Organo di locomozione e sostentamento nell’aria. Le a. sono presenti nella maggior parte degli Insetti, negli Pterosauri (Rettili estinti), negli Uccelli e tra i Mammiferi nei pipistrelli. Alcuni pesci hanno pinne pettorali sviluppate, simili ad a., con le quali compiono balzi planati nell’aria.
Negli Insetti le a. (in genere 2 paia, spesso ridotte a 1 paio) rappresentano morfologicamente evaginazioni del tegumento del torace, sostenute da nervature e composte di una cuticola chitinosa.
Negli Pterosauri l’a. era un’ampia membrana cutanea (➔ patagio) sostenuta dallo scheletro dell’arto anteriore e dalle lunghissime falangi del 5° dito, ed estesa fino all’arto posteriore.
Negli Uccelli (fig. 1) le a. corrispondono, ovvero sono omologhe, agli arti anteriori dei Vertebrati terrestri: lo scheletro dell’a., per quanto profondamente modificato, è composto dagli stessi segmenti dell’estremità pentadattila dell’arto dei Vertebrati terrestri. La superficie che sostiene l’a. nel volo è formata dalle penne remiganti, inserite sul 2° e 3° dito e sul carpometacarpo (remiganti di 1° ordine, di solito in numero di 10) e sull’ulna (remiganti di 2° ordine, da 6 a 30); in molti Uccelli esistono delle remiganti accessorie inserite al 1° dito, costituenti l’alula o aletta o ala spuria; e altre penne inserite all’omero, o remiganti scapolari, che nel loro insieme costituiscono l’a. della spalla o parapterum. Su ambedue le facce dell’a. si trovano piccole penne copritrici o tettrici. La forma e le dimensioni delle a. variano secondo la rapidità e le modalità del volo. Sono lunghe, strette e appuntite nei buoni volatori a volo rapido; brevi, larghe e ottuse nei volatori a volo lento. Possono essere atrofizzate, come negli uccelli corridori (Ratiti), o avere funzione e forma di pinne, come nei pinguini.
Nei pipistrelli (➔) l’a. è un patagio teso fra la nuca, gli arti anteriori e i posteriori; fornita di nervi e di organi di tatto, è sostenuta dallo scheletro del carpo e di quattro dita (dal 2° al 5°) degli arti anteriori, molto allungati. Le dita degli arti posteriori e il 1° dito di quelli anteriori sono liberi e di proporzioni normali.
Espansione membranacea che si trova su vari organi delle piante, come sul fusto e sui rami di alcuni Lathyrus e sui frutti delle samare. Nella corolla papilionacea (ginestra, pisello ecc.) sono detti a. i due petali laterali affiancati alla carena.
In anatomia, qualsiasi formazione, o parte di essa, che richiami la forma di un’a. (a. dell’osso iliaco, del sacro, dello sfenoide, dei legamenti larghi; a. bianca interna e bianca esterna, nel ponte; a. cinerea, formazione del bulbo rachidiano).
Organo sostentatore fondamentale degli aeromobili a velatura, nel quale la forza di sostentamento (portanza) deriva dalla dinamica del flusso d’aria attorno al profilo (fig. 2).
Si dice profilo alare il contorno ottenuto sezionando l’a. con un piano normale alla sua maggiore dimensione. Ogni profilo alare viene individuato dal nome del laboratorio che ne ha studiato le caratteristiche e da un numero (per es., NACA 65010). Nel profilo alare si distinguono il bordo d’attacco, o bordo d’entrata (a in fig. 3), con cui l’a. divide il flusso d’aria e il bordo d’uscita (b). Il contorno superiore c è detto dorso (o estradosso), quello inferiore d ventre (o intradosso). Corda del profilo è il segmento ab di lunghezza l che unisce il bordo di attacco con quello d’uscita e, talvolta, la proiezione di tale segmento sulla tangente al ventre passante per il bordo d’uscita.
Corda alare La corda del profilo se questo è uguale per tutta l’a.; corda media di un’a. è la media fra le corde di tutti i profili dell’ala. Angolo d’incidenza α (o incidenza) Quello formato dalla corda con la direzione della velocità v relativa; l’angolo d’incidenza che non dà portanza è detto angolo d’incidenza nulla. L’intersezione tra la corda alare e la risultante aerodinamica (risultante delle forze aerodinamiche che agiscono sull’a.) individua il centro di pressione dell’a. e la sua posizione varia al variare dell’incidenza.
Fuoco del profilo (o centro aerodinamico) Il punto rispetto al quale è costante, al variare dell’incidenza, il momento della risultante aerodinamica; per i profili subsonici il fuoco è circa al 25% della corda a partire dal bordo d’attacco. Scheletro del profilo (o linea media, o fibra media) La linea (e in fig. 3) luogo dei centri delle circonferenze inscritte; la curvatura e la freccia (f) dello scheletro sono, rispettivamente, la curvatura e la freccia del profilo. I profili alari si distinguono, per la forma (fig. 4 A), in: profili concavo-convessi (a), pianoconvessi (b), biconvessi asimmetrici (c) e simmetrici (d); per velocità supersoniche si hanno profili lenticolari (e), biconvessi (f), a doppio cuneo, simmetrici e non (g, h); per velocità ipersoniche si usano anche profili a cuneo, cioè tronchi posteriormente.
Il profilo alare dei primi velivoli era molto simile a quello delle a. degli uccelli, con l’intradosso concavo e una curvatura accentuata del dorso. Tale tipo di profilo presentava buone caratteristiche di portanza, ma elevati valori di resistenza all’avanzamento. Le moderne tecniche costruttive hanno permesso l’adozione, su velivoli dalle elevate prestazioni di volo, di a. a profili biconvessi a debole curvatura e di profili simmetrici o quasi allo scopo di avere minore resistenza aerodinamica e per evitare forti momenti torcenti. Per i profili simmetrici e anche per alcuni non simmetrici con bordo d’uscita rialzato, in modo da avere curvatura media quasi nulla, la risultante è sempre applicata al fuoco e il centro di pressione coincide con esso per ogni incidenza. Un’a. può essere a profilo uguale in ogni sezione, oppure a profilo variabile; i profili possono poi avere calettamenti diversi, dando luogo ad a. svergolate (fig. 4 B).
L’a. è caratterizzata, oltre che dal profilo, dalla forma in pianta: si hanno (fig. 4 C) a. rettangolari (a); trapezie, senza oppure con i bordi di estremità arrotondati (b e c); ellittiche (d), falcate (e), a freccia (normale f; in avanti g, recentemente introdotta), a delta (h). Per i normali velivoli subsonici predomina l’a. trapezia senza o con debole freccia; per i velivoli delle alte velocità subsoniche e supersoniche l’a. a freccia o quella a delta; quando l’a. a delta è composta di parti a cuneo è detta a diamante o a doppio delta. È da notare che come angolo di freccia si considera quello formato dalla linea luogo dei punti posti al 25% delle singole corde alari con la direzione normale alla velocità.
I velivoli con a. a geometria variabile hanno la possibilità di variare in volo l’angolo di freccia: dalla posizione di freccia minima per il volo a bassa velocità, a quella di freccia massima per l’alta velocità, e in tutte le altre posizioni intermedie. La prima realizzazione in questo campo si ebbe con il velivolo sperimentale americano Bell X5 (primo volo, 1951), la cui progettazione si era rifatta agli studi effettuati dalla ditta tedesca Messerschmitt per il modello volante a geometria variabile P 1101, catturato dalle truppe americane alla fine della Seconda guerra mondiale.
Soluzioni per ridurre la resistenza aerodinamica e quindi i consumi sono rappresentate dalle alette verticali poste alle estremità delle a. (winglets) che riducono la resistenza indotta, e dall’a. obliqua e a freccia in avanti, efficaci alle alte velocità.
Un parametro di importanza fondamentale è l’allungamento, definito come rapporto tra l’apertura alare e la corda media geometrica (per i velivoli d’alta velocità l’allungamento usuale è 4-6, per quelli commerciali e bombardieri 8-12, per gli alianti 15-25). Spesso le due metà dell’a. fanno un angolo con il piano di simmetria; l’angolo complementare di quello compreso tra il piano alare di mezza a. e il piano di simmetria è detto diedro dell’a. (γ in fig. 4 D) ed esplica un ruolo importante nella stabilità dinamica laterale dei velivoli: questo angolo è usualmente di pochi gradi (2°-6°) e può essere positivo o negativo. A seconda della posizione rispetto alla fusoliera, l’a. può essere alta, media, bassa e attraversante. A. a fessura, a. a persiana: a. con profilo variabile in volo in cui possono aprirsi o chiudersi una o più fessure con funzioni di ipersostentazione. A. a sbalzo: quella che per tutta l’apertura non ha strutture di sostegno esterne.
Dal punto di vista strutturale, l’a. (fig. 4 E) consta del rivestimento a, delle centine b, dei longheroni c e, talvolta, dei falsi longheroni d. Il rivestimento ha il compito di concretare la superficie e di trasmettere le pressioni aerodinamiche alle strutture di forza interne; esso deve resistere alle sovrapressioni e depressioni senza alterare il profilo alare. Il rivestimento, di tela nei primi aeroplani, è ora di lamierino metallico (usualmente lega leggera, ma per i velivoli supersonici di moderna concezione è costituito in gran parte di metalli resistentissimi al calore). I rivestimenti di tela per loro natura non potevano contribuire in maniera sensibile alla resistenza strutturale globale dell’a.; lo possono invece quelli di metallo, rigidi a flessione, taglio e torsione (rivestimento collaborante).
Le centine sono gli elementi della struttura interna disposti nel senso della corda alare; a esse è conferito il compito di garantire la forma del profilo e quello di trasmettere le forze, provenienti dal rivestimento, ai longheroni. Possono essere a traliccio o a parete piena rinforzata da nervature e spesso alleggerita con fori. In corrispondenza dei supporti dei motori, serbatoi, carrello di atterraggio ecc. si impiegano centine a scatola o doppie, le quali presentano caratteristiche di notevole rigidezza torsionale.
I longheroni sono travi formate da alcune solette o correnti, su cui si fissa il rivestimento, e da un’anima (longherone Wagner) o più anime che collegano i correnti. Si estendono nel senso dell’apertura alare e costituiscono l’elemento principale resistente, in particolare alla flessione; sono usualmente metallici e possono essere a parete piena o reticolari; quelli a parete piena possono avere una, due o tre anime; i correnti, di forme e sezioni diverse, possono essere ottenuti da più elementi uniti tra loro o per fresatura di barre piene. Ai longheroni maestri si aggiungono spesso falsi longheroni per l’attacco degli alettoni (e in fig. 4 E), degli ipersostentatori (f) e dei disruttori (g). Si possono avere a. mono-, bi-, tri-, plurilongheroni (fig. 4 F-H). Per le a. monolongheroni si sono avuti esempi di longherone tubolare che fa da serbatoio per il combustibile; in genere lo spazio tra due longheroni viene utilizzato come alloggiamento del serbatoio, del carrello d’atterraggio, dei dispositivi idraulici ecc. In generale, poiché le sollecitazioni a cui un’a. è sottoposta decrescono dalla radice (attacco dell’a. alla fusoliera) all’estremità alare, i longheroni e le altre strutture dell’a. diminuiscono il loro spessore nello stesso senso.
Una struttura quale quella descritta necessita, a causa dei numerosi elementi di cui si compone, di un gran numero di giunzioni (chiodature e ribattini) che la rendono di notevole complessità costruttiva, molto pesante e costosa. Talvolta l’a. viene ricavata per fresatura di un unico blocco di metallo; tale tecnica è usata in alcuni aerei militari, per es., F 104. Altre realizzazioni impiegano, per la giunzione dei metalli, speciali resine sintetiche ottenendo un notevole risparmio di peso e costo. Più moderne tecniche di costruzione si basano sulla realizzazione di strutture a nido d’ape, costituite da elementi metallici leggeri incollati a pressione che danno origine a blocchi cellulari di elevata resistenza e peso ridotto (strutture ad alveare).