Processo morboso a carico delle arterie, che ha la sua espressione caratteristica nella cosiddetta placca aterosclerotica (o ateroma), consistente in un ispessimento asimmetrico dello strato più interno del vaso, la tunica intima, e costituita da cellule, tessuto connettivo, lipidi e detriti cellulari. La componente cellulare comprende cellule vascolari (muscolari lisce ed endoteliali) e cellule di origine infiammatoria/immunitaria.
L’ateroma si compone di un core (centro), costituito da macrofagi ricchi di colesterolo e lipidi extracellulari, circondato da un ‘cappuccio’ formato da cellule muscolari lisce e da una matrice ricca di fibre collagene. Oltre alle cellule muscolari lisce ed endoteliali, la componente cellulare comprende linfociti T, macrofagi e mastociti, tutti dotati di un variabile stato di attività e in grado di produrre molecole infiammatorie. Contrariamente a quanto ritenuto in passato, è proprio lo stato di attività dinamica della placca, più che il grado di ostruzione da essa generato in condizioni basali, a precipitare le conseguenze cliniche. A livello locale, la placca aterosclerotica presenta infatti una più o meno intensa attività immunitaria e infiammatoria, sostenuta dalla produzione locale di molecole di adesione, citochine, chemochine, prostaglandine, angiotensina II, proteasi e radicali liberi dell’ossigeno. Tale stato di attivazione promuove la crescita del core lipidico, attraverso l’internalizzazione da parte dei macrofagi di lipoproteine a bassa densità (LDL) ossidate, e l’assottigliamento del rivestimento della placca, rendendola prona alla rottura. Questo ultimo evento trasforma la placca da stabile a instabile. La rottura del cappuccio fibroso espone l’interno della placca, ricco di materiale trombogeno, al torrente ematico, con la conseguente formazione di un trombo occludente che esita nella ischemia/ infarto dei tessuti vascolarizzati dall’arteria interessata dalla lesione.
Sotto il profilo clinico, le conseguenze più comuni dell’a. sono la malattia coronarica (ischemia/infarto del miocardio), la malattia cerebrovascolare (attacco ischemico transitorio/ictus cerebri), e la malattia vascolare periferica, comunemente localizzata a livello degli arti inferiori. Alcuni fattori-chiave contribuiscono alla genesi/progressione dell’a: i principali sono l’ipercolesterolemia, l’obesità, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, il fumo di sigaretta. La familiarità per malattia aterosclerotica riveste un ruolo di primaria importanza, attraverso fattori genetici (per es. iperomocisteinemia) ancora in via di definizione.
Il trattamento preventivo e curativo dell’a. contempla le modificazioni dello stile di vita (dieta ipocalorica e ipolipidica a basso contenuto di acidi grassi saturi, esercizio fisico, interruzione dell’abitudine tabagica), il trattamento dei concomitanti fattori di rischio cardiovascolare (principalmente ipertensione arteriosa e diabete mellito) e l’assunzione di farmaci in grado di ridurre il contenuto di lipidi nel plasma (statine, fenofibrati, inibitori dell’assorbimento del colesterolo). Pietra miliare nel trattamento farmacologico dell’ipercolesterolemia, le statine sono inibitori dell’HMG-CoA reduttasi in grado di ridurre le concentrazioni plasmatiche di LDL e di modificare la composizione delle placche aterosclerotiche già presenti, aumentando la componente fibrosa del cappuccio (stabilizzazione di placca) e rendendole quindi più resistenti alla rottura. Di recente introduzione, l’ezetimibe, da sola o in associazione alle statine, agisce bloccando l’assorbimento intestinale del colesterolo e riducendone conseguentemente le concentrazioni plasmatiche.
Il trattamento invasivo delle lesioni aterosclerotiche (➔ angioplastica) si avvale di particolari dispositivi denominati stent (➔), atti a mantenere pervio il lume del vaso nel tempo. Allo scopo di evitare il fenomeno della restenosi post-angioplastica, in casi selezionati è indicato l’uso di stent in grado di rilasciare farmaci antinfiammatori e anti-proliferativi (stent medicati).