radicale lìbero Atomo o aggruppamento di atomi originato dalla rottura di una molecola in corrispondenza di un legame di valenza formato da una coppia di elettroni, uno solo dei quali resta su ognuno dei due frammenti della molecola (scissione omolitica). L'elettrone, che risulta così non appaiato, conferisce al gruppo atomico a cui appartiene spiccata reattività (e, conseguentemente, vita molto breve) e paramagnetismo. Le reazioni in cui intervengono i r.l. interessano processi di grande importanza sia industriale (polimerizzazione, cracking) sia biologica, poiché essi rappresentano 'scorie' molto dannose del metabolismo catabolico. (➔ radicale)
Abstract di approfondimento da Radicali liberi di Francesco Minisci (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
Un atomo o un gruppo di atomi in cui è presente un elettrone non accoppiato viene chiamato radicale libero. Un biradicale è una specie chimica con due elettroni non accoppiati, mentre i poliradicali sono rari. Composti importanti della chimica inorganica, come il monossido e il diossido di azoto, sono radicali liberi. L’ossigeno, l’elemento più diffuso sulla Terra, allo stato molecolare è un biradicale. Lo studio dei radicali liberi e del loro comportamento è fondamentale per le scienze chimiche e ha avuto un grande sviluppo fin dagli inizi del Novecento specie nella chimica organica.
Nel 1900 Moses Gomberg scoprì il difenilmetile e Friedrich Adolf Paneth ottenne, nel 1929, radicali liberi metilici per decompressione termica. Negli anni Trenta, invece, William A. Waters e Donald H. Hey, spiegarono il meccanismo di molte reazioni in soluzione mediante meccanismi radicali, Morris S. Kharasch razionalizzava l’addizione anti-Markovnicov dell’acido bromidrico alle olefine e Paul J. Flory sviluppava la cinetica dei processi di polimerizzazione radicolica.
Quando i composti organici vengono portati a elevata temperatura, dell’ordine degli 800°C, sono suscettibili di subire rotture di tipo omolitico dei loro legami covalenti, nelle quali ha luogo la scissione della coppia di elettroni che contribuiscono alla formazione del legame stesso. Ciascuno degli elettroni si unisce a uno dei due spezzoni molecolari generando così i radicali liberi. Per esempio, il cracking termico (o piroscissione) degli idrocarburi saturi è un classico processo in cui si generano radicali liberi, i quali, però, innescano un sistema complesso di reazioni dalle quali si produce una moltitudine di composti. Pertanto, per realizzare processi selettivi, coi quali si ottengono ben definiti prodotti operando per via termica, occorre agire in condizioni più blande e utilizzare, quali sorgenti, molecole nelle quali siano presenti legami con energie relativamente basse, comprese tra 20 e 40 kcal/mol, e quindi facilmente dissociabili. Le più comuni fra queste molecole sono i perossidi, in cui è presente un singolo legame fra due atomi di ossigeno, e gli azoderivati, che consentono di generare radicali liberi tra 40 e 150 °C:
[1] RO−OR → 2RO∙
[2] R−N=N−R → 2R∙+N2.
In entrambi i casi R indica un residuo idrocarburico (metile, etile ecc.), mentre il puntino indica l’elettrone spaiato.
La fotolisi è un altro metodo generale per ottenere radicali liberi in condizioni blande. L’assorbimento da parte di una molecola di radiazioni ultraviolette eccita i suoi elettroni da uno stato fondamentale a uno stato eccitato di singoletto, che può subire molte evoluzioni, di cui alcune portano alla formazione di radicali liberi, come negli esempi che seguono:
[3] RO−C1 → RO∙ + C1∙
[4] Br−Br → 2Br∙
[5] Ar−I → Ar∙ + I∙
[6] R3Sn−SnR3 → 2R3Sn∙
dove Ar∙ indica un residuo arilico derivante dagli idrocarburi aromatici per eliminazione di un atomo di idrogeno dal loro gruppo.
La omolisi fotochimica è più specifica di quella termica poiché alla molecola viene fornito un valore ben definito di energia. Inoltre, lo stato di singoletto può trasformarsi in uno stato eccitato di tripletto (intersystem crossing) e quindi agire direttamente come biradicale.
La rottura omolitica dei legami covalenti può essere realizzata anche mediante radiolisi, utilizzando sorgenti di raggi X, elettroni ad alta energia e il 60Co. In questi casi può avere luogo l’espulsione di un elettrone e ̅ con formazione di un radicale cationico, che evolve ulteriormente a radicale neutro. Per esempio, l’acqua può costituire un’utile sorgente del radicale ossidrile:
[7] H2O → H2O∙+ + e ̅
H2O∙+ → HO∙ + H+.
Infine, sorgenti radicaliche molto versatili sono quelle che coinvolgono processi di ossidoriduzione con trasferimento di un elettrone. In tal modo, i perossidi reagiscono con vari sali metallici generando radicali all’ossigeno:
[8] RO−OR + Mn+ → RO∙ + RO- + M(n+
(Mn+=Cu+, Fe2+, ecc.).
Abstract di approfondimento da Radicali liberi: biologia e patologia di Giuseppe Rotilio (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
Le conoscenze acquisite sul ruolo dei radicali in tutti gli stadi di generazione e trasferimento dei segnali biologici di regolazione hanno permesso, negli ultimi anni, di rivisitare la patologia da radicali liberi, alla ricerca del loro coinvolgimento nei meccanismi patogenetici più intimi e sottili, al di là della mera constatazione di un danno terminale ipoteticamente di natura ossidativa. Questo ha anche aperto nuovi orizzonti alle prospettive terapeutiche. Tutta la medicina, nei suoi aspetti molecolari, è stata coinvolta in questa transizione, ma alcuni campi hanno assistito a progressi più significativi.1)+.
L’‘invecchiamento da radicali liberi’, cioè l’ipotesi semplicistica che la senescenza sia data dall’accumulo di danni cellulari causati dai ROS (Reactive oxygen species) prodotti durante il metabolismo dell’ossigeno, è divenuta quasi un luogo comune da quando, nel 1956, D. Hartman la propose per primo, indicandola, nel contesto delle conoscenze del tempo, come ‘una teoria basata sulla chimica dei radicali liberi e delle radiazioni’. Ora, però, disponiamo di dati meno descrittivi e fenomenologici, fondati sulla genetica. Sono stati ottenuti animali o cellule transgenici, nei quali l’alterazione dell’espressione genica di un enzima antiossidante modifica la lunghezza della vita del sistema biologico trasformato. Per quanto riguarda il meccanismo alla base di questi effetti, i dati più recenti si sono focalizzati sul mitocondrio come sede principale della connessione fra radicali liberi e invecchiamento, non solo come sito principale di produzione di ROS nella cellula, ma anche come bersaglio di scelta, da parte dei radicali liberi, nei processi di senescenza.
La morte cellulare programmata o apoptosi, processo molto importante nella senescenza dei tessuti, è in gran parte connessa con la liberazione nel citoplasma di fattori mitocondriali, a sua volta resa possibile dalla perdita d’integrità della membrana dell’organello dovuta all’azione dei radicali liberi. I ROS possono essere prodotti in eccesso dal mitocondrio stesso non solo in relazione a situazioni patologiche, ma anche in seguito all’azione di molecole che segnalano la scadenza, programmata geneticamente, del tempo assegnato alla vita di un determinato sistema biologico. Un locus genico implicato in segnali di questo tipo è stato individuato mediante mutazioni mirate del gene shc: la soppressione della sintesi di un suo prodotto proteico, denominato p66 dal suo peso molecolare, ha conferito ai topi trattati minore incidenza di malattie collegate all’invecchiamento, come l’aterosclerosi, e un significativo prolungamento di vita. È stato quindi scoperto che p66 è un enzima ossido-riduttivo che, una volta attivato da segnali pro-apoptotici di tipo ossidativo che modulano il suo grado di fosforilazione, è capace di deviare elettroni dal loro flusso normale nella membrana mitocondriale verso la produzione di perossido d’idrogeno, con conseguente stress ossidativo, senescenza e morte del sistema interessato.
La malattia di Alzheimer e la malattia di Parkinson insorgono in tarda età in zone specifiche del cervello che, ai rilievi autoptici, mostrano segni di danno ossidativo e appaiono come casi locali di invecchiamento in un tessuto, come quello nervoso, particolarmente suscettibile al danno ossidativo per via dell’intenso metabolismo aerobio e della relativa carenza di difese antiossidanti. Nell’Alzheimer, il legame improprio di alcuni ioni metallici a una determinata proteina neuronale potrebbe dar luogo a reazioni monovalenti con l’ossigeno (auto-ossidazione), che innescano la catena radicalica dei ROS. Nel Parkinson, l’auto-ossidazione riguarda i metaboliti della dopammina, neurotrasmettitore che si libera in alte concentrazioni proprio nelle aree cerebrali interessate dalla malattia.
Ma è nello studio della sclerosi laterale amiotrofica (SLA) che la medicina molecolare dei fenomeni ossido-riduttivi ha fornito gli spunti più interessanti, e ancora una volta i progressi sono avvenuti grazie al contributo della genetica. La SLA è una paralisi progressiva che insorge in genere in età matura e che porta inesorabilmente alla morte, in pochi anni, per degenerazione specifica delle cellule nervose che mandano gli impulsi per la contrazione muscolare (neuroni motori o motoneuroni). Si è visto che in una frazione molto ridotta di casi di SLA, con incidenza familiare ben definita, sono presenti mutazioni del gene della SOD 1, che alterano la funzione dell’enzima diminuendola o affiancandola a una nuova attività che, invece di essere antiossidante, è di tipo perossidasico e perciò pro-ossidante. In ogni caso si ha un aumento di ROS che porta alla morte dei motoneuroni. I casi, molto più numerosi, di SLA privi di questa mutazione (‘forma sporadica’) sono indistinguibili dalle forme familiari per sintomi, decorso e reperti autoptici. Si può ipotizzare che in questi ultimi casi intervenga un altro fattore che comunque aumenti il flusso dei ROS nei motoneuroni. La comparsa di questa malattia, tipica dell’età intorno ai 50 anni, in giovani che esercitano attività sportive di tipo agonistico, spesso accompagnate da abuso di farmaci, è in linea con tale ipotesi. In Italia, un numero significativo di casi è stato diagnosticato in calciatori a fine carriera.
Negli stati trattati precedentemente è evidente che la bilancia ossido-riduttiva è spostata verso condizioni pro-ossidanti che favoriscono la degenerazione e la morte cellulare. La crescita di un tumore è invece marcata da una tendenza incontrollata alla proliferazione di determinate cellule. In realtà nel cancro i radicali liberi hanno un ruolo differente a seconda delle diverse fasi del processo tumorale: la carcinogenesi (fase di trasformazione), lo sviluppo del tumore (fase di progressione) o la terapia. Mentre nella prima fase domina il ruolo mutageno dei ROS (è assodato il rapporto fra cancro e presenza nell’ambiente di condizioni note per la loro capacità di produrre radicali, come l’inquinamento chimico o quello radioattivo), per lo sviluppo del cancro sono più favorevoli condizioni locali che promuovono la proliferazione cellulare, cioè, in genere, uno stato ridotto degli antiossidanti tessutali. Al momento della terapia si cerca invece di produrre flussi radicalici imponenti a livello della neoplasia, con trattamenti radio- o chemioterapici, sfruttando la più alta sensibilità delle cellule tumorali ai radicali liberi per via del maggiore ritmo riproduttivo e della minore presenza di antiossidanti tipici delle cellule poco differenziate.
Gran parte delle calorie introdotte con gli alimenti vanno a costituire il potenziale di riduzione dell’ossigeno nel mitocondrio, al fine di produrre energia sotto forma di ATP. Il 245% dell’ossigeno consumato in questo processo dà origine in condizioni fisiologiche a superossido e agli altri ROS. Quindi, quanto maggiore è il contenuto calorico di una dieta, tanto più elevato è il flusso di ROS dai mitocondri. Poiché si è visto che la produzione mitocondriale di ROS è correlata ai processi di invecchiamento, ci si è chiesto se la riduzione delle calorie assunte durante la vita di un individuo (restrizione calorica) possa portare all’allungamento della vita stessa. Le ricerche su animali da esperimento hanno dimostrato che questa relazione esiste ed è associata a ridotto danno ossidativo degli enzimi mitocondriali coinvolti nella riduzione dell’ossigeno da parte dei derivati metabolici di componenti alimentari ricchi di energia.
Oltre a questa rilevanza dei ROS nella quantità globale di apporto alimentare, sono oggetto di studi molto approfonditi le specifiche attività pro- o anti-ROS dei vari componenti della dieta, sia naturali sia aggiunti (additivi e integratori alimentari). Molte vitamine (soprattutto A, C ed E) neutralizzano direttamente i ROS, mentre alcuni ioni minerali (rame e ferro in particolare) sono coenzimi essenziali di enzimi che neutralizzano i ROS, come la superossidodismutasi e la catalasi. Oltre che di questi nutrienti indispensabili, i vegetali sono ricchi di sostanze che, pur non essendo necessarie al nostro metabolismo, hanno ugualmente un’azione positiva sulla prevenzione delle malattie collegate ai radicali liberi, proprio per la loro elevata capacità antiossidante: si tratta dei polifenoli, composti che conferiscono ai vegetali colori molto intensi e sono molto abbondanti soprattutto in bevande come il tè e il vino rosso.
La necessità di preservare le proprietà antiossidanti degli alimenti, nelle condizioni di distribuzione dilatata nel tempo e nello spazio tipiche delle società moderne, ha fatto diffondere l’uso di additivi chimici ad azione antiradicalica. È inoltre sempre più diffusa l’abitudine di surrogare la capacità antiossidante di un’alimentazione naturale varia e bilanciata con l’assunzione di vitamine e minerali in pillole o in estratti concentrati. Si deve però tener presente che un antiossidante è tale in quanto dotato di capacità riducenti, e quindi la sua assunzione al di fuori delle sinergie e delle compensazioni presenti in un alimento o in una dieta può portare a interferenze con le azioni fisiologiche dei radicali liberi, o a effetti pro-ossidanti solo apparentemente paradossali, perché un riducente in concentrazioni eccessive tende ad auto-ossidarsi in presenza di ossigeno, innescando a sua volta la produzione di ROS.
L’esercizio fisico è collegato all’alimentazione, in quanto consuma nel muscolo l’ATP derivato dalle calorie alimentari. In questo senso ha un’azione protettiva analoga alla restrizione calorica. Sforzi eccessivi portano però a una maggiore produzione di ROS, sia a causa dell’aumento del consumo di ossigeno, sia per i ripetuti cicli di ipossia/riossigenazione che si hanno soprattutto negli sport anaerobi e che riproducono una situazione, a livello di tutto l’organismo, paragonabile a quella che si crea localmente nell’infarto cardiaco. Queste complicazioni sono prevenute dall’allenamento che ha, fra i suoi molti effetti, quello di indurre l’espressione dei geni degli enzimi antiossidanti. Un particolare tipo di esercizio fisico è quello che si effettua in alta montagna, come sulla vetta del monte Everest dove la pressione parziale di ossigeno diminuisce fino ad arrivare a un terzo di quella presente a bassa quota. È stato dimostrato che, in condizioni estreme, il consumo di ossigeno produce per il 50% radicali liberi (contro il 25% fisiologico), a causa della drastica riduzione e inefficienza del metabolismo dei mitocondri e dell’alternanza di fasi ipossiche durante lo sforzo e di riossigenazione durante il riposo. Gli adattamenti molecolari delle popolazioni acclimatate all’altitudine comprendono una maggiore espressione genica degli enzimi antiossidanti, e questo si riscontra anche negli individui che vivono a quote inferiori ma che si sono sottoposti a un congruo periodo di allenamento in altura.