Complesso di pratiche ed esperienze di espressione e comunicazione artistico-visuali che intervengono nella dimensione stradale e pubblica dello spazio urbano, originariamente provviste di una fisionomia alternativa, spontanea, effimera e giuridicamente illegale salvo poi essere, in una fase posteriore, parzialmente sanzionate e fatte proprie dalla cultura popolare di massa, dal mercato e dalle istituzioni, prospettiva che contribuisce a rendere molto problematica a oggi una puntuale individuazione del campo, che rimane estremamente liquido e aperto a molteplici visioni. Altre locuzioni utilizzate per indicarla sono arte urbana o urban art, termini ombrello che comprendono, in un inquadramento generale più ampio, anche il graffiti-writing e l’arte pubblica o arte commissionata, e sono spesso preferiti al primo per evitare gli equivoci che da questo possono generarsi. Meno utilizzate le espressioni neo-graffiti, post-graffiti e guerrilla art. Pur non essendo la s.a. un insieme organico con una propria regolamentazione interna, si possono trovare dei tratti e un’attitudine comune nell’attività che fanno riferimento alla maggior parte degli artisti individuali associati alla sfera. Innanzitutto la strada risulta il fattore basilare di una congerie di interventi variabili in materiali, azione, forma e contenuto, dove la babele estetica e iconografica che ne deriva è animata dalla medesima vocazione post-modernista all’appropriazione e al remix di immagini, stili e tecniche da ogni possibile sorgente. Nella non completa possibilità di un reale approfondimento sul piano estetico e concettuale, la volontà degli artisti di immediata riconoscibilità e di raggiungimento della più vasta audience consegna alle forme culturali e artistiche di estrazione popolare il ruolo di fonti preponderanti. La conquista dello spazio visuale è finalizzata alla costruzione di un dialogo dinamicamente aperto con i distinti elementi corporei e incorporei, animati e inanimati che descrivono, permeano e vivono un dato sito urbano. Quest’ultimo tratto mette in luce la discordanza della s.a. dall'esperienza del graffiti-writing, che tendendo alla chiusa rappresentazione di sé attraverso forme, approcci e modalità codificati si proclama estranea alla volontà di comunicare al di fuori della cerchia dei suoi aderenti. Eloquente in questo senso la definizione che John Fekner, pioniere della s.a. americana, tenta di dare alla stessa: “tutta l’arte in strada che non è graffiti-writing”. La reiterata confusione dei media, in particolare, tuttavia dimostra che non vi è ancora piena consapevolezza su questo aspetto. Le motivazioni che spingono un artista a eleggere la strada quale proprio fondamentale recinto di lavoro rispondono a diverse esigenze e necessità: quella critica, in relazione alla società e al sistema dell’arte; quella politica, in relazione allo spazio; quella promozionale, che assume notevole rilevanza con l’accrescimento dell’esposizione mediatica del fenomeno in una fase più recente. I generi storicamente riferibili alla galassia s.a. sono la stencil art, la sticker art e la poster art, ma possono esservi messe in relazione anche le installazioni stradali, le video proiezioni, e pratiche come lo yarn bombing, il subvertising ed esperienze quali il cosiddetto muralismo urbano o wall painting.
Questioni circa il concetto. Nota agli studiosi della materia è la difficoltà di fissare l’area di definizione del concetto street art, in quanto non risultante dal comune accordo di un gruppo in relazione a uno specifico fenomeno dai princìpi certi ma più frutto di una letterale designazione dell’arte presente in strada, la quale peraltro, in forme diverse, è sempre esistita. La s.a. corrisponde più alla pratica in tempo reale dei singoli artisti che non a un movimento unitario (Irvine, 2012), come tale è la stessa attività dell’artista che plasmando di volta in volta il contenuto racchiuso dall’espressione non permette di arrivare a una definizione risolutiva (Tomassini, 2012; Bengtsen, 2014). Il primo utilizzo del termine nel senso più vicino all’uso contemporaneo è datato 1985 e rimanda a una pubblicazione di Allan Schwartzman, intitolata per l’appunto Street Art. Il libro raccoglie il lavoro di writer e artisti della New York dei primi anni Ottanta che attraverso il loro lavoro trasformano la percezione dello spazio urbano. Secondo Walde (2006) la fase storica contenuta nel libro di Schwartzman si riferisce a singoli artisti che operano in strada producendo quella che poi retrospettivamente sarà chiamata street art, mentre è solo a partire dal nuovo millennio che l’accezione di s.a. inizia a indicare qualcosa di simile a un movimento globale. In effetti, nei primi anni Duemila, in alcune delle più importanti città del mondo aumenta sensibilmente la concentrazione di forme di espressione creativa stradale, anche se gli artisti, nell’indicazione del proprio lavoro, sono ancora soliti far riferimento più ai medium adoperati che all’espressione generica in questione. Quando il termine fa la sua prima massiccia apparizione su giornali, internet e televisioni, intorno al 2005, il movimento inizia a scoprirsi sempre più mediatico che reale. Il successo planetario raggiunto da Banksy, in cui i media riconoscono il totem di una nuova arte-culto, catalizza il processo di sfruttamento promozionale e commerciale dell’espressione street art, oggi sempre più labile nei suoi significati certi quanto forte nei tratti che laavvicinano a un marchio di successo. Questa dinamica sta provocando l’effetto di un progressivo rigetto del vocabolo da parte di artisti ed altri operatori che gravitano attorno al campo, i quali difendono la propria indipendenza e lontananza da manovre di tipo speculativo. Ulteriore complicazione è fornita dal sempre maggiore interesse delle istituzioni, che alimenta le sovrapposizioni tra s.a. e arte pubblica o arte commissionata – concretizzatesi nella grande diffusione internazionale del muralismo urbano – dove forme controllate e mediate, e in alcuni casi intenti conservativi, portano il discorso su un piano nettamente differente rispetto a quello dell’oggetto a cui l’espressione street art fa riferimento in una fase antecedente. Concludendo, i recenti sviluppi nel mondo s.a. rendono ancora più problematica la definizione di una formula a cui sin da subito sono attribuite difficoltà strutturali di esplicitazione.
Cenni storici (anni Settanta-Ottanta). Eterogeneità e incompiutezza dell’idea di s.a. rendono ugualmente complicata l’individuazione di una sicura origine spazio-temporale. Tuttavia negli anni Settanta, e nel corso del decennio successivo, si situa il lavoro di un novero di artisti che interviene in strada secondo modalità molto vicine a quelle a cui fa riferimento il moderno intendimento di s.a., in particolare mancanza di autorizzazione, modifica del profilo percettivo del contesto spaziale e ricerca di comunicazione con i passanti. Questi episodi avvengono pressoché contemporaneamente negli Stati Uniti e in Europa, a dimostrazione – nel secondo caso – di come la s.a. possa avere una premessa indipendente dal binario di scorrimento del graffiti-writing. Il già citato testo di Schwartzman riunisce per la prima volta sotto la voce street art il lavoro della prima generazione di “artisti di formazione tradizionale” – così definiti per distinguerli dai writer – attivi nelle strade di New York negli anni Ottanta. Lo spazio Fashion Moda nel South Bronx e la Fun Gallery nell’East Village di Manhattan costituiscono due poli determinanti per orientare lo spirito culturale che informa il periodo. Il successo della mostra Time Square Show del 1980, alla quale partecipano molte delle figure legate a Fashion Moda, sancisce l’esistenza in strada di un indirizzo diverso dal solo lettering, a cui peraltro questi artisti sono legati da molteplici scambi e rapporti. Jean Michel Basquiat e Keith Haring sono a posteriori i più celebri interpreti di questa epoca, seguiti da John Fekner, Jenny Holzer, Kenny Scharf, John Ahearn e Richard Hambleton, le cui sagome a vernice nera (Shadowmen) sono i primi segni iconici ad apparire con ampiezza e impatto sui muri della città. Nel 1989 Shepard Fairey aka Obey inaugura a Providence la sua prima campagna di stickering: André the Giant Has a Posse, dove l’affiorare di proprietà simili a quelle delle forme di comunicazione mass-mediali porta la s.a. già a uno stadio successivo, quello che probabilmente sarà la sua dimensione più chiara nel decennio successivo. Parallelamente in Europa alcuni precoci episodi vedono protagoniste figure dell’ambiente punk di Amsterdam, come Hugo Kaagman, attivo già dalla fine degli anni Settanta con lo stencil, medium, quest’ultimo, che trova a Parigi una formidabile fioritura nel corso del decennio successivo, anticipando l’avvento del graffiti-writing dagli Stati Uniti. Lo stencil, pure trainato dalla popolarità di Banksy, è una delle forme in grado di evocare meglio l’idea generica di s.a., pur essendo la tecnica dapprima adoperata per usi che trascendono la specifica sfera dell’arte. Sono infatti gli stencil di propaganda fascista visti durante un viaggio in Italia che ispirano Blek Le Rat, nel 1981 uno dei primi artisti francesi a produrre con tale medium lavori stradali che non hanno altro scopo se non quello artistico. Su questa linea, Jef Aérosol, Miss Tic, Jérome Mesnager ed Epsylon Point sono altre importanti figure ad affermarsi nel corso degli anni Ottanta, sancendo per l’area francese un ruolo decisivo nel percorso storico di sviluppo dell’arte urbana generalmente intesa quale street art. In realtà già nei due decenni precedenti lo spazio pubblico della capitale transalpina è protagonista di tentativi di esplorazione di nuove potenzialità artistiche, le quali allargano la dimensione espressiva del paesaggio visuale, sino ad allora occupato prevalentemente – oltre che dall’ambito promozionale – da manifestazioni segniche di carattere politico e sociale, come quelle che accompagnano il Maggio Rosso parigino del 1968. In questo scorcio del decennio è proprio la critica all’ordine precostituito della cultura e dell’arte uno dei leitmotiv dei movimenti studenteschi del Sessantotto, a sostanziare l’azione e il messaggio in strada di artisti quali Daniel Buren e dei suoi Affichages sauvages. Gli anni Settanta vedono all’opera Ernest Pignon-Ernest, uno dei padri della grande tradizione francese del poster-affiche, tra influenze situazioniste ed effimera poesia visiva, e Gérard Zlotykamien, le cui spettrali apparizioni antropomorfe dipinte sui muri in rovina dell’ex-mercato di Les Halles sembrano precorrere di un decennio gli Shadowman newyorkesi di Hambleton. Anche nella città americana la fortunata esperienza degli anni Ottanta è precorsa da episodi isolati di “colonizzazione artistica” in territori ancora vergini. Pur non avendo nulla a che fare con quelle del graffiti-writing, sono comunque le lettere a guidare il lavoro di John Fekner e Jenny Holzer, artefici di una comunicazione graficamente basilare quanto mirata nel contenuto, il primo con i Warning signs, realizzati a stencil sui muri di aree e palazzi fatiscenti, la seconda attaccando i suoi Truism (1977-79) di carta sulle pareti degli edifici di Manhattan.
Cenni geografici. La s.a. è un fenomeno artistico e culturale prettamente globale, tanto nella rete internet quanto nelle strade di tutte le città del mondo occidentale, registrando una crescente presenza anche in realtà geografiche e culturali differenti, come dimostrano le interessanti esperienze che recentemente hanno visto protagonisti i paesi coinvolti dalla cosiddetta Primavera Araba. Nell’era dell’accesso universale e istantaneo all’informazione, che di fatto permea la genetica e la capillare diffusione della s.a, nei singoli contesti urbani è tuttora individuabile una porzione di tipicità figlia del processo dialettico attuato con i diversi fattori della realtà locale, al cospetto di spontaneità e consapevolezza dei luoghi. La differenziazione nelle modalità, nell’estetica o nei temi proposti può originarsi da un elemento insistente del paesaggio stradale, come nel caso del pervasivo sistema di telecamere a circuito chiuso (cctv) su cui sono soliti riflettere molti degli artisti che lavorano a Londra, oppure generarsi da una condizione o atmosfera peculiare: è questo il caso di Barcellona all’inizio degli anni Duemila, nella quale l’ampia permissività unita al clima solare della città favorisce il formarsi di uno stile spensierato dai toni accesi. A Città del Messico sono invece le tradizioni storiche e la forte identità culturale a descrivere la scena locale. Diversamente, una spinta omogeneizzante è quella proveniente dall’elevato numero di festival ed eventi internazionali di s.a., dove il prevalente indirizzo muralista unito al risalto che spesso manifestazioni di questo tipo ricercano vincola la selezione dei partecipanti a una ristretta rosa di artisti di fama internazionale. Relativamente ai festival, uno dei più importanti e longevi appuntamenti europei è Nuart, organizzato annualmente nella cittadina norvegese di Stavanger. La localizzazione della s.a. nel tessuto urbanistico sembra seguire orientamenti comuni nelle principali città del mondo, con una maggior tendenza all’addensamento in specifiche aree delimitate e relativamente decentrate, in alcuni casi ex distretti industriali in attesa di riconversione come Ostiense a Roma, in molti altri quartieri dapprima popolari e a basso costo già interessati da esperienze di tipo artistico-culturale, quali Shoreditch a Londra, Kreuzberg a Berlino o Wynwood a Miami, per citarne solo alcuni. Conseguenza indesiderata derivante dall’alta concentrazione di s.a. in aree circoscritte è la naturale predisposizione – considerato l’interesse maggiore che si trovano a generare – ad attrarre più facilmente dinamiche speculative, le quali conducono a processi più o meno evidenti di gentrification; recentemente l’episodio più eclatante di una casistica sul tema molto diffusa e in costante aumento è quello del quartiere portoricano di Wynwood a Miami. Altra direzione rintracciabile nella mappa d’insediamento urbano della s.a. è il monopolio visuale che in taluni centri questa esercita sulle pareti di piccole strade e stretti passaggi pedonali: Beco do Batman a San Paolo, Clarion Alley a San Francisco, Rue Dénoyez a Parigi e in particolare il sistema delle lanes a Melbourne, Hosier Lane in testa. Icone di vitalità artistica e frequentate mete turistiche, questi luoghi sono una sorta di enclave per il libero esercizio dell’arte dei muri, dove la delimitazione territoriale unita ai tratti precedentemente delineati pone di fatto una deroga alle legislazioni in materia, prevalentemente disciplinate sulla necessità dell’autorizzazione del proprietario della parete e, se differente, dell’amministrazione cittadina.
Nel quadro di una rapidissima ricognizione della scena italiana, la s.a. storicamente si muove sull’asse Milano-Bologna-Roma, dai primi anni del Duemila tutti e tre nodali centri di genesi e propagazione, seppur ognuno con modalità e peculiarità proprie. Torino e, successivamente, Roma sono i luoghi dove si avverte un maggiore coinvolgimento istituzionale sul tema, con festival fondamentali per l’esperienza del muralismo in Italia, qual è Picturin (2010-12) nella città sabauda, e una lunga serie di progetti destinati ad aree periferiche nella Capitale. Uno sguardo al panorama del Meridione sposta l’attenzione su una rimanente e marcata schiettezza delle espressioni locali, come individuabile sui muri di Napoli e Palermo. Singolare e di grande interesse la vicenda di Fame (2008-12) a Grottaglie.
Riferimenti bibliografici. P. Bengtsen, Street Art World, Lund University: Alemendros de Granada Press, 2014, in U. Blanché, Street Art and related terms-discussion and working definition, in AA.VV., Street Art & Urban Creativity Scientific Journal, vol. 1, n. 2, Lisbona, 2015.
M. Irvine, The Work on the Street: Street Art and Visual Culture, in B. Sandywell, I. Heywood, The Handbook of Visual Culture, Bloomsbury Academic, London & New York, 2012.
M. Tomassini, Beautiful Winners, la street art tra underground, arte e mercato, Ombre Corte, Verona, 2012.
C. Walde, Sticker City. Paper Graffiti Art, Thames & Hudson, Londra, 2006, in U. Blanché, Street Art and related terms-discussion and working definition, in AA.VV., Street Art & Urban Creativity Scientific Journal, vol. 1, n. 2, Lisbona, 2015.