Genericamente, lo strato superficiale della crosta terrestre.
Il t. agrario rappresenta un corpo naturale di cui la qualità principale è data dal suo grado di fertilità (intesa come la capacità del t. di soddisfare le esigenze delle piante in termini di acqua e di elementi nutritivi) ed è, in linea di massima, inscindibile dalla presenza di sostanza organica nel suolo, che gli conferisce un’appropriata struttura. Il t. nel quale si coltivano cereali, ortaggi, foraggere ecc. è detto seminativo: semplice, se non vi sono alberi, e seminativo alberato se vi crescono alberi il cui prodotto costituisca un fattore notevole del reddito del fondo.
La distinzione fra t. agrario e t. vergine naturale riguarda essenzialmente la storia del suolo oppure la sua utilizzazione, ma non ne definisce la qualità oppure la suscettibilità a sostenere una vegetazione dal punto di vista agrario. Il t. agrario si sviluppa poi con le lavorazioni, le concimazioni, le opere d’irrigazione o di prosciugamento o gli interventi di bonifica. Importante è la giacitura del t., ossia la sua dislocazione rispetto al rilievo, la quale, insieme con gli altri fattori, ne determina la formazione e la natura: si distinguono perciò t. piani, inclinati, accidentati, ondulati e così via.
Il t. misto, argilloso-siliceo con un po’ di calce e di humus, di media compattezza, è detto terra franca ed è il migliore per le coltivazioni. Franco di coltivazione è invece lo strato di t. agrario compreso fra la superficie del suolo e il pelo ordinario dell’acqua freatica, in cui è eliminato il pericolo della eccessiva saturazione idrica, mentre una normale imbibizione permette lo stabilirsi delle condizioni necessarie alla prosperità delle piante coltivate. L’altezza dello strato franco è regolata dalle canalizzazioni, dall’affossatura e dalle sistemazioni, e il suo studio è particolarmente importante nella progettazione delle bonifiche.
I t. salsi contengono una quantità di sali solubili (cloruro di sodio e di magnesio, solfato di sodio e di magnesio e carbonato di sodio) tale da renderli inadatti alla vita vegetale, vi crescono soltanto piante alofile; in certi casi i t. salsi possono essere utilizzati come t. agrari previo allontanamento dei sali, per es. con il rivoltamento dello strato superficiale, con la bonifica per colmata, con correttivi, con il dilavamento per irrigazione.
Il t. soffice è quello bene amminutato e di struttura glomerulare, quindi permeabile all’aria e all’acqua e facilmente attraversabile dalle radici delle piante, ottimo per la vegetazione.
Il fattore principale nella gestione del t. rimane la lavorazione. Le tecniche tradizionali prevedono vari interventi meccanici, che vanno dall’aratura alle successive fasi di amminutamento del t. per la preparazione del letto di semina. Scopo essenziale è quello di regolare la sofficità del t., disgregandone meccanicamente le particelle assestate e trasformando quindi la struttura compatta in struttura lacunare: le particelle che lo costituiscono, assestandosi le une vicino alle altre, si dispongono in modo da lasciare tra loro spazi vuoti piuttosto considerevoli; tale struttura, per la porosità che determina, è molto favorevole alla vegetazione e ai microrganismi che ne favoriscono lo sviluppo e facilita la ritenzione dell’acqua. Altri scopi della lavorazione del t. sono la distruzione delle erbe spontanee, il ricoprimento di semi e di concimi, il perfezionamento della sistemazione, la scalzatura e rincalzatura delle piante, la modificazione delle condizioni di umidità del suolo, la raccolta degli organi sotterranei delle colture (tuberi, radici ecc.).
Si interviene sia con macchine e attrezzi discissori (che eseguono il lavoro di disgregazione del t. senza spostamenti sensibili: vari tipi di zappa, rastrelli, scarificatori, erpici, frangizolle, estirpatori, coltivatori, sarchiatrici meccaniche, ripuntatori, fresatrici, aratri a disco ecc.), sia con macchine e con attrezzi rovesciatori che hanno essenzialmente lo scopo di tagliare il t. in blocchi e di rovesciarli in modo da invertirne la distribuzione degli strati così da formare zolle la cui disgregazione è affidata all’azione degli agenti atmosferici o al lavoro degli strumenti discissori. Appartengono a questa categoria la vanga e l’aratro.
Le lavorazioni, e specialmente le arature, debbono essere sempre eseguite quando il t. è in tempera e cioè quando presenta condizioni di umidità entro limiti tali da non offrire eccessiva resistenza alla lavorazione e nello stesso tempo da non subire impastamento o compressione.
Il dissodamento, cioè l’insieme delle operazioni praticate a un t. mal coltivato o non coltivato da lungo tempo per renderlo adatto alle colture agrarie, riguarda anche gli strati profondi e inerti che non siano stati mai smossi. In tal caso è preceduto dalla spietratura per togliere i sassi o le pietre, a cui segue il prosciugamento nelle terre acquitrinose o paludose e la rimozione della vegetazione naturale. La profondità di lavorazione varia da 30 a 50 cm per le colture erbacee e da un minimo di 60 a un massimo di 130 cm e oltre per le colture arboree.
Lavoro preliminare alla coltura di un t. è la rottura delle stoppie fatta con aratri leggeri o con scarificatori subito dopo la raccolta della coltura precedente. I lavori principali, eseguiti di solito con l’aratro, sono considerati superficiali se la loro profondità non supera i 15 cm, medi se non supera i 25-30 cm e profondi quando oltrepassano tale limite. Le lavorazioni profonde presentano il vantaggio di favorire lo sviluppo delle radici, aumentare la permeabilità del t. e quindi l’immagazzinamento di acqua. Poiché l’azione della lavorazione profonda sulla sofficità del t. dura per un certo tempo, viene operata a intervalli di un certo numero di anni alternandola con lavori più superficiali; si parla quindi di rinnovo e con lo stesso termine si designano le colture che la seguono e che sono di solito piante a ciclo primaverile-estivo caratterizzate in genere da un elevato fabbisogno di acqua. Il lavoro di rinnovo nei t. compatti deve in ogni caso essere eseguito prima dell’inverno per favorire l’immagazzinamento di acqua e far subire al suolo lavorato l’azione degli agenti atmosferici; nelle terre sciolte invece è preferibilmente eseguito in primavera. Le lavorazioni secondarie o complementari sono quasi sempre superficiali e hanno lo scopo di conferire una struttura fine al t., necessaria per ottenere un buon letto di semina. Esse sono compiute soprattutto con erpici di vario tipo.
Se il t. è superficialmente secco, la germinazione dei semi è favorita dalle rullature, che comprimono il suolo e ne attivano la capillarità e quindi la risalita dell’umidità dagli strati sottostanti. Le erpicature possono anche eseguirsi all’atto della semina per interrare i semi e i concimi o nel corso della vegetazione per rompere la crosta del t., attivarne la respirazione e limitarne l’evaporazione. Molto importanti sono le zappature o sarchiature, che hanno lo scopo di distruggere le erbe spontanee, di rompere la crosta superficiale e di limitare la evaporazione del t. interrompendone la capillarità e creando uno strato superficiale polverulento e protettivo; utili per tutte le colture e soprattutto per quelle a ciclo primaverile-estivo, esse si rendono possibili quando le piante vengono seminate a file. Le scarificature si eseguono specialmente nei prati per rompere la cotica e favorire l’aerazione del suolo e per permettere la penetrazione dell’acqua e dei concimi dati in copertura. Le rincalzature infine servono ad accumulare terre al piede delle piante e possono avere lo scopo di favorire l’emissione di nuove radici, di aumentare l’ancoraggio delle piante, di difendere queste ultime dalle gelate, di ostacolare la diffusione di certe malattie come la peronospora della patata; creando solchi tra fila e fila possono in certi casi servire anche per la distribuzione dell’acqua di irrigazione.
Per ridurre i forti consumi energetici e i costi elevati delle tecniche tradizionali sono stati studiati e messi a punto sistemi alternativi di lavorazione del terreno. La lavorazione a due strati, per es., prevede un’aratura alla profondità di 25-30 cm e un approfondimento del lavoro mediante il ripuntatore; può essere eseguita anche una doppia lavorazione, combinando, in un solo passaggio, aratura e fenditura del t. con uno strumento fessuratore (detto ripper) a 40-50 cm. L’aratura può essere sostituita dalla lavorazione con attrezzi a denti, che operano frantumando il t. senza rovesciarlo. La tecnica della minima lavorazione limita gli interventi a un’aratura superficiale del t. (non superiore a 15 cm) ed è applicabile ai t. leggeri o di medio impasto, in particolare per le semine di secondi raccolti ove è necessaria grande tempestività; si realizza con l’impiego di attrezzi diversi (zappatrici, erpici rotanti o a dischi, fresatrici), a volte combinati con seminatrici, spandiconcime e irroratrici di fitofarmaci.
Gli interventi di lavorazione del t. possono essere del tutto eliminati effettuando la semina su t. non lavorato mediante l’impiego di seminatrici speciali o, anche, tramite la sistemazione del t. a porche permanenti, ottenute mediante interventi annuali di assolcatura. Si tratta di una tecnica utile nei t. caratterizzati da ristagno idrico, in quanto la semina sulle file rialzate offre migliori condizioni per la nascita e la crescita iniziale delle piante.
Il t. è un sistema di notevole complessità sotto il profilo fisico, chimico e biologico. Oltre a svolgere specifiche funzioni di sostegno e substrato per la crescita delle piante, riveste un ruolo strategico nel mantenimento degli equilibri ambientali attraverso il filtraggio e la depurazione delle acque che alimentano le falde, e nella modulazione dei cicli biogeochimici degli elementi. Su queste basi la ricerca si va indirizzando verso modelli che descrivano i rapporti suolo-acque-colture, per la definizione di criteri di sensibilità ambientale delle aree. Attraverso tali studi è possibile peraltro contribuire a una valutazione attitudinale dei suoli che consente di delimitare le aree più vocate per le diverse produzioni, favorendo in tal modo l’ottenimento di prodotti agroalimentari di qualità.
Per studiare in modo accurato il comportamento dei suoli nei confronti degli inquinanti o per determinarne la vocazione è possibile affidarsi ai lisimetri, contenitori speciali in cui vengono posti blocchi di t. indisturbato, attraverso cui è possibile ottenere una buona rappresentazione della realtà, conducendo esperimenti in condizioni di campo. Il lisimetro, infatti, consente di raccogliere le acque di percolazione, dando così la possibilità di studiare il destino ambientale degli inquinanti, dei fertilizzanti e degli antiparassitari.
Sotto il profilo della gestione dei t. agrari sempre maggiore importanza tendono ad assumere le tecniche di gestione conservativa del suolo. Particolare importanza riveste la fertilizzazione, che deve orientarsi verso il mantenimento o l’aumento delle sostanze umiche. Un’area di intervento, volta sempre a migliorare la fertilità dei suoli, riguarda le tecniche agronomiche di stabilizzazione della struttura del t., messe a punto per i t. argillosi, alcalino-sodici e a basso tenore di sostanza organica, con lo scopo di migliorarne le condizioni di fertilità e lavorabilità. Gli interventi possono riguardare la regolazione della profondità della falda con drenaggio sotterraneo, l’applicazione di condizionatori della struttura (a base di polimeri organici come poliacrilato di sodio, alcol polivinilico, carbossimetilcellulosa ecc.), capaci di favorire l’aggregazione delle particelle del terreno; l’ammendamento con calcio sotto forma di solfato per indurre l’allontanamento di un eccesso di sodio.
La meccanica dei t. è la disciplina che studia i problemi di stabilità delle terre nelle diverse condizioni cui le terre stesse risultano soggette quando sono interessate a una qualsiasi opera di ingegneria. Vi rientrano pertanto sia i problemi di stabilità che si presentano nello studio dei rilevati stradali, dei terrapieni e dei muri di sostegno, delle dighe in terra, delle frane ecc., sia i problemi di stabilità che si presentano nello studio delle fondazioni di un qualsiasi fabbricato. In ordine alla stabilità delle fondazioni, il problema consiste nell’individuare la distribuzione delle tensioni nel suolo sottostante al fabbricato e nel prevedere i possibili movimenti nel tempo del suolo stesso. La distribuzione delle tensioni nei t. che siano sede di fondazioni può essere studiata con metodi della scienza delle costruzioni, note che siano le caratteristiche del t.; il successivo studio delle deformazioni nel tempo, cioè dei cedimenti, si fonda essenzialmente sulla conoscenza delle caratteristiche sia fisiche, sia geologiche, sia meccaniche dei t. interessati: oggetto principale della meccanica dei t. sono perciò in sostanza lo studio e la determinazione sperimentale di tali caratteristiche.
Possono distinguersi in caratteristiche costanti, proprie del t. (dette anche specifiche o intrinseche), e caratteristiche variabili, che risultano funzioni di grandezze diverse, quali il contenuto d’acqua, il tempo e i valori delle sollecitazioni a cui il t. stesso è sottoposto. Nelle caratteristiche intrinseche rientrano la natura geologica e la composizione chimica, l’angolo di attrito, la coesione, la granulometria, i limiti di plasticità, di fluidità e di ritiro, il ritiro, la densità dei granuli ecc.
Le caratteristiche variabili (grado di saturazione, densità apparente, grado di costipamento, indice e percentuale dei pori, contenuto d’acqua ecc.) sono per lo più legate alla presenza di una certa quantità di acqua nei pori del t. stesso. Grado di saturazione è il rapporto percentuale tra il volume dell’acqua contenuta nei pori della terra di un dato campione e il corrispondente volume dei pori. La densità apparente o di volume ρ è il rapporto tra la densità di un campione di terra allo stato naturale e il corrispondente volume. Per una stessa terra la densità apparente è variabile al variare del grado di saturazione. In particolare essa risulta massima in corrispondenza di un certo valore del grado di saturazione, caratteristico di ogni tipo di t.; il valore minimo della densità apparente (massa secca unitaria) si ha invece sempre quando il campione prelevato è totalmente privo di acqua. Tale grandezza non costituisce una caratteristica intrinseca dei singoli tipi di t.: anche per uno stesso t., la massa secca unitaria è variabile da campione a campione al variare della entità dei pori contenuti nei diversi campioni. Soltanto in un t. naturale che fosse perfettamente asciutto e completamente privo di pori, cioè compatto, la densità apparente verrebbe a coincidere con la densità dei granuli secchi (ρgs) del t. in esame. Quest’ultima viene a rappresentare ovviamente una caratteristica intrinseca, variabile da tipo a tipo di terreno. Per un campione di terra naturale si definisce in generale come grado di costipamento il rapporto tra la sua massa secca unitaria e la corrispondente densità dei granuli. L’indice dei pori è il rapporto tra il volume dei pori di un campione di t. e il volume effettivo Vs di t. secco. Si tratta dunque di una grandezza adimensionata, il cui valore è spesso anche maggiore di 1. Quando il t. è saturo d’acqua il volume dei pori coincide con il volume Va dell’acqua contenuta, per cui l’indice dei pori risulta ε=Va/Vs. Quando invece il t. non è saturo, ossia una parte del volume dei pori è occupato dall’aria e non dall’acqua, risulta più genericamente: ε=(ρsV/Ms)−1, dove si è indicato con V il volume effettivo del campione prelevato, con Ms la corrispondente massa del t. essiccato e con ρs la densità di quest’ultimo. Mentre per t. sabbiosi o ghiaiosi a granulometria assortita si ha spesso ε<1, per il limo ε può arrivare fino a 4-5, data la finissima suddivisione della materia in particelle di piccolissimo diametro. Con operazioni meccaniche di costipamento, eseguite oggi con mezzi idonei e diversi secondo la natura geologica e la granulometria del t., il valore di ε può sensibilmente ridursi. Oltre all’indice dei pori si definisce anche la percentuale dei pori di un t., come rapporto percentuale tra il volume dei pori contenuti in un campione e il volume apparente del campione stesso. Si tratta naturalmente di una grandezza sempre inferiore al 100%. Per valori dell’indice dei pori compresi tra 0,5 (sabbia o ghiaia) e 4 (limo), la percentuale dei pori risulta corrispondentemente variabile tra 33 e 80%. Il contenuto d’acqua è il rapporto percentuale tra la massa dell’acqua contenuta nei pori del t. di un dato volume e la corrispondente massa del t. essiccato.
Si è già detto che variando il grado di saturazione, e quindi il contenuto d’acqua, varia la densità apparente del t. in esame; si definisce in particolare umidità ottima di un t. il contenuto d’acqua corrispondente al massimo valore della sua massa secca unitaria. L’umidità ottima rappresenta cioè quel valore del contenuto d’acqua per il quale è possibile fare assumere a un t. la massima compattezza, il massimo grado di costipamento. Per l’individuazione dell’umidità ottima si ricorre per lo più alla determinazione della resistenza alla penetrazione, che è collegata alla prima da una relazione sperimentale individuata in laboratorio. Tale resistenza è quella offerta da un t. alla penetrazione di un’asta cilindrica di caratteristiche prefissate (ago di Proctor). Quando si debba procedere a costipare un terrapieno, o un rilevato stradale o altra opera in terra, si effettua a più riprese la prova con l’ago di Proctor, procedendo a innaffiamenti successivi con autobotte fino a trovare il valore della resistenza alla penetrazione che corrisponde alla umidità ottima. In queste condizioni il costipamento del t. darà luogo alla massima compattezza.
È altresì necessario considerare la possibilità che il t. venga a contatto con acqua di diversa natura (piogge, acque di falda ecc.). Nel caso di falde acquifere sottostanti al terrapieno è anche opportuno determinare preventivamente l’indice di capillarità del terreno. In molti casi interessa ancora la determinazione del coefficiente di permeabilità, definito dalla quantità di acqua che a una data temperatura (generalmente assunta di 10 °C) e sotto una pressione unitaria passa nell’unità di tempo attraverso un campione di t. di sezione e spessore unitari: la sua conoscenza ha grande importanza nelle opere di captazione di acqua mediante pozzi e nello studio e nella realizzazione di argini e dighe di terra. Il coefficiente di permeabilità dipende, oltre che dalla temperatura, anche dal grado di costipamento della terra, in quanto il suo valore diminuisce con il crescere della compattezza del t. stesso: per es., in una argilla grassa il coefficiente di permeabilità può essere ridotto mediante costipamento fino a 1/10 del valore che l’argilla aveva allo stato naturale.
Il problema più importante nel campo delle fondazioni è quello riguardante la determinazione della portanza del t., ossia il carico unitario massimo al quale può essere sottoposto il t. perché l’opera da fondare si trovi in condizioni di sicurezza. Questa determinazione è spesso fatta eseguendo sondaggi a varie profondità ed esaminando poi i campioni di t. ottenuti, confrontandoli con tipi di cui già si conosce la portanza; la determinazione così fatta è tuttavia in genere molto imprecisa per la difficoltà di catalogare esattamente il tipo di t. e anche per i numerosi fattori che influenzano la portanza stessa, quali il contenuto d’acqua, la granulometria dei costituenti ecc. Si ricorre allora alla prova di carico diretta; questa può essere fatta anche con rudimentali attrezzi di cantiere, come è indicato nella fig. 1: si esegue uno scavo nel terreno fino a raggiungere il livello dove verrà appoggiata la fondazione; si appoggiano due robusti spezzoni a di trave di legno squadrati e su di essi si dispone un tavolato di spessore adeguato b; alle due estremità del tavolato si collegano due sbarrette orizzontali c che funzionano da indici e nel t., in corrispondenza di queste sbarrette, si infiggono due asticciole graduate d; si esegue una prima lettura a impalcato scarico, poi si dispone una prima stesa di carico, generalmente sacchetti di cemento o di sabbia e, o mattoni o bidoni con acqua; dopo qualche ora si esegue un’altra lettura e subito dopo si dispone una seconda stesa di carico e così di seguito per varie volte fino ad avere i dati sufficienti per poter disegnare il diagramma sforzo (σ)-cedimento (s) (fig. 2). Questo diagramma presenta un tratto iniziale, OE, con andamento prossimo a una retta, poi un gomito, EP, e infine un altro tratto quasi rettilineo ma meno inclinato del precedente, PR: il tratto OE rappresenta la fase elastica del cedimento, quello EP la fase elasto-plastica e quello PR la fase plastica. Per portanza del t. si assume una frazione dello sforzo corrispondente al punto E: generalmente 1/2 quando il t. presenta pronunciato il gomito EP (t. di buona compattezza), ma si arriva anche a 1/3 e 1/4 per t. di scarsa consistenza. La prova di carico diretta può essere fatta con sistemi più perfezionati, impiegando flessimetri per la misurazione dei cedimenti.