (per es., 200 e 400 m piani); b) attività a impegno aerobico-anaerobico (per es., 800 m nell’atletica leggera, 500 m e 1000 m nella canoa kajak); c) attività di tipo prevalentemente aerobico (per es., marcia, maratona, sci di fondo); d) attività a impegno aerobico-anaerobico alternato (per es., lotta, judo, pugilato, tennis, s. di squadra); e) attività di potenza (per es., 100 m piani, lancio del peso, sollevamento pesi, salto in alto); f) attività di destrezza (per es., ginnastica artistica, equitazione, pilotaggio, tiro a segno).
La pratica costante di uno s. è in grado di determinare modificazioni funzionali e morfologiche a carico di vari organi e apparati, volte soprattutto a rispondere alle maggiori esigenze metaboliche da parte dell’organismo sotto sforzo. Di fatto, oltre a un notevole impatto a livello muscolare e osteo-articolare che varia di sede, intensità e tipologia a seconda della disciplina, gli apparati che maggiormente vengono sollecitati sono quello respiratorio e soprattutto quello cardiovascolare. L’attività sportiva influenza la respirazione in misura diversa a seconda delle varie discipline. Si assiste infatti a un notevole incremento delle richieste ventilatorie e di consumo di O2 nell’atletica di fondo e mezzo fondo, oppure a un arresto temporaneo del respiro nelle attività sportive dove lo sforzo richiesto è potente e di breve durata o nelle attività subacquee. In generale si ha un miglioramento degli scambi gassosi per aumento degli alveoli attivi e una riduzione del lavoro respiratorio per aumento del calibro delle vie respiratorie. A livello del cuore, pur verificandosi differenze a seconda del tipo di attività, si assiste a un ingrandimento dell’organo (per dilatazione e ipertrofia o solo per quest’ultima causa) e a una riduzione della frequenza cardiaca a riposo, contemporaneamente a un aumento di calibro del circolo coronarico.
La valutazione dello stato di salute e dell’idoneità fisica di un soggetto che voglia praticare attività sportiva rientra negli obiettivi della medicina dello sport. Il fine di un giudizio di idoneità è preventivo, volto cioè a tutelare lo sportivo dall’esposizione a rischi per la sua salute connessi con la pratica sportiva in presenza di patologie anche non accertate o asintomatiche. Esistono controindicazioni assolute e relative, legate alla tipologia dell’attività da praticare e alle caratteristiche proprie della patologia, e inidoneità definitive o temporanee passibili cioè di modificazione in caso di guarigione clinica. La maggior parte delle inidoneità alla pratica sportiva agonistica è da addebitarsi a malattie dell’apparato cardiovascolare e in minima parte a patologie ortopediche, otorinolaringoiatriche ecc.
Il termine s. estremi comprende una vasta gamma di attività sportive accomunate dalla ricerca di emozioni forti, del pericolo associato a un intenso impegno fisico. Questo nuovo modo di concepire lo s. si è sviluppato nel corso degli anni 1980 negli Stati Uniti dove tali s. (adventure sports) erano visti come un mezzo per sfruttare al meglio le proprie capacità fisiche e tecniche per misurarsi con situazioni e condizioni ambientali tali da richiedere una prestazione straordinaria. All’inizio degli anni 1990 gli s. estremi si sono ampiamente diffusi anche in Europa e, contemporaneamente, si è sviluppato un secondo livello di pratica, meno esasperato, accessibile a persone senza una specifica preparazione. Centri sportivi specializzati negli s. estremi sono oggi presenti nella maggior parte delle località turistiche e offrono la possibilità di praticare queste attività a diversi livelli di pericolosità. Tra le attività più diffuse: base jumping, lancio con il paracadute effettuato da grattacieli, torri o piloni, ponti o viadotti o strapiombi naturali; bungee jumping, salto con un elastico attaccato ai piedi che ferma la caduta a pochi centimetri da terra o dalla superficie dell’acqua; canyoning o torrentismo, percorso a piedi lungo torrenti incassati senza rive percorribili; cascatismo o ice climbing, scalata di cascate gelate; hydrospeed, discesa di un torrente sdraiati su un piccolo bob; ice flying, windsurf sul ghiaccio; snow rafting, discesa sulla neve fuori pista in un gommone.