Modificazione strutturale o funzionale di un organismo vivente.
In botanica, il termine si riferisce a ogni evidente modificazione nella conformazione esterna e nella struttura interna di uno dei membri morfologici (radice, fusto, foglia) di una pianta cormofita, che può dipendere dai cambiamenti di funzione o dell’ambiente, che si sono verificati nel corso dell’evoluzione organica. Le m. sono talora così notevoli da rendere difficile l’interpretazione della natura morfologica di un organo, che può, tuttavia, essere riconosciuta se esso viene esaminato nei primi stadi di sviluppo. Le m. determinate dal cambiamento di funzione sono molteplici e sono rappresentate, per es.: per il fusto, dai rizomi (fusti adattati alla vita sotterranea), nei quali, in relazione alla loro posizione pressoché orizzontale, i fasci vascolari sono spesso di tipo concentrico anziché collaterale e i rizomi sono ad accrescimento determinato (Iris) o indeterminato (gramigna); per la foglia, dai casi di eterofillia (foglie normali aeree e foglie laciniate, nell’acqua del ranuncolo acquatico); per la radice, dalle radici aeree, con o senza velo radicale (Orchidacee, Aracee). Le m. determinate da cambiamenti dell’ambiente possono essere generalizzate, se ricorrono in tutti e tre i costituenti del cormo, o speciali, se proprie di uno solo di essi. Alle prime appartengono i casi di: eteromorfismo come l’eterofillia, l’eterocladia e l’eterorrizia; per es. rami lunghi con catafilli e rami brevi con foglie normali nel pino; stoloni con foglie ridotte nella fragola; radici cordiformi in molte Aracee; eterofillia nell’edera e in Aralia; eterorrizia per presenza di radici normali e radici fulcranti nell’edera; appiattimento dei rami (cladodi in Ruscus, Opuntia), del picciolo fogliare (picciolo amplessicaule in Iris e diverse acacie), della radice (alcune Orchidacee epifite); spinificazione della gemma terminale (biancospino), di interi rami (arancio amaro), di sistemi di rami (Gleditschia), del margine fogliare (agrifoglio, agave), di tutta la foglia che si riforma da gemme sovrapposte (Berberis), delle stipole (Robinia), della radice (alcune palme); cirrazione di tutta la foglia (Lathyrus aphaca), delle ultime foglioline di foglie composte (molte Fabacee), del picciolo (vitalba), delle stipole (Smilax), dei rami (Passiflora), di sistemi di rami (vite, Cucurbitacee, vite del Canada, ove si formano anche organi a ventosa), della radice (Orchidacee epifite, molte Aracee); tuberizzazione del caule (un solo internodo in Colchicum, un intero ramo nella patata, un sistema di rami nel gigaro), della foglia (cotiledoni in generale, bulbi nelle Liliacee ecc., bulbilli in Dentaria), della radice (Dahlia, Drosera), del caule e della radice (carota, bietola); formazione di organi galleggianti dal caule (Polygonum nodosum), dalla foglia (Trapa natans, Pontederia), dalla radice (Jussiaea). Sono, infine, esempi di m. gli austori delle Fanerogame parassite ed emiparassite, e gli pneumatodi.
In zoologia, m. è l’insieme dei cambiamenti, talora profondi e complicati, che subiscono organismi di molti gruppi animali, al termine del loro sviluppo embrionale, per raggiungere la forma dell’adulto. Allo sviluppo per m. si contrappone quello diretto, quando l’animale sguscia dall’uovo in forma simile, o quasi, a quella definitiva. Nello sviluppo per m., fra l’embrione e la forma definitiva (imago) s’intercalano stadi di passaggio, detti stadi o forme larvali, che per lo più manifestano un’organizzazione e un modo di vita diversi da quelli dell’adulto. Lo sviluppo per m. è diffuso specialmente negli Invertebrati (complicate e ben note sono le m. negli Artropodi: Insetti, Crostacei; nei Poriferi, Celenterati, Platelminti, negli Anellidi Policheti ed Echinodermi); stadi larvali e postlarvali si riscontrano pure fra i Cordati, nei Tunicati, negli Anfibi (ben note le m. degli Anuri) e nei pesci (Teleostei), nei quali non si hanno vere e proprie m., ma piuttosto fasi giovanili di vita, gli stadi larvali e postlarvali, che conducono in genere un periodo di vita pelagica planctonica e assumono progressivamente l’aspetto e le abitudini degli adulti. Vere m., fra i pesci, sono quelle degli Anguillidi. Si ha m. graduale quando le trasformazioni avvengono gradualmente nel corso della vita larvale (per es., Ortotteri); m. catastrofica quando le trasformazioni, più radicali, si realizzano nel corso di un particolare stadio larvale (detto stadio di pupa negli Insetti olometaboli), durante il quale l’animale non prende alimento e rimane pressoché immobile (per es., Coleotteri, Lepidotteri, Ditteri); m. degradativa quando la struttura dell’adulto è meno complessa rispetto a quella della larva (per es., Rizocefali, vari Copepodi parassiti); infine si parla di ipermetamorfosi quando si ha una successione di due o più forme larvali che si trasformano l’una nell’altra in seguito a processi metamorfici (per es., Fasciola, aragosta, Coleotteri Meloidi).
Trasformazione di un essere o di un oggetto in un altro di natura diversa, elemento tipico di racconti mitologici o di fantasia, spesso consacrati in opere letterarie, specialmente del mondo classico. Bisogna distinguere almeno due specie di m.: certi racconti attribuiscono a determinati personaggi la facoltà di cambiare forma e aspetto a volontà e temporaneamente, altri vertono sulla trasformazione definita e definitiva di un personaggio. Nel caso della m. temporanea si tratta per lo più di esseri sovrumani (dei, demoni o anche persone umane straordinarie, o uomini o animali vissuti nei tempi mitici) che appaiono nelle forme più diverse di animali, piante, oggetti ecc. (come Proteo nell’Odissea) o, eventualmente, solo in forme ben determinate. I popoli di intesse etnografico attribuiscono, del resto, questa capacità di m. anche a personaggi reali di carattere eccezionale: così, per es., gli sciamani, fattucchieri, stregoni possono assumere le forme che vogliono. D’altronde, presso diversi popoli si riscontra la credenza che alcune o tutte le persone umane abbiano una loro costante forma d’animale: di lupo (➔ licantropia), di giaguaro ecc.; animale che vive indipendentemente da loro, ma la cui morte provoca quella della persona. Nel caso della m. definitiva e unica si tratta normalmente di personaggi mitologici antropomorfi che in conseguenza di determinati fatti, ora per punizione, ora per essere salvati o immortalati, vengono trasformati per lo più da dei, o anche da stregoni, in elementi del paesaggio (rocce, sorgenti ecc.), piante, animali o stelle (catasterismi). Questi racconti, nei loro tipi più antichi, tendono a fornire un mito delle origini di determinate configurazioni naturali. Spesso, in questo caso, l’eroe della m. è un essere sovrumano, la cui trasformazione (per es., ascesa al cielo in forma di sole o di luna) equivale a un atto di creazione o organizzazione cosmica.
Se il motivo della m. definitiva discende da un antichissimo pensiero mitologico e religioso teso a fissare le origini e fondare i caratteri delle cose, quello della m. temporanea pare invece rispecchiare sforzi magico-religiosi diretti al superamento dei limiti e al potenziamento della forma umana individuale, come esso si realizza nelle pratiche sciamanistiche, iniziatiche ecc. Ciò non impedisce che la m. figuri anche in racconti di scarso valore religioso; in questa sua forma, il motivo della m. appare già in ambienti primitivi, per diventare poi un espediente letterario (Metamorfosi di Ovidio) e per sopravvivere come elemento tipico nelle fiabe popolari.