Composto chimico impiegato come sostanza colorante, avente formula
Si ricava dalle foglie di diverse specie del genere Indigofera (Indigofera tinctoria, Indigofera argentea, Indigofera arrecta ecc.) coltivate in Asia, in particolare nell’India, in alcune regioni dell’Africa e nell’America Meridionale; altre piante che possono fornire i. sono Isatis tinctoria, Polygonum tinctorium, Nerium tinctorium. In tutte queste piante l’i. non è presente come tale, ma sotto forma di un glicoside dell’indossile (indacano vegetale: C14H17O6N•3H2O) che per idrolisi acida o per azione di enzimi contenuti nella pianta stessa si scinde in glucosio e indossile, il quale ultimo, per ossidazione con l’ossigeno dell’aria, si trasforma in i.: formula
L’i. viene ottenuto dalle piante facendo macerare in acqua, resa alcalina per aggiunta di calce o di ammoniaca, le foglie fresche o essiccate. Avvenuta la fermentazione, si filtra e dal liquido sbattuto all’aria precipita l’i.: il prodotto naturale così ottenuto, non puro, contiene percentuali variabili di rosso d’i., o indirubina (1-15%), di bruno d’i. (1-5%), di gomme (1-5%), di sali minerali (2-25%) e di acqua (3-7%).
Le prime ricerche sistematiche sull’i. sono dovute a A. von Baeyer che ne individuò la struttura e ne propose (1882) la prima preparazione sintetica a partire dall’acido o-nitrofenilpropilico a sua volta derivato dalla nitrobenzaldeide. Rispetto alla formula originale proposta da Baeyer l’analisi roentgengrafica ha consentito di attribuire all’i. la struttura di tipo trans-, che è più coerente di quella cis- rispetto alle proprietà fisiche e alla stabilità chimica. La prima produzione di interesse industriale fu realizzata qualche anno dopo la sintesi di Baeyer dall’industria chimica BASF che preparò l’i. a partire dalla naftalina. Attualmente il fabbisogno d’i. è quasi interamente coperto dal prodotto sintetico, che presenta proprietà tintoriali più costanti rispetto al prodotto naturale; tra i vari processi di sintesi hanno avuto grande applicazione pratica quelli che partono da fenilglicina, da acido fenilglicincarbonico e più recentemente da idrossietilanilina. La fenilglicina e l’acido fenilglicincarbonico vengono fusi con alcali caustici e sodioammide, e trasformati in indossile che, ossidato all’aria, dà l’i.; l’idrossietilanilina, che si prepara per condensazione dell’anilina con la cloridrina etilenica, trattata in autoclave a 240 °C con alcali anidri, è trasformata direttamente in indossile.
L’i. puro è una polvere cristallina azzurra con riflessi metallici, insolubile in acqua, in alcol e in etere, solubile in cloroformio; costituisce una delle sostanze coloranti azzurre più importanti per la sua stabilità alla luce, al lavaggio, agli alcali e agli acidi e perciò è largamente usato per la tintura di tessuti e di filati. Questa viene fatta con il metodo al tino: il tino d’i. è costituito da una soluzione alcalina di bianco d’i. che si ottiene sospendendo i. in polvere in latte di calce o in soluzione di soda e riducendolo nella leucoforma solubile con idrosolfito di sodio o con sali ferrosi o con polvere di zinco; immergendo nel tino così preparato la fibra da tingere, si fissa su questa il bianco d’i. che successivamente, per esposizione all’aria, si trasforma in i. azzurro, il quale rimane fortemente aderente alla fibra.
Il bianco d’i. ha formula
e si presenta come un solido bianco-grigio di aspetto setaceo, insolubile in acqua, solubile in alcol, in etere e nelle soluzioni acquose alcaline. Particolarmente utilizzato nell’industria tessile è l’estere solforico del bianco d’i., chiamato indacosol e solubile in acqua.
Dall’i. si possono ottenere coloranti per clorurazione, bromurazione, solfonazione, nitrazione ecc. I cloroderivati (specialmente tri- e tetracloroderivati) danno colorazioni brillanti e stabili; i bromoderivati danno colorazioni con tonalità verso il verde se l’alogeno occupa le posizioni 4, 5 o 7 e verso il rosso se occupa la posizione 6: quest’ultimo caso si verifica nella porpora degli antichi (6,6′-dibromoindaco). Fra i derivati solfonici contenenti uno o più gruppi solfonici, hanno particolare interesse l’acido disolfonico e gli acidi tri- e tetrasolfonico. Il sale sodico dell’acido 5,5′-disolfonico costituisce il cosiddetto carminio d’i., C16H8N2O2(SO3Na)2, solido cristallino, di colore azzurro, con riflessi rameici, solubile in acqua, impiegato in tintoria per tingere la lana e il cotone e con il quale si ottengono colorazioni più pure ma meno resistenti alla luce che con l’indaco. L’impiego del carminio d’i. (E132-indigotina) è consentito anche in campo alimentare per colorare nella massa e in superficie alcuni alimenti (d.m. 22 dicembre 1967). I sali di potassio degli acidi tri- e tetrasolfonico (dei quali l’ultimo noto come azzurro di Sassonia), che si ottengono sotto forma di polveri, solubili in acqua, sono usati come indicatori di ossidoriduzione.
L’i. è uno dei sette colori dell’iride, compreso tra l’azzurro e il violetto, corrispondente convenzionalmente alle radiazioni luminose che hanno lunghezza d’onda compresa tra 4550 e 4250 Å.