carta geogràfica Rappresentazione ridotta, approssimata e simbolica, in piano, di tutta la superficie terrestre o di parte di essa. Altre rappresentazioni cartografiche tridimensionali, come i globi e i plastici a rilievo, condividono con la c. geografica l’insieme della definizione salvo il riferimento al piano bidimensionale.
La più antica rappresentazione cartografica nota è datata al 6200 a.C. (pianta-panorama di Çatal Hüyük, in Turchia); altre poi sono assegnate alla metà del 3° millennio a.C. (Mesopotamia) e alla metà del 2° (Egitto; Alpi Marittime; Val Camonica). Si suppone che questa prima cartografia abbia avuto, nel Vicino Oriente, uno scopo pratico da connettere con la misurazione dei terreni agricoli, l’accesso all’irrigazione, la ripartizione dei carichi fiscali; e, in altri contesti, un carattere forse magico-sacrale. Sembra ragionevole ipotizzare che l’espressione cartografica abbia avuto nascite e sviluppi indipendenti in più aree culturali distinte.
La concezione geometrico-diagrammatica da cui è derivata la cartografia in senso attuale sarebbe stata formalizzata in Grecia intorno alla metà del 6° sec. a.C. (Anassimandro, Ecateo), in connessione con l’idea della sfericità della Terra, per poi svilupparsi fino all’elaborazione delle prime proiezioni e del reticolo geografico (Ipparco, 2° sec. a.C.; e soprattutto Marino di Tiro e Tolomeo, 2° sec. d.C.). Della cartografia greca più antica ci rimangono solo descrizioni verbali; di quella romana abbiamo qualche traccia per l’età imperiale, oltre i trattati di agrimensura, che chiariscono le tecniche di rilevamento romane, e frammenti di piante di città (Forma Urbis Romae, ‘catasto’ di Orange); si ritiene, tuttavia, che in epoca augustea fossero stati raccolti materiali per allestire una c. di tutto l’Impero. L’unico importante documento cartografico romano è la grande Tabula Peutingeriana, pervenuta sotto forma di copia medievale di un originale probabilmente del 4° sec. d.C.: c. stradale-itineraria dell’Impero e delle regioni circostanti, ricchissima di notazioni, aveva carattere esclusivamente pratico e nessuna preoccupazione di ordine geometrico o proiettivo. Fu Claudio Tolomeo a impostare in forma definitiva il problema della costruzione di una proiezione e quindi di c. geografiche a carattere geometrico. La divaricazione tra una cartografia pratica tracciata in maniera empirica (come quella itineraria e, poi, nautica) e una ‘colta’ basata su calcoli, rimarrà nella tradizione occidentale fino al Cinquecento.
Venuta meno, nell’alto Medioevo, l’utilità della cartografia come strumento pratico, tanto che anche l’opera tolemaica venne di fatto dimenticata, si tornò a rappresentazioni a carattere più cosmogonico che cartografico, fortemente influenzate dalla meditazione religiosa e prive di scopi applicativi. Tipiche sono le schematiche mappae mundi dette ‘T-O’, che rappresentano l’emisfero in cui si riteneva contenuto il Vecchio Mondo, circondato dall’oceano (che forma la ‘O’) e tripartito in Asia, Europa e Africa da Mediterraneo, Don e Nilo (che formano la ‘T’); orientate con l’E in alto presentano, spesso, Gerusalemme al centro. Mappamondi più complessi, ma spesso ancora con valore religioso-meditativo, compaiono dopo il Mille, come evoluzioni dello schema T-O con aggiunta di informazioni ricavate da pellegrini, crociati, mercanti, nonché dalla tradizione classica.
Frattanto, mentre una cartografia terrestre a grande scala e a carattere pratico tornava progressivamente in uso, l’introduzione della bussola consentiva la navigazione in mare aperto, e quindi suscitava l’invenzione della cartografia nautica. Il più antico esemplare ne è la Carta pisana (fine 13°-inizio 14° sec.), mentre la prima attestazione letteraria risale a qualche decennio prima. Le c. nautiche sono empiriche, prive di proiezione e di orientamento, caratterizzate dalla presenza di molteplici rose dei venti da cui si dipartono semirette dette ‘rombi di vento’, che indicano le rotte (i venti) da seguire; da principio rappresentano solo il bacino mediterraneo, con un’apprezzabile precisione di forme e di proporzionalità delle distanze, per estendersi poi alle coste atlantiche europee. La piena affermazione della cartografia nautica (impiegata fin dal 14° sec. anche per atlanti dell’intero mondo conosciuto) coincise con l’introduzione della stampa e la riscoperta, in Europa, della Geografia di Tolomeo (prima metà del 15° sec.), e quindi con la ripresa di una cartografia ‘colta’, orientata a rappresentare l’intera Terra secondo principi matematici.
Il succedersi, nello stesso torno di tempo, delle grandi scoperte, basato sulla cartografia di tipo nautico, da un lato fornì il materiale conoscitivo per lo sviluppo della cartografia, dall’altro mise in crisi il modello tolemaico, palesemente insufficiente. La concezione matematica prevalse e venne presto adattata in una ricchissima varietà di forme, entro cui si ebbero notevoli tentativi di rappresentare l’insieme della Terra. Alla metà del 16° sec. erano ormai diffusi i grandi planisferi e i globi, mentre si preparava la pubblicazione del primo atlante di concezione moderna (1570) e si applicava una serie di innovazioni tecniche al rilevamento sul terreno e alle misurazioni (tavoletta pretoriana, triangolazione) che avrebbero portato in Europa alla realizzazione di una ricchissima cartografia terrestre.
Gli sviluppi successivi furono, in definitiva, perfezionamenti di quanto nel corso del Cinquecento era già stato sperimentato, con una crescente importanza della cartografia terrestre sistematicamente rilevata (a opera di organi statali, spesso militari) secondo criteri omogenei, progressivamente convergenti verso forme espressive condivise. La ripresa della geografia scientifica, di cui la cartografia divenne la forma comunicativa per eccellenza, e l’introduzione di innovazioni tecniche (dagli strumenti per le misure alla stampa litografica, alla policromia) diedero grande diffusione alla cartografia tra 19° e 20° sec., facendone uno dei ‘linguaggi’ più utilizzati. Nel pieno 20° sec. il rilevamento mediante aerofotogrammetria, poi da satellite, poi l’automazione dell’allestimento dei prodotti hanno ulteriormente inciso sulla diffusione della cartografia.
Il carattere di rappresentazione delle c. geografiche va attentamente sottolineato, dopo che per lungo tempo si è ritenuto di poter considerare la c. geografica (più specificatamente, la c. topografica) un’‘immagine’ o ‘raffigurazione’ più o meno fedele della superficie terrestre, dove la fedeltà sarebbe esclusiva funzione della scala e dell’accuratezza di esecuzione tecnica della carta. Questa fiducia nelle capacità della c. è stata smentita da un’approfondita critica culminata nella «decostruzione» (J.B. Harley) dei meccanismi compositivi e discorsivi della c. geografica, che ne ha messo in luce l’insanabile parzialità. Già in precedenza, del resto, altri autori (L. Gambi e M. Quaini in Italia, Y. Lacoste e J. Bertin in Francia, M. Monmonier negli Stati Uniti) avevano rilevato la ‘faziosità’ della c. geografica, soprattutto individuando omissioni o distorsioni volontarie o comunque dipendenti da specifiche impostazioni. Il carattere di rappresentazione della c. geografica nel suo rapporto con la realtà della superficie terrestre è generale, si applica a qualsiasi forma cartografica, è insopprimibile; in tutti i casi, cioè, la c. geografica è una proposta interpretativa, fortemente selettiva, orientata sia dalle esigenze e dalle premesse concettuali o ideologiche dell’autore, sia da quelle del fruitore: insomma, in nessun caso la c. geografica è ‘vera’. Ciò non toglie, sia chiaro, che la c. geografica continui ad assolvere una funzione insostituibile nell’analisi e nella comunicazione di dati spaziali, come anche nell’operatività di moltissime discipline e tecniche.
Il requisito della riduzione è implicito nella necessità di rappresentare l’oggetto cartografato in una dimensione minore di quella reale. La riduzione è realizzata in maniera omogenea e in base a un preciso rapporto (rapporto di scala o, semplicemente, scala). La scala si riferisce a misure lineari (e non areali) e viene espressa in forma frazionaria: in una c. in scala di 1:25.000 (o 1/25.000 o ‘al 25.000’), ogni distanza lineare reale è stata ridotta 25.000 volte; il che vuol dire che 1 cm nella c. equivale a 25.000 cm (=250 m) sul terreno. Essendo il numeratore sempre 1, la riduzione è tanto maggiore quanto maggiore è il denominatore; sono quindi c. a più grande scala quelle con più piccolo denominatore, e a scala minore quelle con denominatore più grande: la grandezza della scala è inversa rispetto al denominatore, perché va messa in relazione con il risultato aritmetico della frazione: 1:25.000 dà un risultato maggiore di 1:250.000, e la scala di 1:25.000 è più grande della scala 1:250.000; a parità di dimensione del disegno, una c. in scala maggiore rappresenta un’estensione di superficie terrestre minore, ma una maggior quantità di particolari, e viceversa. Specie quando il rapporto di riduzione non può essere espresso da una cifra in migliaia o decine di migliaia esatte, la scala numerica può essere sostituita da una scala grafica, cioè un segmento equivalente a una lunghezza reale (es. 100 km), da confrontare direttamente sulla c. geografica; la scala grafica (la sola un tempo utilizzata, e comunque più largamente usata in passato) consente la riduzione o l’ingrandimento delle dimensioni della c. geografica (per es. effettuandone una riproduzione) senza dover procedere a nuovi calcoli, come sarebbe il caso se si modificasse la dimensione fisica di una c. con scala numerica.
È d’uso distinguere le c. geografiche, secondo la scala, in: mappe (in scala maggiore di 1:2.000), piante (tra 1:2000 e 1:15.000), c. topografiche (tra 1:15.000 e 1:150.000), c. corografiche (tra 1:150.000 e 1:1.000.000), c. geografiche propriamente dette (in scala minore di 1:1000.000), planisferi e mappamondi (in piccolissima scala, comprendenti l’intera superficie terrestre o, almeno, un emisfero per intero); il planisfero è un disegno continuo (più spesso di forma tendenzialmente ovale), mentre il mappamondo rappresenta in due disegni circolari separati o, tutt’al più, tangenti, i due emisferi (il frequentissimo uso del termine ‘mappamondo’ per ‘globo’, cioè rappresentazione su una sfera tridimensionale, è erroneo). Questa terminologia è però in realtà molto variabile; inoltre, da un lato, la scala non è l’unico elemento caratterizzante una c. geografica, per cui, una c. topografica è considerata tale se ha una scala adeguatamente grande, ma anche un corrispondente dettaglio informativo e un’affidabile precisione costruttiva; dall’altro lato, l’adozione di una determinata scala dipende da una serie di elementi, tra i quali la disponibilità di risorse adeguate e gli scopi per cui la c. viene approntata; così, per es., per talune regioni poco popolate, le c. geografiche più dettagliate hanno spesso una scala che per altre regioni sarebbe considerata corografica (1:200.000, 1:250.000), ma che localmente risponde nei fatti agli scopi e agli usi di una c. topografica; la disponibilità, oggi, di immagini satellitari in assai maggiore scala riduce, ma non elimina, il problema, essendo le immagini da satellite ben differenti da una c. geografica.
L’approssimazione della c. geografica procede da due distinti fattori: da un lato, l’inevitabile deformazione dipendente dalla riduzione in piano della superficie sferica della Terra; dall’altro lato, le tecniche di ‘generalizzazione’ e ‘selezione’ applicate nel disegnare qualsiasi c. geografica. Una superficie curva non può essere ridotta in piano senza provocarne una deformazione: solo il globo può fornire una rappresentazione cartografica correttamente proporzionale della forma della Terra, nonché delle dimensioni (equidistanza), delle superfici (equivalenza) e delle posizioni (in termini angolari e di corrispondenza di forma: isogonia o conformità) degli oggetti rappresentati. Ciascuna delle procedure geometriche adottate per ridurre la superficie terrestre su un piano bidimensionale (proiezioni) è in grado di rispettare o la sola equivalenza o la sola isogonia; nessuna rispetta compiutamente l’equidistanza (in alcune proiezioni ‘equidistanti’, la proporzionalità lineare è rispettata, ma solo lungo certe direzioni predeterminate). Per conseguenza, una proiezione isogona, come la proiezione cilindrica a latitudini crescenti detta ‘di Mercatore’, non è né equidistante né equivalente; non fornisce una rappresentazione proporzionale delle superfici delle terre emerse né delle distanze fra punti della superficie terrestre; e non è opportuno effettuare su di essa, per es., calcoli di distanza o tanto meno di estensione. Una serie di accorgimenti, nelle cosiddette proiezioni convenzionali, può minimizzare l’incompatibilità tra equivalenza ed equidistanza (che risulteranno quasi rispettate), ma non anche l’isogonia. La deformazione che ne deriva nelle c. geografiche è tanto più sensibile quanto minore è la scala. Nelle c. a grandissima scala (che rappresentano estensioni molto ridotte), la deformazione potrà risultare insensibile o addirittura nulla ai fini pratici; ma già alla scala di 1:25.000, che pure è da considerare grande, le parti più lontane dal centro di proiezione presentano deformazioni significative. Le proiezioni sono teoricamente infinite; messo a punto almeno nel 2° sec. a.C. (Ipparco di Nicea), il principio della proiezione geografica venne sviluppato soprattutto nei primi decenni del Cinquecento, per essere affinato in seguito e fino a oggi. Nella pratica, solo qualche decina di proiezioni trova però effettivo impiego. Si può distinguerle principalmente in prospettiche (fig. 2), come le azimutali, e di sviluppo (fig. 3), come le cilindriche e le coniche. Per i planisferi sono utilizzate generalmente proiezioni convenzionali, per lo più derivate da cilindriche e coniche, con deformazioni sempre molto sensibili; per ridurre le deformazioni, nei planisferi si fa ricorso anche a ‘proiezioni interrotte’, in cui il disegno viene sezionato in più sezioni discontinue. L’altro fattore di approssimazione è intrinseco alla riduzione in scala: per riportare, in uno spazio dato e poco esteso, le molte informazioni relative agli oggetti geografici da rappresentare, è inevitabile una selezione o sfollamento, vale a dire la scelta di cosa rappresentare nella c. e cosa trascurare; e, per ciò che viene rappresentato, è pure inevitabile una generalizzazione (semplificazione) delle forme, così da eliminare le particolarità più minute (per es. le piccole rientranze di una costa, le sinuosità di una strada) che, ridotte, non sarebbero visibili o nuocerebbero alla leggibilità. Nel disegno cartografico si deve anche procedere, all’inverso, a un’enfatizzazione di taluni segni (per es. quelli che rappresentano le vie di comunicazione o i centri abitati): se si riducesse in proporzione alla scala la reale larghezza di una strada, infatti, questa potrebbe risultare di fatto invisibile; di conseguenza, occorre esagerare le dimensioni del relativo segno, così da renderlo percepibile, a costo però sia di falsificare la proporzionalità delle dimensioni sia di obliterare o di dislocare parte degli elementi che, sulla reale superficie da rappresentare, fiancheggiano, nell’esempio, la strada stessa.
La c. geografica è, infine, simbolica almeno nel senso che adotta, per rappresentare classi o qualità dei fenomeni rappresentati, colori (soprattutto dal 19° sec.) e segni convenzionali, in parte analogici (o figurativi), in parte simbolici: esempi di soluzioni analogiche sono i colori (azzurro per le acque, bianco per i nevai) che suggeriscono quelli naturali; circoletti o quadrati, per rappresentare i centri abitati (quasi piante urbane ridotte all’essenziale del perimetro); nastri per rappresentare le strade; mentre una linea tratteggiata per rappresentare un confine, un colore per campire l’estensione di uno Stato o di una regione linguistica sono soluzioni più propriamente simboliche; convenzionali sono pure le soluzioni differenziate adottate per la scrittura dei nomi di località, regioni, Stati ecc. Modalità particolari riguardano i colori associati all’altimetria e, soprattutto, il disegno del rilievo, che può essere risolto mediante un minuto tratteggio oppure con lo sfumo, mirando a ottenere effetti di ombreggiatura che emulino l’aspetto di una superficie tridimensionale illuminata; la più precisa rappresentazione del rilievo è tuttavia data dalle curve di livello (o curve altimetriche o isoipse), linee immaginarie che uniscono tutti i punti posti alla medesima quota, impiegate da sole o con il tratteggio o lo sfumo nelle c. a grande scala, e in associazione con le tinte altimetriche in quelle a media scala. In linea di massima, i segni convenzionali sono più numerosi e dettagliati al crescere della scala; ma, a prescindere dalla scala, possono risultare numerosi anche nelle c. cosiddette tematiche.
Si usa distinguere le c. geografiche secondo i contenuti rappresentati, in c. generali, fisiche, politiche e, inoltre, genericamente tematiche (a loro volta distinte secondo i temi considerati).
Le cosiddette c. generali (a cominciare dalle c. topografiche) sono, in realtà, a loro modo tematiche, in conseguenza della selezione delle informazioni riportate: nessuna c. geografica è in grado di rappresentare la totalità degli elementi realmente presenti sulla superficie terrestre; ciascuna c. geografica, pertanto, persegue uno scopo precisamente predefinito, nel prendere in considerazione una parte solamente, per quanto ampia, dei possibili ‘tematismi’ che la realtà geografica propone.
A maggior ragione sono da considerare tematiche le c. fisiche (che rappresentano le fattezze naturali: orografia, idrografia ecc.) e quelle politiche (che si sostanziano negli elementi politico-amministrativi e insediativi), come anche quelle stradali e turistiche (c. di tipo generale in cui le comunicazioni e i centri abitati sono enfatizzati). Ma è d’uso definire tematiche quelle c. in cui più definitamente viene preso in conto un solo o pochi aspetti correlati fra loro. Al di là delle molte e diverse tipologie esistenti in materia, si cita solamente a titolo di esempio qualcuno dei casi più frequenti di c. tematiche: geologiche, nautiche, climatiche, meteorologiche, vegetazionali, demografiche, etniche, economiche, archeologiche. Quando il fondo topografico sia assente o ridotto appena a uno scheletro di riferimento (tipicamente, i limiti politici o amministrativi), su cui viene riportata una colorazione o una simbologia convenzionali, piuttosto che di c. tematiche è opportuno parlare di cartogramma. L’ampia diffusione di strumenti di elaborazione di dati statistici nonché le procedure per la realizzazione di cartografia computerizzata hanno prodotto una straordinaria proliferazione di c. tematiche, fino a quelle ottenute mediante GIS (Geographical Information Systems) che, nel sovrapporre molteplici tematismi, fino a poter assumere l’aspetto di c. generali mostrano assai bene la labilissima differenza concettuale esistente fra le c. tematiche e le c. generali.
Un’altra notevole distinzione corre tra le c. rilevate, vale a dire disegnate a partire direttamente dalle misurazioni effettuate sul terreno (c. a grandissima scala, come quelle topografiche), anche mediante aerofotogrammetria o rilevamenti satellitari, e le c. derivate, compilate essenzialmente in base a documenti topografici, ma anche a dati statistici, letteratura scientifica e altro.