Robusta membrana muscolare e tendinea che separa nei Mammiferi la cavità toracica da quella addominale. Prende origine dal sistema dei muscoli retti addominali ed è ritenuto di natura ipobranchiale. Nell’Uomo ha forma di cupola a convessità superiore: contraendosi si appiattisce, aumenta il volume della cavità toracica e spinge in basso l’intestino; interviene perciò nei movimenti inspiratori e in quello della defecazione. Plesso diaframmatico Il complesso delle diramazioni terminali del nervo frenico (o diaframmatico), che hanno sede sulla faccia inferiore del diaframma. D. urogenitale L’aponeurosi perineale media, che nell’Uomo costituisce la parte inferiore della loggia prostatica.
Si definisce ernia diaframmatica (o transdiaframmatica), la protrusione di uno o più visceri addominali nella cavità toracica attraverso un’apertura abnorme del d., dovuta a cause congenite o traumatiche (fig. 1). Gli organi che più frequentemente si erniano sono, in ordine di frequenza, lo stomaco, il colon, l’ileo, l’omento, il fegato, la milza, il pancreas. I disturbi che ne derivano variano moltissimo per entità e per caratteri secondo i casi: accanto a forme completamente silenti e prive di sfavorevoli conseguenze vi sono casi con fenomenologie imponenti e talora, specie nei neonati, a evoluzione letale. Nelle forme più comuni, cioè nelle ernie dello hiatus esofageo (ernie iatali), che si riscontra soprattutto nella media età, i disturbi sono all’inizio modesti, ma con tendenza ad accentuarsi progressivamente: in conseguenza dell’incarceramento dello stomaco compare una dolorabilità saltuaria in sede epigastrica o retrosternale, irradiata al dorso, che insorge in genere dopo un pasto abbondante e recede dopo eruttazione o vomito. In seguito la sintomatologia dolorosa si estende, si accentua, diviene più frequente o addirittura continua; possono comparire fenomeni emorragici, disturbi del transito del cibo, denutrizione progressiva, disturbi cardiaci o del respiro. La cura può essere di tipo medico o chirurgico.
La diaframmite è una rara forma di miosite a carico del d., per lo più di origine virale, talora parassitaria (per es., da Trichinella spiralis).
In uno strumento ottico, schermo opaco con un foro centrale, per lo più circolare, disposto normalmente all’asse dello strumento e col centro sull’asse medesimo, che ha la funzione di eliminare, in maggiore o minore misura, i raggi marginali e quindi di ridurre opportunamente l’apertura del sistema. Un d. può trovarsi davanti allo strumento (cioè verso l’oggetto) oppure dietro (cioè verso l’immagine) o tra due parti di esso. Se un d. a si trova davanti allo strumento (schematizzato in fig. 2, a sinistra, nella lente b), di tutti i raggi uscenti da un punto P esso lascia passare soltanto quelli compresi nel cono avente il vertice in P e per base il foro AB del diaframma. Se il d. a è situato fra due parti dello strumento (schematizzato in fig. 2, a destra, nell’insieme delle due lenti b′ e b″), per la deviazione che la lente b′ antistante al d. fa subire ai raggi che l’attraversano, i raggi di fatto utilizzati vengono a essere quelli del cono che, avendo ancora il vertice in P, ha però per base l’immagine A′B′ di AB data da a′ ( d. virtuale), come se, non essendoci b′, fosse A′B′ il d. effettivo (ingrandito, in quanto il d. è posto davanti al fuoco). Se, come avviene normalmente, i fori dei vari d. sono circolari, ciascuna di queste immagini è un cerchio e di questi cerchi conta in definitiva, ai fini della limitazione del fascio, quello che è visto da P sotto l’angolo minore. Tale immagine è detta pupilla di incidenza o d’ingresso e il d. a essa corrispondente si chiama d. di apertura, in quanto determina l’apertura del sistema verso lo spazio-oggetti. Ha viceversa il nome di pupilla di emergenza o di uscita l’immagine della pupilla d’ingresso data dalla parte del sistema situato dietro a essa e limitante il cono dei raggi che vanno a formare l’immagine di P. Il d., poi, la cui immagine è vista sotto il minimo angolo dal centro della pupilla d’incidenza ha il nome di d. di campo; l’angolo in questione misura il campo del sistema. Talora, come avviene nella quasi totalità degli obiettivi delle macchine fotografiche, si usano d. ad apertura variabile; il più usato è il tipo a iride, così chiamato in quanto la sua funzione è analoga a quella che nell’occhio viene svolta dall’iride; è costituito da un certo numero di sottili lamelle metalliche di forma falcata (fig. 3) le quali a un’estremità sono imperniate equidistanti su un anello fisso e all’estremità opposta sono vincolate a glifo in un altro anello girevole, ruotando il quale varia il diametro del circolo che le lamelle circoscrivono.
D., funzionalmente e costruttivamente simili a quelli ottici, sono usati, in vari dispositivi e apparecchi, per limitare opportunamente l’ampiezza di fasci di raggi X, microonde, elettroni, protoni, neutroni ecc.
Dispositivo (parete o setto) che separa due compartimenti in cui sono contenute delle soluzioni (per es., saline) e avente la funzione di limitare la libera diffusione da un compartimento all’altro di una qualche specie ionica, presente in uno di essi. Nell’elettrolisi di soluzioni di cloruri alcalini in celle a d., il d. ha il compito di rendere minima la diffusione dal compartimento catodico a quello anodico degli ioni ossidrili (così da non produrre ipoclorito), in modo tuttavia che la resistenza elettrica della cella rimanga piccola. Si usano come d. nelle celle elettrolitiche impasti porosi, prodotti ceramici non verniciati, tele di materiale chimicamente resistente (amianto ecc.) nelle quali si diminuisce la porosità ostruendo in parte i pori con sostanze insolubili (solfato di bario, idrato ferrico ecc.).
In fonetica, restringimento o chiusura del canale di fonazione che si realizza mediante l’accostamento di superfici opposte (lingua e palato, labbro inferiore e labbro superiore ecc.) in un punto qualsiasi del canale, lungo tutto il tratto che va dalla glottide alle labbra. Il d. determina una o più cavità di risonanza.
Parete di cemento armato costruita direttamente nel terreno. Per la sua realizzazione si pratica dapprima, con una speciale benna mordente, un cavo di sezione rettangolare allungata della profondità voluta, che spesso viene riempito con fanghi bentonitici per evitare smottamenti sia in fase di scavo sia durante il riempimento successivo; nel cavo viene calata la gabbia d’armatura in tondini d’acciaio preparata fuori opera; gettato il calcestruzzo e, man mano che questo riempie il cavo, si recuperano i fanghi bentonitici.