(o collageno) Principale proteina strutturale extracellulare presente nei tessuti connettivale e osseo di quasi tutti gli animali. Nel tessuto connettivo, nella pelle e nelle cartilagini le fibre di c. formano una struttura reticolata e irregolare mentre assumono conformazione ordinata in tessuti calcificati o nei tendini.
Proprietà fondamentali del c. sono rigidità e resistenza alla trazione onde consentire ai tessuti in cui è presente di resistere a notevoli sforzi meccanici. I c. provenienti da specie diverse differiscono nella composizione o per l’assenza di alcuni amminoacidi, ma contengono sempre il 35% circa di glicina (Gly) e l’11% circa di alanina (Ala). I c. hanno una struttura glicoproteica derivante dalla presenza di esosi legati trasversalmente rispetto alla direzione principale della struttura stessa: tale legame è reso possibile dalla idrossilisina nella catena polipeptidica, in grado di legare gli esosi in quantità variabili tra 1-10% in peso nelle varie specie. Il modello strutturale proposto per il c. è basato sull’ipotesi dell’esistenza di un’unità fondamentale ripetuta, detta tropocollagene, lunga 2800 Å, del diametro di 15 Å e peso molecolare di circa 300.000. Ciascuna unità è composta di tre eliche polipeptidiche sinistro-orientate e avvolte tra loro a formare una superelica ternaria destrogira. I frequenti residui di prolina determinano il particolare tipo di disposizione elicoidale della catena mentre i più piccoli residui di glicina permettono alle catene di intrecciarsi. Tale comportamento risulta dovuto alla presenza di sequenze amminoacidiche ripetute del tipo (Gly-X-Pro)n; (Gly-X-Hypro)n; (Gly-Pro-Hypro)n, dove X è uno qualsiasi dei venti amminoacidi essenziali. L’insieme dei numerosi legami idrogeno che si formano tra le catene rende quindi molto rigida questa struttura a cavo ritorto (coiled coil). Le unità di tropocollagene vengono legate covalentemente tra loro attraverso una molecola di deidrolisinorleucina, derivata dalla condensazione enzimatica di due residui adiacenti di lisina, posti sempre agli estremi di ciascuna unità. Le molecole di tropocollagene si giustappongono sfasate tra loro per un quarto circa della loro lunghezza per formare quindi una fibrilla di c. che, al microscopio elettronico, presenta delle striature caratteristiche e periodiche della lunghezza di 640 Å e diametro di 0,5 micron circa.
Le fibre di c. traggono origine dai fibroblasti del tessuto connettivo, dai condroblasti della cartilagine e dagli osteoblasti, ove avviene la sintesi delle unità di tropocollagene. Le catene polipeptidiche del c. sono sintetizzate a livello dei ribosomi legati al reticolo endoplasmatico e vengono poi rilasciate come precursori a lunghezza maggiore (pro-catene) che si aggregano a formare la tripla elica di procollagene da cui, per azione della procollagenasi, si genera il tropocollagene. Questo viene poi trasportato all’esterno delle cellule e polimerizzato con un meccanismo tuttora non completamente noto. L’ipotesi più attendibile attribuisce alla superficie cellulare dei fibroblasti la funzione di controllo e orientazione delle fibrille mediante microfibrille non c. di 30-160 Å addossate alla membrana plasmatica. Esse agirebbero come matrici di polimerizzazione, a formare fibrille c. striate di 200 Å circa, dimensione critica per l’autoaccrescimento. La collagenasi è l’enzima che scinde specificatamente i legami peptidici delle regioni elicoidali del collagene.
Il c., dopo estrazione dalle cartilagini e dai tessuti connettivali degli animali, trova impiego come fibra nelle suture e in sostituzione del cuoio, come gel nelle emulsioni fotografiche, come costituente di involucri per formaggi.
Sotto la denominazione patologia del c. s’include un gruppo indefinito di malattie a genesi per lo più oscura che hanno in comune un’alterazione caratteristica della sostanza amorfa fondamentale. In tale gruppo sono comprese, fra le altre, l’artrite reumatoide, la malattia reumatica, la periarterite nodosa, il lupus eritematoso disseminato, la dermatomiosite, la sclerodermia. Attualmente si tende a non considerare più tali malattie come facenti parte di un gruppo nosografico omogeneo e le si indica più propriamente con il termine connettiviti (➔ connettivo).