Corpo solido proveniente dal cosmo, pervenuto sulla superficie della Terra o di altro pianeta o satellite del Sistema solare. La disciplina scientifica che ha per oggetto lo studio delle m. è la meteoritica; la meteorolitologia studia la natura, la composizione chimica e mineralogica, la struttura e l’età delle meteoriti.
Il termine meteorite viene spesso impropriamente usato come sinonimo di meteoroide. Solo alcuni dei meteoroidi che cadono sulla Terra raggiungono il suolo come meteoriti. Quelli che hanno dimensioni comprese fra un decimo di mm e alcuni cm vaporizzano completamen;te nell’alta atmosfera a causa dell’intenso riscaldamento prodotto dall’attrito con l’aria (➔ meteora). Possono sopravvivere all’attraversamento dell’atmosfera solo i meteoroidi più piccoli o quelli più grandi. I primi, per i quali il rapporto superficie/volume ha valori elevati, riescono a irradiare l’energia sviluppata negli urti con le molecole dei gas atmosferici, senza surriscaldarsi troppo, e arrivano al suolo rimanendo solidi (micrometeoriti). Essi vengono individuati, per es., nei sedimenti oceanici e nelle calotte di ghiaccio polari. I meteoroidi di grandi dimensioni, invece, si riscaldano fortemente nella caduta: tuttavia, se la loro massa supera ∿1 kg e la loro struttura è abbastanza compatta, non vaporizzano completamente. A volte essi rimangono interi fino all’impatto al suolo, ma più spesso si spezzano in frammenti nell’atmosfera, dando luogo a una ‘pioggia’ di detriti. I meteoroidi molto massicci riescono addirittura a scavare crateri nel suolo: si calcola che una volta ogni circa 10 anni cada sulla Terra un meteoroide in grado di produrre un cratere di dimensioni significative.
Le m. vengono usualmente indicate con il nome della località dove sono state trovate: per es., Allende è la m. caduta nel 1969 presso il villaggio di Pueblito de Allende (Messico); Juvinas, quella caduta nel 1821 presso l’omonimo paese della Francia; Orvinio, quella caduta nel 1872 in Italia, presso l’omonimo centro della provincia di Rieti.
Le m. sono tradizionalmente classificate, in ordine decrescente del loro contenuto di metalli, in 3 grandi categorie: sideriti, sideroliti e aeroliti. A loro volta queste categorie vengono suddivise in classi e sottoclassi, basandosi sia sulla composizione chimica sia sulla struttura mineralogica (forma e dimensioni dei cristalli, presenza o meno di inclusioni).
Le sideriti (dette anche ferri meteorici o m. ferrose) sono costituite da leghe di ferro e nichel quasi puri. Hanno, di conseguenza, una densità assai elevata (fra 7,6 e 7,9 g/cm3). La loro origine extraterrestre si riconosce immediatamente, dato che sulla Terra il ferro si trova sempre combinato con altri elementi. Le sideriti rappresentano solo il 4% delle m.: a questa categoria appartengono, però, tutte le più massicce, fra le quali Hoba West, la maggiore m. finora individuata, di massa di oltre 60 t.
Le sideroliti (o litosideriti) sono costituite da leghe di ferro-nichel mescolate a silicati; hanno una densità di circa 4,7 g/cm3. Sono appena l’1% delle meteoriti. Si distinguono in mesosideriti, se fra i silicati prevalgono i feldspati e i pirosseni, e in pallasiti, se prevale l’olivina.
Le aeroliti (dette anche pietre meteoriche o m. litoidi) sono costituite principalmente da silicati. La loro densità (3,5-3,8 g/cm3) è inferiore a quella delle altre m., ma pur sempre maggiore delle densità tipiche delle rocce della crosta terrestre (3,1-3,3 g/cm3). Le aeroliti sono la categoria più numerosa di m. (∿95% del totale). Esse vengono distinte in condriti e acondriti, in relazione alla presenza o meno di condrule (o condri), inclusioni di forma sferica aventi diametri dell’ordine del millimetro.
Le m. sono frammenti di corpi più grandi. Esse possono perciò essere classificate in base alle caratteristiche del corpo ‘genitore’, dal quale derivano. Da questo punto di vista, le m. si distinguono in primitive e differenziate. Le prime provengono da corpi che hanno conservato, nel corso della loro storia, la composizione chimica originaria. Le seconde da corpi che hanno subito un processo di differenziazione, simile a quello che, nel nostro pianeta, ha condotto alla formazione del nucleo, del mantello e della crosta. Sia lo studio delle m. primitive sia quello delle m. differenziate è di grande interesse. Le prime rappresentano campioni dei materiali dai quali ha tratto origine il Sistema solare: le condrule, che esse contengono, sarebbero goccioline condensate dei gas che costituivano la nebulosa primordiale. Le m. differenziate permettono, d’altra parte, di investigare la struttura interna dei corpi celesti: le sideriti, in particolare, rappresentano dei campioni di quello che è, presumibilmente, il nucleo terrestre, inaccessibile alla nostra osservazione diretta.
L’età di una m. (cioè l’epoca in cui essa si è formata passando dallo stato liquido a quello solido) si stabilisce con il metodo delle datazioni radioattive, impiegato anche per le rocce terrestri e lunari. Si è trovato che tutte le m. primitive e la massima parte di quelle differenziate hanno età comprese fra 4,4 e 4,6 miliardi di anni. L’assenza di m. più antiche suggerisce che il Sistema solare si sia formato circa 4,6 miliardi di anni fa. D’altra parte, il fatto che le m. differenziate abbiano età comparabili con quelle delle m. primitive implica che i processi di differenziazione nei pianeti abbiano avuto luogo nelle prime fasi della storia del Sistema solare.
Da lungo tempo sono state individuate sostanze organiche in certe meteoriti. In passato si pensava che queste fossero il risultato di una contaminazione con l’ambiente terrestre. La certezza della loro origine cosmica è venuta quando nella m. Murchison, caduta in Australia nel 1969, è stata scoperta la presenza di amminoacidi destrogiri (quelli posseduti dagli esseri viventi terrestri sono tutti levogiri). In seguito, sono state individuate sostanze organiche in varie altre meteoriti. Per queste analisi, le m. più adatte sono quelle recuperate nei ghiacci dell’Antartide, dove, date le caratteristiche ambientali, i rischi di un inquinamento biologico terrestre sono minimi. La scoperta di molecole organiche complesse nelle m. è di grande interesse. Sembra di poter escludere che esse abbiano avuto un’origine biologica. Tuttavia, il fatto che queste sostanze (che rappresentano i costituenti fondamentali delle proteine e degli acidi nucleici) esistessero nel Sistema solare già 1 miliardo di anni prima della comparsa della vita sul nostro pianeta fa pensare che anche l’ambiente terrestre ne fosse ricco: e questo dovette essere il fattore decisivo che rese possibile lo sviluppo dei primi organismi viventi.
Per stabilire la natura dei corpi ‘genitori’ delle m., occorre tener presenti i processi che avvengono in un pianeta nelle prime fasi della sua vita. Formatosi per aggregazione di minuscoli grani di polvere, un pianeta ha inizialmente una struttura indifferenziata. Ben presto, però, esso viene fortemente riscaldato dall’energia liberata nel decadimento degli elementi radioattivi che contiene. Se le sue dimensioni superano qualche centinaio di kilometri, il calore non riesce a sfuggire abbastanza rapidamente attraverso la superficie, sicché gli strati interni fondono: la caduta dei materiali più pesanti verso il centro determina allora la differenziazione del pianeta in strati di composizione chimica diversa (nucleo, mantello). Solo i corpi planetari più piccoli conservano la loro struttura originaria. Le m. primitive, che, come si è detto, sono frammenti di pianeti indifferenziati, devono dunque derivare da corpi di diametro inferiore a qualche centinaio di km. D’altra parte, anche le m. differenziate provengono, per la maggior parte, da corpi di dimensioni simili. Infatti, la loro struttura cristallina rivela che esse sono appartenute a pianeti che, dopo la fase di differenziazione, hanno subito un raffreddamento relativamente rapido e che, quindi, dovevano avere diametri non superiori a qualche centinaio di km. Le ragioni per cui alcuni dei corpi genitori delle m. abbiano subito un processo di differenziazione e altri no rimangono tuttora da chiarire. È comunque certo che le m. sono frammenti di corpi di piccole dimensioni e non di un unico grande pianeta, come era stato proposto nel passato. La diversa composizione chimica delle varie classi di m. rivela, anzi, che esse derivano da numerosi corpi distinti. Varie osservazioni suggeriscono che le m. siano, per la massima parte, pezzi di asteroidi (pianetini) frammentatisi in seguito a collisioni.
Crateri meteorici. - Sulla superficie della Terra vi sono assai meno crateri da impatto che non su quella di altri corpi a essa relativamente vicini, come la Luna o Marte; la distribuzione, infatti, in una determinata regione ha una densità relativamente ridotta rispetto ai potenziali impatti (v. fig.). D’altra parte, ci si aspetta che sulla Terra, data la maggiore intensità del suo campo gravitazionale, cadano più m. che sulla Luna. Due fattori limitano, però, il numero dei crateri sul nostro pianeta: la presenza di un’atmosfera abbastanza densa, che fa vaporizzare le m. più piccole prima che raggiungano il suolo; l’intensa attività geologica, che distrugge i crateri in tempi relativamente brevi. Il secondo fattore è il più importante: bastano, infatti, alcune decine di migliaia di anni perché i processi di erosione e sedimentazione cancellino la maggior parte dei crateri. Soltanto i crateri più grandi (con diametri di decine di km) o quelli che si trovano in certe regioni (deserti, tundra), dove le precipitazioni sono assai scarse, riescono a sopravvivere più a lungo. Sull’arco delle centinaia di milioni di anni, i movimenti tettonici della crosta possono poi far scomparire anche i crateri maggiori. Sulla Terra, per es., non si trova traccia di quel bombardamento meteoritico primordiale (terminato intorno a 3,9 miliardi di anni fa) che ha, invece, profondamente segnato il suolo della Luna o di Mercurio.
Il cratere da impatto meglio conservato che vi sia sulla Terra è il Meteor Crater (o Crater Mound; anche Coon Butte), depressione quasi circolare dell’Arizona, 35 km a O di Winslow, costituita da un cratere da impatto con un diametro di 1250 m e una profondità di 180 m. Scoperto nel 1871, fu inizialmente ritenuto un vulcano spento, e nel 1929 D.M. Barringer accertò la sua origine meteoritica. Studi successivi hanno dimostrato che il cratere è stato scavato circa 45.000 anni fa, da una m. ferrosa (siderite), di massa ∿109 kg (1 milione di t), che viaggiava a una velocità di oltre 60.000 km/h. La m. affondò nel terreno, prima di esplodere a causa dell’enorme surriscaldamento. Si calcola che nell’esplosione si sia sviluppata un’energia di 20 megatoni (1000 volte maggiore di quella della bomba atomica che distrusse Hiroshima). Sul fondo del cratere e nella zona circostante, si sono trovati numerosi frammenti meteoritici; si pensa però che la maggior parte della m. si sia vaporizzata al momento dell’esplosione. L’ottimo stato di conservazione del cratere dipende dalla natura desertica della regione, assai povera di precipitazioni.
Fra gli impatti meteoritici più recenti, si ricorda quello avvenuto nella zona di Sichote-Alin (Siberia), nel 1947, che produsse una trentina di crateri, il maggiore dei quali aveva un diametro di circa 30 m. Ben più violento fu l’evento verificatosi, sempre in Siberia, nella foresta di Tunguska, tra i fiumi Lena ed Enisej, nel 1908. Si ebbe allora un’esplosione, che produsse nell’atmosfera un’onda d’urto avvertita dagli strumenti in tutto il mondo. Nel cielo si vide una palla di fuoco il cui splendore, a 600 km di distanza, era, a detta dei testimoni oculari, superiore a quello del Sole. Si è calcolato che l’esplosione abbia sviluppato un’energia di 10 megatoni. La taiga fu distrutta su un’area di 1000 km2, ma, stranamente, non si formò alcun cratere, né nella zona si sono reperiti detriti meteoritici. Il meteoroide, la cui massa è stata stimata in 100.000 t, doveva essere un corpo ghiacciato, probabilmente un frammento di cometa, vaporizzatosi nell’aria prima dell’impatto al suolo.
Effetti sul clima e sulla biosfera. - La caduta di una grande m., avente un diametro di 10 km o più, è un evento assai raro, che si verifica, forse, una volta ogni 100 milioni di anni. Quando accade, esso ha certamente effetti sconvolgenti sull’ambiente terrestre. Uno degli impatti meteoritici più catastrofici della storia geologica recente del pianeta dovette verificarsi circa 65 milioni di anni fa. L’individuazione di questo evento risale al 1980, quando venne scoperto nelle rocce un sottile strato sedimentario, la cui composizione chimica (abbondanza anomala di iridio e osmio) ne rilevava l’origine meteoritica. La presenza di tale strato, che è stato riconosciuto in tutto il globo, suggerisce che la caduta di una m., avente una massa di oltre 1015 kg, abbia sollevato un’immensa nube di polvere, depositatasi poi lentamente al suolo. Il cratere scavato doveva avere un diametro di circa 200 km: di esso non è stata trovata traccia, il che fa pensare che l’impatto sia avvenuto negli oceani. All’epoca dell’evento (il passaggio fra il periodo Cretaceo e l’era Terziaria) si verificò l’estinzione dei dinosauri e di molte altre specie viventi. Secondo alcuni studiosi, non si tratterebbe di una coincidenza casuale. Infatti, la caduta della m. non soltanto cancellò ogni forma di vita entro un raggio di almeno 1000 km dal luogo dell’impatto, ma dovette avere conseguenze di vasta portata sul clima dell’intero pianeta. Per parecchie settimane, o addirittura per parecchi mesi, il Sole fu oscurato dalla polvere rimasta sospesa nell’atmosfera, sicché la temperatura al suolo subì una brusca diminuzione. Il 99% dei viventi, che allora popolavano la Terra, potrebbero essere periti in questa immane catastrofe ecologica.
Nella storia della vita sulla Terra, si registrano parecchi altri episodi di estinzione quasi improvvisa di un gran numero di specie viventi: finora, però, non sono stati identificati impatti meteoritici che possano con certezza essere messi in relazione con tali avvenimenti.