Fisico (Kiel 1858 - Gottinga 1947). Studiò (dal 1874) all'univ. di Monaco, dedicandosi inizialmente a studî di matematica e solo in un secondo momento alla fisica, e seguì a Berlino (1877-78) le lezioni di G. Kirchhoff e H. von Helmholz; dedicò la tesi di dottorato (1880) e le sue prime pubblicazioni ai problemi della termodinamica, condottovi dalla lettura delle opere di R. Clausius. Prof. straordinario di fisica a Kiel (1885), nel 1889 fu chiamato a succedere a Kirchhoff all'univ. di Berlino, dove fu direttore, fino al 1926, dell'Istituto di fisica teorica. Dal 1930 al 1935 fu presidente del Kaiser-Wilhelm Institut (che nel 1948 cambiò il suo nome in Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften, v.), ritirandosi poi, per la sua netta opposizione al nazismo, in un rigoroso riserbo. Fu, tra l'altro, socio straniero dei Lincei (1914) e accademico pontificio (1936). Premio Nobel per la fisica nel 1918. ▭ Le ricerche condotte da P. negli ultimi anni del 19° sec., dedicate al problema della radiazione termica (problema di confine tra termodinamica, meccanica e elettromagnetismo), furono quelle che lo avrebbero reso uno dei protagonisti dello sconvolgimento della concezione classica del mondo fisico che si verificò all'inizio del 20° secolo. In quel periodo si andava diffondendo una reazione crescente contro l'ideale meccanicistico che aveva dominato la fisica dei decennî precedenti, reazione che si estendeva anche alle teorie atomistiche che sembravano un prolungamento di quell'ideale. In particolare, la ricerca di una spiegazione meccanico-atomistica della seconda legge della termodinamica sembrava ostacolata da paradossi non facilmente appianabili e da estenuanti difficoltà matematiche. P., pur non schierandosi con gli oppositori più radicali all'atomismo, i cosiddetti energetisti, espresse a più riprese le proprie perplessità sulla possibilità di ricondurre il comportamento irreversibile dei processi fisici osservabili (secondo quanto previsto dalla seconda legge della termodinamica) nell'ambito della sola meccanica classica. Non lo convincevano nemmeno i recenti risultati ottenuti da L. Boltzmann circa il carattere essenzialmente probabilistico della seconda legge medesima: per P. l'evoluzione irreversibile di un processo fisico era un dato assoluto e non solamente probabile. Con questa convinzione, P. si dedicò allo studio delle proprietà della radiazione termica pensando che, a differenza delle ipotesi atomistiche, fosse proprio il carattere ondulatorio e continuo della radiazione a poter dare una spiegazione della tendenza irreversibile all'equilibrio termodinamico. L'idea di affrontare il problema della radiazione termica fu appunto guidata dall'ipotesi che il processo di diffusione di una radiazione elettromagnetica da parte di un risonatore (un dipolo elettrico oscillante) fosse un processo intrinsecamente irreversibile. Quando lo stesso Boltzmann gli fece notare che le equazioni di Maxwell (essendo invarianti per inversione di segno della variabile temporale) non potevano descrivere processi irreversibili, P. diede la prima svolta radicale alle sue ricerche e cominciò ad adottare i metodi della fisica statistica. Nel 1899 determinò, in base a condizioni elettrodinamiche, la relazione, sussistente in condizioni di equilibrio, tra la densità di energia ρ(ν,T) della radiazione (di frequenza compresa tra ν e ν+dν) contenuta in una cavità a pareti riflettenti alla temperatura T (che aveva la stessa composizione spettrale della radiazione emessa da un corpo nero) e l'energia media U dei risonatori, con la stessa frequenza propria, interagenti con la radiazione stessa. Dalla relazione,
Formula
si poteva risalire a ρ calcolando U. In quegli anni la composizione spettrale della radiazione del corpo nero veniva descritta da varie formule empiriche: in particolare, la formula proposta pochi anni prima dal fisico austriaco W. Wien
Formula
sembrava accordarsi perfettamente con le misure sperimentali. Per P., quindi, essa doveva essere dedotta teoricamente dalla seconda legge della termodinamica, ovvero come descrizione dello stato del sistema corrispondente a un massimo dell'entropia. Ragionando a ritroso, se la [2] era valida, tra l'entropia S del risonatore e la sua energia media U doveva esserci una relazione del tipo
Formula
il che confermava l'accordo della formula di Wien con la seconda legge della termodinamica. Tuttavia, nel corso del 1900, i due gruppi sperimentali che lavoravano sul corpo nero presso la Physikalische-Technische Reichsanstalt di Berlino, formati rispettivamente da O. Lummer e E. Pringsheim e da H. Rubens e F. Kurlbaum, cominciarono a trovare, nella regione delle basse frequenze, dati in patente disaccordo con le previsioni della formula di Wien. In questa regione, infatti, ρ dipendeva linearmente (e non esponenzialmente) dalla temperatura: ciò comportava che, in quella regione, al posto della [3] dovesse valere una relazione del tipo
Formula
P. allora immaginò che la [3] e la [4] dovessero essere raccordate, con un artificio puramente formale, tramite la relazione
Formula
(con a e b costanti); da questa relazione derivava che l'energia media dei risonatori di frequenza propria ν doveva essere U=b/[exp(−b/aT) −1], e, per la distribuzione spettrale della radiazione del corpo nero, avendo posto b=hν, con h costante denominata da P. quanto elementare d'azione (v. oltre: costante di P.) e a pari alla costante di Boltzmann k, la legge
Formula
che si accordava perfettamente con i risultati sperimentali nell'intero range di frequenze. Nasceva così la legge di P. del corpo nero. Bisognava, però, dare una giustificazione teorica alla [5] e quindi alla [6]. Tra l'ottobre e il dicembre del 1900, P. arrivò a questa giustificazione teorica con un procedimento meccanico-statistico la cui ipotesi essenziale era che l'energia di ogni risonatore di frequenza ν fosse la somma di "quanti" elementari di valore hν. P. infatti calcolò l'entropia SN degli N risonatori con frequenza propria ν, utilizzando la formula di Boltzmann SN=klnW, e calcolando W (il numero delle "complessioni") grazie a una procedura di discretizzazione dell'energia (per altro già usata da Boltzmann stesso nell'ambito della teoria cinetica dei gas). Ponendo, infatti, UN=Pε (con UN=NU, P intero ed ε "elemento di energia"), il calcolo di W si riduceva al conteggio dei modi di cui i P elementi di energia ε (tra loro indistinguibili) potevano essere distribuiti tra gli N risonatori (distinguibili). Si otteneva così W=(N+P−1)!/(N−1)!P!. Quindi (utilizzando la formula di Stirling per il calcolo approssimato dei fattoriali), si otteneva per l'entropia SN = kln[(N+P)N+P/NNPP] + cost., e anche SN = kN[(1+U/ε)ln(1+U/ε)−U/εlnU/ε] + cost. Poiché le leggi della termodinamica imponevano che SN=Nf(U/ν), con f funzione arbitraria, risultava che doveva essere ε=hν, con h costante universale, e che l'elemento di energia, dipendendo dalla frequenza propria dei risonatori, non era relegabile nella costante dell'entropia. Dalla precedente espressione di SN=NS, mediante integrazione (essendo dS/dU=1/T), P. era in grado di risalire all'espressione di U e da questa, tramite la [1], alla distribuzione spettrale. L'ipotesi della quantizzazione dell'energia, inizialmente concepita come mero artificio di calcolo, si sarebbe rivelata negli anni seguenti elemento irriducibile della teoria dei processi fisici elementari e avrebbe ricevuto la piena consacrazione nella teoria della struttura atomica di N. Bohr. Si avviava quindi il processo che avrebbe trasformato le basi interpretative della fisica atomica. Da ricordare ancora, tra i meriti scientifici di P., la collaborazione con W. Nernst nella formulazione del terzo principio della termodinamica e il decisivo contributo dato all'affermazione in ambiente tedesco della teoria della relatività di Einstein. Notevoli anche i suoi contributi di carattere metodologico: fornito di buoni studî storici e filosofici, egli prese viva parte alla discussione filosofica sorta tra i fisici sulla causalità, in difesa delle idee classiche di una realtà fisica indipendente dall'osservatore, soggiacente a un rigoroso determinismo. Tra le sue opere principali: Thermodynamik (1897); Vorlesungen über die Theorie der Wärmestrahlung (1906); Einführung in die theoretische Physik (5 voll., 1916-30); Wege zur physikalischen Erkenntnis (1933). ▭ Costante di P.: costante universale (detta anche quanto d'azione) che interviene, con ruolo essenziale, in un gran numero di fenomeni e di leggi della fisica atomica e, genericamente, in tutte le teorie fisiche cosiddette quantistiche; vale: h=(6,626075±0,000040)10-34 J•s. ▭ Costante di P. ridotta: è la costante di P. divisa per 2π, abitualmente indicata con il simbolo ℏ. ▭ Legge di P. sull'emissione del corpo nero, v. corpo: Fisica. ▭ Radiatore di P.: lo stesso che corpo nero. ▭ Unità di P.: unità di misura di lunghezza, tempo e massa ricavate da P. a partire dalle costanti fondamentali h (costante di P.), c (velocità della luce nel vuoto), G (costante di gravitazione universale); sono così definite: LP=(Gℏ/c3)1/2~10-35 m (lunghezza di P.), TP=(G/c5)1/2~10-43 s (tempo di P.), MP=(ℏc/G)1/2=1,221•1019 Ge V/c2 ~10-8 kg (massa di P.).