In generale, la manifestazione del sentimento con cui l’uomo, riconoscendo l’eccellenza di un altro essere, lo onora. Si distingue in c. profano e c. religioso. Quest’ultimo è il più comune e include le nozioni di manifestazione esterna del sentimento religioso, adorazione del divino e relazione con il sacro.
Nella scienza delle religioni si fa distinzione tra c. e magia, e tra c. e mito, tra l’elemento sentimentale e quello ideologico e nozionale, da cui proviene la giustificazione razionale dell’atto di culto. Caratteristica del c. in generale è la delimitazione di una sfera sacra rispetto ai luoghi, al tempo e alle persone. Circa i primi si osserva che il luogo destinato al c. è sempre separato, è un ‘recinto sacro’ (gr. τέμενος; lat. templum, dalla stessa radice di τέμνω «taglio»), sottratto all’uso profano; può essere il focolare, l’altare o la ‘casa’ del dio, cioè il tempio vero e proprio che, in qualche caso, soprattutto là dove la società religiosa è distinta dalla civile, diventa anche il luogo di riunione dei fedeli.
Quanto alle persone, si avverte la necessità che il rapporto con il sacro sia stabilito da chi si trova non solo in stato di purità rituale, ma anche in stato di una speciale relazione con il sacro, per cui la persona stessa possa agire come intermediario tra il gruppo umano, o il singolo che ne fa parte, e la divinità; in alcune società le funzioni del ‘sacerdote’ e quelle del capo o re sono riunite nella stessa persona; in altre, e nel corso della storia, tendono sempre più a distinguersi.
Infine, relativamente al tempo, la sacralità di esso è determinata dalla distinzione di epoche, giorni, momenti particolari, in cui si possono celebrare gli atti del c. (e gli atti profani sono generalmente interdetti); espressioni di tale separazione sono i diversi calendari, che segnano le feste. Il c. implica manifestazioni concrete, che possono avere per oggetto l’adorazione e la propiziazione della divinità o il ringraziamento, mediante atti speciali quali il voto, la preghiera, il sacrificio.
Nel cristianesimo, il c. si è venuto sviluppando storicamente. Per i primi tempi le testimonianze, oltre che nel Nuovo Testamento, vengono dai più antichi scritti, specialmente alcuni dei cosiddetti Padri Apostolici, e da alcuni apologisti (Giustino, Tertulliano). Ben presto si raccolsero regole e prescrizioni, le più antiche delle quali sembrano risalire a Ippolito romano. Nel 4° sec. il c. cristiano divenne pubblico e ufficiale, con la costruzione delle grandi basiliche, lo sviluppo delle processioni, dei pellegrinaggi, del c. dei martiri e dei santi in genere, delle reliquie. Il c. delle immagini fu combattuto dall’iconoclastia e autorizzato dal Concilio di Nicea (787).
Il cattolicesimo distingue tra: c. di latria, quello esclusivo, reso a Dio, cioè alla Trinità, alle singole Persone di essa, a Gesù Cristo anche sotto le specie eucaristiche e, in virtù dell’unione ipostatica, a singole parti della sua umanità (S. Cuore, Cinque piaghe), e c. di dulia, reso ai santi; da questo si distingue a sua volta quello di iperdulia, reso alla Madonna. Altra distinzione è quella tra c. assoluto, che si rivolge alle persone (Dio, Vergine, Santi), e c. relativo, per le cose connesse con le persone sante e partecipanti della loro santità (reliquie, immagini), sicché si ha un c. di latria relativo per la Croce, gli strumenti della Passione, le immagini di Gesù Cristo e di Dio.
Si distingue inoltre il c. interno da quello esterno, e specialmente il c. privato dal pubblico. Il concetto di c. pubblico integrale è spiegato dal Cod. iur. can., can. 834 par. 2, che recita: «Tale culto si realizza quando viene offerto in nome della Chiesa da persone legittimamente incaricate e mediante atti approvati dall’autorità della Chiesa». È infine da notare che il c. pubblico reso ai beati, a differenza di quello per i santi canonizzati, è soggetto ad alcune limitazioni.
L’ordinamento costituzionale italiano riconosce e garantisce non soltanto la libertà religiosa individuale, quale diritto fondamentale e inviolabile dell’uomo, ma anche la libertà di c. nelle sue manifestazioni sociali. L’art. 19 della Costituzione stabilisce infatti che «tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il c., purché non si tratti di riti contrari al buon costume». Inoltre «il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di c. di una associazione o di una istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la loro costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività» (art. 20). In particolare, se i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono oggetto di specifica regolamentazione (art. 7), la Costituzione attribuisce a tutti i c. acattolici un potere di autodeterminazione sottratto all’ingerenza degli organi dello Stato: l’art. 8, norma inserita tra i principi fondamentali, dispone che «tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge» e che quelle «diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze». Secondo l’accordo di modificazione del Concordato lateranense (1984), in armonia con i principi costituzionali, si considera non più in vigore il principio della religione cattolica come sola religione dello Stato.