videoregistrazione In elettronica, registrazione di immagini, o di programmi televisivi, mediante memorizzazione dei segnali video su opportuno supporto che ne consenta il successivo prelievo per la riproduzione o la trasmissione. È operazione comunemente effettuata per applicazioni professionali, per es., negli studi di produzione televisiva, ma anche a scopo didattico, di documentazione o amatoriale.
Un sistema di v. comprende un dispositivo per ottenere il segnale video, costituito da una telecamera o da un sintonizzatore, e un dispositivo di registrazione, che trasferisce il segnale sul supporto di registrazione. In riproduzione, un apposito dispositivo permette di ottenere una copia fedele del segnale video originale, il quale può essere visualizzato su un televisore (o su un monitor) ovvero può essere trasmesso dopo opportuna modulazione. I dispositivi per ottenere la registrazione sul supporto fisico formano nel loro complesso il videoregistratore, mentre quelli di lettura e riproduzione formano il videoriproduttore. Normalmente è prevista anche la registrazione e la riproduzione dei segnali audio corrispondenti ai suoni che accompagnano le immagini registrate.
Le tecniche di v. sono, in linea di principio, analoghe a quelle utilizzate nei sistemi di registrazione sonora, con la differenza che la banda di frequenza dei segnali video (almeno 3 MHz) è molto più ampia di quella relativa ai segnali audio (ca. 20 kHz). Ciò comporta che la quantità di informazione da registrare sul supporto fisico, nell’unità di tempo, è più di 100 volte maggiore. Come nel caso dei segnali audio, la tecnica di registrazione può essere analogica o digitale.
Prima dell’introduzione dei sistemi di v. digitale, avvenuta a partire dalla fine degli anni 1980, fra i vari sistemi di v. analogica proposti e realizzati, solo il sistema magnetico e quello discografico hanno avuto grande diffusione commerciale.
Sistemi discografici. Nelle prime applicazioni di questi sistemi di v. il segnale video era registrato sotto forma di variazioni di profondità di un microsolco a spirale fittissima inciso su un disco di materiale plastico (videodisco). Il dispositivo di lettura era costituito da un rivelatore piezoelettrico (testina) con puntina di diamante, sotto il quale ruota il disco sostenuto e guidato da un cuscino d’aria. Il segnale audio era registrato sotto forma di una successione di impulsi inseriti negli intervalli di riga e di quadro.
L’introduzione della tecnologia digitale ha trasformato profondamente i sistemi di v. discografica, grazie allo sviluppo di trasduttori di tipo ottico, realizzati mediante un dispositivo laser, con i quali le informazioni sono memorizzate per mezzo di piccole fessure, di dimensioni dell’ordine del decimo di micrometro, disposte lungo una spirale. Ciò ha comportato non soltanto un incremento della qualità del segnale video registrato, ma anche un sensibile aumento della durata della v., dai 10-15 minuti dei primi videodischi fino a qualche ora dell’ultima generazione di DVD (➔), i quali consentono la registrazione di interi programmi, film ecc.
Sistemi magnetici. Il sistema magnetico, utilizzato a livello professionale già dagli anni 1950, ha ottenuto, a partire dalla fine degli anni 1970, grande diffusione commerciale nei videoregistratori di uso domestico grazie alla loro grande versatilità e al basso costo. Il nastro contenuto nella cassetta che costituisce il supporto di v. non necessita di alcuna operazione di trattamento ma è immediatamente disponibile per la riproduzione, eventualmente a velocità ridotta e anche fotogramma per fotogramma (effetto moviola) o con fermo immagine. Questo tipo di videoregistratori nel corso degli anni è stato arricchito di ulteriori dispositivi, controllati da un microprocessore, che consentono tra l’altro la programmazione del tempo di inizio e di fine registrazione e, in fase di riproduzione, la ricerca automatica del punto di inizio di una registrazione, la ricerca veloce in avanti e indietro ecc. Inoltre, la realizzazione di videoregistratori portatili con alimentazione autonoma (ma senza la sezione di sintonizzazione, presente invece nel videoregistratore da tavolo come apparato ausiliario), dotati di numerose funzioni automatizzate, ha progressivamente determinato, sul piano amatoriale, la sostituzione del classico sistema di ripresa dilettantistico costituito da cinepresa, pellicola e proiettore, con il più funzionale sistema di v. magnetica.
Nei sistemi magnetici, a causa dell’occupazione spettrale del segnale video, contrariamente a quanto accade per la registrazione analogica del suono, non è possibile registrare il segnale in banda base ed è necessario ricorrere a un processo di modulazione di frequenza con basso indice di modulazione. Per raggiungere le necessarie velocità relative nastro-testina, dell’ordine di diversi metri al secondo, si utilizza il principio delle testine video rotanti. Tali testine sono montate su un tamburo rotante attorno al quale il nastro magnetico viene avvolto in modo da risultare scandito lungo tracce inclinate; la velocità relativa e la corretta inclinazione delle tracce registrate sono ottenute dalla combinazione delle velocità di rotazione del tamburo e di avanzamento longitudinale del nastro. In tutti i sistemi di v. la rotazione del tamburo è sincrona con la frequenza di quadro del segnale video. Il sistema è detto non segmentato quando l’informazione relativa a ciascun semiquadro è contenuta in una sola traccia; segmentato quando è suddivisa su tracce successive. Sono previste anche piste longitudinali per il segnale audio, per i segnali di controllo, usati anche allo scopo di consentire un corretto montaggio dei programmi registrati (editing). Sul tamburo rotante sono montate una o più testine e il nastro è avvolto secondo un arco di elicoide (sistema elicoidale).
Nei sistemi di v. analogica di segnali codificati, il segnale video codificato (PAL, NTSC e SECAM) è modulato in frequenza con basso indice di modulazione. Poiché le componenti di crominanza generano bande laterali con energia significativa al limite dello spettro del segnale registrato, per evitare la nascita di distorsioni non lineari quali guadagno e fase differenziale, occorre un’equalizzazione molto precisa della curva livello-frequenza del canale di riproduzione. Il primo formato di videoregistratore professionale (sistema Ampex) è stato introdotto nel 1956 e normalizzato dall’IEC (International Electrotechnical Commission) con la pubblicazione 347 (transverse track recording).
Nei sistemi di v. analogica in componenti, la registrazione è effettuata tramite sistemi elicoidali non segmentati nei quali le informazioni di crominanza e di luminanza giacciono su tracce contigue. Il nastro è contenuto in cassette ed è caricato automaticamente sul tamburo all’atto dell’inserimento della cassetta. Su una traccia è registrata la componente di luminanza modulata in frequenza, e sulla traccia contigua l’informazione relativa ai segnali differenza colore opportunamente multiplati. Per registrare i due segnali differenza colore sulla stessa traccia i videoregistratori a componenti adottano il criterio della multiplazione nel dominio del tempo, mediante la quale i segnali vengono compressi e serializzati a livello di riga prima della modulazione di frequenza.
Nei sistemi di v. analogica con separazione tra luminanza e crominanza, si realizzano apparati più semplici dal punto di vista operativo, rinunciando in parte ai requisiti di qualità richiesti dalle applicazioni professionali. Si tratta di videoregistratori elicoidali non segmentati a due testine di registrazione, in cui la componente di luminanza viene separata da quella di crominanza, limitata in banda (in genere a ca. 3 MHz) e modulata FM con basso indice di modulazione. La componente di crominanza estratta dal segnale d’ingresso e limitata di banda viene trasferita nella parte inferiore dello spettro non occupata dalla componente di luminanza modulata FM.
Sistemi di v. digitale. Presentano il vantaggio di permettere un gran numero di riversamenti (registrazioni successive) senza che si accumulino le distorsioni, diversamente da quanto avviene nel caso della registrazione analogica, e di consentire sistemi di autodiagnostica molto efficienti. A differenza dei sistemi analogici, nei quali tutti i formati di registrazione adottano la modulazione di frequenza, per adattare lo spettro del segnale alle caratteristiche del canale di registrazione-riproduzione, nei registratori digitali si ricorre a tecniche di codifica di canale. Il codice ha lo scopo di ridurre il valore della componente continua, di concentrare l’informazione in una banda di frequenza limitata, di consentire un’efficace rigenerazione della frequenza di segnalazione (clock), anche a velocità diversa da quella nominale, e non deve introdurre la propagazione degli errori. L’obiettivo è quello di registrare il maggior numero di dati (elevata packing density) senza compromettere la robustezza del formato, in modo da mantenere la perfetta compatibilità tra apparato e apparato anche in presenza di registrazioni effettuate in condizioni climatiche estreme. Si utilizzano, per es., tecniche di correzione degli errori mediante codici di protezione. In condizioni normali di funzionamento tutti gli errori devono poter essere identificati e corretti; si ricorre al mascheramento, che sostituisce l’informazione errata con un’altra ottenuta tramite un processo d’interpolazione degli elementi d’immagine (pixel) adiacenti. Il primo formato numerico, denominato D1, apparso sul mercato nel 1986, è stato sviluppato per registrare segnali in componenti ancora su supporti magnetici, quantizzati con parole di 8 bit, conformi alla raccomandazione UIT 601. Il nastro magnetico, di altezza 19 mm, era contenuto in cassette. Questo formato ha trovato applicazioni nell’area di trattamenti di grafica elettronica e di post-produzione complessi ma, a causa dell’alto costo iniziale e della struttura degli impianti esistenti, progettati per trattare segnali codificati (PAL, NTSC ecc.), ha avuto una scarsa diffusione negli impianti convenzionali per la produzione dei programmi delle compagnie televisive. Per consentire l’introduzione di videoregistratori digitali negli impianti di produzione che trattano segnali codificati, sono stati successivamente introdotti nuovi formati di registrazione: nel 1988 il formato D2 e nel 1989 il formato D3. Tra i formati digitali introdotti successivamente a questi ultimi, sono da ricordare il Digital8, creato da Sony nel 1999, caratterizzato dall’avere supporti removibili a nastro magnetico da 8 mm in bobine chiuse, che ne hanno decretato il successo per la realizzazione di videocamere portatili di uso amatoriale. Tra i formati digitali di ultima generazione si hanno: a) il formato HDV (high definition video), realizzato dalla collaborazione di Sony e JVC e introdotto nel 2003, che rappresenta uno standard di v. per immagini in alta definizione su nastro magnetico da 1/4 di pollice in bobine chiuse; b) il formato HDCAM SR prodotto, ancora da Sony, nel 2006, che rappresenta la versione ad alta definizione del sistema Digital Betacam; con tale sistema di v. è possibile utilizzare supporti magnetici ad alta densità di particelle, consentendo di raggiungere un bitrate di 440 Mb/s (➔ MPEG).
Tra gli aspetti più attuali dello sviluppo del settore è la realizzazione di apparecchi integrati portatili che comprendono sia la telecamera sia il videoregistratore (ingl. camcorder, acronimo di camera e recorder).