Capacità morfogenetica di un’area o territorio embrionale o campo, di dare origine, in un determinato momento dello sviluppo, a una particolare struttura od organo. Per es. un’area di ectoderma della gastrula ha, in un dato momento, c. lentogena, cioè è capace, sotto lo stimolo della vescicola ottica sottostante, di formare un cristallino. Il campo degli arti ha c. di formare arti anteriori o posteriori.
La misura della funzione giurisdizionale attribuita a un determinato organo giudiziario, o la disciplina che consente la ripartizione dei procedimenti all’interno della stessa giurisdizione ordinaria o speciale.
Attribuzione e ripartizione tra i diversi giudici ordinari del potere giurisdizionale. Ai sensi dell'art. 99 c.p.c. chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente. In sede civile, il giudice che ha la c. generale in primo grado è il tribunale al quale sono devolute tutte le controversie che, sulla base dei criteri della materia e del valore ( criteri di c. verticale), non sono attribuite al giudice di pace (in linea di massima quelle di minor valore o attinenti a rapporti di condominio e vicinato) o alla Corte di appello. Individuata la tipologia, occorre determinare lo specifico giudice competente sul territorio nazionale ( criterio di c. orizzontale). La c. per territorio di norma appartiene a un solo ufficio giudiziario, solitamente quello della località in cui risiede la parte convenuta, ma non mancano casi in cui essa spetta a più fori concorrenti, sicché la parte che agisce può liberamente indirizzare la domanda a uno di essi. Tranne nei casi espressamente previsti dalla legge (art. 28 c.p.c.), i criteri di c. territoriale sono derogabili. A tal fine, le parti possono accordarsi e attribuire la c. per l’eventuale controversia che dovesse tra loro insorgere nel futuro a un giudice che altrimenti sarebbe incompetente per territorio. Se la clausola di deroga è inserita in un contratto predisposto da uno dei contraenti, colui che aderisce deve, a pena di nullità della clausola, sottoscriverla appositamente, dal momento che si tratta di clausola vessatoria (art. 1341, co. 2, c.c.). A controversia già insorta, le parti in causa possono operare analoga deroga allorché il convenuto eccepisca tempestivamente l’incompetenza territoriale del giudice adito e indichi altro giudice: a questo punto, se l’attore aderisce a tale indicazione, il giudice adito è tenuto a dichiarare la propria incompetenza e rimettere le parti al giudice indicato, la cui competenza per territorio non è più contestabile nel corso del giudizio innanzi a lui riassunto.
In materia penale, ai fini dell’individuazione del giudice competente per un determinato procedimento, occorre considerare i criteri della c. per materia, per territorio e per connessione (➔). La c. per materia (art. 5-7 c.p.p.) ha il suo fondamento nella natura del reato perseguito, ovvero nella gravità della pena irrogabile o ancora nella condizione personale dell’imputato. Si ripartisce tra la corte d’assise per i reati puniti più gravemente o di maggiore allarme sociale (art. 6 c.p.p.), il tribunale dei minori, per i reati commessi dai soggetti di età inferiore agli anni diciotto (art. 3 del d.p.r. 448/1988), il giudice di pace per le situazioni caratterizzate dalla semplicità dell’accertamento e dalla tenuità della sanzione, e il tribunale, per i reati che non appartengono alla c. dei tre organi precedenti (art. 6 c.p.p.).
La c. del pretore (art. 7 c.p.p.), per i reati punibili nel massimo con una pena detentiva fino a quattro anni e con una pena pecuniaria di qualsiasi ammontare, è stata abrogata dal d. legisl. 51/1998 e con la l. 479/1999 gli uffici del pretore sono stati incorporati in quelli del tribunale. Quest’ultimo procede poi in composizione monocratica per gli illeciti di sostanze stupefacenti e per i reati punibili con pena detentiva fino a 10 anni nel massimo, e in composizione collegiale per i reati per i quali è prevista una pena superiore ai 10 anni e per una serie di fattispecie indicate nell’art. 33 bis c.p.p. La c. per territorio è determinata dal luogo nel quale è stato consumato il reato (art. 8 c.p.p.) e serve a rendere più rapida e agevole la raccolta delle prove. Tuttavia, se dal fatto di reato è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l’azione o l’omissione; se il reato è permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione; nel caso di delitto tentato, la c. è del giudice del luogo in cui è stato compiuto l’ultimo atto diretto a commettere il delitto.
Sono inoltre previste nell’art. 9 c.p.p., e in singole leggi speciali, regole suppletive per i casi in cui la c. non può essere applicata in base alle regole generali menzionate o per quelli in cui un magistrato ricopre la qualifica di imputato (art. 11 c.p.p.). La norme sulla c. sopra delineate, assolvendo la funzione di individuare il giudice investito del potere giurisdizionale sul fatto di reato, esemplificano, a norma dell’art. 25, co. 1, Cost., il principio del «giudice naturale», secondo cui «nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge». Dalla norma si evincono la riserva assoluta di legge in materia di c. e il corollario divieto per un organo legislativo, amministrativo o giurisdizionale di sottrarre discrezionalmente un procedimento a un giudice legalmente precostituito. Pertanto, se il potere decisionale sul procedimento spetta a un diverso ufficio giudiziario, per ragioni di materia, territorio o connessione, il giudice procedente deve dichiarare la propria incompetenza.
L’incompetenza per materia per difetto, che ha luogo quando il giudice procedente è inferiore rispetto a quello effettivamente competente, è rilevabile anche d’ufficio fino all’irrevocabilità della sentenza; quella per eccesso, che si verifica, invece quando il giudice che procede è superiore rispetto a quello competente, può essere rilevata anche d’ufficio, ma non oltre le questioni preliminari precedenti la dichiarazione di apertura del dibattimento. La declaratoria di incompetenza per territorio è eccepibile dalle parti e rilevabile dal giudice fino alla discussione finale dell’udienza preliminare; se questa non ha luogo è eccepita o rilevata durante le questioni preliminari in dibattimento. Il giudice dichiara con sentenza l’incompetenza e trasmette gli atti al giudice competente. Le prove acquisite conservano, tuttavia, la propria efficacia, le dichiarazioni rese al giudice incompetente per materia, se ripetibili, sono utilizzabili nell’udienza preliminare e in giudizio con il meccanismo delle contestazioni probatorie ex art. 500 e 503 c.p.p., le misure cautelari già disposte conservano un’efficacia provvisoria fino a venti giorni dall’ordinanza che dichiara l’incompetenza, in quanto entro questo termine il giudice competente, qualora lo ritenga necessario, deve disporre una nuova misura cautelare.
La c. amministrativa, espressamente contemplata dall’art. 97 della Costituzione, è stabilita dalla legge e non può essere derogata se non da istituti quali la delega (➔), l’avocazione (➔) o la sostituzione. Viene distinta per materia, per territorio, per grado e per valore economico. La c. per materia ripartisce i compiti fra i diversi organi con riferimento all’oggetto e ammette un’ulteriore ripartizione di tipo funzionale; la c. per territorio è data dalla ripartizione, nell’ambito di una stessa amministrazione, fra i diversi organi dei compiti relativi alle singole parti del territorio sul quale l’ente deve svolgere la propria azione; la c. per grado è data dalla priorità gerarchica, nel senso che le funzioni più importanti (di direzione e di coordinamento) sono affidate agli organi superiori, mentre le funzioni d’esecuzione sono affidate agli organi inferiori; la c. per valore è data invece dall’entità economica dell’oggetto. Prima di adottare qualsiasi atto, l’organo amministrativo deve accertarsi che sussista la propria competenza. Qualora un atto sia stato emanato da un organo diverso da quello competente, all’interno della stessa amministrazione, si configura l’ipotesi di incompetenza (vizio di legittimità): l’atto sarà invalido e produrrà effetti fino alla pronuncia di annullamento; se l’atto invalido è stato emanato da un organo che appartiene a un’amministrazione diversa, si configura invece l’ipotesi di difetto di attribuzione. Più in particolare, la l. 15/2005 ha disciplinato il regime dell’invalidità degli atti amministrativi introducendo all’interno della l. 241/1990 una distinzione tra le ipotesi di nullità (tra le quali il difetto assoluto di attribuzione, art. 21 septies) e i casi di annullabilità del provvedimento amministrativo (tra i quali il vizio di incompetenza, art. 21 octies). Un atto amministrativo perfetto in tutti i suoi elementi (contenuto, forma e fini) è comunque affetto da vizio di legittimità se viene adottato da un organo non competente; pertanto risulterà invalido e potrà essere oggetto di impugnazione davanti al giudice amministrativo (per essere annullato) o davanti al giudice ordinario (per essere disapplicato), oppure potrà essere oggetto di ratifica da parte dell’organo istituzionalmente competente, attraverso convalida o conversione.
Il titolo II della legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (l. 218/1995, art. 3-12) stabilisce che la giurisdizione italiana sussiste quando: a) il convenuto è domiciliato o residente in Italia; b) vi ha un rappresentante autorizzato a stare in giudizio, a norma dell’art. 77 del Codice di procedura civile; c) negli altri casi in cui è prevista dalla legge. I due primi collegamenti con la nostra giurisdizione (domicilio e residenza) devono essere determinati in base alle norme sostanziali italiane. Pertanto, il domicilio sussiste se la persona ha stabilito in Italia la sede principale dei propri affari o interessi (art. 43, co. 1, c.c.), e la residenza se ha in Italia la propria dimora abituale (art. 43, co. 2). La l. 218 (art. 3, co. 2) aggiunge inoltre che la giurisdizione italiana sussiste anche – in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione di Bruxelles del 1968, concernente la c. giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale – allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione. Rispetto alle altre materie, infine, la giurisdizione italiana sussiste anche in base ai criteri nazionali stabiliti per la c. per territorio (l. 218, art. 3, co. 2). D’altra parte, la l. 218 (art. 4, co. 1) prevede che, quando non vi sia giurisdizione in base all’art. 3, essa nondimeno sussiste se «le parti l’abbiano convenzionalmente accettata e tale accettazione sia provata per iscritto, o il convenuto compaia nel processo senza eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo».
La giurisdizione italiana può inoltre essere convenzionalmente derogata a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili. Il dispositivo italiano detta infine alcune specifiche norme in tema di adozione e filiazione, rendendo estremamente facile il ricorso ai tribunali italiani (art. 9).
Nella linguistica generativa trasformazionale, per traduzione dall’inglese competence, la conoscenza implicita che ogni parlante ha (come sistema interiorizzato di regole) della propria lingua e che gli permette di adoperarla, distinguendo le frasi corrette da quelle che non lo sono, spiegando le ambiguità, creando frasi nuove mai prima pronunciate.
Capacità di combinare, in modo autonomo e in contesti reali, i diversi elementi delle conoscenze e delle abilità acquisiti nel percorso di studio. Il concetto di c. è al centro del dibattito contemporaneo sui saperi scolastici, quale elemento decisivo nel passaggio verso una didattica più critica e creativa. Il percorso di insegnamento e di apprendimento è infatti ridefinito come progetto di una progettazione curricolare centrata sull’acquisizione di c. utili all’esercizio di un’autonoma adultità.
Nell’ingegneria gestionale, indicatore della capacità complessiva che manifesta una persona nell’affrontare uno specifico settore di attività o un determinato lavoro. Si differenzia dall’attitudine, che indica la predisposizione a un compito, dall’abilità, che si acquisisce solo con l’esperienza specifica nel settore, e dalla capacità in senso assoluto, che viene usata più tipicamente per aspetti pratici legati al lavoro specifico, mentre la c. riunisce in sé capacità pratiche, conoscenze acquisite dall’individuo in altri contesti, esperienza nel ruolo e affinità di tipo psico-attitudinale alle mansioni da svolgere.
La nuova riforma parziale del processo civile. Le modifiche al libro I del codice di procedura civile di Fabio Cossignani