L’insieme delle scienze e delle tecniche aventi per scopo la ricerca, la realizzazione e l’utilizzazione dei mezzi più adatti a consentire all’uomo di spostarsi da un punto all’altro dello spazio esterno alla Terra, con possibilità di raggiungere altri corpi celesti, di ripartire da essi e di far ritorno al luogo di partenza, in piena capacità psicofisica.
I primi studi di a. si devono al russo K.E. Ciolkovskij, il quale alla fine del 19° sec. valutò scientificamente le possibilità di utilizzazione dei razzi in tale campo. In epoca precedente al Primo conflitto mondiale, ricerche furono fatte dall’ingegnere francese R. Esnault-Pelterie, al cui libro L’astronautique si deve la diffusione del termine. Nei primi decenni del secolo, gli sviluppi della scienza e della tecnica aeronautica permisero a R.H. Goddard, negli USA, e a H. Oberth, in Germania, di riproporre, su basi più realistiche, le problematiche teoriche dell’astronautica. Gli studi di Goddard ebbero attuazione nel 1926, quando effettuò il lancio del primo razzo a propellente liquido. Quelli di Oberth, che consideravano in dettaglio anche il progetto di un’astronave con equipaggio umano da inviare verso altri pianeti, suscitarono entusiasmo e determinarono la fondazione della prima società astronautica, la Verein für Raumschiffahrt. Sotto gli auspici di questa società vennero progettati e lanciati, tra il 1929 e il 1933, numerosi piccoli razzi a propellente liquido ed effettuarono le loro prime esperienze molti di quei tecnici che realizzarono poi, durante il Secondo conflitto mondiale, i missili del tipo V. A pace raggiunta, furono proprio questi missili, soprattutto il V2, che consentirono agli USA e all’URSS d’impossessarsi di quelle tecniche strutturali e di lancio che sono state alla base di tutte le realizzazioni successive.
La storia dell’a. fino al 1990 si è presentata come una grande gara tra le due superpotenze mondiali: una gara che per molti anni ha visto gli scienziati e i tecnici dell’URSS in vantaggio sui colleghi statunitensi. Furono sovietici il primo satellite artificiale terrestre, lo Sputnik I (1957; 21 giorni di attività in orbita); il primo satellite con un essere vivente a bordo, lo Sputnik II (1957; con a bordo la cagnetta Laika; 7 giorni di attività in orbita); la prima sonda lanciata a schiantarsi sulla Luna, il Lunik II (1959); la prima sonda in orbita Terra-Luna, il Lunik III (1959; inviò buone fotografie della faccia nascosta della Luna); il primo satellite che riportò a terra animali viventi, lo Sputnik V (1960; ritornò a terra con due cagnette e altri animali, dopo 18 orbite); la prima astronave, la Vostok I (1961, astronauta J. A. Gagarin, un’orbita circumterrestre); la prima passeggiata spaziale (1965, astronauta A. Leonov, dall’astronave Voschod II); il primo allunaggio morbido, Lunik IX (1966); la prima sonda lanciata sul pianeta Venere, Venus III (1966); il primo satellite in orbita circumlunare, Lunik X (1966).
Il programma spaziale statunitense, un po’ convulso all’inizio per rimontare le tappe bruciate dai sovietici (il primo satellite americano, lo Explorer I, fu messo in orbita nel 1958, mentre il primo astronauta americano,J.N. Glenn, orbitò intorno alla Terra nel 1962, su un’astronave Mercury), si sviluppò poi parallelamente a quello sovietico, con grande varietà di realizzazioni, messa in risalto dalla larga pubblicità data sia alle operazioni di navigazione spaziale vera e propria sia ai conseguenti risultati scientifici. Presto apparve chiaro che mentre i sovietici puntavano essenzialmente all’esplorazione dei grandi spazi mediante sonde automatiche, prevedendo l’uso di astronauti principalmente per la realizzazione di stazioni scientifiche orbitanti quali laboratori per osservazioni fisiche e fisiologiche, l’ente americano per la navigazione e le ricerche spaziali, la NASA, pur dando importanza a veicoli d’esplorazione non abitati, puntava decisamente sulle astronavi, ponendosi come primo obiettivo lo sbarco di uomini sulla Luna. Così, accanto a un notevole numero di satelliti artificiali generici e specializzati e di sonde spaziali fu avviato un programma di navigazione spaziale umana, mediante i tre successivi progetti Mercury (➔), con astronavi monoposto, Gemini (➔), con astronavi biposto, e Apollo (➔ Apollo, Programma), con complesse astronavi a 3 posti, atte allo sbarco sulla Luna. Fu appunto con una di tali astronavi, nella missione Apollo XI, che avvenne lo sbarco sul satellite naturale della Terra di 2 astronauti, il 20 luglio 1969.
I Sovietici, nella ‘corsa alla Luna’, insistevano sulla tecnica delle stazioni automatiche: nel settembre 1970 la missione del Lunik XVI si posò sulla Luna, eseguì varie misurazioni e ritornò sulla Terra portando campioni del suolo lunare; Lunik XVII depositò sulla Luna un laboratorio automatico montato su un veicolo semovente, il Lunochod, telecomandato.
Con il programma statunitense Skylab, basato su un laboratorio orbitale con a bordo via via nuovi equipaggi, furono effettuati esperimenti e ricerche in campo astronomico, medico e tecnologico. I Sovietici avviarono negli anni 1970 esperimenti analoghi con i lanci delle Salyut. Nel luglio 1975 fu realizzata la prima missione congiunta sovietico-americana per approfondire la collaborazione spaziale. Alla serie Salyut i sovietici fecero seguire la stazione spaziale Mir che, lanciata in orbita nel 1986, in 15 anni di attività ospitò 100 astronauti di varie nazionalità ed effettuò più di 20.000 esperimenti prima di disintegrarsi nell’atmosfera nel marzo 2001.
Negli anni 1980 gli USA diedero inizio al programma Space Shuttle, caratterizzato dall’utilizzazione successiva di navette spaziali, ciascuna progettata per effettuare circa 100 voli. Il volo di prova avvenne nel 1981, la prima missione operativa nel 1982. Nel 1986 la distruzione in fase di lancio della navetta Challenger, che causò la morte di sette astronauti, determinò un rallentamento del programma, ripreso nel 1988. Dopo una nuova interruzione, che ha fatto seguito all’esplosione della navetta Columbia al suo rientro nell’atmosfera nel 2003, i voli degli shuttle sono ricominciati nel 2005.
Dopo il rallentamento successivo alla dissoluzione dell’URSS, la Russia ne ha proseguito i programmi spaziali, con una prospettiva nuova. Stati Uniti e Russia, infatti, ora collaborano con Canada, Giappone e 13 Stati europei, tra cui l’Italia, al progetto della stazione spaziale permanente ISS, il cui assemblaggio in orbita è iniziato nel novembre 1998, mentre il lancio del primo nucleo abitabile è avvenuto nel 2000 (➔ stazione).
Sistemi di propulsione. - In linea teorica un corpo può essere lanciato dalla superficie terrestre a distanza grandissima, teoricamente infinita, sia sottoponendolo a un’azione propulsiva costante capace di trasferirlo a tali distanze con velocità uniforme (irrealizzabile sulla base degli attuali sistemi propulsivi), sia conferendogli in un’unica soluzione l’energia cinetica necessaria. Se il veicolo spaziale non parte dalla superficie terrestre, la velocità v è tanto minore quanto maggiore è la distanza delle stazioni di lancio dalla Terra.
L’unico motore attualmente impiegabile per il lancio di un veicolo spaziale è il razzo, che fornisce una spinta anche nel vuoto. Poiché non è possibile fornire tutta l’energia necessaria in un’unica soluzione, si fa ricorso a una struttura multipla dei missili vettori. Questi, pertanto, sono formati da vari stadi, ciascuno dei quali porta con sé gli impulsori e il carico di propellenti necessari per fornire al complesso la spinta che occorre per farlo giungere, con determinata velocità, alle quote volute, tenendo conto che, per l’attenuazione dell’attrazione gravitazionale e della resistenza atmosferica terrestri, sono richieste spinte via via minori. Esaurito il proprio compito impulsivo, ciascuno stadio si distacca automaticamente dai successivi, consentendo all’ultimo di essi d’imprimere al carico utile, rappresentato dal veicolo spaziale, la velocità necessaria per adempiere alla missione che gli è affidata. Ovviamente, però, un grande numero di stadi comporta altrettanto grandi difficoltà tecniche, e moltiplica le possibilità di avarie. Per questo motivo i missili vettori più recenti sono a non più di tre stadi.
Le forme di propulsione spaziale sono varie, ma la più comune è quella chimica, l’utilizzazione cioè di propellenti chimici solidi, liquidi o gassosi.
I propellenti solidi sono costituiti dalla mescolanza di sostanze solide combustibili e comburenti (o ossidanti) e la combustione, una volta innescata, non può essere interrotta. Tali propellenti presentano il vantaggio del basso costo, della sicurezza di funzionamento e della illimitata conservabilità.
I propellenti liquidi o gassosi sono costituiti dal combustibile e dal comburente che, contenuti in serbatoi separati, vengono compressi e successivamente immessi nella camera di combustione ove si sviluppa la reazione chimica. Tale tipo di propulsione può essere regolata o interrotta, fornisce impulsi specifici nettamente superiori a quelli dei propellenti solidi, ma è di delicato funzionamento e di notevole pericolosità.
Partenza di un veicolo spaziale. - Un missile vettore, destinato a inserire un veicolo su un’orbita terrestre, o nello spazio interplanetario, viene, di norma, fatto partire verticalmente dalla superficie terrestre. Dopo un primo tratto rettilineo, la sua traiettoria s’incurva per assumere l’inclinazione più adatta secondo una linea di massimo rendimento detta curva sinergica. Per ottenere questo scopo, i missili sono dotati di elaboratori elettronici contenenti la registrazione dei dati relativi alle operazioni da compiere. Durante il volo, al momento previsto, i dati vengono ‘restituiti’ automaticamente sotto forma d’impulsi elettrici che pongono in azione i congegni predisposti per l’esecuzione delle varie manovre. Più elevata è la precisione all’atto del lancio, tanto minori sono, ovviamente, le correzioni da apportare per avvicinarsi alla traiettoria prevista.
I problemi della guida sono d’importanza capitale in relazione al previsto consumo di propellente. Poiché i missili vettori, dopo i primi 40-50 km, si muovono praticamente nel ‘vuoto’, non vi è necessità d’impennaggi e di superfici aerodinamiche di comando. La stabilità e il comando sono ottenuti agendo sull’orientamento dei razzi con asse orientabile oppure mediante getti supplementari disposti eccentricamente, con portata comandata mediante sistemi di controllo asserviti al dispositivo di guida.
Per il buon esito di una missione spaziale fondamentale è lo studio dell’epoca ottima di lancio. Già nel 1925 W. Hohmann descrisse la traiettoria ottima tra due orbite circolari concentriche quali sono, con grande approssimazione, quelle della Terra e del pianeta obiettivo della missione. Tale traiettoria ottima è un’ellisse ( ellisse di Hohmann) tangente alle due orbite. Consideriamo, per es., la coppia Terra-Marte. La Terra ha un periodo di rivoluzione di circa 365 giorni, Marte di 687: la loro distanza varia tra un minimo e l’n massimo e l’intervallo di tempo tra 2 minimi (congiunzione) successivi è di circa 2 anni. Inoltre, a causa della non perfetta circolarità delle orbite e della loro diversa inclinazione, il suddetto minimo è variabile e si verifica un minimo dei minimi ogni 7 congiunzioni circa. Si ha quindi una finestra di lancio con cadenza biennale, centrata intorno al minimo locale, e condizioni favorevolissime a ritmo quindicennale.
Tecnologia di bordo. - Radiocollegamenti Durante il tragitto ascensionale il comportamento del missile (assetto, rotta, distacco degli stadi e del carico utile) è controllato via radio, con continuità, da apposite stazioni a terra. Anche successivamente queste stazioni si mantengono in collegamento radio con il veicolo spaziale (per l’ascolto, il controllo, l’acquisizione dati ecc.). L’impiego di opportune misure contro il ‘rumore’, di adeguate antenne direzionali e di sensibilissimi apparecchi di ricezione permette collegamenti anche a distanze di centinaia di milioni di chilometri.
Generatori elettrici L’energia elettrica occorrente per il funzionamento degli apparati radioelettrici di telecomunicazione e di teleguida, nonché dei vari dispositivi elettrici di bordo, deve essere fornita da appositi generatori, doti essenziali dei quali devono essere un’alta potenza specifica, cioè un alto rapporto tra la potenza elettrica erogata e la massa, un’alta sicurezza di funzionamento, un ingombro particolarmente ridotto. Nei primi veicoli spaziali i generatori erano costituiti semplicemente da batterie di accumulatori, ad alta capacità specifica (a zinco-argento, e tipi analoghi); si è passati poi a generatori costituiti dalla combinazione di accumulatori con cellule fotovoltaiche a semiconduttore, esposte ai raggi solari (batterie solari); successivamente, per es. nel programma Apollo, sono state usate le pile a combustione, basate sulla sintesi dell’acqua per combinazione di ossigeno e idrogeno. Protezione dei veicoli Durante il volo nello spazio, il veicolo deve essere convenientemente protetto da ogni possibile azione nociva: da quella delle radiazioni a quella dei meteoriti, dei quali quelli di grandi dimensioni sono estremamente rari, ma son molto numerosi quelli di piccola massa dell’ordine del centomillesimo di grammo o minore. L’impatto con un meteorite capace di danneggiare in modo catastrofico il veicolo è assai improbabile: comunque non può essere predisposta alcuna adeguata misura protettiva al riguardo. Per la protezione dalle radiazioni e dai piccoli meteoriti è invece sufficiente un involucro opportunamente spesso, realizzato con adatti materiali. La massa dell’involucro può venire poi utilizzata per la protezione termica nel rientro, che può essere ottenuta mediante: a) l’isolamento termico tra il materiale di rivestimento a contatto con l’atmosfera e la struttura interna del veicolo; b) un ‘pozzo di calore’, cioè mediante diffusione, entro una massa di materiale adeguato (di capacità termica e conducibilità elevate, di alto punto di fusione, leggera), del calore prodotto; c) l’ablazione. Tra i vari materiali, molto idonei per l’isolamento termico sono alcuni ossidi ceramici spruzzati a fiamma sul rivestimento metallico, feltri speciali ecc.; per i rivestimenti, metalli a elevato punto di fusione. Per il pozzo di calore è indicato l’uso di superleghe resistenti al caldo e di cermeti (combinazioni di materiali metallici e ceramici). Per l’ablazione possono essere impiegati composti ceramici, resine e altri materiali sintetici.
Rientro. - Il ritorno sulla Terra da una missione o l’arrivo su un corpo celeste costituisce la fase più delicata della navigazione spaziale. La necessaria riduzione della rilevante velocità si ottiene o con frenamento mediante retrorazzi oppure, in prossimità di corpi celesti provvisti di atmosfera, sfruttando la resistenza che questa oppone al moto del veicolo. Il frenamento per mezzo di razzi esige rapporti di massa dello stesso ordine di grandezza di quelli necessari a conferire la velocità richiesta per l’uscita dal corpo celeste: questi rapporti di massa, sempre più rilevanti al crescere della massa del pianeta, creano problemi seri di vario genere e porterebbero a gravissime limitazioni del carico utile e ad aumenti intollerabili della massa iniziale del sistema globale veicolo-missile vettore. Molto più conveniente è il frenamento aerodinamico, condizionato peraltro da due limitazioni essenziali. Anzitutto è necessario, per l’incolumità dell’equipaggio, contenere la decelerazione dovuta al frenamento atmosferico entro valori compatibili con la sopportazione fisiologica. In secondo luogo, è necessario contenere la temperatura esterna e interna in modo da evitare la disintegrazione del veicolo (come accade ai meteoriti che entrano nell’atmosfera), e da garantire l’integrità degli esseri viventi e delle apparecchiature. Perché il veicolo spaziale assorba solo una minima parte del calore in cui si trasforma l’enorme quantità di energia cinetica posseduta (le velocità all’inizio della fase di rientro superano generalmente i 28.000 km/h), questi veicoli hanno geometria tale da formare onde d’urto che consentono di trasmettere all’atmosfera la maggior parte del calore generato dal frenamento.
Affinché la decelerazione possa essere contenuta entro valori compatibili con la sopportazione fisiologica, è necessario che il rientro avvenga su traiettorie caratterizzate da angoli, tra la tangente alla traiettoria e l’orizzontale, molto piccoli (qualche grado); l’incontro con gli strati densi dell’atmosfera deve avvenire cioè con molta gradualità. Il calore trasmesso al veicolo per convezione alle velocità ipersoniche si riduce volando a quote elevate, impiegando forme sferiche o comunque tozze con raggi i più grandi possibile. Queste forme hanno infatti il vantaggio che la resistenza vischiosa è una piccola percentuale della resistenza totale (per la quasi totalità di pressione).
Le sollecitazioni cui l’organismo umano è sottoposto per raggiungere lo spazio cosmico e per ritornare sulla Terra, il comportamento delle attività vitali in condizione di volo spaziale, lo studio dell’azione patogena dei vari fattori nocivi presenti nello spazio e quello delle opportune misure di protezione costituiscono l’oggetto della medicina spaziale. I principali e più gravi problemi che questa branca medica ha dovuto affrontare sono: la difesa dalle accelerazioni cui sono sottoposti i cosmonauti nella fase di lancio e di rientro, i pericoli delle radiazioni e dei meteoriti, gli effetti dell’imponderabilità e le condizioni neuropsichiche del cosmonauta, la rigenerazione dell’aria, la riserva di sostanze alimentari e la rinnovazione dei prodotti di rifiuto.