Stato dell’Africa orientale. Confina a N con l’Eritrea, a E con la Somalia e la Repubblica di Gibuti, a S con il Kenya, a O con il Sud Sudan.
Il paese, tipicamente di montagna, può essere sommariamente ripartito in tre grandi regioni morfologiche: l’Acrocoro Etiopico propriamente detto, la Dancalia e l’Altopiano Galla-somalo. L’imbasamento dell’intera regione è formato da rocce cristalline prepaleozoiche eruttive e metamorfiche. Questo substrato roccioso appare sovrastato da depositi marini arenacei e calcarei che risalgono all’inizio dell’era secondaria e da vasti espandimenti di materiali lavici, assai fluidi, originati da fessurazioni e fratture del Cretaceo, i quali, modellandosi sulle superfici tabulari preesistenti dell’Acrocoro Etiopico, raggiunsero uno spessore anche di circa 3000 metri. La discontinuità degli orizzonti morfologici è stata successivamente accentuata da nuovi perturbamenti tellurici all’inizio dell’era terziaria, che produssero gli sprofondamenti e le immani fosse che caratterizzano l’Africa orientale.
La vasta unità morfologica del massiccio etiopico, cui ben si addice l’appellativo di ‘fortezza’, s’innalza nella parte occidentale, a N e a O del grande solco tettonico individuato dalla fossa dei laghi galla, dalla valle dell’Awash, dalla Dancalia interna e dal Mar Rosso. L’altezza media si mantiene tra i 2000 e i 2500 m, con numerose vette che raggiungono quote superiori ai 4000. L’altopiano presenta due versanti nettamente asimmetrici. Quello occidentale appare intagliato da veri e propri canyon scavati dai fiumi che, prendendo origine dal ciglio orientale, scendono verso le basse terre sudanesi, con un andamento tortuoso dettato soprattutto dalla tettonica. Nonostante il vivace lavorio dell’erosione, i singoli lembi dell’acrocoro sono sempre spianati sulla sommità e discendono con pendici a gradinate. Il versante orientale incombe invece con pendio accentuato sugli affossamenti della Dancalia. Questa è una regione grossolanamente triangolare, chiusa verso il mare da una serie di monti costieri, in gran parte vulcanici e di origine recente, e contornata per il resto dalle rigide scarpate dei due altipiani; nella sezione interna è caratterizzata dalla presenza di grandi bassure rocciose o invase da sabbie, le quali non sono altro che bacini endoreici in cui si perdono le acque che scendono dagli altipiani, come quelli dell’Awash, il maggiore dei fiumi etiopici scorrenti verso E. L’Altopiano Galla-somalo è a sua volta ben differenziato dalle due precedenti unità morfologiche. Il suo crinale spartiacque verso N e NO, pur superando i 4000 m di altitudine, non è così netto come quello orientale dell’Acrocoro Etiopico, in quanto discende verso terre meno depresse, come il fondo della fossa dei laghi galla, che in qualche tratto arriva ai 2000 m di altezza. Il tavolato somalo digrada poi dolcemente a SE verso la pianura somala, celandosi sotto una spessa coltre di terreni più recenti; le valli dei fiumi hanno direzione prevalente NO-SE, concentrandosi nei due grandi bacini idrografici del Giuba (il cui alto corso prende il nome di Genale Doria) e dell’Uebi Scebeli.
In relazione alla posizione geografica, la regione etiopica è dominata da un clima che si può definire di tipo tropicale, benché con gradazione e sfumature diverse, dovute in gran parte ai fattori altimetrici e orografici. Vi si alternano due stagioni termo-pluviali: una meno calda da ottobre a marzo, con scarse precipitazioni, e l’altra più calda da aprile a settembre, con maggior piovosità. Se l’estensione del territorio in latitudine spiega una diminuzione media delle piogge andando dall’equatore verso i tropici, altri fattori naturali, quali l’altitudine e la disposizione del rilievo, intervengono a determinare le profonde differenze regionali, sia termiche sia anemometriche e pluviometriche. Va poi tenuto conto della vicinanza dell’immensa massa continentale asiatica, per cui d’inverno l’E. viene a trovarsi sotto l’influenza dell’anticiclone a NE, mentre a SO si dilata la zona ciclonica dell’Africa centrale. La circolazione atmosferica che ne deriva investe l’altopiano in direzione NE-SO, poco carica di umidità, e le scarse piogge irrorano unicamente le coste e la scarpata dell’altopiano. Nel mese di luglio la situazione s’inverte e i venti equatoriali, caldi e umidi, provenendo sia da SE sia da SO, scaricano le loro acque sulle zone più elevate. Si vengono così a creare situazioni diverse tra l’acrocoro e le zone periferiche: nel primo si superano in media dappertutto i 1000 mm annui, con valori che sui rilievi centrali e nelle aree occidentali raggiungono anche i 1800 mm, mentre verso E e SE le quantità decrescono fino ai valori minimi della Dancalia centrale (50 mm) e del piede dell’Altopiano Somalo. Come per le precipitazioni, anche per le temperature l’altitudine svolge un ruolo predominante; pertanto, tra le bassure e le regioni d’altopiano si avvertono differenze medie sensibili, di 8-14 °C. La tradizione locale divide il paese in fasce altimetriche con particolari condizioni termiche e pluviometriche (qollà, uoina degà, urec) che si riflettono sulla vita biologica, umana, economica
La rete idrografica, decisamente condizionata dalla struttura morfologica, ha un tipico andamento radiale: il paese, infatti, manda le sue acque al Mediterraneo (mediante il Nilo), all’Oceano Indiano e al Mar Rosso. Non mancano poi, come si è notato, estese zone endoreiche. Il regime pluviometrico riscontrato in gran parte dell’E. e l’assoluta mancanza di ghiacciai e di nevai spiegano il prevalente carattere torrentizio dei corsi d’acqua; la morfologia dell’acrocoro ne determina poi lo sviluppo accidentato. Tranne quelli della zona endoreica, nessun fiume corre interamente in territorio etiopico: dunque, il massiccio è grande dispensatore di risorse idriche alle siccitose aree confinanti, sia somale sia sudanesi. Tra i fiumi che inviano le loro acque al Nilo i principali, da nord a sud, sono il Gash, l’Atbara e il Nilo Azzurro, asse principale della rete idrografica etiopica. I più importanti fiumi del versante dell’Oceano Indiano sono il Giuba e l’Uebi Scebeli. Tra i corsi d’acqua della zona endoreica spiccano l’Omo (denominato Omo Bottego in onore del suo esploratore), che immette nel Lago Turkana, e l’Awash. L’E. è inoltre ricca di laghi. Accanto a quelli della Fossa Galla (Zuai; Langana; Awasa; Abaya, già Margherita; Ciamò, già Ruspoli; Stefania o Chew Bahir), va ricordato il Tana, la cui origine è dovuta a uno sbarramento lavico alla testata della valle del Nilo Azzurro.
La popolazione dell’E. comprende genti appartenenti a diversi ceppi etnici e linguistici, insediatesi nel paese in epoche diverse. Tralasciando le più antiche, che ne rappresentano attualmente solo una frazione marginale o residuale, le genti propriamente etiopiche, parlanti lingue cuscitiche, sono essenzialmente le tribù note con il generico appellativo di Sidamo, alle quali soltanto assai più tardi (16° sec.) si aggiunsero le numerose tribù degli Oromo (o Galla), costituenti l’ondata cuscitica più recente e numericamente più consistente. Nel Sud-Est un altro numeroso gruppo cuscitico è costituito dai Somali (zona di Harar, Ogaden). Le attuali popolazioni parlanti lingue semitiche, cristianizzate, insediate in assoluta prevalenza sull’altopiano centro-settentrionale, comprendono gli Amhara (il cui idioma, l’amarico, è lingua ufficiale), che storicamente hanno svolto un ruolo importante nel processo di formazione dello Stato e tuttora prevalgono nelle cariche pubbliche, e i Tigrini, insediati in una regione, il Tigrai, che per secoli è stato il fulcro del regno cristiano d’Etiopia.
Solo nel 1984 lo Stato etiopico provvide a effettuare il primo censimento ufficiale, che rilevò una popolazione di 42.020.000 ab., saliti nel 2009, secondo una stima, a oltre 85 milioni. La dinamica demografica naturale è molto vivace: con un tasso di natalità valutato al 43‰ e nonostante una mortalità tuttora elevata (11,8‰), l’E. s’inquadra decisamente tra i paesi a forte incremento di popolazione, ben lontani dalle fasi mature del processo di transizione demografica.
La densità, a fronte di un valore medio di circa 75 ab./km2, presenta netti contrasti nelle varie regioni secondo l’altitudine: sugli altipiani, che occupano circa la metà del paese, si addensano i 9/10 della popolazione. Per contro, i bassipiani orientali e settentrionali, corrispondenti alle zone desertiche (e a quelle subdesertiche del nomadismo pastorale), hanno densità inferiori a 5 ab./km2. La struttura e le forme dell’insediamento hanno subito profonde modificazioni, specialmente a partire dal nuovo corso politico-economico degli anni 1970. Lo sviluppo di attività industriali e commerciali ha innescato un processo di inurbamento dai villaggi tradizionali soprattutto verso la capitale. Spostamenti interni di popolazione sono stati causati, inoltre, dai conflitti che hanno interessato alcune regioni (Eritrea, divenuta indipendente nel 1993, Ogaden, Tigrai) e dalle calamità naturali (in particolare le siccità, con le conseguenti carestie) che hanno ripetutamente colpito il paese negli ultimi decenni del 20° secolo. Nei primi anni 1980, poi, è stata adottata una strategia di concentrazione della popolazione rurale in nuovi moderni villaggi, costruiti grazie a massicci aiuti internazionali, che ha portato al trasferimento di quasi 4 milioni di persone, in parte anche a grandi distanze, dalle zone settentrionali a quelle centrali e sud-occidentali. Tale strategia, giustificata dal governo dell’epoca con l’esigenza di ammodernare le attività agricole e fornire migliori condizioni di vita agli agricoltori, è stata invece contestata dalle opposizioni come tentativo di indebolire la resistenza dei gruppi autonomisti.
La secolare, arcaica impalcatura socioeconomica del paese ha ricevuto un decisivo colpo nel 1974 dalla rivoluzione militare che, deposto l’imperatore, ha instaurato un nuovo corso ispirato a principi di progresso nel quadro del ‘socialismo etiopico’. Fino a quella svolta storica, nonostante parziali e sporadici tentativi di rinnovamento, il paese era rimasto quasi prigioniero delle sue anacronistiche strutture sociali, ancorate a profonde tradizioni classiste e ad antichi privilegi tribali. Il primo atto veramente rivoluzionario del regime d’ispirazione marxista fu la riforma agraria (1975), i cui risultati furono nel complesso deludenti, in parte a causa del tenore di vita e del livello culturale estremamente bassi delle masse contadine. Anche la nazionalizzazione delle industrie, tendente a coinvolgere nella gestione delle imprese la componente operaia, non produsse il salto di qualità che era nelle aspettative. Il nuovo governo post-rivoluzionario, convertitosi già nel 1991 all’economia di mercato, avviò un programma di ricostruzione e di rilancio dell’economia, d’intesa con le istituzioni finanziarie internazionali. Ma la nuova guerra con l’Eritrea (1998-2000), le costanti tensioni sul confine somalo e le ricorrenti siccità hanno inceppato i programmi di sviluppo e aggravato i problemi strutturali dell’economia etiopica: l’eccessiva dipendenza dal settore agricolo, l’insicurezza alimentare, l’inadeguatezza delle strutture, il conseguente elevato grado di dipendenza dal sostegno economico internazionale.
L’economia rimane fondata essenzialmente sul settore agricolo, che contribuisce per il 42% alla formazione del prodotto interno lordo e per il 60% al valore complessivo delle esportazioni, e che impiega la stragrande maggioranza (80%) della forza-lavoro. Nomadismo pastorale e agricoltura sedentaria (con o senza allevamento) si spartiscono inegualmente il territorio. Il 48% è considerato agricolo, ma solo l’11% è realmente coltivato, mentre il rimanente è lasciato a pascolo naturale. Le colture dominano sui massicci montuosi, mentre le pianure e i pianalti circostanti sono il regno della transumanza. L’agricoltura punta su due diversi obiettivi: la coltivazione di prodotti di sussistenza e quella di prodotti destinati alla commercializzazione. Le colture di sussistenza riguardano i cereali, quali il sorgo, il tef (una specie di miglio) e, da epoche recenti, il grano e il mais, le cui produzioni rimangono peraltro modeste. Si aggiunga, sempre per l’alimentazione locale, tutta una gamma di prodotti ortivi (legumi, patate), insieme con numerose piante oleifere, tra le quali la palma da olio e il sesamo. L’agricoltura commerciale rimane, tuttavia, la base portante dell’intero settore, su di essa il governo interviene con l’introduzione di metodi moderni e tecniche innovative. Tra le colture di piantagione domina il caffè, diffuso principalmente nello Harar, cui si affiancano il cotone e la canna da zucchero (la prima soprattutto nelle zone irrigue della Rift Valley; la seconda specialmente nella valle dell’Awash, dove la diga di Koka fornisce l’acqua per l’irrigazione). L’allevamento è, accanto all’agricoltura, la seconda occupazione degli abitanti. Prevale il patrimonio bovino ma numerosi sono anche gli ovini e i caprini, mentre asini e muli sono ancora largamente impiegati nei trasporti. L’intero settore agricolo è pesantemente condizionato dalle ricorrenti siccità: in occasione di quella del 2002-03, la sopravvivenza di 13 milioni di abitanti fu possibile soltanto grazie agli aiuti alimentari, fino al ristabilirsi delle condizioni meteorologiche normali.
Tra gli Stati africani l’E. è uno dei più poveri dal punto di vista minerario, sebbene siano stati individuati giacimenti di platino, oro, ferro, rame, zinco, piombo. Anche per quanto riguarda le risorse energetiche la situazione è critica, in quanto sono assenti sia il carbone sia gli idrocarburi; suppliscono le buone disponibilità idriche, alla cui utilizzazione ottimale tendono gli sforzi del governo.
Le condizioni del settore industriale sono caratterizzate da strutture per lo più artigianali; i principali impianti interessano i rami alimentare, tessile, del cuoio, cementiero, farmaceutico, localizzati nei maggiori centri urbani; presso la capitale (ad Akaki) è in funzione un’acciaieria che assicura i fabbisogni interni elementari.
Anche le comunicazioni risentono della generale arretratezza e sono inadeguate, oltre che ostacolate dalla tormentata morfologia del territorio. Gravi difficoltà derivano dalla mancanza di affaccio al mare, per cui l’E. dipende dal porto di Gibuti e da porti eritrei e somali. La bilancia commerciale è nettamente passiva, con esportazioni (caffè, pellami, semi oleosi) di gran lunga inferiori, per valore, alle importazioni (prodotti alimentari, prodotti chimici, combustibili, manufatti). I partner principali sono i paesi dell’Unione Europea, il Giappone, gli Stati arabi petroliferi.
I ritrovamenti di Ominidi fossili dell’E. sono da annoverarsi fra i più antichi e importanti. Tra le scoperte vanno citati: il primo frammento di femore di Ominide (sito di Maka, 4-3,5 milioni di anni), i resti dei primi Australopithecus afarensis (fra cui lo scheletro chiamato Lucy dal suo scopritore, Don Johanson), datati intorno a 2,8-2,7 milioni di anni (sito di Hadar), e uno dei primi abitati conosciuti (Gomborè), datato intorno a 1,7-1,6 milioni di anni. Le abbondanti industrie litiche ritrovate documentano dettagliatamente sia l’intervallo Olduvaiano antico (siti di Omo e Hadar, 2,6-2,3 milioni di anni)-Acheuleano finale (200.000 anni) sia il Paleolitico medio, rappresentato dallo Stillbayano (sito di Gademotta, con la più antica industria e tecnica levalloisiana sviluppata nota in Africa, datato a 181.000-149.000 anni) e dal Magosiano. Significativi i ritrovamenti di Homo habilis e Homo erectus; tra questi ultimi, l’Uomo di Bodo, rappresentante tardivo della specie, datato a circa 125.000 anni.
Dagli scrittori greci gli Etiopi sono confusi spesso con gli Indiani e solo durante la dominazione tolemaica in Egitto le conoscenze dell’E. si fanno più precise. In età romana (25 a.C.) C. Petronio, prefetto d’Egitto, contenne a stento un’invasione di Etiopi. Loro principali centri erano allora Napata (➔) e Meroe (➔). Le prime notizie storiche sull’E. vera e propria risalgono alla formazione del Regno di Aksum, che a partire dal 4° sec. a.C. si estese sulle regioni settentrionali del paese, dove da tempo si erano stabilite popolazioni immigrate dall’Arabia meridionale (dal nome di una delle maggiori stirpi sudarabiche immigrate, gli Ḥabashāt, deriva quello di Abissinia, mentre la parola E. è di origine greca). Verso la metà del 4° sec. d.C. fu introdotto il cristianesimo con l’adesione ufficiale del re Ezanà. Nel 525, sotto il re Kālēb, fu conquistato lo Yemen, ma nel 572 i Persiani scacciarono gli Aksumiti dalla penisola arabica.
In conseguenza del sorgere dell’Islam e dell’affermarsi del dominio musulmano sul Mar Rosso il Regno aksumita spostò il suo centro verso l’E. centrale. Qui troviamo costituita la dinastia Zāguē, a cui, intorno al 1270, Iecuno Amlac tolse il potere, fondando la nuova dinastia dei Salomonidi e trasferendo la sede del governo nello Scioa. I suoi successori affrontarono una lunga lotta con i musulmani, che avevano fondato un Regno sotto la dinastia dei Walasmaa’. Nel 1529 l’imām Aḥmad ibn Ibrāhīm, detto Gragn (il Mancino), giunse fino al Tigrai e in Eritrea, ma i Portoghesi aiutarono gli Etiopi a sconfiggere l’invasore e Gragn fu ucciso (1543). Nel 1578 furono respinti i Turchi che avevano cercato di stabilirsi sull’Altopiano Etiopico. La successiva minaccia fu rappresentata dagli Oromo, invasori provenienti dal Sud che penetrarono ampiamente nell’E. acquisendo un potere sempre maggiore; nella prima metà del Seicento la capitale fu spostata a Gondar. Con la decadenza dell’autorità monarchica i vari capi oromo divennero, tra la fine del 18° e la prima metà del 19° sec., arbitri della situazione al centro dell’Etiopia.
Dopo i regni di Sahla Sellassiè, negus dello Scioa, e Kāsā (Teodoro II, 1855-68), l’E. passò sotto il potere del tigrino Tacla Ghiorghis (Giovanni IV), che dovette combattere i tentativi di usurpazione da parte di Menelik sovrano dello Scioa. Alla sua morte nel 1889 Menelik, che intanto aveva conquistato anche lo Harar, si proclamò negus neghesti («re dei re»), riducendo sotto il suo potere tutta l’Etiopia. Con l’Italia, che aveva occupato Massaua (1882), strinse il trattato di Uccialli, che riconosceva l’insediamento italiano sull’altopiano eritreo. Ma contrasti sull’interpretazione del trattato portarono al conflitto fra Italia ed E., che dopo la vittoria di Adua (1896) ottenne il riconoscimento della piena sovranità e indipendenza. Grazie ai trattati con Gran Bretagna, Francia e Italia, Menelik poté allargare i confini del suo regno e consolidare il suo potere. Nel 1923 l’E., dove regnava Zauditù, figlia di Menelik, reggente Tafarì Maconnen, venne ammessa nella Società delle Nazioni.
Morta Zauditù nel 1930, Tafarì Maconnen si proclamò negus neghesti col nome di Ḫāyla Sellāsyē I (➔) e impostò un vasto programma di riforme, introducendo la prima Costituzione nel 1931. Nel 1935 l’Italia invase l’E., costringendo Ḫāyla Sellāsyē a fuggire all’estero; nonostante una resistenza accanita in tutto il paese, le armate di P. Badoglio arrivarono a Addis Abeba nel 1936 e pochi giorni dopo fu proclamato l’impero. Il periodo di amministrazione italiana fu caratterizzato da ingenti opere pubbliche, strade soprattutto, mentre fallì il piano di insediare un milione di coloni. Nel 1941 la rapida disfatta delle forze italiane in tutta l’Africa orientale a opera delle forze inglesi consentì a Ḫāyla Sellāsyē di tornare ad Addis Abeba.
Poté però recuperare i confini del 1935 solo dopo il ritiro degli Inglesi nel 1954; l’ONU istituì una federazione fra E. ed Eritrea, ma nel 1962 l’E. assorbì l’Eritrea, provocando in quella regione una lunga guerra secessionista. Alleata degli USA, l’E. si mantenne filoccidentale, pur entrando a far parte (1955) del movimento dei paesi non allineati; si adoperò anche per una politica di conciliazione e unità fra i paesi africani e nel 1963 ad Addis Abeba venne fondata l’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA), poi divenuta Unione Africana (➔). All’interno, malgrado il varo di una nuova Costituzione con una Camera eletta già nel 1955, persisteva un assetto di tipo feudale, basato sui privilegi della Corona, dell’aristocrazia e della Chiesa copta; nuovi problemi furono provocati dall’inserimento dell’E. nel mercato capitalistico, portando a una crescente instabilità e infine a una crisi del regime di Ḫāyla Selassiè, cui contribuirono anche i costi della guerra in Eritrea e la carestia del 1972-73.
Nel 1974 il negus fu deposto e il potere fu assunto da un comitato di ufficiali e soldati (Derg), che abrogò la Costituzione e diede vita a un Consiglio militare presieduto da A. Andom. Furono presi drastici provvedimenti: proclamazione del socialismo, abolizione del feudalesimo, nazionalizzazione di tutte le terre, riforma agraria con il proposito di costituire cooperative, nazionalizzazione delle banche, delle assicurazioni e delle imprese straniere. Successivi contrasti all’interno del Derg portarono all’uccisione di Andom e stessa sorte toccò al suo successore Tafari Banti, finché nel 1977 il colonnello Menghistu Ḫāyla Mariam, esponente dell’ala radicale del Derg, concentrò nella sua persona tutti i poteri. Lo scontro fra i militari e l’opposizione di sinistra diede origine a una fase convulsa e feroce di terrorismo incrociato (1977-78), da cui il regime di Menghistu uscì vincitore, con una ulteriore accentuazione dell’autoritarismo e del potere personale.
La guerra con la Somalia, che tentò nel 1977 la conquista dell’Ogaden, provocò un capovolgimento delle alleanze: l’E. si alleò all’URSS, mentre la Somalia ruppe con Mosca e si avvicinò all’Occidente. Respinte le forze somale e riconquistato l’Ogaden (1978), l’esercito etiopico poté concentrarsi sul fronte eritreo. Lo sviluppo, dalla seconda metà degli anni 1970, di una lotta armata, indipendentista, anche in altre regioni (per es. nel Tigrai) inasprì la questione nazionale in uno Stato che conservava una struttura multietnica e centralizzata. Nel 1988 E. e Somalia ristabilirono le relazioni diplomatiche e nel 1989 furono avviati negoziati di pace con Eritrea e Tigrai.
Sul piano interno gli anni 1980 videro una graduale istituzionalizzazione del regime con la formazione di un partito unico, WPE (Workers’ Party of Ethiopia). Nel 1987 fu proclamata la Repubblica Democratica Popolare d’E., con Menghistu presidente della Repubblica. A partire dal 1989 il peggioramento della situazione economica, il crescente malcontento dei militari (tentativo di colpo di Stato nel 1989) e il venir meno dell’appoggio sovietico portarono a una crisi del regime, acuita dall’avanzata di forze ribelli. Nel 1991 il Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiopico (FDRPE) conquistò Addis Abeba, costringendo Menghistu alla fuga, e costituì un governo provvisorio presieduto da M. Zenawi.
Nonostante l’opposizione di altre forze che diedero vita a una lotta armata, venne approvata una Costituzione di tipo parlamentare che prevedeva la divisione amministrativa del paese in 9 Stati, dotati di ampia autonomia, e la nascita della Repubblica federale democratica di Etiopia. All’Eritrea fu riconosciuta l’indipendenza. Nel 1995 il nuovo Parlamento elesse presidente della Repubblica N. Gidada, mentre Zenawi assunse la carica di primo ministro. Il partito del premier, il FDRPE, ebbe nuovamente la maggioranza nelle elezioni del 2005 ma il voto fu accompagnato da un’ondata di violenze, con decine di morti e centinaia di arresti. Le elezioni del 2010 hanno riconfermato il partito di Zenawi e, seppur relativamente pacifiche rispetto alle precedenti, sono state accompagnate da pesanti accuse di irregolarità, sia da parte dell'opposizione che degli Stati Uniti e dell'Unione Europea. Alla morte del premier, avvenuta nell'agosto 2012, gli è subentrato il suo sostituto H. Desalegn, mentre nell'ottobre 2013 il Parlamento ha eletto M. Teshome nuovo presidente della Repubblica. Le elezioni legislative tenutesi nel maggio 2015 hanno prevedibilmente registrato la netta affermazione del FDRPE, che ha ottenuto tutti i seggi del Parlamento, ma le proteste popolari esplose nel Paese, in un contesto economico gravemente depresso, per la difesa delle libertà individuali e politiche hanno costretto nel febbraio 2018 Desalegn alle dimissioni, subentrandogli nella carica A. Ahmed, appartenente all'etnia Oromo e nominato dalla coalizione di governo alla guida dell’esecutivo, mentre nell'ottobre dello stesso anno il Parlamento ha nominato presidente del Paese S.-W. Zewde, che è subentrata al dimissionario M. Teshome. Alle elezioni politiche tenutesi nel luglio 2021 il Partito della Prosperità fondato dal premier Ahmed Abiy Ahmed ha ottenuto una vittoria schiacciante, conquistando 421 seggi su un totale di 436 seggi e consentendo all'uomo politico di ottenere nell'ottobre successivo un secondo mandato.
Nonostante le critiche riguardo al mancato rispetto dei diritti umani, i maggiori paesi occidentali continuarono ad assicurare il loro sostegno al regime, anche per la strategia di contenimento del Sudan e della sua presunta attività di appoggio all’integralismo islamico. Malgrado la siccità e la persistente dipendenza alimentare di alcune zone del paese dagli aiuti umanitari, si registrò dalla metà degli anni 1990 un generale miglioramento degli indici economici. In politica estera le relazioni con l’Eritrea portarono dal 1998 al 2000 alla ripresa della guerra, con uno strascico di scontri anche dopo la firma dell’accordo di pace; un nuovo fronte si è aperto nel 2006 quando l’E. ha inviato truppe in Somalia per sostenere il governo di Mogadiscio contro le milizie islamiche, mentre negli anni successivi la tensione è andata nuovamente aumentando lungo il confine, fino a esplodere nel 2012, in seguito a un’azione dell’esercito etiopico all’interno dei confini eritrei. Solo nel luglio 2018 E. ed Eritrea hanno firmato ad Asmara una dichiarazione di riconciliazione, seguita nel mese di settembre dall'accordo di pace siglato dal presidente eritreo I. Afewerki e dal premier etiope A. Ahmed a Gidda (Arabia Saudita).
In politica estera, il Paese - insieme ad Arabia Saudita, Argentina, Iran, Egitto ed Emirati Arabi Uniti - è stato ammesso nel gruppo BRICS a seguito del summit svoltosi nell'agosto 2023 a Johannesburg, divenendone membro effettivo dal 1° gennaio 2024.
La popolazione originaria dell’E. prima della colonizzazione sudarabica doveva avere una religione simile a quella propria delle genti cuscitiche in epoche più tarde: venerazione del dio cielo, congiunta con la venerazione di spiriti e geni benefici o malefici; si facevano sacrifici, esisteva una casta di sacerdoti-maghi, ma non si avevano né templi né idoli. I Semiti del regno di Aksum invece adoravano gli dei Astar (Cielo), Meder (Terra), Beḥēr (Paese, Luogo; per altri: Mare) e Maḥrem, che era il dio della guerra.
Il cristianesimo fu introdotto da Frumenzio ed Edesio, il primo dei quali fu consacrato vescovo di Aksum da Atanasio d’Alessandria. Monaci monofisiti (tra i quali i ‘nove santi’, seguaci del monofisismo moderato) si rifugiarono nel regno e vi fondarono vari monasteri, convertendo molti di coloro che erano rimasti ancora pagani. Monaci siri forse concorsero nella versione in etiopico della Sacra Scrittura. Tra i metropoliti etiopici, che venivano dall’Egitto, si distinse Salamà, della seconda metà del 14° secolo. Si ebbero altresì movimenti ereticali, tra cui quello degli Stefaniti (così detti dal monaco eresiarca che essi seguivano), che rigettavano il culto della Vergine e della Croce. I re etiopici esercitarono una pesante ingerenza nella vita della Chiesa, di cui si ritenevano alta guida per mandato divino; uno fra i più energici e attivi fu Zar’à Yā‛qòb (1434-68), che cercò di estirpare abusi e pratiche non ortodosse di ogni genere anche mediante l’opera dottrinale scritta. Con il 15° sec. e soprattutto con il 16° i rapporti con l’Occidente si fecero più stretti, particolarmente con il verificarsi della grande invasione musulmana per opera di Gragn (prima metà del 16° sec.) e l’intervento dei Portoghesi. Al loro seguito i missionari gesuiti cercarono di guadagnare l’E. al cattolicesimo, trovando però grandi difficoltà; il re Susiniòs (1606-32) fece professione di fede romana, ma suo figlio Fasiladàs ritornò alla confessione copta alessandrina.
La Chiesa copta di E., tradizionalmente legata al Patriarcato di Alessandria e a questo rimasta gerarchicamente dipendente fino al 1959, è divenuta poi autocefala, con a capo un metropolita, pāpās o abun, di nazionalità etiopica, nominato da un conclave etiopico. Accanto al metropolita vi sono alcuni vescovi, consacrati dal metropolita, aventi giurisdizione nelle rispettive zone loro assegnate.
Le lingue dell’E. sono di ceppo semitico, cuscitico o camitico, nilotico o di altre famiglie linguistiche. Antica lingua semitica del paese è il ge‛èz, oggi soltanto letteraria, alla quale si ricollegano il tigrè, il tigrino, l’amarico, lo harari, linguaggi questi in diversa misura parlati e scritti in varie regioni dell’Etiopia. Altre lingue semitiche, parlate dalle popolazioni dello stesso nome, sono il guraghe, il gafat (quasi del tutto estinto), l’argobba. L’arabo è parlato dagli arabi immigrati e in parte anche dai musulmani indigeni, specialmente da quelli più a contatto con la costa. La famiglia cuscitica comprende il beja, l’agau, il saho, il dancalo o afar, il somalo, l’oromo, il sidamo, il caffino, l’ometo, e una quantità di altri linguaggi dell’E. meridionale e occidentale, con numerose varietà. Al ceppo nilotico appartengono probabilmente il cunama, il baria e altri linguaggi.
La scrittura etiopica, che si usa per scrivere anche l’amarico, il tigrè e il tigrino, deriva da quella sudarabica; si scrive da sinistra a destra, le consonanti sono vocalizzate, le parole sono separate tra loro da due punti disposti verticalmente, ma non sempre nella scrittura a stampa contemporanea.
Vi è una letteratura etiopica in lingua ge‛èz, scritta, le cui origini risalgono ai primi secoli dell’era volgare: è costituita per la maggior parte da traduzioni ed è quasi tutta cristiana. Dal 5°-6° sec. al 7° d.C. circa si ebbero traduzioni dal greco della Bibbia e di altre opere a contenuto religioso o parareligioso. Dopo il 7° sec., per ben cinque secoli non si ha traccia di attività letteraria. La documentazione manoscritta riprende dal 13° sec. all’incirca, con frequenti versioni dall’arabo. Tra il 1314 e il 1322 fu composto il Kebra Nagast, romanzo sulla regina di Saba e suo figlio Menelik, considerato dagli etiopi cristiani il loro libro araldico. Dall’arabo si tradussero vite di santi e di martiri, omelie, il Libro della visione di Abacuc, preghiere; si scrissero molte vite di santi indigeni, cronache reali, testi liturgici e dottrinali ecc. Il metropolita Salamà (m. 1388) fece tradurre o tradusse numerosi scritti di carattere religioso e teologico. Il regno di Zar’à Yā‛qòb segna un periodo di particolare fioritura nella letteratura. Il re stesso scrisse libri: il Libro della natività, il Libro sulla custodia del Mistero, il Libro della Luce, Dio regna, consistente in inni ai santi. Ci sono pervenute opere letterarie anche dei suoi successori. Al 15° sec. verosimilmente appartiene la traduzione dei Miracoli di Maria e la composizione del Libro dei misteri del cielo e della terra. Al 16° o 17° sec. (la tradizione etiopica parla dell’epoca del re Zar’à Yā‛qòb) risale la versione dall’arabo di una raccolta di diritto canonico e civile, detta in etiopico Fetḥa Nagast («Diritto dei re»); agli stessi secoli appartengono anche altre versioni di notevoli scritti religiosi. Non mancano, accanto alle versioni, le opere originali; particolare importanza ebbero, per questo, le polemiche suscitate dai missionari gesuiti (16°-17° sec.). Prosegue poi la compilazione di svariati scritti agiografici (gadl) e degli annali dei sovrani e quindi delle vicende del paese.
Con il 17° sec. la lingua amarica, i cui primi documenti letterari risalgono al 14° sec., comincia a essere adoperata (per incentivo dei missionari gesuiti) in scritti di carattere religioso; poi, a cominciare dal 19° sec., in seguito ai maggiori contatti con l’Europa, essa diviene sempre più lingua di corrispondenza e di cancelleria, quindi di storiografia, e infine, con il comparire della stampa in E., lingua letteraria. Ha avuto un particolare impulso dopo il 1950, investendo tutti i campi letterari: da quello più strettamente religioso dottrinale a quello storico e narrativo d’invenzione, incluso quello teatrale; soprattutto abbondante la produzione in versi, sia di opere drammatiche, sia di fantasia, queste ultime spesso con intenti moraleggianti e satirici a sfondo politico-sociale. Gli scrittori più rappresentativi sono stati Gabre J. Afevork e H. Walda Sellāsē (entrambi scomparsi nel 1945). Accanto a questa letteratura ha trovato notevole espansione la letteratura giornalistica, che ha subito l’influenza stilistica e concettuale, oltreché lessicale, della letteratura cosiddetta occidentale. Su tutta la produzione ha pesato a lungo la censura, sia sotto il regime monarchico, sia sotto il successivo governo socialista-marxista. Dopo l’avvento di quest’ultimo, in seguito alla rivoluzione iniziata nel 1974, si è sviluppata una letteratura di tipo dottrinale, con traduzioni di opere straniere (a cominciare da quelle di K. Marx e F. Engels) e con scritti anche originali locali, apparsi specialmente su periodici di intonazione politica. Sotto la spinta ideologica del regime è nata una letteratura ispirata al realismo socialista, sia in prosa sia in versi, con accentuazione della produzione drammatica. In tal senso anche la traduzione o, meglio, l’adattamento di opere letterarie della letteratura russa ha incontrato ampia diffusione. Tuttavia con il passare degli anni si è affermata una certa indipendenza dall’ambiente politico dominante, sia nella saggistica, sia nella letteratura d’invenzione. Inoltre un potente stimolo indiretto all’attività letteraria è venuto dalla radio, e più tardi dalla televisione, che hanno favorito la composizione in versi, cantata e teatrale.
La letteratura in lingua tigrina, i cui inizi furono favoriti soprattutto dalle missioni protestanti (svedesi) e cattoliche in Eritrea, dalla fine del 19° sec., essendo sopraffatta dalla preminenza della letteratura in lingua ufficiale amarica, annovera pochi scritti, sebbene degni di nota, ivi compresi quelli di letteratura d’invenzione. Sono stati pubblicati, di regola, ad Asmara, dal 1993 capitale dell’Eritrea. Nell’ambito della lingua tigrina si segnala lo sviluppo fortemente innovativo, in gran parte nel lessico e nella fraseologia, impresso d’autorità dai gruppi politici secessionisti dell’Eritrea, che hanno creato con impegno deciso una letteratura di indirizzo socialista, soprattutto per mezzo di periodici di contenuto dottrinale.
Da segnalare, altresì, il primo formarsi di una letteratura scritta in lingua oromo, la quale faticosamente cerca la sua strada, a causa della situazione politica sfavorevole. Per iniziativa del governo si è cominciato a pubblicare un periodico settimanale in lingua oromo e in caratteri etiopici, a produrre un ristretto numero di operette didattiche, sempre in caratteri etiopici, mentre vengono alla luce scritti di più largo respiro. Al 1974 risale anche la produzione della prima opera teatrale in lingua oromo e in scrittura etiopica, ma a circolazione pressoché clandestina. I gruppi di intellettuali oromo dissidenti, e fuoriusciti, respingono l’impiego della scrittura etiopica, sostituendola con una grafia latina adattata alla lingua.
La situazione politico-economica e il perdurare dei conflitti hanno imposto l’esilio o l’emigrazione a numerosi scrittori etiopi. Tra questi si segnala, per l’attenzione sollevata da alcuni suoi romanzi, la scrittrice M. Nassibou, costretta nell’infanzia all’esilio in Italia (1937-45) e, dopo un ritorno in E., trasferitasi dal 1964 in Francia.
Il popolamento in E. in età preistorica è testimoniato dalla produzione di strumenti microlitici che suggeriscono la presenza di popolazioni di cacciatori e raccoglitori. In E. e in Eritrea queste industrie sono attribuibili a 3 complessi principali, databili fra l’8000 e il 1° millennio a.C., ma alcune industrie grossolane su scheggia tipiche del Tigrai risalgono al 10.000 a.C. Tracce di insediamenti (cultura delle Ona), databili fra la fine del 2° e la metà del 1° millennio a.C., sono state segnalate sull’altopiano dell’Hamasien presso Asmara (Eritrea) e ad Aduli (Mar Rosso). Villaggi fortificati e necropoli con dolmen, sempre della metà del 2° millennio, sono stati individuati sull’altopiano di Harar. È possibile che forme semplici di metallurgia fossero note alle popolazioni dell’Altopiano Etiopico nel 2°-1° millennio a.C. (ritrovamenti di scorie di rame ad Aduli e Agordat; di scorie di ferro presso Aksum nel Tigrai). Oggetti in bronzo e ferro sono sati rinvenuti in tombe del regno etiopico-sabeo del Daamat (metà 1° millennio a.C.) e ciò fa supporre che la diffusione del metallo in E. sia contemporanea alla formazione delle prime forme di Stato nel Corno d’Africa (Tigrai ed Eritrea). Pitture e graffiti rupestri, in cui compaiono figure stilizzate di animali (inizio del 1° millennio a.C.), sono stati ritrovati in Eritrea e nella regione di Harar, nel Tigrai e nel meridione del paese (Yavello). In questo periodo (preaksumita) è forte l’influenza delle regioni sudarabiche, in particolare del regno di Saba, riscontrabile soprattutto nell’architettura monumentale, in alcuni altarini votivi e in alcuni sigilli di bronzo con iscrizioni in grafia sudarabica.
Fino al 20° sec. lo sviluppo artistico dell’E. presenta un percorso comune con quello dell’Eritrea. Nel periodo preaksumita (dal 5° sec. a.C. al 1° d.C. circa) si collocano prodotti architettonici e scultorei di appartenenza sudarabica, dovuti verosimilmente a sudarabi stanziati in E.; successivamente si affermò un’arte propriamente etiopica, durante il periodo segnato dalla predominanza della città di Aksum (1°-10° sec.), caratterizzata tanto da elementi sudarabici quanto da influssi egiziani, delle culture del Mediterraneo e bizantini; l’introduzione del cristianesimo (4° sec.) segnò il momento di un nuovo sviluppo, caratterizzato da influssi cristiano-orientali. I resti architettonici presentano peculiari soluzioni costruttive, in palazzi, templi e chiese cristiane; le tombe e le caratteristiche stele, alti monoliti granitici che nella decorazione a rilievo rappresentano forse una idealizzazione di residenze reali, testimoniano l’importanza del culto dei morti. I centri maggiori furono Aksum, Matarà, la regione del Cohaito, Adulis, tutti nell’odierna Eritrea (Adulis era il porto di Aksum sul Mar Rosso).
Nei resti delle prime chiese si nota l’influenza dell’arte di Siria e di Palestina, oltre che dell’Egitto cristiano. Appare originale la produzione ceramica, per aspetti sia tecnico-materiali sia formali. Tra gli edifici del periodo cristiano sono alcuni importanti monumenti, come le chiese del monastero di Debra Dammò (6°-10° sec.), modello per altre chiese dell’Eritrea e dell’E. meridionale. Dal 10° al 15° sec. e oltre furono costruite chiese scavate nella roccia, o ricavate dalla roccia, comuni nel Tigrai e nel Lasta (Lalibela, chiese monolitiche di Bet Giyorgis, Bet Golgota ecc., 12°-14° sec.). Harar è connotata dall’influenza della cultura arabo-islamica, esempio della quale è l’importante moschea di al-Jami (16° sec.). La scultura ha lasciato testimonianza in parti decorative, in legno o in pietra, con motivi geometrici, vegetali stilizzati, figure animali o umane (nel Lasta), in cui si riscontra l’influsso dell’arte copta. Le prime documentazioni pittoriche, religiose, parietali, su tavola o su pergamena, mostrano influssi da Siria, Armenia, Egitto copto.
Verso il 15°-16° sec. la pittura subisce un’influenza europea. Di particolare importanza, per l’aspetto iconografico, sono le illustrazioni connesse con il libro dei Miracoli di Maria, diffusosi nel 15° secolo. Soprattutto dal 17° sec. l’architettura si trasforma radicalmente, dimostrando influenze portoghesi, indiane, accanto a elementi etiopici. Il nuovo sviluppo si ha nella regione di Gondar e del Lago Tana. Nelle chiese si diffonde una struttura a pianta circolare, spesso costituita da due spazi circolari concentrici racchiudenti un vano quadrangolare; la forma esterna della chiesa rotonda ripete quella della casa indigena a tetto conico. Alle costruzioni di legno e malta di fango e paglia subentrano tra 16° e 18° sec. edifici in pietra e calce a pianta complessa, con più piani e copertura spesso a cupola, destinati a uso religioso o civile. Nella pittura è importante l’influenza indiana, accanto a modelli iconografici religiosi europei, in dipinti murali, tavole e manoscritti, cui dal 19° sec. si affianca lo sviluppo di un’iconografia profana, storica, ritrattistica e di genere.
Addis Abeba è ricca di architetture tradizionali e moderne; fino all’inizio del 20° sec. nell’architettura si evidenziano influssi soprattutto arabi e indiani, in edifici sia religiosi sia secolari. Dal 1910 sono introdotti, da parte di architetti europei, stili storici ed eclettici; nelle chiese prevale l’ispirazione a forme rinascimentali e barocche (S. Giorgio, 1906; mausoleo di Menelik, 1930; la Trinità, 1941). Da ricordare anche i classicheggianti palazzi di Ḫāyla Sellāsyē (1935) e Palazzo Nazionale (1955) e l’edificio déco del Parlamento (1934). Dagli anni 1950 è diffuso il richiamo a un funzionalismo di matrice internazionale (Municipio, 1961-64).
Dopo l’accademismo degli anni 1930 l’arte si allinea alla produzione europea. Tra gli artisti si ricorda G. Krestos Dastā (1932-1981), formatosi in Germania, poi rivoltosi all’astrattismo; A. Boghossian, detto Skunder, trasferitosi negli USA nel 1969. Dopo il realismo convenzionale diffuso dalla metà degli anni 1970 si assiste allo sviluppo di una pittura di tipo popolare; grande importanza assume nella formazione degli artisti la Scuola di Belle Arti (fondata nel 1969). Nella scultura si ricordano le opere monumentali di A. Taklē (statua equestre di Ras Makonnen, 1968) o i richiami alla scultura lignea tradizionale di B. Abebe.
Il cristianesimo generò una musica liturgica la cui storia è di difficile ricostruzione per via delle invasioni, soprattutto islamiche, subite nel corso dei secoli, a causa delle quali scomparvero gran parte dei codici che documentavano il canto liturgico etiopico. Il suo sviluppo, secondo gli studi più recenti, si può delineare in tre fasi: la prima, dalla cristianizzazione alla venuta del musico Yared nel 4° sec.; la seconda, definita ‘il periodo di Yared’, che è considerato il fondatore della musica etiopica; la terza, da Yared ai giorni nostri. Yared, secondo la tradizione etiopica, non solo sarebbe stato l’autore di tutti i libri liturgici e delle melodie del canto sacro, ma anche l’inventore del sistema di notazione basato su segni, detti meleket, posti al margine o tra le righe dei testi sacri.
Il canto etiopico può essere a cappella oppure accompagnato da alcuni strumenti che servono esclusivamente per marcare il tempo: il maqwamiya (bastone con l’estremità superiore in metallo a forma di tau greca), il kabaro (grosso tamburo) e il senasel (piccolo sistro di bronzo).