Il complesso delle opere che servono alla presa dell’acqua e alla sua condotta e distribuzione.
Le antiche civiltà mesopotamiche si avvalsero delle acque del Tigri e dell’Eufrate che venivano convogliate verso i centri abitati mediante a. a condotte coperte. Il re assiro Sennacherib condusse a Ninive le acque del Khoser da Kisri. In Palestina l’a. di Siloe, con condotto scavato nella roccia, lungo 533 m, portava l’acqua a Gerusalemme; sono visibili resti d’altri a. in Samaria e Galilea.
Molti furono gli a. in Grecia: Erodoto descrive quello di Samo costruito dall’architetto Eupalino (5° sec. a.C.), lungo 7 stadi, con canale scavato nella roccia e conduttura fittile. Ad Atene si captarono acque dall’Imetto, dal Pentelico, dal Parnete e dal Licabetto; un a. esterno era quello di Cefisia, in parte su viadotto. Cunicoli nella roccia, pozzi di aerazione, gallerie di servizio caratterizzano i vari a. di Siracusa (Tremilia, Ninfeo Paradiso, Galermi).
Mancano veri a. in Etruria, pur essendovi notevoli opere idrauliche. Grande sviluppo ebbero invece gli a. a Roma, dove dall’epoca di Augusto a essi era preposta una speciale magistratura. La presa era fatta con cunicoli che si addentravano nella roccia o con serbatoi che includevano le polle. All’inizio della condotta si inserivano bacini di decantazione (piscinae limariae). La condotta (specus) era scavata nella roccia o costruita in muratura attraverso terreni poco consistenti. I Romani non ignoravano la tecnica delle condotte in pressione, ma le risorse costruttive permettevano loro di adottarla soltanto per tratti brevi ed eccezionali (per es. sifoni rovesci); quindi per mantenere la condotta a quota sufficiente per la distribuzione dovevano sollevarla su appositi manufatti in muratura, spesso con caratteristiche di veri e propri viadotti. La pendenza, secondo Vitruvio, doveva essere di circa il 5‰, secondo Plinio molto minore. Dopo aver attraversato altri bacini di sedimentazione, l’acqua affluiva nel castellum, serbatoio a livello costante nelle cui pareti erano inseriti i calices, tubi di bronzo calibrati, sotto battente fisso, che derivavano le portate spettanti ai diversi beneficiari dell’acqua; questa passava poi in condotti di piombo o fittili (fistulae). Unità di portata era la quinaria, il cui valore più probabile è di 0,48 l al secondo. Complessivamente gli 11 a. di Roma recavano in città 1 milione di m3 d’acqua al giorno. Fra gli a. del resto d’Italia da ricordare soprattutto quelli di Acqui, di Rimini, di Spoleto, di Minturno, di Pozzuoli e la grande Piscina Mirabile di Miseno. I Romani costruirono grandiosi a. anche in Gallia e nella Penisola Iberica, con monumentali viadotti a molteplici arcate sovrapposte, nonché in Africa, come quello di Cartagine (132 km), di età adrianea, e quello di Cesarea. Altri a. si trovano ad Antiochia, ricca di acque e ninfei, a Mitilene e a Efeso; i più tardi sono quelli di Salona e di Bisanzio.
Caduto l’impero, la mancanza di manutenzione e le distruzioni barbariche, spesso attuate per costringere alla resa le città assediate, misero rapidamente fuori uso il sistema degli a. romani, che già alla fine dell’8° sec. era quasi dovunque inefficiente. Parziali restauri, come quelli curati da Adriano I e Leone III, furono tentati nel Medioevo.
Il Rinascimento segnò anche in questo campo una decisa ripresa di attività, in particolare a Roma dove furono ripristinati alcuni antichi a. e realizzati altri. A Parigi ai primi del Seicento Maria de’ Medici fece rimettere in funzione l’a. di Arcueil e, mezzo secolo dopo, Luigi XIV fece costruire da S. Vauban gli a. per portare a Parigi le acque dell’Eure. L. Vanvitelli nel Settecento condusse alla reggia di Caserta le acque del Monte Taburno, distanti 42 km. Con il continuo progredire della tecnica gli a. si sono successivamente sempre più estesi e perfezionati.
L’ a. pugliese fu iniziato nel 1906 e ultimato nel 1939 per provvedere all’alimentazione di 234 comuni, la maggior parte dei quali (227) in Puglia. Il canale principale, lungo 264 km (dei quali 55 in galleria), dalle sorgenti del Sele in provincia di Avellino fino a Villa Castelli in provincia di Brindisi, fu proporzionato per una portata di 6,8 m3/s. Per raggiungere tale portata l’a. è stato integrato con l’immissione nel canale principale delle acque delle sorgenti di Cassano Irpino mediante una galleria lunga 16 km.
Dal 1931 al 1947 fu realizzato l’ a. del Peschiera, che insieme con altri rifornisce Roma. Alimentato dalle sorgenti del Peschiera, presso Cittaducale, è dotato di canale adduttore lungo 89 km che si svolge per circa 75 km in galleria e alimenta anche una centrale idroelettrica.
Nel secondo dopoguerra è stata di particolare rilievo l’attività della Cassa per il Mezzogiorno nei riguardi dell’approvvigionamento di acqua potabile in tutte le zone del Sud d’Italia scarsamente dotate. Le opere hanno previsto dotazioni oscillanti da minimi di 40-80 l per abitanti al giorno per le case sparse e i centri minori, fino a massimi di 150-350 l per città con oltre 80.000 abitanti. Tra i numerosi a. realizzati ha particolare importanza l’ a. campano, che dalle sorgenti del massiccio del Matese e dal Sarno porta verso Napoli e la Terra di Lavoro circa 7 m3/s di acqua potabile (oltre 2 m3/s ora convogliati dall’ a. del Serino). L’a. campano, insieme ai due a. molisani a sinistra e destra del Biferno, assicura l’approvvigionamento idrico di oltre 170 comuni, fra i quali Caserta e Napoli. Importante realizzazione tecnica sono il ramo sottomarino per l’approvvigionamento delle isole di Procida e Ischia e quello per l’approvvigionamento di Capri, ultimato nel 1982, con condotte posate a profondità fino 80 m.
Da ricordare ancora l’ a. del Pertusillo, alimentato dal fiume Agri e regolato dal lago artificiale di Pietra del Pertusillo, che rifornisce 315 comuni delle province di Taranto, Bari e Lecce, l’ a. del Sinni, destinato all’irrigazione del Salento, l’ a. del Fanaco in Sicilia e l’ a. del Coghinas in Sardegna.
Le principali opere per la costruzione di a. sono le opere di presa per captare l’acqua nel luogo dove essa è in natura disponibile; la condotta adduttrice che serve a portare l’acqua dal luogo dove è captata a quello dove è utilizzata; il serbatoio (uno o più) che serve a immagazzinare l’acqua nei periodi in cui il consumo è inferiore alla portata dell’adduttrice, e a erogarla, invece, quando si verifichi la condizione opposta; la rete di distribuzione, che è il complesso di tubazioni che porta l’acqua nei singoli punti in cui deve essere utilizzata.
Opere accessorie che, dove è necessario, completano l’a. sono l’impianto di potabilizzazione, che conferisce all’acqua le proprietà chimiche e batteriologiche indispensabili per l’alimentazione umana; gli impianti di sollevamento meccanico, che suppliscono alla deficienza di dislivelli naturali perché l’acqua possa defluire nelle condotte con la portata prescritta. Dato essenziale per il dimensionamento d’un a. è la quantità d’acqua necessaria per i bisogni del centro abitato da esso servito, che può variare secondo il numero degli abitanti, il clima, il prezzo di vendita, la presenza di industrie, il sistema di distribuzione ecc.
La quantità d’acqua erogata per giorno e per abitante, cioè il consumo specifico giornaliero, varia conseguentemente da centro a centro. Tenendo conto che la quantità d’acqua complessivamente occorrente è composta dalle quantità parziali occorrenti per gli usi privati, per gli usi pubblici e per gli usi industriali, si fissa, in genere per confronto con centri abitati che si trovano in condizioni analoghe, il consumo specifico medio del centro abitato servito dall’a.; il costo della condotta adduttrice risulterebbe eccessivo qualora essa venisse calcolata per la portata necessaria nelle ore di punta, ma risulterebbe non interamente utilizzata nei lunghi periodi di minore richiesta. Con la costruzione di uno o più serbatoi di raccolta si può costruire la condotta per una portata minore di quella massima richiesta nelle ore di punta, utilizzando in tali ore l’acqua immagazzinata nei serbatoi. Si istituisce generalmente un confronto economico tra i costi delle condotte con diverse portate e quelli dei corrispondenti serbatoi, scegliendo la soluzione che fornisce il costo totale minimo.
La captazione delle acque è fatta con opere diverse a seconda della provenienza delle acque, cioè da sorgente, da falda freatica o artesiana, da acque superficiali.
Le acque superficiali non hanno, in generale, la purezza necessaria per essere adibite a uso potabile e vanno quindi potabilizzate. La presa dai laghi è fatta in profondità, ma a sufficiente distanza dal fondo per evitare la rimozione del limo.
La presa dai fiumi è fatta con chiaviche in sponda qualora il livello si mantenga sempre abbastanza elevato, altrimenti si provvede con traverse che lo rialzano, o si ricorre a gallerie filtranti scavate sotto il letto del fiume.
La captazione delle acque sorgive richiede l’accurato studio idrogeologico dell’origine della sorgente e dei terreni attraverso i quali essa sgorga; occorrono opere notevolmente diverse a seconda che si tratti di raccogliere le acque di una o più vene vicine sgorganti direttamente dalla roccia, oppure di scaturigini distribuite su di un vasto tratto, o ancora che si debbano captare acque scorrenti in un ammasso detritico (detriti di falda). Nei terreni alluvionali, le sorgenti scaturiscono in genere lungo gli affioramenti di strati impermeabili di argilla pura o leggermente sabbiosa.
Quando l’acqua effluisce dal basso all’alto gorgogliando entro pozze o laghetti, la captazione si fa con un’opera che include la polla con le pareti spinte a profondità sufficiente per impedire l’infiltrazione di acque superficiali. Se le sorgenti si trovano alla base di colline, spesso esse vengono a giorno attraverso masse di detriti che in generale si debbono asportare per eseguire l’opera di captazione. La presa di acque sotterranee (falde freatiche o artesiane) è fatta generalmente con pozzi, autoaffondanti o trivellati a seconda della profondità, e pompe per il sollevamento.
Infine, nelle località in cui non è disponibile alcuna altra sorgente di approvvigionamento, si capta l’acqua piovana defluente dalle coperture degli edifici ovvero raccolta in aie con pavimento impermeabile, e la si convoglia in serbatoi, generalmente sotterranei o cisterne. Negli ultimi anni del 20° sec. si è diffusa l’adozione di dispositivi idraulici dotati di sistemi di controllo telematico che offrono la possibilità di scaricare l’acqua sospetta d’inquinamento prima dell’immissione negli a.; a questo tipo di rischio sono soggetti, per es., gli a. che utilizzano le acque intercettate nelle gallerie stradali.
Il serbatoio è l’organo di collegamento tra la condotta adduttrice, che fornisce un’erogazione continua o intermittente, e la rete di distribuzione che presenta, come si è già detto, un consumo ad andamento assai variabile nel corso della giornata. Il serbatoio è situato in prossimità del centro abitato, in posizione altimetrica tale da assicurare una pressione sufficiente in tutti i punti del centro stesso. Se il centro è esteso, vi possono essere più serbatoi. Il serbatoio può essere interrato e talvolta assumere la forma d’una galleria, oppure sopraelevato sul suolo in forma di struttura per lo più in cemento armato (vasca e struttura di sostegno). Superiormente è in comunicazione, mediante camino di aereazione, con l’aria libera, così che non possano crearsi sovrapressioni per effetto di cuscinetti d’aria.
La rete di distribuzione è costituita da tubazioni interrate ad almeno un metro di profondità: le sue caratteristiche dipendono dallo sviluppo del centro abitato, dalla sua altimetria e dalla posizione del serbatoio. Due sono gli schemi fondamentali: a ramificazioni, cioè formata da una condotta principale dalla quale si diramano altre tubazioni a loro volta ramificate; a maglia, formata da un grande anello, situato in un punto del quale sbocca la condotta adduttrice, entro il quale la rete di distribuzione costituisce una fitta maglia che da quello si diparte. Comunemente però si adottano sistemi misti.
Canale attraverso cui passa prevalentemente un liquido. A. della chiocciola, A. del vestibolo Piccoli condotti della rocca petrosa (osso temporale) che fanno parte dell’orecchio interno. A. di Falloppia Canale della rocca petrosa, attraversato dal nervo facciale. A. di Silvio Canale che, nel mesencefalo, fa comunicare tra loro il quarto e il terzo ventricolo.