Corpo magnetizzato, capace pertanto di generare all’intorno un campo magnetico e di attrarre oggetti ferromagnetici (per es., pezzi di ferro) a esso avvicinati; è sinonimo di calamita.
La magnetizzazione, indotta da un campo magnetico esterno, può essere permanente (m. permanenti), se persiste al cessare del campo esterno, o temporanea (m. temporanei), se cessa al cessare del campo magnetizzante. Tipici m. temporanei sono, per es., i nuclei degli elettromagneti, che si magnetizzano sotto l’azione del campo magnetizzante generato da una corrente elettrica e si smagnetizzano poi al cessare di quella. Tra i m. permanenti sono i cosiddetti m. naturali, costituiti da frammenti di magnetite, un minerale che presenta spesso una cospicua magnetizzazione propria; i m. naturali, oggi di nessun interesse pratico, furono per lungo tempo i soli m. disponibili; attualmente i m. permanenti si ottengono assoggettando temporaneamente a un intenso campo magnetico sostanze ferro- e ferrimagnetiche, vale a dire materiali con alta induzione residua e alto campo coercitivo, quali speciali leghe ferrose e speciali ferriti.
La magnetizzazione si fa avvenire in campi magnetici uniformi creati da elettromagneti, generalmente conformati in modo da costituire con i pezzi da magnetizzare un circuito magnetico possibilmente senza traferro. L’intensità Hm del campo magnetizzante è tale da portare in saturazione il pezzo; quest’ultimo, estratto dall’elettromagnete, può considerarsi come parte di un circuito magnetico, l’altra parte del quale è costituita da aria. In tal caso il m. conserva un’induzione residua B0 proporzionale all’induzione residua, Br, competente al ciclo d’isteresi magnetica a magnetizzazione rigida del materiale di cui esso è fatto (➔ magnetismo); risulta di qui la convenienza di usare materiali con alta induzione residua. L’induzione magnetica B0 risulta minore di Br a causa dell’azione del cosiddetto campo smagnetizzante Hs, che si desta nel materiale. Infatti (fig. 1), applicando il teorema della circuitazione (➔) lungo una linea d’induzione a risulta H0=−Hs(l/t), essendo H0 l’intensità del campo nel tratto di circuito magnetico che si svolge nell’aria (traferro), l la lunghezza del m. e t la lunghezza del traferro; il segno meno sta a indicare che H0 e Hs sono diretti in verso opposto (nel traferro, H0 e B0, sono concordi, dal polo Nord al polo Sud); nel m., Hs è diretto in verso opposto rispetto a B0. Il campo d’induzione B0=−μ0Hsl/t, con μ0 permeabilità magnetica assoluta del vuoto (1,256 μH/m), è necessariamente minore di Br, in misura tanto maggiore quanto maggiore è il traferro in rapporto alla lunghezza del magnete. Forme particolarmente favorevoli per un’alta induzione residua sono quelle con relativamente piccolo traferro (m. a ferro di cavallo o a U, m. anulari ecc.), mentre, per contro, forme sfavorevoli sono quelle lineari in genere (m. ad ago, m. a sbarra ecc.).
Un m. è in uno stato di equilibrio molto delicato, che può essere turbato da sollecitazioni meccaniche, termiche e magnetiche, rappresentanti altrettante cause per cui i domini ferromagnetici possono mutare quel loro particolare assetto cui corrisponde la magnetizzazione. È necessario evitare l’esposizione di un m. a sorgenti di calore: la magnetizzazione, infatti, diminuisce irreversibilmente all’aumentare della temperatura e addirittura si annulla se si supera una certa temperatura (temperatura di Curie, dell’ordine di qualche centinaio di °C) caratteristica del materiale impiegato.
Un m., qualunque ne sia la forma, non presenta un’uniforme distribuzione di magnetismo: questo si addensa, per così dire, in particolari zone, dette regioni polari o poli del m., separate tra loro da altre zone, dette zone neutre, in cui il magnetismo rilevabile dall’esterno è sensibilmente nullo. In un m. di forma semplice, omogeneo e magnetizzato con un campo uniforme, i poli sono due, di uguale intensità e di opposta polarità (uno Nord, l’altro Sud), situati alle estremità; ma in m. di forma complicata e magnetizzati con campi non uniformi, i poli possono anche essere più di due, e di diversa intensità.
In elettrotecnica, m. di accensione, macchine rotanti il cui principio di funzionamento è quello stesso delle macchine dinamo-elettriche, salvo il fatto che il campo induttore è generato da un m. anziché da un elettromagnete. Se ne hanno numerosi tipi, che si distinguono in relazione alla conformazione del circuito magnetico, al numero di scintille per giro, alla costituzione dell’indotto e dell’induttore.
Nei m. di accensione a indotto fisso e induttore rotante, detti anche a calamita rotante, l’induttore è costituito da un m. permanente rotante; l’indotto è costituito da un nucleo in ferro laminato recante due avvolgimenti, uno dei quali è detto primario, l’altro, composto di molte migliaia di spire, è detto secondario. Il primario è da un lato collegato direttamente alla massa metallica del motore e al corpo delle candele di accensione, dall’altro è connesso a queste tramite un condensatore. Il secondario è connesso da un lato con il primario, dall’altro è collegato all’elettrodo isolato della candela, attraverso il corrispondente settore del distributore. Al ruotare dell’induttore nel campo dell’indotto, si genera negli avvolgimenti una forza elettromotrice alternata, il cui valore massimo dipende dalla velocità angolare dell’induttore stesso. Un ruttore provvede a interrompere nel circuito primario la corrente nell’istante in cui questa raggiunge il valore massimo, cosicché si genera nel secondario una tensione indotta notevolmente elevata (alcune decine di migliaia di volt) che provoca la scintilla d’accensione.
I m. di accensione a indotto rotante, diffusamente utilizzati in passato, sono basati sullo stesso principio di funzionamento e sono costituiti dalle stesse parti che compongono un m. di accensione a indotto fisso; la sola differenza è data dal fatto che l’induttore (m. permanente) è fisso e gli avvolgimenti sono portati da un nucleo rotante di ferro laminato, per cui si rendono necessari dei contatti striscianti per collegare tali avvolgimenti al ruttore e al distributore.
I m. di accensione sono impiegati per l’accensione di motori a scoppio in tutte quelle installazioni, piccole e poco ingombranti, nelle quali la presenza di una batteria costituisce un ingombro eccessivo (piccoli motoveicoli, motopompe, motori fuoribordo ecc.).
Un sistema di accensione largamente impiegato specialmente nei motoveicoli di piccola cilindrata è quello a volano-magnete (fig. 2), nel quale la massa dell’induttore rotante viene sfruttata come volano e gli avvolgimenti alimentano anche l’impianto d’illuminazione.