Qualsiasi procedura volta a facilitare l’incontro dello spermatozoo con l’ovulo, con esito fecondo, laddove si siano verificate difficoltà al concepimento. I possibili interventi sono molto numerosi e si distinguono in funzione della causa alla base della sterilità.
Il problema della sterilità è stato a lungo considerato di modesto rilievo clinico e sociale e solo a partire dagli anni 1970 la medicina ha iniziato a occuparsene con impegno. Questa maggiore attenzione è dovuta sia alla richiesta di intervento da parte delle coppie sterili, sia alla maggior frequenza della sterilità stessa a causa di numerosi fattori (inquinamento ambientale, mutamenti dell’igiene di vita e dei comportamenti individuali, scelta di avere figli in età più avanzata ecc.). Ne deriva che, nei paesi occidentali, più del 15% delle coppie che desiderano avere un figlio deve ricorrere alle cure dei medici specialisti; una percentuale che sembra aumentare continuamente e a cui concorrono in numero quasi identico cause maschili e cause femminili.
La forma più semplice di p. artificiale è quella in cui il medico si limita a inserire il seme nella vagina o nell’utero della donna. I primi risultati di questa tecnica, relativi a casi di impotentia coeundi, furono riportati da un medico francese nel 1803, mentre le prime inseminazioni con seme di donatore (eterologhe) risalgono alla fine dell’Ottocento. Bisogna però arrivare al 1953, anno in cui vennero annunciati i primi successi conseguiti con seme congelato, per registrare alcuni risultati concreti e l’istituzione delle prime banche del seme, che garantivano l’assoluta riservatezza, la disponibilità di campioni di seme con differenti caratteristiche (per es., aspetto fisico e gruppo sanguigno) e la possibilità di eseguire controlli adeguati per evitare la trasmissione di malattie sessuali. Le banche del seme per inseminazione eterologa (nate anche per conservare il seme di persone sottoposte a trattamenti sterilizzanti) sono oggi diffuse in gran parte del mondo occidentale, sebbene con norme e regolamenti molto diversi.
Il tentativo di fecondare un ovocita umano in vitro (cioè in un terreno di coltura, fuori dal corpo materno) fu praticato per la prima volta a Melbourne nel 1973. Il primo vero successo risale, però, soltanto al 1978. L’idea originale era quella di risolvere il problema della sterilità tubarica non suscettibile di correzione chirurgica. Molto rapidamente, però, l’indicazione si è allargata ai casi di sterilità da cause non conosciute, di scarsa fertilità maschile, di sterilità da cause immunologiche. Questa tecnica, conosciuta anche con la si;gla FIV/ET (fertilization in vitro / embryo transfer) o FIVET, prevede nell’ordine: una terapia di stimolazione ovarica, eseguita generalmente con l’impiego di gonadotropine ipofisarie, che ha l’intento di far maturare contemporaneamente numerosi follicoli ovarici; il prelievo, in analgesia o in anestesia, degli ovociti contenuti in questi follicoli; la loro incubazione, in un terreno di coltura adatto, insieme al seme maschile; il trasferimento circa 80 ore dopo la fecondazione dell’embrione, che a quel momento è allo stadio di 16 blastomeri, in un utero ricettivo dove, dopo l’eventuale attecchimento, proseguirà il suo sviluppo inducendo una gravidanza del tutto identica a quelle iniziate da uno zigote fecondato naturalmente.
Dal momento che queste fasi sono caratterizzate da una bassa percentuale di successi, si è cercato di migliorare i risultati trasferendo più di un embrione, ma sempre tentando di evitare di ottenere gravidanze multiple, poiché l’impianto di molti embrioni rappresenta un grave rischio ostetrico e un ancor più grave problema di medicina neonatale. La percentuale di gravidanze multiple nelle p. assistite è tuttavia molto elevata, poiché raggiunge (e in alcune casistiche supera) il 20%. Le terapie di stimolazione sull’ovaio, inoltre, possono, se eccessive, determinare la comparsa di una vera e propria sindrome da iperstimolazione ovarica, una temuta complicazione non solo delle fecondazioni assistite, ma di tutte le stimolazioni ovariche. Mentre le forme più lievi di tale sindrome rappresentano solo un segnale di rischio e non richiedono molto più di un periodo di osservazione e controllo ecografico, le più severe possono rappresentare un pericolo per la salute e (in casi rarissimi) per la vita stessa della donna.
La GIFT (gamete intra fallopian transfer), proposta nel 1984, viene utilizzata con successo in una serie di condizioni di sterilità di coppia (sterilità da cause ignote; diminuzione della fertilità maschile; alterazioni della parte distale delle tube). Questa tecnica è del tutto simile alla FIV/ET per quanto riguarda la stimolazione ovarica e il prelievo degli ovociti; ottenuti i gameti, questi (spermatozoi e ovociti) vengono inseriti in un sottile catetere e poi iniettati all’interno di una o di entrambe le tube. Tale tecnica è accettata dalla Chiesa cattolica, che la considera un valido aiuto alla fertilità spontanea.
Un’altra tecnica nel campo della p. assistita è la ICSI (intra cytoplasmatic sperm injection) che prevede l’introduzione di singoli spermatozoi nell’ooplasma degli ovociti, mediante un sistema microiniettivo. La ICSI consente sia di ottenere gravidanze a partire da campioni di seme con poche decine di spermatozoi mobili sia di poter contare su cellule germinali non eiaculate, recuperate per aspirazione dall’epididimo o dal testicolo di uomini azoospermici; sono state ottenute gravidanze utilizzando, per l’iniezione intracitoplasmatica, cellule germinali più immature dello spermatozoo (spermatidi).
La p. medicalmente assistita è specificamente contemplata dalla l. n. 40/2004. In base a questa legge, qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità inspiegate e documentate da atto medico, una coppia di persone maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, può chiedere di accedere alle pratiche di p. medicalmente assistita di tipo omologo, e, quindi, senza ricorrere a donatori esterni alla coppia stessa. Chiunque, a qualsiasi titolo, utilizzi a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 300.000 a 600.000 euro. Il medico deve informare in maniera dettagliata la coppia sui metodi, sui problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all’applicazione delle tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la donna, per l’uomo e per il nascituro, che comunque avrà lo stato di figlio legittimo o riconosciuto. Alla coppia deve essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento ai sensi della l. n. 184/1983, e successive modificazioni, come alternativa alla p. medicalmente assistita. Le informazioni (comprese quelle concernenti il grado di invasività delle tecniche nei confronti della donna e dell’uomo) devono essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa. Inoltre, alla coppia devono essere prospettati con chiarezza i costi economici dell’intera procedura qualora si tratti di strutture private autorizzate, e la volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di p. medicalmente assistita deve essere espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura. Tra la manifestazione della volontà e l’applicazione della tecnica deve trascorrere un periodo non inferiore a 7 giorni. Il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure per l’applicazione delle tecniche di p. medicalmente assistita di cui alla l. n. 40/2004 quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione. L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l’intervento di p. medicalmente assistita, ma non dall’assistenza antecedente e conseguente l’intervento.
Da quando nel 1978 è nata Luise Brown, la prima bambina concepita in provetta, il rapido progresso medico nel campo della p. è andato crescendo di pari passo con la riflessione bioetica, fortemente sollecitata da quello che sembrava, da un lato, un legittimo intervento terapeutico per affrontare la sterilità umana e, dall’altro, un complesso metodo di ‘riproduzione’ artificiale della vita, pieno di incertezze e difficoltà, sotto il profilo etico oltre che tecnico. Per comprendere la complessità del tema, è bene partire da una prima distinzione, tra p. omologa ed eterologa. La p. omologa designa le tecniche volte a ottenere un concepimento umano a partire dai gameti di una coppia. La p. eterologa è volta invece a ottenere un concepimento a partire dai gameti provenienti da almeno un donatore estraneo alla coppia. Nel caso della FIVET, il trasferimento dell’embrione può avvenire direttamente nell’utero materno oppure nell’utero di un’altra donna, realizzando nel secondo caso l’ipotesi della maternità surrogata (➔).
La riflessione etica sulle tecniche di p. deve prendere le mosse da due presupposti fondamentali: il concetto di procreazione umana e la tutela della vita e della salute dell’individuo sin dalla fecondazione. Alla luce dell’antropologia personalista, la procreazione non è un fatto puramente biologico ma un ‘atto personale’, che in quanto tale deve coinvolgere la totalità delle persone nella coppia, in maniera esclusiva, che partecipano responsabilmente con il dono reciproco e totale del proprio essere persona (corpo e spirito). Distaccare nella procreazione la componente biologica da quelle affettiva e spirituale equivale a istituire una separazione tra vita e amore. Su questo punto si è espressa la Chiesa cattolica, spiegando (Istruzione Donum Vitae, 1987) che la fecondazione è lecita quando «è il termine di un atto coniugale per sé idoneo alla generazione della prole». Ne derivano considerazioni etiche diverse, per l’inseminazione omologa, da un lato, e l’inseminazione eterologa e la FIVET, dall’altro. La prima è lecita finché si tratti di un aiuto terapeutico e integrativo, volto a far sì che l’atto coniugale, in sé completo, possa avere effetto procreativo; in pratica quando l’aiuto tecnico non risulti sostitutivo dell’atto coniugale e il seme, raccolto nell’ambito dell’atto, possa unirsi alla cellula uovo attuando la fecondazione. Il problema, infatti, non è l’intervento artificiale in sé, ma il rispetto della dignità della coppia e dell’atto procreativo. In particolare, la GIFT sembra, da questo punto di vista, non presentare alcun problema, salvo il fatto di prevedere un’elevata perdita embrionale. Due aspetti restano da chiarire. In primo luogo l’ipotesi in cui il seme venga prelevato con la masturbazione, quindi al di fuori dell’atto coniugale, in considerazione del fatto che si tratta di uno specifico momento, quello dell’inseminazione, che, pur separando la dimensione procreativa da quella unitiva, vorrebbe giustificarsi in funzione dell’intenzionalità procreativa della coppia (morale dell’intenzionalità) e nell’ambito di una vita coniugale; su questo punto però la riflessione etica porta a escludere che la globalità della vita coniugale possa garantire la dignità della p., a prescindere dai singoli atti compiuti per raggiungere tale scopo. In secondo luogo, i mezzi di prelievo del seme: in particolare, mentre la masturbazione e il coitus interruptus presentano difficoltà di ordine morale in relazione al rispetto della dignità dell’atto coniugale, oltre che di ordine psicologico, non si vedono difficoltà nell’uso del condom perforato o nella raccolta del seme in seguito a un rapporto.
Diversa è la valutazione etica sull’inseminazione eterologa e sulla FIVET. Nel primo caso, infatti, la figura del donatore del seme solleva innumerevoli problematiche di carattere etico, psicologico, sociale e giuridico, non solo nei confronti del figlio concepito (che avrà un padre biologico e un padre sociale) ma anche rispetto ai concetti di famiglia e di coppia, dove intervengono situazioni di ‘plurigenitorialità’. La separazione tra genitorialità genetica, gestazionale e sociale (educativa) diviene ancora più evidente nell’ipotesi di donazione, oltre che del seme, anche di ovocita da parte di una donna estranea alla coppia, o di embrione, nonché in caso di maternità surrogata, in seguito alla quale un figlio può arrivare ad avere una madre genetica (che ha donato l’ovulo), una madre gestazionale (che ha portato la gravidanza), una madre sociale (che lo alleva), un padre genetico e un padre sociale. Particolari problemi di carattere etico e giuridico sollevano poi i temi dell’attribuzione di paternità, del segreto sul donatore e della normativa commerciale sui gameti conservati e donati. Un altro problema è costituito dalla tendenza eugenetica a selezionare il seme dei donatori conservati nelle ‘banche’, non solo a fini di salute pubblica, ma soprattutto per assecondare i desideri dei futuri genitori, e dal fatto che da un solo prelievo di seme possano derivare più bambini consanguinei da parte di padre, con l’effetto di non poter più conoscere la paternità genetica nelle generazioni future e il rischio di matrimoni tra consanguinei.
Negli ultimi cinquant’anni, sia negli Stati Uniti sia in Europa, sono stati costituiti appositi comitati e commissioni di studio sulle problematiche etiche, sociali, giuridiche e psicologiche della fecondazione artificiale, e sono state promulgate leggi e convenzioni, anche al fine di regolamentare la materia nella maniera più dettagliata possibile. A tale proposito va tuttavia sottolineato che le differenti soluzioni legislative non risolvono in alcun modo la riflessione etica sulle problematiche sollevate dal progresso medico in materia di p. umana. La legge, infatti, non sempre rispetta le istanze strutturalmente etiche della persona e della coesistenza e, al di là della sua formulazione, impone comunque una riflessione antropologica su quelle dimensioni che il diritto positivo (per ragioni sia politiche sia sociali) può non essere stato in grado di prendere in considerazione.