Regione dell’Italia centrale (9.401,38 km2 con 1.512.672 ab. nel 2020, ripartiti in 228 Comuni; densità 160 ab./km2), che dall’Appennino si estende sul versante adriatico, affacciandosi sulla costa per 173 km dal Tavollo alla foce del Tronto, confinando a N con l’Emilia-Romagna e San Marino, a O con la Toscana e l’Umbria, a S con il Lazio e l’Abruzzo.
Il territorio è diviso, dal punto di vista amministrativo, in 5 province (di cui quella di Fermo, istituita con l. 147/11 giugno 2004, è divenuta operativa nel 2009; v. tab.) e, dal punto di vista organizzativo e pianificatorio, in 12 comunità montane e 9 comprensori. Capoluogo regionale è Ancona.
Prevalentemente collinari (69% del territorio), le M. non possiedono vere pianure, se si escludono le strette fasce alluvionali che si snodano tra le formazioni mio-plioceniche fino al mare. Il resto della regione è occupato da montagne che si elevano via via verso S, fino al gruppo dei Sibillini (Monte Vettore, 2476 m) che ricordano, per arditezza e morfologia, i caratteri alpini. In generale comunque non si superano i 1500 m e sulle sommità dei rilievi dominano larghi pianori coperti da pascoli erbosi. Il territorio, parte integrante dell’Appennino Umbro-Marchigiano, è geologicamente costituito da due catene parallele (Monte Nerone-Monte Catria-Monte Cavallo e Monte San Vicino-Sibillini) con direzione NO-SE nelle M. settentrionali e NNO-SSE nelle M. centro-meridionali. Più a E sono diffuse le formazioni marnoso-argillose e arenacee, smembrate dall’erosione in colline cui si deve il tipico morbido profilo della campagna marchigiana. A N, lungo il Marecchia e il Conca, un complesso argilloso alloctono, con rilievi sradicati dalla posizione originale, fornisce un nuovo paesaggio, interessato da estesi fenomeni calanchivi e da rupi aspre e isolate, sedi privilegiate dall’insediamento medievale (San Leo).
La rete idrografica presenta caratteristiche distintive: parallelismo accentuato, apertura verso NE e disposizione ortogonale rispetto alle catene appenniniche, regime torrentizio, scarsità di affluenti (fa eccezione il Metauro), dissimmetria delle sponde, brevità dei corsi (il Tronto è il più lungo con 115 km di asse vallivo) e spartiacque spostato a O rispetto alla linea delle maggiori elevazioni, incisa dalle gole rupestri.
L’altimetria crescente dalla costa all’interno, la diversa distanza dall’Adriatico, la differente esposizione ai venti (freddi e asciutti a N del Conero) scompongono la regione in aree climatiche di cui le principali sono quella subcontinentale, che interessa l’entroterra e raggiunge la costa a N del Cesano, e quella sublitoranea, nel resto della regione, sebbene l’alta valle del Tronto ricada già in un dominio temperato fresco e la parte terminale dello stesso corso d’acqua in quello temperato caldo.
La regione ha presentato fra gli anni 1980 e 1990 una dinamica demografica positiva. Tuttavia, il ritmo d’incremento ha registrato un netto rallentamento a causa del crollo della natalità, così che la modesta crescita complessiva sembra da attribuire essenzialmente al contributo positivo del saldo migratorio. I fattori territoriali che hanno esercitato un ruolo attrattivo nei confronti dei movimenti di popolazione sono legati alla vitalità e alla diffusione regionale dell’industria manifatturiera e alla qualificazione del settore terziario. È stato, inoltre, registrato nei capoluoghi un decremento, sia pure modesto, della popolazione urbana, legato a una riduzione dell’attrazione esercitata dagli stessi Comuni; si è progressivamente esaurita la spinta espulsiva dell’entroterra, mentre si è verificato un aumento dei rientri degli emigrati. Sempre più ridotta, anche se tuttora apprezzabile, è la popolazione sparsa, un tempo nota distintiva della regione ad antica struttura mezzadrile: il trasferimento dell’abitazione dalla campagna al centro, oltre che presupposto per un migliore uso dei servizi e segno di elevazione sociale, spiega l’intensa attività edilizia nei capoluoghi comunali, nonostante la ridotta o mancata crescita di popolazione e pur tenuto conto della tendenza a costituire nuclei familiari autonomi e ad abbandonare il centro storico. Il tessuto urbano si è diffuso così fuori delle mura, lasciando nella vecchia sede sempre minori funzioni e talora decretandone un rapido decadimento.
Regione agricola a base mezzadrile tra il 14° e 15° sec., le M. hanno conosciuto un’epoca di commerci attraverso i porti (porto franco di Ancona nel primo Settecento), cui peraltro è seguito un periodo di progressivo scollamento dalla realtà economica settentrionale, accumulando ritardi nel processo di modernizzazione. Fino agli anni 1950 l’economia era esclusivamente agricola e la trasformazione industriale ha interessato la regione in ritardo, il che ha consentito di prevenire e di risolvere in qualche misura le crisi che hanno investito il settore a livello nazionale. La dinamica economica regionale nel 2000 sembra complessivamente confermare una tendenza positiva: a eccezione della provincia di Ascoli Piceno il territorio ha registrato negli anni 1990 un forte incremento del reddito pro capite, dovuto soprattutto alla vitalità dell’apparato produttivo, oltre a generali condizioni di riassetto locale che hanno comportato una migliore accessibilità ai servizi. Da quest’ultimo settore è provenuto, nella seconda metà degli anni 1990, il maggiore contributo allo sviluppo economico regionale e all’aumento del numero totale degli occupati, verificatosi mediamente in ragione di oltre il 2% annuo e largamente favorito dall’impiego di contratti di lavoro a tempo determinato. La diffusione del lavoro part-time ha caratterizzato il settore agricolo, che ha invece registrato una contrazione dell’occupazione riconducibile all’affermazione di strutture aziendali con forte propensione all’investimento e all’innovazione.
Tra le coltivazioni di cereali prevalgono il grano duro, i cereali foraggeri e l’orzo; tra le colture orticole il pomodoro (soprattutto nelle province meridionali, dove è più diffusa l’orticoltura irrigua e spesso in serra), la patata (Ascolano e Maceratese), il cavolfiore (Iesino e Fanese). Fiorente è la viticoltura, distinta da moderni impianti e da rinomate cantine sociali sorte in aree DOC (sangiovese dei colli di Pesaro, rosso Conero, rosso Piceno, bianchello del Metauro, verdicchio dei castelli di Iesi ecc.). Tra le colture industriali primeggia la barbabietola (moderni zuccherifici a Iesi e a Fano), seguita dal girasole, dalla soia e dalla colza, cui si è aggiunta una forte espansione registrata nei comparti dell’olivicoltura e della produzione olearia fra il 1999 e il 2000. Il settore zootecnico ha registrato un incremento produttivo in ogni comparto. La pesca ha invece subito un ridimensionamento nel corso degli anni 1990, a causa della rarefazione della fauna marina dovuta a un eccessivo sfruttamento delle risorse; fra il 1998 e il 1999 la produzione lorda si è ridotta del 3,5% per effetto dell’interruzione delle attività richieste dalle operazioni di bonifica del Mare Adriatico a seguito della guerra nei Balcani. L’apparato industriale, fondato sul modello di sviluppo della piccola-media impresa, fortemente integrato con attività di specializzazione artigiana, ha modificato la propria caratterizzazione tradizionale (lavoro a domicilio e funzioni di subfornitura spesso al servizio di imprese extraregionali) a vantaggio di una riorganizzazione dell’apparato imprenditoriale in forme di sempre maggiore strutturazione e apertura all’internazionalizzazione, con impiego delle nuove tecnologie, aumento di competitività legato alla diversificazione produttiva ed elevata interazione fra strutture della produzione e servizi alle imprese.
L’industria della carta (Fabriano, Pioraco e Castelraimondo), di antichissima tradizione e di alta specializzazione, continua a essere fiorente, seppure talora con la difficoltà dell’approvvigionamento di materia prima; dotate di buona vivacità sono le industrie di elettrodomestici (Fabrianese) e di pelletterie (Tolentino). Dal 1999, tuttavia, le ricorrenti crisi dei mercati internazionali hanno provocato fasi di ridimensionamento della produzione manifatturiera, legate a un andamento altalenante delle esportazioni regionali. La crisi non ha interessato i comparti connessi all’edilizia (lavorazione del legno-mobilificio e trasformazione dei minerali non metalliferi) e quello alimentare; hanno invece ridotto i livelli di attività le imprese tessili e i calzaturifici, colpiti da un calo consistente della domanda. Tali dinamiche sono state, tuttavia, compensate da un incremento delle vendite nel mercato interno, che ha interessato in diversa misura la gran parte dei settori dell’industria. Le esportazioni regionali sono state influenzate dalla modesta evoluzione della domanda da parte dei mercati dell’Unione Europea e dall’emergere di nuovi concorrenti nei tradizionali settori trainanti del sistema produttivo regionale. Significativo nel bilancio regionale il contributo turistico, che è quasi esclusivamente balneare, e quindi estivo, sebbene le M. conservino valori paesistici, artistici, archeologici di grande importanza, ma poco conosciuti in quanto per lo più non compresi nei circuiti abituali.
Preistoria. - La presenza dell’uomo, durante il Paleolitico inferiore, è attestata da numerosi strumenti litici raccolti in giacitura secondaria soprattutto negli strati alluvionali quaternari di vari fiumi (Misa, Nevola, Musone, Cesano, Chienti ecc.) e in diverse località in provincia di Ancona, Macerata e Ascoli Piceno. Il più importante giacimento in stratigrafia è quello del Monte Conero (Ancona). Dopo una serie di livelli contenenti oggetti romani e poi sporadici manufatti di selce, seguono un livello che ha dato industria musteriana in situ (80.000-37.000 anni fa), poi uno strato sterile, e infine quello in cui è stato rinvenuto del materiale attribuito all’Acheuleano (650.000-200.000 anni fa). Si tratta di una dozzina di bifacciali, insieme a poliedri, nuclei e manufatti su scheggia. Questi ultimi sono più abbondanti delle amigdale, e consistono soprattutto di raschiatoi. Il livello musteriano del Monte Conero, con industria di facies Levallois, è tra le più notevoli testimonianze del Paleolitico medio nella regione.
Del Paleolitico superiore delle M. si ha una conoscenza ancora limitata. L’industria definita epigravettiana evoluta della Grotta del Prete (Fabriano), associata a pochi resti di fauna che includono lo stambecco e la marmotta, è datata mediante il 14C a 8040 ± 190 anni a.C.
La più antica facies neolitica della regione è rappresentata in vari giacimenti all’aperto, spesso in abitati con resti di capanne, dove si rinviene ceramica impressa associata a ceramica figulina acroma o dipinta a fasce rosse non marginate. A Ripabianca di Monterado (Ancona) questo aspetto, attribuito a una fase antica del Neolitico medio, è datato mediante il 14C a circa 4310, 4260 e 4190 anni a.C. Nell’insediamento neolitico superiore di Santa Maria in Selva (Macerata) si notano rapporti sia con una fase avanzata della cultura di Ripoli, sia con la cultura di Lagozza.
Nella serie stratigrafica di Attiggio di Fabriano (Ancona) sono attestati vari momenti del passaggio all’Eneolitico. A quest’ultimo periodo va riferito l’importante sito fortificato di Conelle di Arcevia (Ancona), che dà il nome a una cultura, alla quale è attribuita tra l’altro la necropoli di Fonte Noce (Recanati).
Dal materiale del ripostiglio di Ripatransone (Ascoli Piceno) è stata individuata una facies dell’antica età del Bronzo, caratterizzata essenzialmente dal delinearsi di una produzione metallurgica locale. Più tardi si diffonde nelle M. la civiltà appenninica (➔ appenninico), che vi ha lasciato ricchissime testimonianze. Fra i siti più importanti sono la stazione di Santa Paolina di Filottrano e le Grotte di Frasassi (Ancona). In varie località sono venuti in luce materiali protovillanoviani (Monte La Rossa, Colle dei Cappuccini ad Ancona). Particolarmente notevoli per la conoscenza di questa fase sono la necropoli a cremazione del Pianello di Genga (Ancona) e il ripostiglio di Monte Primo (Macerata).
Durante l’età del Ferro si sviluppa nelle M. la cultura picena (➔ Piceno). Essa si conosce soprattutto dalle numerose necropoli a inumazione, tra cui le più note quelle di Novilara (Pesaro), Pitino di Sanseverino, Moie di Pollenza e Tolentino (Macerata), Fabriano e Numana (Ancona). A Fermo (Ascoli Piceno) è venuta in luce una necropoli con sepolture a cremazione e a inumazione, che mostra evidenti relazioni con la cultura villanoviana del versante tirrenico e dell’Emilia.
Storia. - La regione attuale delle M. fu nell’antichità abitata dai Piceni tra il fiume Foglia e Pescara. Nel 4° sec. a.C. fu fondata Ancona da esuli siracusani; nello stesso periodo si insediarono i Galli Senoni, prevalentemente a N del fiume Esino (ager Gallicus). La regione cadde sotto i Romani (3° sec. a.C.) e venne fortemente romanizzata con la deduzione di numerose colonie e l’apertura della Via Flaminia (220 a.C.). Al tempo di Augusto il Piceno costituì la 5ª regione (l’ager Gallicus fu compreso nella 6ª regione, Umbria). Nel 292 Piceno e ager Gallicus furono riuniti nella provincia Aemilia et Picenum; Diocleziano effettuò una nuova suddivisione e, successivamente, la regione subì ulteriori vicende amministrative. I Longobardi occuparono tutta la regione a S di Ancona, mentre alle dipendenze dell’esercato di Ravenna si costituì la pentapoli marittima (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona), data poi da Pipino e Carlomagno ai papi, dove fiorirono varie abbazie che svolsero opera di dissodamento della terra.
Solo sotto gli Ottoni, nel 10° sec., comparve il nome di Marca (dal germanico marka «segno di confine», ➔ marca), per indicare la zona limite dell’influenza imperiale: si costituì così la marca di Camerino, staccata dal ducato di Spoleto. Più tardi fu creata anche la marca di Fermo, con la quale poi si fuse quella di Ancona. La regione, di confine, era particolarmente adatta allo sviluppo di poteri signorili ma anche i Comuni ebbero vita vigorosa. Il principale fu Ancona, che gareggiò con Venezia nel commercio adriatico e resistette vittoriosamente a Federico Barbarossa. Vanno poi ricordati Fabriano, Matelica e Osimo.
Nel quadro del dominio pontificio della regione emersero alcune potenti famiglie signorili: dapprima quella dei Montefeltro, che estese i suoi domini su Gubbio, Urbino, Cagli ecc.; a Camerino dominavano i Varano; più tardi i Malatesta si imposero da Pesaro a Osimo. La Santa Sede cercò di riaffermare i suoi diritti per mezzo di legati, o concedendo ai signorotti locali il vicariato apostolico. Nel 14° sec. il cardinale Egidio de Albornoz riuscì a riportare alle dipendenze della Chiesa molte città e castelli o si accordò stabilmente con i signori, mentre a Fano fece approvare, nel parlamento generale degli Stati della Chiesa, le fondamentali Constitutiones aegidianae (1357). Solo Francesco Sforza creò (1433-44) un dominio personale in quelle terre e, mezzo secolo dopo, Cesare Borgia padroneggiò tutta la Marca; in definitiva, il tentativo di Borgia servì solo a favorire l’accentramento amministrativo che la Chiesa perseguiva da tempo e che completò con l’occupazione (1532) del comune di Ancona e con l’acquisto (1631) del ducato di Urbino, estintasi la famiglia Della Rovere. Con la protezione delle truppe della Rivoluzione francese, dopo il trattato di Tolentino sorse la Repubblica d’Ancona (1797); le città marchigiane si unirono poi alla Repubblica Romana (1798-99) ed entrarono a far parte, dal 1808 al 1813, del Regno d’Italia. Restituite alla Chiesa dopo la catastrofe napoleonica, le M. furono occupate dalle truppe piemontesi nel 1860.
Non esiste un gruppo omogeneo di dialetti marchigiani, definito da caratteri comuni che consentano di farlo rientrare per intero nel sistema dialettale centro-meridionale. Infatti si trovano, a nord una varietà gallo-picena che continua i dialetti romagnoli; a sud, in provincia di Ascoli, dialetti affini all’abruzzese; e nella regione centrale (cioè in provincia di Macerata, in parte di quella di Ancona e nel lembo settentrionale della provincia di Ascoli) tipi dialettali misti, in cui i caratteri abruzzesi s’incontrano e si fondono con quelli dell’Italia mediana (umbro-romaneschi). Non si può così parlare di un gruppo dialettale ‘marchigiano’ sufficientemente individuato all’interno dei gruppi dialettali italiani.